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domenica 21 maggio 2023

Corte d'Appello 2023-Con sentenza del 07.10.2021 il Tribunale del Lavoro di OMISSIS, pronunciando nel contraddittorio con la I. OMISSIS, rigettava il ricorso proposto il 16.4.2015 da S.M., dipendente della ridetta società con contratto di lavoro a tempo indeterminato a far data dall'11.11.1992 ed inquadrato nella qualifica di guardia giurata semplice, il quale aveva lamentato di aver subito danni sia patrimoniali che non patrimoniali, a causa di una serie di condotte vessatorie e "mobbizzanti" riconducibili al rappresentante legale della X., perpetrate negli ultimi anni del rapporto lavorativo.

 


 

Corte d'Appello Bari Sez. lavoro, Sent., 05/05/2023

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D'APPELLO DI BARI

SEZIONE LAVORO

composta dai signori Magistrati:

Dott. Pietro Mastrorilli - Presidente

Dott. Ernesta Tarantino - Consigliere

Dott. Elvira Palma - Consigliere

alla pubblica udienza del 18/04/2023 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 401/2022 R.G. promossa da:

x

APPELLANTE

contro:

x

APPELLATI

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con sentenza del 07.10.2021 il Tribunale del Lavoro di OMISSIS, pronunciando nel contraddittorio con la I. OMISSIS, rigettava il ricorso proposto il 16.4.2015 da S.M., dipendente della ridetta società con contratto di lavoro a tempo indeterminato a far data dall'11.11.1992 ed inquadrato nella qualifica di guardia giurata semplice, il quale aveva lamentato di aver subito danni sia patrimoniali che non patrimoniali, a causa di una serie di condotte vessatorie e "mobbizzanti" riconducibili al rappresentante legale della I., P.F., perpetrate negli ultimi anni del rapporto lavorativo.

Il Giudice di prime cure, infatti, per quanto qui maggiormente rileva, in ordine alla reiezione delle domande articolate dall'odierno appellante, ha escluso l'esistenza della condotta di c.d. mobbing per difetto dell'intento persecutorio idoneo a legare in un unico "programma" vessatorio i denunciati comportamenti, in tesi posti in essere principalmente dal datore di lavoro ed in tempi differenti.

Ha, in particolare, ritenuto il Tribunale che l'esito della prova testimoniale, in presenza di dichiarazioni tra loro contrastanti, così come l'allegazione di due sentenze emesse da questa Corte, con cui venivano dichiarati illegittimi due licenziamenti (successivamente ovvero nelle more del presente giudizio) intimati al lavoratore, non fossero idonei a supportare l'intento persecutorio lamentato, il quale, anzi, con riferimento ai cennati atti di recesso, risultava escluso nelle due ridette sentenze.

Con ricorso depositato in data 06.04.2022, S.M. proponeva appello lamentando l'erroneità della pronuncia gravata alla stregua dei motivi che di seguito si riepilogano e si valutano, chiedendo che, in riforma della stessa, la domanda attorea venisse completamente accolta; chiedeva, infine, di disporre l'integrazione del contraddittorio con l'attuale titolare del rapporto di lavoro, S.I. SpA (d'ora innanzi solo S.), autorizzandone la chiamata in causa, società che comunque evocava già in giudizio.

Instaurato nuovamente il contraddittorio, la società appellata resisteva con apposita comparsa di risposta.

Venivano acquisiti i documenti prodotti dall'appellante e il fascicolo del giudizio di primo grado.

All'odierna udienza, la discussione precedeva la decisione della causa come da dispositivo.

Ai fini di una compiuta comprensione della presente controversia, occorre brevemente dar conto dei fatti di causa, così come prospettati dal lavoratore, tanto al momento dell'esperimento della presente causa che in seguito alle ulteriori allegazioni operate nel corso del giudizio.

