Riceviamo da Ficiesse e pubblichiamo
IL COCER GDF SCRIVE
AI POLITICI: SU BLOCCO STIPENDIALE, PREVIDENZA ED IMU ASCOLTATE LE NOSTRE
PROPOSTE. LA SPECIFICITA' FINORA CI HA SOLO PENALIZZATO
COMANDO GENERALE DELLA GUARDIA DI FINANZA
Consiglio Centrale di Rappresentanza
Documento della
sezione COCER – Guardia di Finanza
Consapevoli della gravitÃ
della situazione economica del Paese e dei sacrifici che la crisi sta imponendo
a tutti (o quasi !) gli italiani ed anche a soggetti meno tutelati di noi
(precari, esodati, disoccupati, piccoli imprenditori, ecc.), non siamo qui fare
la solita mera richiesta corporativa, ma siamo disponibili a fare la
nostra parte per il risanamento dei conti, ma non siamo più disponibili ad
accettare provvedimenti iniqui e connotati da evidenti profili di
incostituzionalità .
Prima che anche questo Governo e questo
Parlamento continuino a perseverare negli errori fatti da chi li ha preceduti,
considerando solo e soltanto la tabella dei risparmi che accompagna il
provvedimento in esame senza il benché minimo approfondimento sugli effetti del
provvedimento stesso, desideriamo porre all’attenzione del Governo, del
Parlamento e delle Forze politiche alcuni importanti aspetti che possono aiutare
a comprendere il quadro generale in cui si muove la norma sul congelamento
stipendiale e ad individuarne le relative criticità .
L’ART. 9 DEL D.L.
78/2010.
Nel maggio 2010 il Governo
Berlusconi ha “congelato” il trattamento economico dei pubblici impiegati, con
l’art. 9 del D.L. n. 78 con il quale:
Ã~si è annullata, sia ai fini economici
sia ai fini normativi, la tornata contrattuale 2010-2012, riconoscendo la sola
indennità di vacanza contrattuale;
Ã~sono stati azzerati gli effetti
economici di ogni tipo di promozione, escluse quelle a seguito di concorso
interno per transito di ruolo;
Ã~si è reso neutro, ai fini di tutti gli
aumenti economici agganciati all’anzianità (classi e scatti, adeguamento ISTAT
per dirigenti e omogeneizzati e assegno funzionale per i non dirigenti) il
periodo 01.01.2011 - 31.12.2013;
Ã~è stato introdotto un c.d. “contributo
di solidarietà ” per i redditi più elevati oltre 90.000,00 €;
Ã~è stato adeguato il metodo di calcolo
del TFS al TFR (meno vantaggioso) pur mantenendo la trattenuta del 2,5% a carico
del personale (non prevista per il TFR).
Un intervento che si è quindi abbattuto in
maniera pesantissima su tutto il personale pubblico ma che, sin da subito,
palesava evidenti profili di iniquità , possibili ricadute negative sulla
funzionalità delle Forze di polizia e delle Forze Armate e faceva emergere
pesanti dubbi di costituzionalità .
INIQUITÃ? TRA COMPARTI
DIVERSI DEL PUBBLICO IMPIEGO. PARZIALI CORRETTIVI DEL GOVERNO.
Era di tutta evidenza che la
struttura dell’art. 9 colpiva in maniera più pesante rispetto alle altre
categorie di lavoratori pubblici, il personale del pubblico impiego la cui
dinamica retributiva era basata su adeguamenti economici legati all’anzianità di
servizio (sicurezza e difesa, scuola e magistratura) e le cui carriere erano
estremamente gerarchizzate e con numerose promozioni (comparto sicurezza e
difesa).
Una situazione tanto evidente
che lo stesso Governo Berlusconi fece una parziale marcia indietro,
assicurando:
Ã~al personale della magistratura, un
diverso taglio stipendiale che ha fatto, in parte, salvi gli automatismi
salariali legati all’anzianità ;
Ã~al personale della scuola, l’intero
importo degli automatismi salariali legati all’anzianità ;
Ã~al personale del comparto sicurezza e
difesa, un assegno c.d. “una tantum” finanziato in parte (80 mln di € per
il 2011 e 80 mln di € per il 2012) con risorse messe a diposizione dallo stesso
D.L. 78 in sede di conversione (art. 8 comma 11bis) ed in parte (115 mln di €
per ogni anno del triennio 2011-2013) con risorse già accantonate per il
riordino delle carriere del personale non direttivo e non dirigente del comparto
(D.L. 277/2011).
