LAVORO DELLE DONNE
Sommario
1. Principi costituzionali
2. Diritto alla conservazione del posto per le lavoratrici che contraggono matrimonio
3. Divieto di discriminazioni in ragione del sesso (rinvio)
4. Rapporto periodico sulla situazione del personale
5. Incentivi diretti a favorire l'occupazione femminile e l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne
6. Organi amministrativi con funzione di vigilanza e garanzia della parità uomo-donna
1. Principi costituzionali
La parità di trattamento ed il contemperamento tra le esigenze familiari e quelle del lavoro, sono i principi
che ai sensi dell'art. 37, comma 1 Cost. regolano la posizione della donna nel mondo del lavoro. L'articolo in
questione, infatti, si apre statuendo che "la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse
retribuzioni che spettano al lavoratore". Nello stesso comma viene poi precisato che le condizioni di lavoro
devono consentire alla donna "l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e
al bambino una speciale adeguata protezione".
Entrambi i principi costituzionali indicati vanno letti ed interpretati alla luce di quanto disposto dall'art. 3
Cost., ossia tenendo presente che il nostro ordinamento non solo sancisce l'uguaglianza formale tra i cittadini,
ma persegue l'obiettivo di assicurare l'uguaglianza sostanziale. Da un lato, dunque, "tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono uguali davanti la legge", senza distinzione alcuna, neppure di sesso (art. 3, comma 1:
"uguaglianza formale"); dall'altro, è compito dello Stato "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale,
che, limitando di fatto la libertà ed uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana
e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese" (art. 3,
comma 2: "uguaglianza sostanziale").
Seguendo questa impostazione è stato posto in luce come l'art. 37, comma 1, nel fare riferimento
all'"essenziale" funzione familiare della donna, abbia voluto sottolineare l'essenziale valore sociale del suo ruolo
nella famiglia, onde garantirne la compatibilità con il ruolo lavorativo, attribuendo allo Stato il compito di
rimuovere gli ostacoli che di fatto possono impedire la contestualità delle due posizioni.
La lettura congiunta degli articoli 3 e 37 Cost. rende inoltre evidente come la parità di trattamento non si
esaurisca affatto nella parità retributiva, ma investa globalmente la posizione della donna lavoratrice,
postulando un'uguaglianza "formale" e "sostanziale" con l'uomo lavoratore. Pertanto la parità retributiva, che è
espressamente menzionata dalla Costituzione in considerazione della differenziazione di trattamento retributivo
alla quale la donna è stata soggetta per lungo tempo, non è altro che una delle manifestazioni della parità di
trattamento.
L'attuazione legislativa dei principi costituzionali con specifico riferimento alla tutela della lavoratrice madre
si è realizzata, dapprima, con le leggi n. 1204/1971, n. 903/1977, n. 53/2000 e, poi, con il D.Lgs. n. 151/2001
che ha raccolto in unico testo unico tutta la materia (per un quadro approfondito, si v. la nota Maternità e
paternità).
Per quel che attiene, invece, alla parità di trattamento tra uomo e donna, in precedenza regolata dalle
leggi n. 7/1963, n. 903/1977, n. 125/1991, la relativa disciplina è stata unificata nel Codice delle pari
opportunità (D.Lgs. n. 198/2006), in vigore dal 15 giugno 2006 (oltre ai riferimenti contenuti nella presente nota
illustrativa, si v. l'argomento Discriminazioni).
2. Diritto alla conservazione del posto per le lavoratrici che contraggono matrimonio
Il Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, emanato con il D.Lgs. n. 198/2006, ha fatto proprio il
contenuto della L. 9 gennaio 1963, n. 7, prevedendo speciali norme per tutelare il diritto alla conservazione del
posto delle lavoratrici che contraggono matrimonio, ad integrazione della disciplina che limita in generale la
facoltà di recesso del datore di lavoro.
L'art. 35, comma 9, del D.Lgs. n. 198/2006, tutela le lavoratrici dipendenti sia da imprese private - escluse
le addette ai servizi familiari e domestici - che da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore previste nei
contratti collettivi e individuali di lavoro.