Orbene, il S., a fondamento della propria iniziale domanda risarcitoria qual tratteggiata in sede di ricorso introduttivo, aveva dedotto:

di aver visto deteriorarsi negli ultimi tempi il proprio rapporto con il legale rappresentante della I., il quale utilizzava in suo danno espressioni offensive e di scherno, anche a causa della qualifica ricoperta di rappresentante sindacale da esso istante ricoperta;

di non essere mai avanzato di grado, a discapito dei numerosi anni di servizio prestati;

di essere stato adibito dal datore di lavoro in zone meno confortevoli o comunque più isolate, tra cui in contrada Carafa e Paparicotta dal 2011 e per due anni;

di aver subito una serie di procedimenti disciplinari, con relative sanzioni poi "attenuate" in sede conciliativa;

di non avere mai usufruito di una giusta distribuzione dei turni;

di aver avuto in dotazione sempre un'autovettura di servizio con sistema satellitare, su un elevato numero di auto in dotazione alla I. invece sprovviste di tale meccanismo;

di essere stato vittima, in data 13.01.2014, di una discriminatoria richiesta di restituzione di un radio-allarme, concesso in comodato a tutte le guardie, giammai richiesto ad altri dipendenti, da cui era poi scaturito un accesso diverbio con il datore di lavoro.

Nel corso del giudizio di primo grado, l'odierna parte appellante aveva allegato, inoltre, ulteriori episodi, appunto successivi al deposito del ricorso, tra cui, in special modo, l'irrogazione di due licenziamenti, rispettivamente in data 23.01.2016 e in data 05.01.2018, entrambi dichiarati illegittimi da questa Corte, e l'ostruzionismo con cui il datore di lavoro aveva cercato di impedire la (prima) reintegrazione sul posto di lavoro per il mancato rinnovo dei titoli e la perdita del porto d'armi, volti entrambi a dimostrare (o meglio ad avvalorare) il carattere vessatorio e persecutorio del contegno del datore di lavoro, avviato sin dall'anno 2011.

Ciò detto, con il primo motivo di appello, il lavoratore lamentava, attraverso la ricostruzione delle vicissitudini che aveva patito a far data dalla notifica del ricorso introduttivo del presente giudizio sino all'emissione della sentenza gravata, che il Tribunale di OMISSIS avesse erroneamente valutato solo gli episodi descritti al momento dell'instaurazione del giudizio, senza raffrontarli con il complessivo comportamento processuale tenuto dalla parte datoriale, che, in corso di causa, aveva, come detto, irrogato ben due licenziamenti successivamente dichiarati illegittimi da questa Corte, ma ingiustamente ritenuti non aventi finalità ritorsiva.

Con il secondo motivo di gravame, parte appellante censurava, con varie argomentazioni, il capo della sentenza con cui il Tribunale aveva ritenuto non provate le condotte mobbizzanti, nonostante le dichiarazioni dei testi di parte ricorrente escussi, colleghi di lunga data del lavoratore, che avevano cessato il loro rapporto con la I..

Nello specifico, a dire di parte appellante, il Giudice di prime cure avrebbe attribuito immotivatamente maggiore rilevanza solo ad alcune affermazioni dei testi di parte datoriale e non ad altre di segno contrario (riguardanti la dotazione di radio allarme in via prioritaria nei confronti delle guardie con più anzianità di servizio), senza considerare che, invero, avrebbe dovuto preferirsi, anche in presenza di dichiarazioni obiettivamente contrastanti tra i testi escussi, l'attendibilità dei testimoni di parte ricorrente, in quanto non più soggetti al potere datoriale.

Ribadiva, anche nel presente motivo, che il comportamento vessatorio tenuto successivamente dal datore di lavoro, avrebbe dovuto indurre il Tribunale a prediligere, in ogni caso, le dichiarazioni dei testi di parte ricorrente, comprovanti il disegno persecutorio perpetrato dal P..

