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sabato 25 maggio 2013

IL COCER GDF SCRIVE AI POLITICI: SU BLOCCO STIPENDIALE, PREVIDENZA ED IMU ASCOLTATE LE NOSTRE PROPOSTE. LA SPECIFICITA' FINORA CI HA SOLO PENALIZZATO


Riceviamo da Ficiesse e pubblichiamo

IL COCER GDF SCRIVE AI POLITICI: SU BLOCCO STIPENDIALE, PREVIDENZA ED IMU ASCOLTATE LE NOSTRE PROPOSTE. LA SPECIFICITA' FINORA CI HA SOLO PENALIZZATO
 

 

COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA

Consiglio Centrale di Rappresentanza

 
Documento della sezione COCER – Guardia di Finanza
 
 
Apprendiamo con un certo rammarico che anche questo Governo ha intenzione di continuare la strada del congelamento del trattamento economico del personale pubblico, estendendo gli effetti dell’art. 9 del D.L. 78/2010 anche al 2014 ed alla tornata contrattuale 2013-2015 (addirittura senza indennità di vacanza contrattuale).
Consapevoli della gravità della situazione economica del Paese e dei sacrifici che la crisi sta imponendo a tutti (o quasi !) gli italiani ed anche a soggetti meno tutelati di noi (precari, esodati, disoccupati, piccoli imprenditori, ecc.), non siamo qui fare la solita mera richiesta corporativa, ma siamo disponibili a fare la nostra parte per il risanamento dei conti, ma non siamo più disponibili ad accettare provvedimenti iniqui e connotati da evidenti profili di incostituzionalità .  
Prima che anche questo Governo e questo Parlamento continuino a perseverare negli errori fatti da chi li ha preceduti, considerando solo e soltanto la tabella dei risparmi che accompagna il provvedimento in esame senza il benché minimo approfondimento sugli effetti del provvedimento stesso, desideriamo porre all’attenzione del Governo, del Parlamento e delle Forze politiche alcuni importanti aspetti che possono aiutare a comprendere il quadro generale in cui si muove la norma sul congelamento stipendiale e ad individuarne le relative criticità .
 
L’ART. 9 DEL D.L. 78/2010.
Nel maggio 2010 il Governo Berlusconi ha “congelato” il trattamento economico dei pubblici impiegati, con l’art. 9 del D.L. n. 78 con il quale:
Ã~si è annullata, sia ai fini economici sia ai fini normativi, la tornata contrattuale 2010-2012, riconoscendo la sola indennità di vacanza contrattuale;
Ã~sono stati azzerati gli effetti economici di ogni tipo di promozione, escluse quelle a seguito di concorso interno per transito di ruolo;
Ã~si è reso neutro, ai fini di tutti gli aumenti economici agganciati all’anzianità (classi e scatti, adeguamento ISTAT per dirigenti e omogeneizzati e assegno funzionale per i non dirigenti) il periodo 01.01.2011 - 31.12.2013;
Ã~è stato introdotto un c.d. “contributo di solidarietà ”  per i redditi più elevati oltre 90.000,00 €;
Ã~è stato adeguato il metodo di calcolo del TFS al TFR (meno vantaggioso) pur mantenendo la trattenuta del 2,5% a carico del personale (non prevista per il TFR).
Un intervento che si è quindi abbattuto in maniera pesantissima su tutto il personale pubblico ma che, sin da subito, palesava evidenti profili di iniquità , possibili ricadute negative sulla funzionalità delle Forze di polizia e delle Forze Armate e faceva emergere pesanti dubbi di costituzionalità .
 
