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martedì 24 gennaio 2012

Violenze della polizia, Acab visto da un agente





 Il commento
Violenze della polizia, Acab visto da un agente


 Ringrazio Paese Sera per avermi dato l’opportunità di assistere all’anteprima di Acab, un film atteso, di cui si parla e che ha già scatenato numerose discussioni sui blog della rete; anche il libro di Bonini che l’ha ispirato aveva diviso il fronte dei lettori, oggi però con l’evento cinematografico tutto viene amplificato. La valutazione di un film subisce inevitabilmente l’influenza emotiva dello spettatore e nel mio caso le sollecitazioni sono state tante, e diverse: quelle di un cittadino che vive le contraddizioni sociali e le difficoltà quotidiane raccontate nel film; quelle di un padre che potrebbe avere analoghe difficoltà nel rapporto con il figlio adolescente; quelle di una separazione con affidamento da far conciliare con i problemi lavorativi e quelle di un lavoratore di polizia che indossa la stessa divisa dei protagonisti del film.

L’insieme delle emozioni mi hanno fatto apprezzare moltissimo il film, per il suo realismo, per la crudezza con la quale descrive la violenza urbana, sociale e culturale; un film sicuramente forte e d’impatto, che si presta a varie chiavi di lettura, che dà la possibilità di identificarsi in molte situazioni senza per questo giustificarne eccessi o negative derive. La storia ruota intorno ad una squadra del Reparto mobile, che ovviamente costituisce un microcosmo certamente non rappresentativo di un’intera categoria; è però costruita su sostanziali basi di veridicità, come lo spiccato senso di appartenenza al gruppo, l’idea di squadra dentro e fuori dal lavoro, l’immagine del “fratello” al quale affidi la tua incolumità e quella degli altri personaggi raccontati con una loro violenza intrinseca, che viene accentuata dal contesto sociale e lavorativo, e che mai può costituire un alibi per mettersi fuori dalla legalità. Il racconto cinematografico esaspera la loro violenza e la loro concezione della legalità, mettendoli proprio fuori dai principi costituzionali.

La denuncia presentata dal più giovane dei “fratelli” , quello che nel loro gergo chiamano “Spina” (sinonimo di giovane appena arrivato) fornisce un messaggio positivo perché rompe il cerchio di omertà della squadra e della violenza. Sono stato anche colpito dal contrasto fra uno dei protagonisti e sua moglie, anch’essa poliziotta ma che sembra appartenere a un altro mondo; aspetto questo che evidenzia la particolarità del Reparto Mobile rispetto agli altri uffici di polizia. Spero che questo film permetta di aprire una seria riflessione non solo sulla violenza fisica degli episodi ma sulla violenza urbana che alimenta il razzismo, l’odio sociale e le divisioni, trascinando a fondo tutto e tutti. Il film fornisce allo spettatore un punto di osservazione della piazza diverso dal solito: quello attraverso la visiera di un casco, davanti alla quale passa di tutto: il pastore sardo che protesta a Civitavecchia, lo sgombro delle case occupate, l’accompagnamento degli extracomunitari, la demolizione degli insediamenti abusivi, gli scontri con gli ultras e rende forse secondari gli aspetti politici rispetto a quelli sociali.

Il razzismo che emerge non sembra figlio di un’ideologia ma della quotidianità sociale violenta delle periferie urbane e dell’incertezza del futuro; la mancanza di alloggi genera il razzismo verso il clandestino che occupa la casa, l’omicidio Reggiani scatena impulsi vendicativi e gli ultras hanno come obiettivo la violenza negli stadi a prescindere dal contesto sportivo. Il difficile contesto economico renderà più acuite le tensioni sociali e il film dovrebbe farci riflettere su quello che saranno i prossimi mesi con l’emergenza piazza già lanciata dai vertici della Polizia; dovremmo riflettere su quale modello di piazza intende adottare questo paese, se gli uomini che saranno impegnati saranno carichi di problematiche personali e sociali che inevitabilmente ne potrebbero condizionare l’operato o se possiamo sperare in un modello organizzativo diverso dove la gestione dello stress da lavoro correlato può diventare centrale nell’impiego di personale, se nelle piazze continueremo ad impiegare personale in servizio continuativo per 10/12 ore anziché le 6 ore previste dai contratti di lavoro.

Questi sono aspetti che non vanno sottovalutati per la tenuta democratica della piazza, dove gli operatori devono assicurare la legalità e la tenuta istituzionale. Il Reparto Mobile di Roma, quello visto nel film, attualmente è formato da circa 600 operatori e solo 2 sono donne con mansioni tecniche, un numero elevato di personale che quotidianamente vive e respira tensioni e contraddizioni sociali e che organizzativamente non può contare su un supporto psicologico per gestire la tensione accumulata perché non previsto. Il G8 aleggia solo sullo sfondo della storia e abbiamo la necessità di proseguire il cambiamento iniziato dopo la vergognosa pagina di Genova e creare insieme un diverso modello democratico di ordine pubblico.

*Poliziotto, Silp Cgil

di Mirko Carletti*

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