Con il terzo ed ultimo motivo (sebbene individuato come quarto nell'atto di appello), il S. muoveva censure ai punti della sentenza che si erano limitati a prendere atto dell'insussistenza dell'intento ritorsivo dei licenziamenti irrogati dal datore di lavoro nei due procedimenti avviati per le relative impugnative da parte del lavoratore, senza aver analizzato nel complesso l'intera vicenda lavorativa, che era caratterizzata da un evidente intento ostruzionistico della I. per la reintegrazione del dipendente, il quale aveva subito addirittura un infarto in data 15.08.2020.

Concludeva rimarcando che gli episodi verificatesi dopo l'inizio del presente giudizio, non avrebbero dovuto intendersi quali ulteriori nuovi fatti, bensì come prove dell'animus vessatorio osservato dal datore di lavoro in occasione dei fatti addotti in sede di ricorso introduttivo.

Attesa la stretta connessione tra i motivi di censura proposti, si reputa opportuna la trattazione congiunta degli stessi.

L'appello è nel suo complesso infondato.

Preliminarmente, il Collegio ritiene dirimente osservare, sulla scorta di quanto statuito dal Tribunale, che il c.d. mobbing, secondo la nozione elaborata dalla giurisprudenza, consiste in una condotta sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisico e psichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità del mobbing sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (v. Cass. n. 10285/2018, Cass. n. 12048/2011 e Cass. n. 3785/2009).

Tanto premesso, ritiene la Corte che nel caso in esame non vi sia prova del mobbing, difettando la prova di alcun comportamento vessatorio e dell'intento persecutorio, come esattamente rilevato dal Tribunale di OMISSIS.

La prova dei fatti posti a fondamento della domanda incombe, com'è noto, al lavoratore.

In ordine al materiale probatorio utilizzabile, occorre evidenziare che, secondo la Suprema Corte, "la domanda giudiziale di risarcimento del danno si fonda su di una causa petendi identificabile in uno specifico accadimento lesivo, spazialmente e temporalmente determinato, sicchè, una volta che essa sia stata proposta in relazione a determinati fatti, il riferimento all'eventualità che nelle more del giudizio abbiano a verificarsi nuovi accadimenti (siano pur essi omogenei rispetto ai precedenti), suscettibili di ledere ancora la situazione giuridica protetta e di cagionare così una ulteriore ragione di danni, non introduce alcuna valida domanda, nè, una volta che tali fatti si siano verificati, può legittimare la sua proposizione nel corso del giudizio" (Cass. n. 31558/2021; nello stesso ordine di idee Cass. n. 23949/2013 e Cass. n. 10045/1996).

Ne deriva che la richiesta di ristoro del danno per fatti sopravvenuti in corso di causa comporta un non consentito mutamento della primitiva domanda, con la conseguente inammissibilità della stessa anche in appello, senza che, in contrario, possa argomentarsi dalla deroga al divieto di domande nuove in appello con riferimento ai danni sofferti dopo la sentenza impugnata, ai sensi dell'art. 345 c.p.c., comma 1, trovando tale norma applicazione solo quando nel giudizio di primo grado sia stato richiesto il risarcimento del danno maturato in precedenza, e giustificandosi tale deroga solo nel presupposto che si incrementino le conseguenze dannose del medesimo fatto generatore posto a fondamento della pretesa, senza che gli ulteriori danni siano ricollegabili anche a fatti nuovi e diversi.

Come evidenzia in particolare Cass. n. 293949 del 2013 in motivazione tali allegazioni nuove non possono trovare ingresso ove appunto si prospettino eventi (dannosi) provocati da circostanze diverse successive alla proposizione della domanda e sulle quali sarebbe necessaria un'ulteriore indagine in punto di fatto.

Ebbene, pur non avendo il lavoratore richiesto espressamente il risarcimento dei danni per tutti gli altri comportamenti posti in essere dal datore di lavoro successivamente alla notifica del ricorso (avendo anzi manifestato la riserva di agire in altra sede), in base ai principi sopra riportati, non può non sottacersi che tali allegazioni successive non sono comunque idonee a dimostrare e/o a lumeggiare in modo decisivo, per parte ricorrente, quanto lamentato con l'atto introduttivo.