E’ bene ricordare che le
risorse accantonate per l’assegno “una tantum” del comparto sicurezza e
difesa hanno garantito il ristoro del 100% del taglio 2011, del 46% del taglio
2012 e sono sufficienti a garantire il 16% del taglio 2013; mentre un eventuale
allungamento degli effetti dell’art. 9 per l’anno 2014 sarebbe del tutto
scoperto.
Il tutto nonostante il
Parlamento avesse, proprio in quello stesso periodo, ribadito la specificità del
comparto sicurezza e difesa con l’art. 19 della Legge 183/2010 e più volte il
Governo si fosse impegnato a reperire risorse per garantire l’intera copertura
dei tagli attingendo dal Fondo Unico Giustizia e/o dalla riduzione delle spese
per missioni internazionali, come peraltro già previsto dal D.L. 27/2011.
In buona sostanza, la specificità del comparto
sicurezza e difesa, intesa come tipicità della dinamica salariale e delle
carriere, si sta, di fatto, dimostrando un fattore penalizzante.
INIQUITÃ? TRA IL PERSONALE
ED EFFETTI NEGATIVI SULLA FUNZIONALITA’ DELLE FF.PP. E DELLE FF.AA..
Così come è disegnato e,
a maggior ragione dopo le censure apportate dalla recente sentenza n. 223/2012
della Corte Costituzionale, l’art. 9 non risponde minimamente a criteri di
equità , in quanto, aldilà del congelamento contrattuale, impone sacrifici
economici non in ragione della capacità contributiva del singolo lavoratore ma
solo in funzione del periodo in cui lo stesso matura un adeguamento stipendiale
o è soggetto a promozione. Mentre l’unico elemento di potenziale equità che era
stato introdotto ovvero il c.d. “contributo di solidarietà ” per i redditi
superiori a 90.000,00 € è stato cassato dalla citata sentenza n. 223/2010.
In sostanza avviene che al
personale che matura un adeguamento stipendiale automatico o una promozione nel
periodo compreso tra il 01.01.2011 ed il 31.12.2013 non vengono riconosciuti i
relativi effetti economici, comportando, di fatto, sacrifici economici diversi
tra personale che ha maturato o che maturerà tali diritti fuori dal periodo in
esame, il quale paga evidentemente una dazio molto minore (anche di qualche
migliaio di € per anno) rispetto al personale che matura il diritto nel triennio
“congelato”.
E’ lapalissiano come una simile circostanza in
amministrazioni, come quelle del comparto sicurezza e difesa, connotate da un
estrema gerarchizzazione, da dinamiche salariali indissolubilmente legate al
grado (derivante da rigide procedure di selezione ed avanzamento) ed
all’anzianità di servizio e da profili di impiego e di responsabilità diverse a
seconda del grado rivestito, impatti in maniera devastante sulla funzionalitÃ
delle stesse e sulla motivazione del personale.
Si pensi all’Appuntato che viene promosso
Appuntato Scelto, al Brigadiere che viene promosso Brigadiere Capo, al
Maresciallo Capo che viene promosso Maresciallo Aiutante, sino al caso più
emblematico del Tenente Colonnello (direttivo) che viene promosso Colonnello
(dirigente) nel corso del 2011 e che, a seguito della promozione, viene
investito di nuove e ben più importanti responsabilità , viene trasferito ad
una nuova sede e, parallelamente, non viene remunerato con il giusto e previsto
trattamento economico.
PROFILI DI
INCOSTITUZIONALITÃ?
Come premesso, sin da subito
l’art. 9 del D.L. 78/2010 ha palesato evidenti profili di incostituzionalità in
ordine:
Ã~ alla possibile violazione dei principi
di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione, di uguaglianza
di cui all’art. 3 della Costituzione e di solidarietà sociale di cui all’art. 2
della Costituzione, in relazione alla natura “tributaria” del c.d. “contributo
di solidarietà ”, in quanto detto contributo inciderebbe solo su una categoria
di contribuenti e senza rispettare i principi di capacità contributiva e
progressività dell’imposta;
Ã~ alla possibile violazione del principio
di autonomia della magistratura di cui agli artt. 101 e seguenti della
Costituzione;
Ã~ alla possibile violazione del principio
di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione in relazione al mantenimento
del contributo c.d. “opera di previdenza” per il TFS (non previsto per il TFR) a
fronte del nuovo metodo di calcolo dello stesso (del tutto identico a quello del
TFR) ed alla conseguente difformità di trattamento tra personale pubblico e
personale privato;
Ã~ alla possibile violazione del principio
di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione e del principio di giusta e
proporzionata retribuzione di cui all’art. 36 della Costituzione, in relazione
alla diversità di trattamento economico riconosciuto al personale titolare dello
stesso grado, dello stesso impiego e della stessa anzianità di servizio;
Ã~ alla possibile violazione del principio
di uguaglianza e di non irragionevolezza cui all’art. 3 della Costituzione, in
relazione al blocco della contrattazione del pubblico impiego in quanto lo
stesso non incide solo in maniera temporanea, eccezionale, non arbitraria e
consentanea allo scopo prefisso (così come stabilito dalla giurisprudenza
costituzionale), in quanto gli effetti negativi dell’art. 9 sul trattamento
economico dei pubblici impiegati si estendono per un periodo molto lungo (tre
anni con possibilità di proroga di un anno) sotto il profilo strettamente
stipendiale e producono effetti negativi perpetui sotto il profilo previdenziale
in ragione del nuovo sistema contributivo.