In particolare, nell'art. 35 del Codice, viene sancita la nullità:
a) delle c.d. clausole di nubilato contenute nei contratti collettivi o individuali di lavoro che prevedano
comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza di matrimonio;
b) delle dimissioni presentate dalla lavoratrice, nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle
pubblicazioni di matrimonio (in quanto segua la celebrazione) ad un anno dopo la celebrazione stessa, salvo
che le dimissioni siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro;
c) dei licenziamenti intimati a causa di matrimonio.
Licenziamenti attuati a causa di matrimonio
A norma dell'art. 35, comma 3, del D.Lgs. n. 198/2006, si presume a causa di matrimonio il licenziamento
intimato nel periodo che decorre dal giorno della richiesta di pubblicazione di matrimonio (se ed in quanto
segua la celebrazione) fino ad un anno dopo la celebrazione dello stesso.
Lo stesso art. 35, al comma 5, prevede che durante detto periodo il datore di lavoro può legittimamente
licenziare la lavoratrice solo fornendo la prova che il licenziamento stesso dipende da una delle seguenti
ipotesi:
- colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
- cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta;
- ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di
lavoro per la scadenza del termine.
Di contro, al di fuori di detto periodo, spetterà alla lavoratrice provare - se del caso - che il licenziamento è
stato "attuato a causa di matrimonio" ed è, perciò, nullo.
Dall'illegittimità del licenziamento discende quanto meno l'obbligo del datore di lavoro di corrispondere alla
lavoratrice le retribuzioni decorrenti dalla data del licenziamento sino alla riammissione in servizio.
La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari, entro 10 giorni dall'invito, di recedere dal
contratto, ha diritto, ex art. 35, comma 7, D.Lgs. 198/2006, al trattamento previsto in caso di dimissioni per
giusta causa (indennità sostitutiva del preavviso), fermo restando il diritto alla retribuzione sino alla data del
recesso.
3. Divieto di discriminazioni in ragione del sesso (rinvio)
E' fatto divieto al datore di lavoro di operare discriminazioni in danno delle lavoratrici in ragione del sesso
a tutti i livelli della gerarchia professionale e qualunque sia il settore o il ramo di attività (art. 27 e ss., D.Lgs. n.
198/2006). Per una completa trattazione dell'argomento v. la nota Discriminazioni.
4. Rapporto periodico sulla situazione del personale
L'art. 46 del D.Lgs. n. 198/2006, prevede che le aziende che occupano oltre 100 dipendenti (computandosi
- come ha precisato il Ministero del lavoro con circolare n. 48/1992 - tutta la forza lavoro occupata in azienda,
compresi i giovani assunti con contratto di formazione e lavoro) hanno l'obbligo di redigere almeno ogni due
anni un "rapporto" sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni e in
relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi
di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilità, dell'intervento della C.i.g., dei licenziamenti, dei
pensionamenti e prepensionamenti e della retribuzione effettivamente corrisposta.
Il "rapporto" è trasmesso alle RSA e alla consigliera e al consigliere regionale di parità, che elaborano i
relativi risultati trasmettendoli alla consigliera o al consigliere nazionale di parità, al Ministero del lavoro e al
Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri (art. 46, comma 2, D.Lgs. n.
198/2006).
Sanzioni
L'art. 46, comma 4, del D.Lgs. n. 198/2006, sancisce che nel caso in cui il datore di lavoro non ottemperi
alla trasmissione del rapporto di cui sopra alle R.S.A., alla consigliera e al consigliere di parità, neppure dopo il
successivo invito della Direzione regionale del lavoro, si applica la sanzione di cui all'art. 11 del D.P.R. n. 520
del 19 marzo 1955 e, nei casi più gravi, può essere disposta la sospensione per un anno dei benefici
contributivi eventualmente goduti dal datore di lavoro.
5. Incentivi diretti a favorire l'occupazione femminile e l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne
Azioni positive per le donne
Ai sensi degli artt. 42 e 43, D.Lgs. n. 198/2006, i datori di lavoro pubblici o privati, le associazioni, le
organizzazioni sindacali dei lavoratori, i centri di formazione professionale, il Comitato nazionale (v. par. 6), la
consigliera e i consiglieri di parità, possono adottare iniziative, denominate azioni positive per le donne, volte a
favorire l'occupazione femminile ed a realizzare l'uguaglianza sostanziale delle donne nel lavoro.