Ed invero, dalla documentazione sanitaria in atti, prodotta dallo stesso S., si evince che una potenziale situazione di mobbing "indennizzabile" è ricollegabile al più al primo certificato medico del 3.10.2014 (generica sindrome ansiosa reattiva, senza prescrizione né di farmaci né giornate di riposo) cui ha fatto seguito la certificazione del 27.2.2015 di "aggravamento dello stato ansioso" con prescrizione di giorni 15 di riposo (senza assunzione di farmaci).

La successiva documentazione medica "riprende" soltanto oltre cinque anni dopo, ovvero dal 22.8.2020 (dimissione ospedaliera per sindrome coronarica acuta) allegata alle note conclusive del 6.9.2021 in primo grado (quando cioè erano ampiamente intervenuti i due licenziamenti sopravvenuti ed allegati in corso di causa).

Tale iniziale certificazione, dunque, si ricollega temporalmente, a tutto voler concedere, all' episodio del diverbio con il legale rappresentante della società appellante (P.) del 13.1.2014

Questi, poi, in sintesi i precedenti disciplinari genericamente prospettati in ricorso:

contestazione disciplinare del 02/07/2001 con sospensione dal servizio e dalla retribuzione per giorni 5 (con contestuale provvedimento della Questura della Provincia di Bari di sospensione dei titoli di polizia del S. per la durata di giorni 5 per la gravità dei fatti contestati), in quanto il S. la domenica del 1/07/2001, comandato di servizio con turno 6/14 presso il P.G., non si presentava sul posto di lavoro;

contestazione disciplinare del 11/03/2011 con sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per giorni 6 in quanto "modificava gli orari di inizio e fine servizio senza alcuna autorizzazione";

contestazione disciplinare del 27/12/2013 con sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per giorni 2 a cui seguiva diffida del questore del 20/01/2014 al S. "a svolgere le mansioni di guardia giurata con maggiore diligenza, ammonendolo che in caso di reiterate inosservanze saranno adottati ulteriori ed incisivi provvedimenti" (nella fattispecie è risultato che in occasione della segnalazione di allarme da parte di una gioielleria, l'istante si limitava a rallentare in prossimità dell'entrata dell'esercizio commerciale, senza scendere dalla vettura e verificare che la porta d'accesso fosse regolarmente chiusa e che nessuno vi fosse all'interno);

in data 28/05/2014 la Prefettura non rinnovava al Sig. S.M. il decreto di nomina a Guardia Particolare Giurata per sospensione dello stesso per gravi motivi dal 12/06/2014 al 04/07/2014 (il motivo fu "il furto dell'arma subito dal S. mentre era fuori servizio");

contestazione disciplinare del 18/09/2014 a cui seguiva un ammonimento in quanto il S. si trovava in zona diversa da quella di sua competenza.

contestazione disciplinare del 01/10/2015 con sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per giorni 4 a cui seguiva sospensione per la durata di giorni tre da parte della Questura di Bari in data 20/11/2015 (il tutto in relazione a un episodio verificatosi nella notte tra il 19 ed il 20 agosto 2015 in occasione del furto in danno della Società C.S.N.; infatti era emerso che il S. - cui era stata assegnata la vigilanza di quella zona - alle ore 00.40 del 20.8.2015 transitava nei paraggi del suddetto esercizio ma non si avvedeva dell'assenza di illuminazione - i fari del piazzale aziendale erano pacificamente tutti spenti e l'azienda si trovava al buio in quanto erano stati tranciati i cavi elettrici da malviventi - e che il S., contrariamente a quanto assunto nelle sue giustificazioni, non telefonò affatto alla centrale operativa alle 00.40 per comunicare l' evidente anomalia, in quanto la predetta telefonata fu fatta solo alle ore 5,10).