INIQUITÃ? TRA COMPARTI DIVERSI DEL PUBBLICO IMPIEGO. PARZIALI CORRETTIVI DEL GOVERNO.
Era di tutta evidenza che la struttura dell’art. 9 colpiva in maniera più pesante rispetto alle altre categorie di lavoratori pubblici, il personale del pubblico impiego la cui dinamica retributiva era basata su adeguamenti economici legati all’anzianità di servizio (sicurezza e difesa, scuola e magistratura) e le cui carriere erano estremamente gerarchizzate e con numerose promozioni (comparto sicurezza e difesa).
Una situazione tanto evidente che lo stesso Governo Berlusconi fece una parziale marcia indietro, assicurando:
Ã~al personale della magistratura, un diverso taglio stipendiale che ha fatto, in parte, salvi gli automatismi salariali legati all’anzianità ;
Ã~al personale della scuola, l’intero importo degli automatismi salariali legati all’anzianità ;
Ã~al personale del comparto sicurezza e difesa, un assegno c.d. “una tantum” finanziato in parte (80 mln di € per il 2011 e 80 mln di € per il 2012) con risorse messe a diposizione dallo stesso D.L. 78 in sede di conversione (art. 8 comma 11bis) ed in parte (115 mln di € per ogni anno del triennio 2011-2013) con risorse già accantonate per il riordino delle carriere del personale non direttivo e non dirigente del comparto (D.L. 277/2011).
E’ bene ricordare che le risorse accantonate per l’assegno “una tantum” del comparto sicurezza e difesa hanno garantito il ristoro del 100% del taglio 2011, del 46% del taglio 2012 e sono sufficienti a garantire il 16% del taglio 2013; mentre un eventuale allungamento degli effetti dell’art. 9 per l’anno 2014 sarebbe del tutto scoperto.
Il tutto nonostante il Parlamento avesse, proprio in quello stesso periodo, ribadito la specificità del comparto sicurezza e difesa con l’art. 19 della Legge 183/2010 e più volte il Governo si fosse impegnato a reperire risorse per garantire l’intera copertura dei tagli attingendo dal Fondo Unico Giustizia e/o dalla riduzione delle spese per missioni internazionali, come peraltro già previsto dal D.L. 27/2011.
In buona sostanza, la specificità del comparto sicurezza e difesa, intesa come tipicità della dinamica salariale e delle carriere, si sta, di fatto, dimostrando un fattore penalizzante.
 
INIQUITÃ? TRA IL PERSONALE ED EFFETTI NEGATIVI SULLA FUNZIONALITA’ DELLE FF.PP. E DELLE FF.AA..
Così come è disegnato e, a maggior ragione dopo le censure apportate dalla recente sentenza  n. 223/2012 della Corte Costituzionale, l’art. 9 non risponde minimamente a criteri di equità , in quanto, aldilà del congelamento contrattuale, impone sacrifici economici non in ragione della capacità contributiva del singolo lavoratore ma solo in funzione del periodo in cui lo stesso matura un adeguamento stipendiale o è soggetto a promozione. Mentre l’unico elemento di potenziale equità che era stato introdotto ovvero il c.d. “contributo di solidarietà ” per i redditi superiori a 90.000,00 € è stato cassato dalla citata sentenza n. 223/2010.
In sostanza avviene che al personale che matura un adeguamento stipendiale automatico o una promozione nel periodo compreso tra il 01.01.2011 ed il 31.12.2013 non vengono riconosciuti i relativi effetti economici, comportando, di fatto, sacrifici economici diversi tra personale che ha maturato o che maturerà tali diritti fuori dal periodo in esame, il quale paga evidentemente una dazio molto minore (anche di qualche migliaio di € per anno) rispetto al personale che matura il diritto nel triennio “congelato”.
E’ lapalissiano come una simile circostanza in amministrazioni, come quelle del comparto sicurezza e difesa, connotate da un estrema gerarchizzazione, da dinamiche salariali indissolubilmente legate al grado (derivante da rigide procedure di selezione ed avanzamento)  ed all’anzianità di servizio e da profili di impiego e di responsabilità diverse a seconda del grado rivestito, impatti in maniera devastante sulla funzionalità delle stesse e sulla motivazione del personale.
Si pensi all’Appuntato che viene promosso Appuntato Scelto, al Brigadiere che viene promosso Brigadiere Capo, al Maresciallo Capo che viene promosso Maresciallo Aiutante, sino al caso più emblematico del Tenente Colonnello (direttivo) che viene promosso Colonnello (dirigente) nel corso del 2011 e che, a seguito della promozione, viene investito di nuove e ben più importanti responsabilità , viene trasferito ad una nuova sede e, parallelamente, non viene remunerato con il giusto e previsto trattamento economico.  
 