PRIME CENSURE DELLA CORTE
(SENTENZA 223/2012), AUMENTANO I PROFILI DI INIQUITA’.
Con la sentenza n. 223 del
2012 la Corte Costituzionale ha sostanzialmente accolto i primi tre profili di
incostituzionalità indicati nel precedente paragrafo, cancellando le parti
dell’art. 9 che imponevano: il taglio del trattamento economico dei magistrati,
il contributo di solidarietà e la modifica del metodo di calcolo del TFS. Il
Governo è già corso ai ripari, ristorando con effetto retroattivo il
trattamento economico dei magistrati, ristabilendo il metodo di calcolo del TFS
e ristorando i destinatari del “contributo di solidarietà ”.
E’ però del tutto evidente che gli effetti della
citata sentenza della Corte Costituzionale hanno, di fatto, aumentato il grado
di iniquità dell’art. 9, in quanto si è esclusa dai tagli un’intera categoria
di personale pubblico (i magistrati) e si è perso anche quel minimo criterio di
equità e proporzionalità che era sostanziato dal “contributo di solidarietÃ
”.
I RICORSI CALENDARIZZATI
PER IL 5 ED IL 6 NOVEMBRE
Nel prossimo mese di novembre
la Corte Costituzionale ha calendarizzato il giudizio di numerosi ulteriori
ricorsi presentati da categorie di lavoratori pubblici diversi dai magistrati e
dovrà pronunciarsi in ordine agli ulteriori due profili di costituzionalitÃ
rimasti inevasi.
Alla luce di quanto già stabilito con la sentenza
n. 223 è molto probabile che in quella sede il Giudice delle leggi accolga le
tesi dei ricorrenti e dichiari incostituzionale anche la restante parte
dell’art. 9.
PROPOSTE.
Alla luce di quanto può
essere deciso dalla Corte Costituzionale nel prossimo mese di novembre e di
quanto l’art. 9 sta incidendo in maniera negativa sulla funzionalità delle Forze
di Polizia e delle Forze Armate, ci chiediamo quanto possa essere opportuno
estendere, oggi, gli effetti dell’art. 9 per l’anno 2014 e per il triennio
contrattuale 2013-2015, e se invece non sia opportuno attendere le decisione
della Corte ed, anzi, pensare a come e dove reperire le risorse per fare fronte
ad un eventuale (molto probabile) declaratoria di incostituzionalità dello
stesso art. 9.
Sul punto, ci dichiariamo sin
d’ora disponibili ad aprire un dialogo con il Governo e con le Istituzioni per
individuare soluzioni che possano soddisfare le esigenze di cassa, la
funzionalità delle amministrazioni del comparto e le legittime aspettative del
personale.
Nella seduta del 26.11.2012
il precedente Governo ha approvato in via preliminare la bozza di regolamento
per l’armonizzazione del sistema pensionistico del personale del comparto
sicurezza difesa.
La predisposizione del
documento è stata articolata e problematica, anche a causa dell’apparente
volontà da parte dei dicasteri Lavoro ed Economia e Finanze di pervenire più a
un’omologazione che a un’armonizzazione, tanto è vero che ripetuti sono stati i
tentativi di adottare soluzioni in eccesso di delega rispetto a quanto previsto
dall’art. 24 co. 18 del decreto “Salva Italia”.
Il testo licenziato che ha
già avuto l’”o.k.” del Consiglio di Stato e si accinge a ricevere il previsto
parere delle competenti commissioni di
Camera e Senato, dopo le correzioni
scaturite a seguito degli interventi parlamentari e delle reiterate proteste
delle rappresentanze militari e delle organizzazioni sindacali, se da un lato è
finalmente scevro dai più evidenti profili di illegittimità , dall’altro appare
non ben coordinato nella sua stesura finale e, entro certi limiti, sicuramente
migliorabile, anche a vantaggio, probabilmente, delle casse dello Stato.