Gli scopi che tali iniziative intendono perseguire sono stabiliti dall'art. 42, comma 2, del Codice e sono i
seguenti:
a) eliminare le disparità nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella
progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilità;
b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne, in particolare attraverso l'orientamento
sia scolastico che professionale e attraverso gli strumenti della formazione;
c) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale, nonché la qualificazione
professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
d) superare le condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro, che provocano effetti diversi, a
seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento
professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;
e) promuovere l'inserimento delle donne nelle attività, nei settori professionali e nei livelli nei quali esse
sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilità;
f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro,
l'equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due
sessi;
f-bis) valorizzare il contenuto professionale delle mansioni a più forte presenza femminile.
Modalità e termini per la presentazione delle richieste di rimborso
A norma dell'art. 44, D.Lgs. n. 198/2006, l'attuazione delle azioni positive per le donne è soggetta al
rimborso da parte del Ministro del lavoro. Pertanto, a partire dal 1º ottobre ed entro il 30 novembre di ogni
anno i datori di lavoro pubblici e privati, i centri di formazione professionale accreditati, le associazioni, le
organizzazioni sindacali nazionali e territoriali possono richiedere al Ministero del lavoro di essere ammessi,
attraverso le modalità indicate nel D.M. 15 marzo 2001, al rimborso totale o parziale di oneri finanziari
connessi all'attuazione dei progetti di azioni positive per le donne presentati in base al programma-obiettivo
annualmente redatto dal Comitato nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro (per il programma obiettivo
per l'anno in corso v. infra). I soggetti proponenti, costituiti da almeno due anni, per potere accedere al
finanziamento devono possedere requisiti di onorabilità, che devono essere documentati nella domanda di
ammissione al beneficio a meno che la documentazione non sia già in possesso dell'amministrazione che
procede all'assegnazione del beneficio (art. 1, comma 3, D.M. 15 marzo 2001).
Ai sensi dell'art. 2, del D.M. 15 marzo 2001 la domanda di rimborso deve essere presentata in duplice
copia (di cui una in bollo) con l'allegato progetto, al Ministro del lavoro e della previdenza sociale - Comitato
nazionale di parità.
Tale progetto deve:
- essere compilato in base al programma-obiettivo predisposto ogni anno dal Comitato nazionale di parità
(v. infra);
- essere redatto secondo quanto disposto nel modello di domanda e compilato in ogni parte;
- essere sottoscritto dal legale rappresentante del proponente;
- pervenire in duplice copia, così come tutti gli allegati;
- essere inoltrato, soltanto con raccomandata con ricevuta di ritorno, dal 1º ottobre al 30 novembre di
ciascun anno precedente a quello in cui si vuole realizzare l'iniziativa. Fa fede il timbro di spedizione postale;
- indicare la tipologia di finanziamento prescelto.
Alla domanda deve inoltre essere allegata, secondo la natura del soggetto proponente:
- la documentazione riguardante il soggetto medesimo (come ad esempio statuto e/o atto costitutivo,
visura camerale con dichiarazione antimafia);
- un curriculum dal quale risulti l'attività svolta almeno negli ultimi due anni.
Il decreto prevede che i progetti possono essere articolati in fasi temporali con l'indicazione dei relativi
costi.
I progetti di azione positiva, valutati sulla base del programma-obiettivo dal Comitato nazionale di parità,
sono approvati ed ammessi al finanziamento con decreto del Ministro del lavoro.
A partire dal programma-obiettivo 2001, l'attività istruttoria e le relative decisioni sono definite entro sei
mesi dalla data di ricevimento delle domande.
Il D.M. 15 marzo 2001 stabilisce inoltre che i progetti finanziati non possono essere modificati, a meno che
non vi sia una preventiva approvazione da parte del Comitato nazionale di parità. In caso contrario non
vengono riconosciute le relative spese.
Non sono rimborsate le spese sostenute per i corsi di formazione professionale previsti dal progetto nel
caso in cui i registri di presenza di docenti, tutors e discenti non siano preventivamente vidimati dalla Direzione
provinciale del lavoro competente per territorio.
Non sono ammesse più di due proroghe e comunque per un periodo complessivo non superiore al 40%
della durata inizialmente stabilita per la realizzazione del progetto.
