T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 09-06-2011, n. 1488Fatto - Diritto
P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il ricorrente è un appuntato scelto dell'Arma dei carabinieri.
Con provvedimento in data 12 maggio 2009, l'amministrazione di appartenenza gli
ha inflitto la sanzione disciplinare di un giorno di consegna.
Avverso tale provvedimento il M. esperiva ricorso gerarchico che, tuttavia,
veniva rigettato con decisione del 6 agosto 2009.
Il presente gravame è diretto contro il provvedimento di decisione del ricorso
gerarchico e contro il provvedimento di primo grado impugnato in sede
amministrativa.
Si è costituito in giudizio il Ministero della Difesa che eccepisce
l'infondatezza del ricorso.
La sezione con ordinanza n. 1317, depositata in data 20 novembre 2009, ha
respinto l'istanza cautelare.
In prossimità dell'udienza di discussione del merito le parti hanno depositato
memorie, insistendo nelle rispettive conclusioni.
Tenutasi la pubblica udienza in data 14 aprile 2011, la causa è stata trattenuta
in decisione.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta che la sanzione è stata inflitta
dallo stesso soggetto che aveva proceduto ad accertare l'illecito; e ciò, a suo
parere, sarebbe lesivo del principio di imparzialità.
Il motivo è infondato.
Stabilisce l'art. 59, comma primo del d.P.R. 18 luglio 1986 n.545 che "il
procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo e svolgersi
oralmente attraverso le seguenti fasi: a) contestazione degli addebiti; b)
acquisizione delle giustificazioni ed eventuali prove testimoniali; c) esame e
valutazione degli elementi contestati e di quelli addotti a giustificazione; d)
decisione; e) comunicazione all'interessato".
Nessuna disposizione prevede che, per la sanzione della consegna, debba esservi
diversità fra il soggetto che accerta l'illecito e quello che applica la
misura.
Anzi, si deve osservare che, in base al comma 6 della medesima norma, qualora
l'autorità procedente accerti la propria incompetenza in relazione
all'irrogazione della sanzione disciplinare, deve darne immediata comunicazione
all'autorità competente rimettendole gli atti corredati di una sintetica
relazione.
Da questa disposizione si ricava agevolmente a contrario che, qualora
l'autorità procedente sia quella competente ad irrogare la sanzione, la stessa
può portare a conclusione il procedimento instaurato comminando direttamente la
misura afflittiva.
La diversità dei soggetti è imposta per le violazioni più gravi colpite da
sanzioni disciplinari di stato. In queste ipotesi il legislatore ha
effettivamente sentito la necessità di garantire al massimo le esigenze di
difesa dell'incolpato, prevedendo che la sanzione sia comminata da un organo
terzo composto da più persone (la commissione di disciplina) diverso da quello
che ha rilevato l'illecito disciplinare (cfr., con particolare riferimento agli
appuntati dell'Arma dei carabinieri, art. 38, comma secondo, della legge 18
ottobre 1961 n. 1168, oggi abrogato dall'art. 2268, comma 1, n. 493, del d.lgs.
15 marzo 2010, n. 66, ma applicabile al caso di specie ratione temporis).
Questa duplicità di soggetti, come detto, non è invece prevista per le
violazioni meno gravi, colpite da sanzioni di corpo, quale è la ed esempio la
consegna, giacché in tal caso il legislatore ha inteso semplificare il
procedimento privilegiando le esigenze di celerità.
Per queste ragioni nessun profilo di illegittimità può essere ravvisato nel
fatto che vi sia stata coincidenza fra il soggetto che, nel caso concreto, ha
accertato l'illecito e quello che ha comminato la sanzione al ricorrente.
Con il secondo motivo l'interessato lamenta il ritardo con il quale si è dato
corso al procedimento disciplinare rispetto al momento in cui è stata accertata
la violazione.
In proposito si osserva quanto segue.
In base all'art. 59, comma primo, del d.P.R. n. 545/86 il procedimento
disciplinare deve essere instaurato senza ritardo.
La giurisprudenza ritiene che l'inciso senza ritardo non sancisca la previsione
di un termine perentorio per l'atto di contestazione degli addebiti (cfr. T.A.R.
Puglia Bari, sez. I, 18 febbraio 2011 n. 283).
Come correttamente rilevato dallo stesso ricorrente la ratio della disposizione
è infatti quella di costringere l'autorità amministrativa ad attivarsi entro
termini ragionevoli, da valutarsi in relazione alla gravità della violazione ed
alla complessità degli accertamenti preliminari e dell'intera procedura, in modo
da non pregiudicare le possibilità di difesa dell'accusato il quale, se chiamato
a discolparsi a notevole distanza temporale dai fatti contestati, potrebbe non
essere più in grado di reperire elementi utili a propria difesa (cfr. Consiglio
Stato, sez. IV, 26 marzo 2010, n. 1779; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 01
marzo 2010, n. 246).