Ciò detto, esaminando i fatti allegati in sede di ricorso introduttivo, il S. - al netto delle parti dell'atto di gravame in cui si trascrivono brani di sentenza e le dichiarazioni dei testi a sé favorevoli - lamenta un sostanziale malgoverno delle risultanze istruttorie (prove testimoniali) raccolte in primo grado, in quanto gli evidenziati "contrasti" tra i testi avrebbero potuto essere superati, come detto, "tramite i fatti sopravvenuti" (v. sopra) "che di certo corroborano la rappresentazione iniziale versata in atto introduttivo" e tramite una valutazione di inattendibilità dei testi che sono stati "preferiti" in quanto "soggetti al potere datoriale".

Vi è di fatto che, a ben vedere, il primo giudice, nell'esaminare i fatti allegati in sede di ricorso introduttivo, non si è basato esclusivamente sulle risultanze testimoniali e, quando, le ha esaminate, ha correttamente evidenziato talune obiettive discrepanze e/o contrasti sui medesimi fatti che non consentivano di acclarare il fondamento della domanda attorea.

In particolare:

a) quanto al lamentato mancato avanzamento di carriera, è emerso - dato incontroverso - che su una quarantina di G.G.D.I. s.r.l. solo otto sono avanzate di grado, divenendo appuntati o brigadieri.

"Dunque la circostanza di non essere mai avanzato di grado è una circostanza neutra ai fini del giudizio", specie ove si consideri - aggiunge la Corte - da un lato, il dato delle sanzioni disciplinari da cui risultava comunque attinto il S. (v. sopra), dall'altro la circostanza che, in modo sintomatico, il S. nulla ha mai obiettato (né tanto meno vi sono censure sul punto in questa sede) rispetto ad eventuali profili di irrazionalità e/o discriminatorietà dell'avanzamento di carriera dei predetti otto colleghi, ovvero circa l'ingiustizia di qualcuna della ridette sanzioni.

b) Per quanto riguarda le sanzioni disciplinari, "le stesse non risultano annullate ma conciliate dinanzi al Collegio di Conciliazione ed Arbitrato; quindi, non vi sono elementi per ritenere che l'esercizio del potere disciplinare nei casi suddetti sia stato esercitato esclusivamente con finalità vessatorie; anzi, proprio l'irrogazione di sanzioni disciplinari, non annullate, evidenzia che il S. abbia commesso infrazioni rilevabili sul piano disciplinare nel corso del rapporto di lavoro" (statuizione, quest'ultima, come detto, niente affatto censurata in questa sede).

c) Quanto alla predisposizione dei turni di servizio, al fine di accertare se tale organizzazione mirasse ad un isolamento del S. preordinato dal P., "il ricorrente sul punto ha dedotto di essere stato inviato prevalentemente per due anni, a decorrere dal 2011 a svolgere vigilanza fissa presso dei pannelli fotovoltaici in contrada Carafa e Paparicotta e ciò diversamente dagli altri colleghi".

Sul punto, anche a volere trascurare le deposizioni rese dai testi alle dipendenze della società datrice al momento della deposizione, vi è che l'isolamento presso le suddette "contrade" risulta in ogni caso smentito, oltre che dalla documentazione prodotta in primo grado da parte appellata (turni di servizio), anche dalle dichiarazioni di due ex dipendenti, come tali del tutto indifferenti, e precisamente da S.P. e G.N. (quest'ultimo è una guardia giurata in pensione la quale ha tra l'altro dato atto che è vero che in quella zona non vi erano servizi igienici e che vi era scarsa linea telefonica, ma l'assenza di servizi igienici caratterizzava tutti i servizi prestati all'aperto e non era una peculiarità del servizio reso in quelle contrade, statuizione, quest'ultima, pure affatto censurata).