Programma obiettivo per il 2010
Il programma obiettivo per il 2010, emanato dal Comitato nazionale di parità e pari opportunità nel lavoro
con il provvedimento ministeriale del 9 giugno 2010, si pone i seguenti obiettivi:
1) promuovere la presenza delle donne negli ambiti dirigenziali e gestionali mediante la realizzazione di
specifici percorsi formativi volti all'acquisizione di competenze di vertice e/o di responsabilità e l'attuazione di
buone e nuove prassi per un piano di concreto inserimento nelle strutture esecutive;
2) modificare l'organizzazione del lavoro, del sistema di valutazione delle prestazioni e del sistema
premiante aziendale, sperimentando e attuando azioni integrate che producano effetti concreti misurabili e
documentabili in termini di: superamento della discriminazione di genere; riduzione del differenziale retributivo
tra donne e uomini; progressione delle carriere femminili anche per un'equa distribuzione degli incarichi;
adozione della strategia comunitaria in materia di occupabilità femminile con i criteri di flessicurezza; adozione
di strumenti di valutazione e di autovalutazione nei sistemi organizzativi aziendali per misurare e valutare i
livelli di attuazione di politiche di pari opportunità (certificazione di genere);
3) sostenere iniziative per:
a) lavoratrici con contratti non a tempo indeterminato in particolare giovani neolaureate e neodiplomate. Le
azioni proposte dovranno mirare a stabilizzare la situazione occupazionale, in una percentuale non inferiore al
50%, delle destinatarie dell'azione, favorendo anche la crescita professionale e implementando percorsi
formativi qualificanti, che ne migliorino le competenze e l'occupabilità;
b) disoccupate inattive, in cassa integrazione e/o in mobilità, con particolare attenzione a quelle di età
maggiore di 45 anni. Il progetto può essere proposto da aziende, o per conto di aziende, o da quanti
intendano effettivamente attuare iniziative mirate all'inserimento e/o reinserimento lavorativo di almeno il 50%
delle destinatarie di questo specifico target attraverso azioni di formazione, orientamento e accompagnamento;
c) agevolare l'inserimento e/o il reinserimento lavorativo di donne attraverso azioni di formazione, di
qualificazione/riqualificazione, orientamento e accompagnamento finalizzate all'acquisizione di competenze per
la creazione di imprese da costituirsi entro i termini di chiusura del progetto;
4) consolidare imprese a titolarità e/o prevalenza femminile nella compagine societaria attraverso: studi di
fattibilità per lo sviluppo di nuovi prodotti, servizi e mercati anche in settori emergenti come la Green Economy;
azioni di supervisione, supporto e accompagnamento secondo la tecnica del mentoring
(imprenditori/imprenditrici che accompagnano altre imprenditrici); counselling alla gestione di impresa;
formazione altamente professionalizzante rivolta alla titolare o alla compagine societaria; iniziative tra più
imprese femminili per la definizione e la promozione dei propri prodotti/servizi anche attraverso la fruizione in
comune di servizi di supporto; la creazione e la promozione di marchi; la creazione di sistemi consorziati di
distribuzione e promozione nel mercato;
5) promuovere la qualità della vita personale e professionale anche attraverso la rimozione degli stereotipi,
in un'ottica di pari opportunità, con azioni di sistema integrate che tengano conto delle indicazioni delle
strategie comunitarie, che producano effetti concreti sul territorio, concordate e attuate da almeno tre tra i
seguenti differenti soggetti: associazioni di genere, organizzazioni sindacali, organizzazioni datoriali, enti
pubblici, associazioni migranti, ordini professionali.
Finanziamento e procedure di verifica
Entro due mesi dal rilascio dell'autorizzazione si deve procedere, a pena di decadenza, ad attuare il
progetto. I progetti di azioni positive concordate dai datori di lavoro per le organizzazioni sindacali hanno
precedenza nell'accesso ai benefici (art. 44, D.Lgs. n. 198/2006). L'avvio deve essere comprovato con atto di
data certa e deve essere immediatamente notificato alla Direzione provinciale del lavoro competente per
territorio.
Il finanziamento concesso è corrisposto in due quote secondo diverse modalità, tra loro alternative (art. 4,
D.M. 15 marzo 2001).
La prima modalità comporta l'erogazione della prima quota, pari al 10% del finanziamento, all'avvio
dell'iniziativa e successivamente, a conclusione di tutte le azioni programmate, viene corrisposto il restante
saldo del 90%.