PROFILI DI INCOSTITUZIONALITÃ?
Come premesso, sin da subito l’art. 9 del D.L. 78/2010 ha palesato evidenti profili di incostituzionalità in ordine:
Ã~ alla possibile violazione dei principi di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione, in relazione alla natura “tributaria” del c.d. “contributo di solidarietà ”, in quanto detto contributo inciderebbe solo su una categoria di contribuenti e senza rispettare i principi di capacità contributiva e progressività dell’imposta;
Ã~ alla possibile violazione del principio di autonomia della magistratura di cui agli artt. 101 e seguenti  della Costituzione;
Ã~ alla possibile violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione in relazione al mantenimento del contributo c.d. “opera di previdenza” per il TFS (non previsto per il TFR) a fronte del nuovo metodo di calcolo dello stesso (del tutto identico a quello del TFR) ed alla conseguente difformità di trattamento tra personale pubblico e personale privato;
Ã~ alla possibile violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e del principio di giusta e proporzionata retribuzione di cui all’art. 36 della Costituzione, in relazione alla diversità di trattamento economico riconosciuto al personale titolare dello stesso grado, dello stesso impiego e della stessa anzianità di servizio;
Ã~ alla possibile violazione del principio di uguaglianza e di non irragionevolezza cui all’art. 3 della Costituzione, in relazione al blocco della contrattazione del pubblico impiego in quanto lo stesso non incide solo in maniera temporanea, eccezionale, non arbitraria e consentanea allo scopo prefisso (così come stabilito dalla giurisprudenza costituzionale), in quanto gli effetti negativi dell’art. 9 sul trattamento economico dei pubblici impiegati si estendono per un periodo molto lungo (tre anni con possibilità di proroga di un anno) sotto il profilo strettamente stipendiale e producono effetti negativi perpetui sotto il profilo previdenziale in ragione del nuovo sistema contributivo.
 
PRIME CENSURE DELLA CORTE (SENTENZA 223/2012), AUMENTANO I PROFILI DI INIQUITA’.
Con la sentenza n. 223 del 2012 la Corte Costituzionale ha sostanzialmente accolto i primi tre profili di incostituzionalità indicati nel precedente paragrafo, cancellando le parti dell’art. 9 che imponevano: il taglio del trattamento economico dei magistrati, il contributo di solidarietà e la modifica del metodo di calcolo del TFS. Il Governo è già corso ai ripari, ristorando con effetto retroattivo il trattamento economico dei magistrati, ristabilendo il metodo di calcolo del TFS e ristorando i destinatari del “contributo di solidarietà ”.
E’ però del tutto evidente che gli effetti della citata sentenza della Corte Costituzionale hanno, di fatto, aumentato il grado di iniquità dell’art. 9, in quanto si è esclusa dai tagli un’intera categoria di personale pubblico (i magistrati) e si è perso anche quel minimo criterio di equità e proporzionalità che era sostanziato dal “contributo di solidarietà ”.
 
 
I RICORSI CALENDARIZZATI PER IL 5 ED IL 6 NOVEMBRE
Nel prossimo mese di novembre la Corte Costituzionale ha calendarizzato il giudizio di numerosi ulteriori ricorsi presentati da categorie di lavoratori pubblici diversi dai magistrati e dovrà pronunciarsi in ordine agli ulteriori due profili di costituzionalità rimasti inevasi.
Alla luce di quanto già stabilito con la sentenza n. 223 è molto probabile che in quella sede il Giudice delle leggi accolga le tesi dei ricorrenti e dichiari incostituzionale anche la restante parte dell’art. 9.
 
PROPOSTE.
Alla luce di quanto può essere deciso dalla Corte Costituzionale nel prossimo mese di novembre e di quanto l’art. 9 sta incidendo in maniera negativa sulla funzionalità delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, ci chiediamo quanto possa essere opportuno estendere, oggi, gli effetti dell’art. 9 per l’anno 2014 e per il triennio contrattuale 2013-2015, e se invece non sia opportuno attendere le decisione della Corte ed, anzi, pensare a come e dove reperire le risorse per fare fronte ad un eventuale (molto probabile) declaratoria di incostituzionalità dello stesso art. 9.
Sul punto, ci dichiariamo sin d’ora disponibili ad aprire un dialogo con il Governo e con le Istituzioni per individuare soluzioni che possano soddisfare le esigenze di cassa, la funzionalità delle amministrazioni del comparto e le legittime aspettative del personale.
 