d) Per quanto riguarda poi la doglianza del ricorrente circa l'assegnazione (a suo dire persecutoria) di un'autovettura munita di sistema di controllo satellitare, su un parco macchine di circa venti autovetture, "è emerso dall'ascolto dei testimoni che non vi erano autovetture assegnate sistematicamente a guardie giurate, ma a seconda dei turni di servizio, si partiva con l'assegnazione delle autovetture disponibili ai più anziani e via via ai più giovani; che, in realtà, con il tempo tutte le autovetture della I. s.r.l. sono state munite di sistema satellitare" (anche tale accertamento del primo giudice a ben vedere non è stato oggetto della benchè minima censura).

e) In ordine ai pretesi toni minatori utilizzati dal P. anche verso gli altri dipendenti, volti ad isolare l'istante nell'ambiente lavorativo, il Tribunale ha dato atto che i testi di parte ricorrente hanno confermato che il P. li aveva ammoniti di non avere rapporti con il S. e di pensare piuttosto a se stessi; viceversa, i testi di parte resistente hanno riferito l'esatto contrario, cioè che non avevano mai ricevuto alcuna indicazione o comando di isolare il S..

Il teste G. (in pensione) ha riferito che, per quanto a sua conoscenza, il S. aveva buoni rapporti con i colleghi, lui compreso.

A tale riguardo, la sentenza dà atto tuttavia che "i testi di parte ricorrente (P. e P.), pur avendo riferito di aver visto il P. intimare ad altri dipendenti, oltre che a loro, di non parlare con il S., non hanno tuttavia riferito quali fossero questi altri colleghi a cui facevano riferimento e quindi tale circostanza è rimasta indimostrata" e comunque, aggiunge la Corte vi è il dato di fatto che al di là di questa intimazione del P. a taluni suoi dipendenti - tra l'altro non meglio identificata temporalmente - vi è che non risulta dalla prova che essa si sia poi in concreto tradotta in un'effettiva emarginazione del S. rispetto al gruppo degli altri colleghi (come del resto attestato dal teste G., v. sopra).

Non a caso, dunque, a ben vedere, la prima documentazione medica si ricollega al massimo all'episodio conflittuale tra le parti risalente al 13.01.2014, allorquando vi era stata un'aspra discussione tra il lavoratore e il P., alla presenza dei rispettivi coniugi, per la riconsegna del radio-allarme richiesto dal datore di lavoro; lasso temporale in cui il S. aveva iniziato a soffrire di stato d'ansia reattivo, come da certificati rilasciati dalla Dott.ssa S.M., episodio che, tuttavia (oltre a non essere stato ben chiarito dai testi escussi, come evidenziato dal primo giudice il quale ha, tra l'altro, dato atto in modo univoco che, comunque, dall'istruttoria era emerso che detti radio - allarmi erano consegnati solo su richiesta dei lavoratori, tanto che alcuni non lo avevano e non costituivano affatto dei "premi"), fino a tutto il deposito del ricorso introduttivo di primo grado, risultava, per quanto consta, del tutto "isolato".

In modo sintomatico, precedentemente al suddetto episodio, negli atti stragiudiziali il lavoratore non ha mai lamentato condotte vessatorie da parte del datore di lavoro, eccezion fatta per la gestione dei turni (in cui non veniva fatto cenno di lesioni alla sua integrità psico-fisica né vi erano certificati medici), a suo dire iniqua, risalente alla missiva del 18.05.2012.

Tali episodi, allora, appaiono riconducibili nel più ampio contesto di ordinarie dinamiche e conflittualità proprie della vita lavorativa (determinate da quelle difficoltà relazionali o incompatibilità caratteriali che degenerano in tensioni e attriti sul luogo di lavoro) e da scelte organizzative che risultano comunque funzionali ai fini dello svolgimento dell'attività datoriale.

In tale contesto, il Collegio condivide le conclusioni rassegnate dal Tribunale in ordine al difetto di prova della condotta mobbizzante, sia con riferimento all'istruttoria espletata, in questa sede parzialmente devoluta, che con riguardo agli ulteriori fatti esposti dal S..

