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La capitale è una piazza importante, sopratutto per il traffico di droga e il riciclaggio di denaro sporco
ROMA
- Criminale o no, la questione delle infiltrazioni malavitose nel
tessuto sociale ed economico di Roma sembra davvero un “romanzo”. Da un
lato le rassicurazioni del sindaco Alemanno e del sottosegretario agli
Interni Mantovano, che non vogliono parlare di emergenza criminalità.
Dall’altro gli omicidi irrisolti degli ultimi mesi e l’appello dello
stesso primo cittadino al ministro Maroni: “Nella Capitale servono più
poliziotti e carabinieri”. Nel mezzo, la realtà di 26 morti da gennaio
ad oggi, le sparatorie in strada, le migliaia di imprenditori strozzati
dall’usura o dal racket. E soprattutto la consapevolezza che la
criminalità a Roma non è più un fenomeno delle periferie ma ha invaso
anche i quartieri centrali, quelli tradizionalmente più tranquilli. Uno
su tutti, Prati: a meno di due mesi dall’uccisione in strada di Flavio
Simmi, una giovane donna viene scippata in pieno giorno e finisce in
coma.
La
Roma criminale è un’invenzione letteraria, l’evocazione di un passato
diventato storia. “Ma non si può negare – sottolinea Claudio Giardullo,
segretario generale della Silp Cgil – che la città eterna è anche un
mercato da spartire, una torta che può far gola a molti”. E infatti
oggi il sindaco incontrerà il ministro Maroni, grande assente alla
riunione del comitato provinciale del 31 agosto, nell’ennesimo vertice
sul tema sicurezza.
Gli
affari, a Roma, si fanno con la droga o con infiltrazioni nel tessuto
imprenditoriale usando denaro illecito. “Due fenomeni separati – spiega
il presidente dell’associazione antiracket e antiusura di
Confesercenti, Lino Busà – che si muovono seguendo logiche ben distinte:
gli episodi di violenza sono legati a regolamenti di conti tra
spacciatori, mentre chi vuole riciclare soldi sporchi attraverso
attività commerciali ha interesse a una città non militarizzata e dunque
meno pericolosa”.
Le
estorsioni? A Roma e in generale nel Lazio sono poco frequenti. “C’è
bisogno di un controllo del territorio e di una capacità di
intimidazione che i clan attivi nella Capitale
non hanno”, aggiunge Busà. L’usura, invece, “viaggia alla grande,
gestita da cravattari classici, da professionisti in giacca e cravatta,
da ciò che rimane della banda della Magliana e da alcune famiglie di
nomadi”. Un giro d’affari che in tutto in Lazio, tra capitali prestati e
interessi restituiti, viaggia sui tre miliardi di euro.
Secondo
Alemanno e Mantovano Roma non è nel mezzo di una guerra tra bande
criminali. I 26 omicidi, cifra record con cui la Capitale supera città
notoriamente più violente come Napoli e Palermo? Un dato in linea con
quello degli anni precedenti. E la facilità con cui i giovani prendono
in mano pistole e coltelli? Una degenerazione dei fenomeni di bullismo,
da tenere sott’occhio ma non ascrivibile alla mala organizzata. La
vera emergenza di Roma sarebbero le manifestazioni in programma per il
prossimo autunno. Una visione paradossale perché, come sottolinea
Giardullo, “minimizzare i fatti di cronaca non serve, anzi è
pericoloso. La presenza mafiosa a Roma è in aumento, mentre i tagli del
governo hanno ridotto sia il personale che gli strumenti di lavoro”.
Per
ripulire la Capitale, insomma, bisogna rivedere le priorità.
Cominciare a capire se dalle ceneri dell’ “operazione Colosseo”, che nel
1993 tagliò la testa alla banda della Magliana, sta rinascendo come
una fenice un’altra holding criminale, e se le gambizzazioni e gli
omicidi degli ultimi mesi sono sintomi di una nuova guerra tra bande
per la spartizione del territorio. “In una parola – conclude Giardullo –
si deve cambiare l’obiettivo strategico e unire alla lotta
all’immigrazione clandestina e alla prostituzione quella alla
criminalità”. Sminuire la recrudescenza degli episodi delittuosi
rischia invece di tenere nascosta una realtà che proprio sul sommerso
fonda le proprie basi. E che di “romanzesco” ha assai poco.
(Federica Ionta)
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Fonte: Romacapitale.net
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