 
Nella seduta del 26.11.2012 il precedente Governo ha approvato in via preliminare la bozza di regolamento per l’armonizzazione del sistema pensionistico del personale del comparto sicurezza difesa.
La predisposizione del documento è stata articolata e problematica, anche a causa dell’apparente volontà da parte dei dicasteri Lavoro ed Economia e Finanze di pervenire più a un’omologazione che a un’armonizzazione, tanto è vero che ripetuti sono stati i tentativi di adottare soluzioni in eccesso di delega rispetto a quanto previsto dall’art. 24 co. 18 del decreto “Salva Italia”.
Il testo licenziato che ha già avuto l’”o.k.” del Consiglio di Stato e si accinge a ricevere il previsto parere delle competenti commissioni di Camera e Senato, dopo le correzioni scaturite a seguito degli interventi parlamentari e delle reiterate proteste delle rappresentanze militari e delle organizzazioni sindacali, se da un lato è finalmente scevro dai più evidenti profili di illegittimità , dall’altro appare non ben coordinato nella sua stesura finale e, entro certi limiti, sicuramente migliorabile, anche a vantaggio, probabilmente, delle casse dello Stato.
Più in dettaglio, riteniamo con le modifiche apportate alla bozza di regolamento nel Consiglio dei Ministri del 26 u.s., il Governo precedente abbia correttamente riparametrato in 5 anni lo spread in termini di durata della vita lavorativa tra il personale del comparto ed il resto dei pubblici impiegati, non riducendo, come precedentemente previsto, la valenza quinquennale degli aumenti del periodo di servizio c.d. “supervalutazioni” e dell’ausiliaria.
Parallelamente però non si è provveduto alla necessaria armonizzazione allo “spread” di 5 anni dei parametri di età e di anzianità contributiva previsti dall’art. 4 del regolamento con riferimento alla pensione anticipata, che, viceversa, sono rimasti tarati su uno spread di 2/3 anni.
Tale mancata armonizzazione comporta, di fatto, un disallineamento della pensione anticipata rispetto alla pensione di vecchiaia ed agli istituti delle supervalutazioni e dell’ausiliaria e, soprattutto, una sostanziale inefficacia della pensione anticipata c.d. “per quote”, prevista dal comma 2 dell’art. 4, in quanto il vantaggio in termini di età anagrafica stabilito in tre anni e tre mesi rispetto al limite per la pensione di vecchiaia (59 anni rispetto a 62 anni e tre mesi a regime) e di un solo anno (59 anni  rispetto a 60 anni) rispetto al limite ordinamentale, non risulta adeguatamente conveniente rispetto alla perdita del beneficio dell’ausiliaria (+5 anni di montante contributivo e +5 anni di coefficiente di trasformazione).
In altri termini, al finanziere che raggiunge l’età anagrafica di 59 anni (requisito minimo anagrafico per l’accesso alla pensione anticipata “per quote”) conviene attendere il raggiungimento dei 60 anni del limite ordinamentale se in possesso dell’anzianità massima contributiva o, per il personale con minore anzianità contributiva, il requisito per l’accesso alla pensione di vecchiaia, e quindi beneficiare dell’ausiliaria, piuttosto che optare per la pensione anticipata.
Senza contare che per il resto dei dipendenti pubblici e privati che si trovano nella condizione c.d. di “lavoratori precoci”, la normativa vigente in tema di pensione anticipata (combinato disposto dell’art. 24 co. 10 del decreto “Salva Italia” e dell’art. 6 co. 2.quater del D.L.  n.216/2011) prevede la non applicazione delle “penalizzazioni” per i soggetti che maturano il requisito di accesso alla pensione anticipata entro il 31.12.2017. 
Ciò posto, reputiamo che la soluzione ottimale potrebbe essere quella di: 
Ã~per quanto attiene alla pensione c.d. anticipata, prevista dall’art. 4 co. 1 del regolamento:
ünon prevedere penalizzazioni sino al 31.12.2018 in analogia a quanto già previsto per il resto dei lavoratori c.d. “precoci”;
ürimodulare l’età anagrafica di riferimento per le c.d. “penalizzazioni” da 59 a 57 anni a decorrere dal 01.01.2019, anche al fine di armonizzare detto limite con i 5 anni della c.d. “supervalutazione”;
Ã~per quel che concerne la pensione anticipata c.d. “per quote” prevista dall’art. 4 comma 2, del regolamento è necessario abbassare il requisito anagrafico da 58 a 55 anni (lettera a), da 58 a 56 anni (lettera b) e da 59 a 57 anni (lettera c), rimodulando nel contempo in aumento i requisiti contributivi.
 
 
 
La vigente normativa sull’I.M.U. prevede quale requisito per l’accesso all’agevolazione “prima casa” per il pagamento della imposta il doppio requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale, senza prevedere deroghe alcune.
Tale previsione impatta negativamente ed, a nostro avviso ingiustificatamente, sul personale delle Forze Armate e delle Forze di polizia che viene comandato a prestare servizio presso una sede diversa da quella di residenza e che per la mancanza del doppio requisito si trova nella condizione di dover pagare l’imposta relativa alla propria unica abitazione di proprietà come “seconda casa”.
Riteniamo, anche in dipendenza alla citata specificità del personale del comparto, di cui la mobilità sul territorio è uno degli elementi caratterizzanti (che non trova attualmente risposta in adeguate politiche alloggiative), che debba essere prevista una precisa deroga per il personale del comparto, tanto più che una norma di salvaguardia del tutto analoga è già prevista dall’art. 66 della Legge n. 342/2000 per le agevolazioni fiscali riferite all’acquisto della prima casa.
 
 

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