La seconda modalità invece prevede l'erogazione della prima quota, fino ad un massimo dell'80% del
finanziamento autorizzato, previa presentazione di apposita fidejussione bancaria o polizza assicurativa di
importo uguale alla somma da corrispondere. Il saldo viene erogato a conclusione di tutte le azioni
programmate.
La prima quota del finanziamento viene erogata in seguito all'esito positivo della verifica ispettiva,
effettuata entro i 30 giorni successivi alla notifica dell'avvio dell'iniziativa, e finalizzata ad accertare sia la
veridicità dei dati contenuti nella domanda di finanziamento che l'avvio entro due mesi dall'autorizzazione.
La seconda quota invece viene corrisposta sulla base di una verifica, effettuata entro 90 gironi dalla
richiesta della Segreteria tecnica dal Comitato, di contenuto amministrativo-contabile.
Il Comitato può, comunque, in ogni momento disporre visite ispettive, richiedere relazioni sullo stato di
avanzamento dei progetti, fare intervenire i consiglieri di parità competenti per territorio e procedere ad
audizioni delle parti coinvolte in un progetto.
Parametri dei costi e costi inammissibili
I costi che devono essere inseriti nel preventivo devono fare riferimento, per quanto applicabili e
compatibili, ai massimali utilizzati dal Ministero del lavoro (art. 6, D.M. 15 marzo 2001).
Non sono rimborsabili le seguenti spese:
- mancata produzione;
- acquisto di macchinari ed attrezzature;
- borse di studio ed indennità varie;
- ristrutturazione di impianti;
- fidejussione;
- spese derivanti da modifiche non autorizzate (art. 7, D.M. 15 marzo 2001).
Decadenza
Nell'ipotesi in cui la Direzione provinciale del lavoro - Servizio ispezioni, territorialmente competente,
verifichi la mancata attuazione del progetto si ha la decadenza totale dei contributi erogati e la ripetizione delle
relative somme.
In caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata.
6. Organi amministrativi con funzione di vigilanza e garanzia della parità uomo-donna
Gli organi amministrativi, con compiti prevalentemente di vigilanza e di garanzia della parità uomo-donna,
sono:
a) la "Commissione per le pari opportunità fra uomo e donna", la quale, ai sensi del regolamento per il
riordino della Commissione stessa emanato con D.P.R. 14 maggio 2007, n. 115, opera presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per i diritti e le pari opportunità e ha durata di tre anni a decorrere
dalla data di entrata in vigore del regolamento.
La Commissione, composta da ventisei membri tra cui il Ministro per i diritti e le pari opportunità che la
presiede, fornisce consulenza e supporto tecnico-scientifico nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche di
genere, sui provvedimenti di competenza dello Stato.
In particolare la Commissione, nell'esercizio delle sue competenze:
- propone il programma annuale di lavoro, indicando le esigenze finanziarie conseguenti;
- controlla sistematicamente gli sviluppi delle politiche delle pari opportunità in ambito sopranazionale e
comunitario;
- segnala al Ministro le iniziative necessarie per realizzare l'effettiva parità dei sessi nell'amministrazione;
- redige un rapporto annuale per il Ministero sullo stato di attuazione delle politiche di pari opportunità,
rilevando altresì l'eventuale mancato rispetto degli impegni comunitari;
- può effettuare audizioni, pubblicare i propri lavori nonché le ricerche svolte e predisporre la realizzazione
di campagne informative;
b) il "Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parità di trattamento economico ed uguaglianza di
opportunità tra lavoratori e lavoratrici" (art. 8, D.Lgs. n. 198/2006). Esso è istituito presso il Ministero del lavoro
e promuove, nell'ambito della competenza statale, la rimozione delle discriminazioni e di ogni altro ostacolo
che limiti di fatto l'uguaglianza fra uomo e donna nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione
professionale, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in relazione alle forme pensionistiche
complementari collettive di cui al D.Lgs. n. 252/2005 ed ha, tra l'altro, ex art. 10, D.Lgs. n. 198/2006, i compiti
di:
- formulare proposte, iniziative e promuovere azioni positive per la realizzazione dell'obiettivo della parità
uomo-donna;
- formulare entro il 31 maggio di ogni anno un programma-obiettivo nel quale siano indicate le tipologie di
progetti di azioni positive che si intende promuovere, i soggetti ammessi per le singole tipologie ed i criteri di
valutazione;
- proporre soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli interessati all'adozione di progetti di
azioni positive per la rimozione delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione di