Va poi aggiunto che, per stessa ammissione di parte appellante, in riferimento al primo atto di recesso intimato dalla I., nella sentenza n. 946/2017 emessa da questa Corte (avverso la quale non era stato proposto ricorso per Cassazione) si evince che "…la suddetta prospettazione circa la natura ritorsiva del licenziamento, sembra esclusa dalla sussistenza di (numerosi) fatti concreti ed obiettivamente rilevanti sotto il profilo disciplinare, per cui risulta irrilevante il fatto che il suddetto ricorso giudiziario per "vessazioni cui il S. è stato sottoposto nel corso del rapporto di lavoro" risulti notificato all'odierna reclamata il 12.6.2015; a tale notifica, in ogni caso, sono seguiti i gravi fatti intercorsi tra il 19 ed il 20.8.2015 e la allarmante nota di reclamo del 27.9.2015 della C.S.N. OMISSIS (società "vigilata"), per cui le reazioni disciplinari dell'Istituto convenuto non appaiono pretestuose" (pagg. 12-13).

Allo stesso modo, per quanto concerne il secondo licenziamento, il S. ha dato atto, nel ricorso di gravame, che "non si era mosso ad impugnare il capo della sentenza del Giudice di primo grado, nella parte in cui aveva escluso il carattere ritorsivo del licenziamento, in quanto carente un interesse apprezzabile" (pag. 31).

Ne discende che correttamente il Giudice di prime aveva ritenuto coperte da giudicato entrambe le pronunce, poiché facenti stato tra le parti di causa; infatti, il giudicato, in quanto affermazione oggettiva di verità, può avere efficacia riflessa anche nei confronti dei terzi estranei alla sua formazione ed essere utilizzato dal giudice di un diverso processo nella formazione del suo convincimento (cfr. Cass. 7262/2003).

Le restanti vicende, analiticamente riportate in sede di appello, riguardanti -in particolare - la vicenda, quanto mai articolata, dell'ostruzionismo alla (ri)presa in servizio del S. in seguito all'annullamento (28.3.2017) del primo licenziamento (nonché l'infarto che colpiva il lavoratore), poiché dunque successive e, per quanto sopra esposto, del tutto autonome e distaccate, anche temporalmente, dai fatti addotti in sede di ricorso introduttivo, non risultano idonee a far chiarezza, per così dire, ex post, e nel senso auspicato dall'istante, sui fatti pregressi qual sopra ricostruiti (e sui quali soltanto si incentra il presente giudizio).

Tanto più che, per tutto quanto sopra detto, un'effettiva incrinatura del rapporto lavorativo e personale con il suddetto P., pare riconducibile al diverbio del gennaio 2014 (tra l'altro improduttivo di danni obiettivi), nonché, in particolare, agli episodi di chiara ed obiettiva rilevanza disciplinare dell'agosto 2015 (v. sopra) e, per l'effetto, ai due successivi licenziamenti di cui si è detto più volte, episodi tra i quali si è, tra l'altro, inserita (la notifica risale al 12.6.2015) la proposizione del ricorso introduttivo della presente causa.

Sulla scorta di tutto quanto premesso, l'appello va integralmente rigettato e confermata la decisione del Giudice di prime cure.

Le spese del presente grado del giudizio possono essere tuttavia compensate in considerazione dell'obiettiva complessità della vicenda e delle evidenziate discrepanze emerse in sede di prove testimoniale.

P.Q.M.

La Corte d'Appello di Bari - Sezione Lavoro

Definitivamente pronunciando sull'appello proposto da S.M. nei confronti della I. OMISSIS e della S.I. SpA, con ricorso depositato in data 06.04.2022 avverso la sentenza resa in data 07.10.2021 dal Tribunale di OMISSIS, Giudice del Lavoro, così provvede:

1) rigetta l'appello e, per l'effetto, conferma l'impugnata sentenza;

2) compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio;

3) dà atto della sussistenza dei presupposti per l'applicazione dell'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, in materia di versamento dell'ulteriore importo del contributo unificato, se dovuto

Così deciso in Bari, il 18 aprile 2023.

Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2023.

 


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