TRENT’ANNI DI SOLITUDINE
Non
me ne vorrà il grande Marquez se utilizzo, parafrasandolo, il titolo di un suo
celebre romanzo, per introdurre con un po’ di ironia ed un pizzico di sana
nostalgia il presente contributo, con cui intendo occuparmi di una svolta
epocale che così tanta importanza ha avuto nella storia della Polizia di Stato,
per cercare di capire dove ci ha portato, ma soprattutto, ciò che più conta,
dove ci condurrà.
Trent’anni
fa veniva varata e resa esecutiva la Legge N. 121 del 1° aprile 1981, con la quale
veniva smilitarizzata la
Polizia di Stato. Una data quindi sicuramente importante come
momento di vero sviluppo di questo paese, dopo una lunga fase post bellica e
gli anni bui del terrorismo.
Da
quella data, pian piano la
Polizia andava trovando la sua identità, punto nodale di un
cambiamento radicale, ma anche momento di vero riformismo per l’Italia intera,
che vedeva avviare la sua principale forza di polizia verso un cammino di vero
cambiamento e adeguamento ad una società in continua evoluzione verso la
modernità.
Per
rimanere nell’alveo della nostra attività, penso che tutti insieme dovremmo
interrogarci su quanto e come questa svolta epocale ci abbia veramente
cambiato, cos’ha veramente significato per tutti noi l’inizio di un sistema di
relazioni sindacali e quali prospettive ci offrono per l’immediato futuro. La
domanda che ci dobbiamo porre con maggiore insistenza deve vertere
sull’effettività dell’azione sindacale oggi nella Polizia di Stato, a distanza
di 30 anni. Partendo dalla fine, ovvero dalla semplice constatazione
dell’attuale stato di salute della Polizia di Stato.
Tanta
strada sicuramente è stata fatta, ma
svolgendo tutti i giorni attività sindacale sul territorio, non possiamo che
constatare come questa, sebbene siano passati tre decenni, continui ad essere
vista con sospetto da buona parte della classe dirigente, in un conflitto
permanente che è tutto culturale.
Una
classe dirigente il più delle volte completamente priva di un’effettiva
formazione in merito e che non ha mai veramente compreso il valore della
smilitarizzazione e la conseguente costituzione di un sistema di relazioni
sindacali con cui si dovrebbe confrontare tutti i giorni, comprendendo come
questa sia anche la chiave per realizzare gli obbiettivi che via via ci si
pone, e non considerarla invece, come troppo spesso avviene, un’indebita
intrusione nella conduzione del “proprio” ufficio.
Prova
ne sia che in quegli uffici dove operano dirigenti lungimiranti e culturalmente
preparati spesso il sindacato diventa un valido compagno di viaggio e di
confronto per attuare quella progettualità cui tutta la struttura deve
necessariamente tendere, ognuno con il proprio ruolo e la propria funzione.
Si
tratta infatti di capire che bisogna semplicemente rispettare dei ruoli che, se
esercitati con coerenza e rispetto reciproci, creano solide basi su cui
costruire un buon sistema di relazioni, che è condizione assolutamente
necessaria e basilare di ogni attività umana.
Perché
questo avvenga, la parola magica è: “consapevolezza”. Da parte di tutti coloro
che quotidianamente mettono il proprio lavoro al servizio del paese, in
qualsiasi forma e con qualunque ruolo lo facciano.
Ma,
se vogliamo fare un ragionamento serio che porti un qualche risultato, dobbiamo
dirla tutta fino in fondo e prenderci anche noi sindacalisti le nostre
responsabilità.
Purtroppo
sono anche tanti i colleghi che guardano con sospetto al sindacato, e questa è
la conseguenza di una vita professionale che si svolge in un contesto come il
nostro, che non sempre consente di raggiungere una piena coscienza delle
possibilità e dei limiti di una sana e coerente attività sindacale, ma anche il
frutto cattivo di un sindacalismo spicciolo e clientelare, che negli anni ha
vanificato parte consistente dei sacrifici fatti da coloro che ci hanno
preceduto, trasformandosi in molti casi in un becero e cinico sistema di
potere.
Troppo
poco fino ad oggi si è fatto per dare un serio e concreto contributo
all’evoluzione vera del sindacalismo di polizia. Troppe sigle, troppi sindacalisti,
troppa improvvisazione e poca consapevolezza.
Proprio
quella consapevolezza di cui parlavamo prima e che è la sola costante che può
fare la differenza. Quella consapevolezza che è prima di tutto culturale, e che
si realizza nella volontà di cambiare e riformare dal basso un sistema ormai
troppo inquinato da mercenarismi e opportunismi di ogni genere.
Costruire
giorno dopo giorno questa consapevolezza significa creare le basi su cui
costruire un percorso che gradualmente ci possa portare a realizzare quelle
prerogative che una seria attività sindacale può e deve soddisfare, con una
presa di coscienza che non può che arricchire e responsabilizzare chi ha scelto
di fare il “mestiere” del sindacalista.
La
trasformazione culturale porterebbe così ad un processo di cambiamento, ad una
modifica che oserei definire, antropologica, e con essa ad
un grado di sviluppo della Polizia di Stato che sia effettivo e non fittizio.
Ricordandoci
sempre che un’onesta gestione dei diritti passa attraverso la coscienza dei propri
doveri, in un parallelismo fatto di complementarietà e mai di subordinazione
gli uni agli altri.
Oggi
invece facciamo i conti con un’Amministrazione sempre più impoverita, e non mi
riferisco al solo dato materiale, sicuramente di grande importanza ma anche più
facilmente risolvibile con la predisposizione di investimenti da parte di una
politica più lungimirante. Il danno vero, quello che lascia tracce indelebili e
che ci vorranno anni a riparare è quello della perdita di “Identità”.
Quel
comune sentire che ci fa essere parte di un tutto più grande che ci trascende,
quella sensazione che si prova nel guardarsi nello specchio la mattina e sapere
che si fa un lavoro difficile ma che ci fa sentire anche in qualche modo
privilegiati, e che dipende in gran parte anche da noi rendere migliore di
quanto non sia.
Sapere
che il nostro essere al servizio di un paese e dei suoi cittadini è già in sé
un premio alle tante frustrazioni e timori che il lavoro comporta, un lavoro
dai contorni non sempre ben definiti, sottoposto continuamente alla legittima
ma logorante critica sociale, troppo spesso ostaggio degli ideologismi del
momento, utilizzati dalla politica più cinica per sposare gli umori del popolo
e creare consenso, nel rozzo tentativo di renderci mero strumento nelle mani di
governi miopi e irresponsabili.
Noi
abbiamo il dovere di parlare alle migliaia di poliziotte e poliziotti e alle
loro famiglie, per recuperare quel senso di appartenenza che sembra svanito ma
che sono convinto abiti ancora il cuore di ognuno di noi. L’orgoglio di
appartenere ad una grande famiglia, sottoposta al solo vero giudizio possibile,
quello dei Cittadini, al servizio della sola vera grande ideologia che possa
guidare un moderno corpo di polizia di un grande paese, la Democrazia.
Credo
che basti soffiare su queste braci per rimettere in moto la voglia di sognare e
di credere. E dobbiamo farlo restituendo agli uomini e alle donne della Polizia
di Stato quella dignità della loro funzione che è condizione imprescindibile
per ritrovare fiducia e speranza.
Questa
penso sia la sfida che un Sindacato come il “nostro” debba raccogliere per il
futuro della Polizia e con essa dell’Italia intera.
Sassari,
21 giugno 2011
Francesco Genova
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