uomini e donne in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle
condizioni di lavoro e retributive;
- esprimere il parere sulla domanda di finanziamento per la realizzazione di azioni positive per la parità
uomo-donna, operare il controllo sui progetti "in itinere" e redigere la relativa relazione sugli esiti finali del
progetto;
- elaborare iniziative per favorire il dialogo tra le parti sociali, al fine di promuovere la parità di trattamento,
avvalendosi dei risultati dei monitoraggi effettuati sulle prassi nei luoghi di lavoro, nell'accesso al lavoro, alla
formazione e promozione professionale, nonché sui contratti collettivi, sui codici di comportamento, ricerche o
scambi di esperienze e buone prassi;
- elaborare iniziative per favorire il dialogo con le organizzazioni non governative che hanno un legittimo
interesse a contribuire alla lotta contro le discriminazioni fra donne e uomini nell'occupazione e nell'impiego;
- provvedere allo scambio di informazioni disponibili con gli organismi europei corrispondenti in materia di
parità fra donne e uomini nell'occupazione e nell'impiego;
- provvedere, anche attraverso la promozione di azioni positive, alla rimozione degli ostacoli che limitino
l'uguaglianza tra uomo e donna nella progressione professionale e di carriera, allo sviluppo di misure per il
reinserimento della donna lavoratrice dopo la maternità, alla più ampia diffusione del part-time e degli altri
strumenti di flessibilità a livello aziendale che consentano una migliore conciliazione tra vita lavorativa e
impegni familiari;
c) le "Consigliere e i Consiglieri di parità", effettivi e supplenti, a livello nazionale, regionale e provinciale
che svolgono funzioni di promozione e di controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza, di opportunità e
di non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro (art. 13, D.Lgs. n. 198/2006). A tal fine intraprendono ogni
utile attività per il rispetto del principio di non discriminazione e la promozione di pari opportunità per lavoratori
e lavoratrici ed in particolare, ex art. 15, D.Lgs. n. 198/2006, hanno, tra l'altro il compito di:
- rilevare le situazioni di squilibrio, allo scopo di intraprendere le funzioni promozionali e di garanzia contro
le discriminazioni nell'accesso al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la
progressione professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la retribuzione, nonché in
relazione alle forme pensionistiche complementari collettive di cui al D.Lgs. n. 252/2005;
- promuovere progetti di "azioni positive" e di programmare una coerente politica di sviluppo territoriale in
materia di pari opportunità;
- collaborare con le Direzioni provinciali e regionali del lavoro per individuare procedure efficaci di
rilevazione delle violazioni e discriminazioni commesse in materia e progettare adeguati pacchetti formativi;
- sostenere le politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e
realizzazione di pari opportunità;
- promuovere l'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti pubblici e privati che
operano nel mercato del lavoro;
- provvedere alla diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di informazione e
formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme di discriminazioni;
- verificare i risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dal Codice delle pari
opportunità;
- collaborare con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parità degli enti locali.
Inoltre, la consigliera o il consigliere nazionale di parità svolge inchieste indipendenti in materia di
discriminazioni sul lavoro e pubblica relazioni indipendenti e raccomandazioni in materia di discriminazioni sul
lavoro.
Le Direzioni provinciali e regionali del lavoro territorialmente competenti, su richiesta delle consigliere e dei
consiglieri di parità, acquisiscono, nei luoghi di lavoro, informazioni sulla situazione occupazionale maschile e
femminile (stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle retribuzioni, delle
condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto di lavoro ed ogni altro elemento utile). Entro il 31 dicembre
di ogni anno le consigliere ed i consiglieri di parità regionali e provinciali presentano un rapporto, sull'attività
svolta, agli organi che hanno provveduto alla designazione e alla nomina. La consigliera o il consigliere di
parità che non presenta il rapporto, o lo fa con ritardo superiore a tre mesi, decade dall'ufficio;
d) il "Collegio istruttorio" e la "Segreteria tecnica" del Comitato, con funzioni prevalentemente strumentali
all'attività del Comitato stesso e delle consigliere ed i consiglieri di parità (art. 11, D.Lgs. n. 198/2006).
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