Più in dettaglio, riteniamo
con le modifiche apportate alla bozza di regolamento nel Consiglio dei Ministri
del 26 u.s., il Governo precedente abbia correttamente riparametrato in 5 anni
lo spread in termini di durata della vita lavorativa tra il personale del
comparto ed il resto dei pubblici impiegati, non riducendo, come precedentemente
previsto, la valenza quinquennale degli aumenti del periodo di servizio c.d.
“supervalutazioni” e dell’ausiliaria.
Parallelamente però non si
è provveduto alla necessaria armonizzazione allo “spread” di 5 anni dei
parametri di età e di anzianità contributiva previsti dall’art. 4 del
regolamento con riferimento alla pensione anticipata, che, viceversa, sono
rimasti tarati su uno spread di 2/3 anni.
Tale mancata armonizzazione
comporta, di fatto, un disallineamento della pensione anticipata rispetto alla
pensione di vecchiaia ed agli istituti delle supervalutazioni e dell’ausiliaria
e, soprattutto, una sostanziale inefficacia della pensione anticipata c.d. “per
quote”, prevista dal comma 2 dell’art. 4, in quanto il vantaggio in termini di
età anagrafica stabilito in tre anni e tre mesi rispetto al limite per la
pensione di vecchiaia (59 anni rispetto a 62 anni e tre mesi a regime) e di un
solo anno (59 anni rispetto a 60 anni) rispetto al limite ordinamentale, non
risulta adeguatamente conveniente rispetto alla perdita del beneficio
dell’ausiliaria (+5 anni di montante contributivo e +5 anni di coefficiente di
trasformazione).
In altri termini, al
finanziere che raggiunge l’età anagrafica di 59 anni (requisito minimo
anagrafico per l’accesso alla pensione anticipata “per quote”) conviene
attendere il raggiungimento dei 60 anni del limite ordinamentale se in possesso
dell’anzianità massima contributiva o, per il personale con minore anzianitÃ
contributiva, il requisito per l’accesso alla pensione di vecchiaia, e quindi
beneficiare dell’ausiliaria, piuttosto che optare per la pensione
anticipata.
Senza contare che per il
resto dei dipendenti pubblici e privati che si trovano nella condizione c.d. di
“lavoratori precoci”, la normativa vigente in tema di pensione anticipata
(combinato disposto dell’art. 24 co. 10 del decreto “Salva Italia” e dell’art. 6
co. 2.quater del D.L. n.216/2011) prevede la non applicazione delle
“penalizzazioni” per i soggetti che maturano il requisito di accesso alla
pensione anticipata entro il 31.12.2017.
Ciò posto, reputiamo
che la soluzione ottimale potrebbe essere quella di:
Ã~per quanto attiene alla pensione c.d.
anticipata, prevista dall’art. 4 co. 1 del regolamento:
ünon
prevedere penalizzazioni sino al 31.12.2018 in analogia a quanto già previsto
per il resto dei lavoratori c.d. “precoci”;
ürimodulare l’etÃ
anagrafica di riferimento per le c.d. “penalizzazioni” da 59 a 57 anni a
decorrere dal 01.01.2019, anche al fine di armonizzare detto limite con i 5 anni
della c.d. “supervalutazione”;
Ã~per quel che concerne la pensione
anticipata c.d. “per quote” prevista dall’art. 4 comma 2, del regolamento è
necessario abbassare il requisito anagrafico da 58 a 55 anni (lettera a), da 58
a 56 anni (lettera b) e da 59 a 57 anni (lettera c), rimodulando nel contempo in
aumento i requisiti contributivi.
La vigente normativa
sull’I.M.U. prevede quale requisito per l’accesso all’agevolazione “prima casa”
per il pagamento della imposta il doppio requisito della residenza anagrafica e
della dimora abituale, senza prevedere deroghe alcune.
Tale previsione impatta
negativamente ed, a nostro avviso ingiustificatamente, sul personale delle Forze
Armate e delle Forze di polizia che viene comandato a prestare servizio presso
una sede diversa da quella di residenza e che per la mancanza del doppio
requisito si trova nella condizione di dover pagare l’imposta relativa alla
propria unica abitazione di proprietà come “seconda casa”.
Riteniamo, anche in
dipendenza alla citata specificità del personale del comparto, di cui la
mobilità sul territorio è uno degli elementi caratterizzanti (che non trova
attualmente risposta in adeguate politiche alloggiative), che debba essere
prevista una precisa deroga per il personale del comparto, tanto più che una
norma di salvaguardia del tutto analoga è già prevista dall’art. 66 della Legge
n. 342/2000 per le agevolazioni fiscali riferite all’acquisto della prima
casa.
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