Nel caso concreto i fatti contestati risalgono ad una missiva inoltrata dal
ricorrente al reparto di appartenenza in data 12 gennaio 2009, nella quale, a
parere dell'autorità amministrativa, sarebbero contenute affermazioni aventi
carattere derisorio ed offensivo nei confronti di un superiore.
La contestazione degli addebiti è datata 20 febbraio 2009, ed è quindi
intervenuta a poco più di un mese da quando l'amministrazione è venuta a
conoscenza dei fatti addebitati.
A parere del Collegio il lasso di tempo intercorso fra i due momenti non è
particolarmente eccessivo, tenuto conto che non è ben chiaro quando il contenuto
della missiva sia stato effettivamente conosciuto dai superiori gerarchici del
ricorrente, e quindi quando questi abbiano potuto effettivamente apprezzarne il
carattere illecito; e che, soprattutto, data la natura delle contestazioni
formulate (relative a fatti non complessi, per questa ragione facilmente
confutabili anche dopo un certo lasso di tempo dal momento della commissione dei
fatti medesimi), esso non può aver inciso sulle capacità di difesa
dell'incolpato il quale, va sottolineato, neppure deduce la sussistenza di alcun
concreto pregiudizio al riguardo.
Anche questo motivo non può quindi essere accolto.
Infine con il terzo motivo si deduce eccesso di potere per erroneità e
contraddittorietà della motivazione, nonché per travisamento dei fatti.
In particolare, a dire dell'istante, le espressioni contenute nella missiva del
gennaio 2009 non avrebbero carattere derisorio ed offensivo; da ciò desume un
evidente errore di valutazione commesso dall'amministrazione resistente.
In proposito va osservato, in linea generale, che, secondo la giurisprudenza,
l'autorità amministrativa gode, in materia disciplinare, di un'ampia
discrezionalità in merito alla valutazione della fatti, all'apprezzamento circa
il loro disvalore ed alla riconduzione dei medesimi alle fattispecie astratte
previste dalle norme.
Vengono difatti in gioco interessi pubblici di particolare rilievo che solo
l'autorità amministrativa è in grado di apprezzare compiutamente, quali
l'interesse al corretto espletamento delle proprie funzioni e l'interesse alla
salvaguardia del proprio prestigio.
Il giudice amministrativo, per queste ragioni, non può sostituire le proprie
valutazioni discrezionali a quelle compiute dall'autorità amministrativa, salvo
verificare che queste non trasmodino nel vizio dell'eccesso di potere, in quanto
condotte sulla base di fatti in realtà non sussistenti, ovvero scaturenti da
giudizi non formulati alla stregua dei criteri di ragionevolezza, coerenza e
logicità (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 03 marzo 2011, n. 1982).
Nel caso di specie l'amministrazione contesta al ricorrente di aver utilizzato,
in un proprio scritto, espressioni sconvenienti, derisorie ed offensive nei
confronti di un ufficiale.
In particolare, viene contestato un passaggio contenuto in una missiva del
gennaio 2009, laddove il ricorrente, riferendosi ad un proprio superiore,
afferma che questi si sarebbe "...reso per così dire ridicolo - a parere dello
scrivente - poiché è noto a tutti e di comune intelligenza sapere che ogni per
procedimento amministrativo la P.A. ha il dovere di concluderlo mediante
l'adozione di un provvedimento espresso e motivato...".
Ritiene il Collegio che le valutazioni compiute dall'amministrazione che, come
detto considera derisorie ed offensive tali espressioni, non possano essere
considerate irragionevoli.
Va invero osservato, da un lato, che il ricorrente, in tale scritto, arriva a
definire l'ufficiale "ridicolo", e ad attribuirgli gravi lacune in merito alla
conoscenza di quelle che il ricorrente stesso considera elementari regole
giuridiche, lasciando con ciò trasparire un evidente giudizio di disvalore; e
che, da altro lato, tali apprezzamenti personali non sono giustificati dalla
funzione dello scritto, atteso l'interessato avrebbe ben potuto sostenere le
proprie ragioni senza lasciarsi andare in inutili giudizi riguardanti la persona
del superiore.
Anche questo motivo non può quindi essere accolto.
In conclusione, per le ragioni illustrate, il ricorso va respinto.
Sussistono nondimeno giustificate ragioni per disporre la compensazione delle
spese di giudizio.P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo
respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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