Riceviamo da Ficiesse e pubblichiamo
NUOVA INVERSIONE DI ROTTA DEL
TAR LAZIO SULLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: NON E' IL SINGOLO FINANZIERE CHE PUO'
CHIEDERE L'AVVIO DEL PROCEDIMENTO.
Pubblichiamo una recentissima
sentenza del TAR del Lazio (Sez. Seconda), il quale, contrariamente a quanto
deciso in altra Sentenza (Sezione Prima bis) giÃ
pubblicata e relativa alle Forze Armate, ha statuito nuovamente che il singolo
Finanziere non è legittimato a chiedere l'inizio del procedimento di
concertazione per la previdenza complementare, ma che si tratta di un interesse
in capo al CoCeR.
N. 07715/2013
REG.PROV.COLL.
N. 03936/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione
Seconda)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro
generale 3936 del 2013, proposto da:
************, rappresentato e difeso dagli avv.ti ************
************, rappresentato e difeso dagli avv.ti ************
contro
Ministero
dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza,
Presidenza del Consiglio Dei Ministri, tutti rappresentati e difesi ope
legis dall'Avvocatura
generale dello Stato, presso la quale domiciliano, in Roma, via dei Portoghesi,
12;
Ministero della
Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, n.c.;
per fare accertare e
dichiarare
l’obbligo delle intimate
amministrazioni, odierne resistenti, a concludere, mediante l’adozione di un
provvedimento espresso, il procedimento amministrativo di cui in
prosieguo.
Visto il ricorso con i relativi
allegati;
Visti gli atti di costituzione in
giudizio delle amministrazioni intimate,
Vista la memoria difensiva
dell’Avvocatura dello Stato;
Visti tutti
gli atti della causa;
Relatore alla
camera di consiglio del giorno 19 giugno 2013 il Cons. Silvia
Martino;
Uditi gli avv.ti delle parti, come
da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e
diritto quanto segue:
FATTO e
DIRITTO
1. Il ricorrente,
maresciallo aiutante della Guardia di Finanza, rappresenta di avere intimato,
tra le altre, le resistenti amministrazioni affinché pongano in essere ogni
provvedimento di loro competenza per attivare il c.d. “Secondo Pilastro
previdenziale” (la previdenza complementare).
All’uopo ha richiamato il combinato
disposto di cui agli artt. 1, 2, 4 e 7 del d.lgs. n. 195 del 1995,a norma delle
quali ritiene che l’Apparato Pubblico abbia l’obbligo di attivarsi concretamente
a tal fine.
Ha in particolare invocato, nel
corpo della diffida, un precedente reso dalla sezione I^ bis di questo Tribunale
(sentenza n. 12867/2009), che ha riconosciuto l’esistenza di un interesse
legittimo, da parte del personale contemplato dalle norme di cui sopra, a che
l’amministrazione eserciti i poteri che, all’uopo, le sono stati
conferiti.
Nell’inerzia delle amministrazioni
intimate, ha quindi notificato il presente ricorso, al fine di sentire
dichiarare il loro obbligo di concludere, mediante l’adozione di un
provvedimento espresso, il procedimento amministrativo di cui è
causa.
Si sono costituiti, per resistere,
il MEF e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, depositando una
memoria.
Il ricorso è stato quindi assunto
per la decisione alla camera di consiglio del 19 giugno
2013.
2. In via
preliminare, deve respingersi l’eccezione preliminare svolta dall’Avvocatura
dello Stato, secondo cui la controversia in esame appartiene alla giurisdizione
della Corte dei Conti.
E’ noto, infatti, che, secondo la
Corte regolatrice, ai fini della determinazione delle giurisdizione “non è
sufficiente la natura latamente previdenziale della prestazione richiesta, ma
occorre altresì che tale prestazione sia dovuta da un ente preposto alla
previdenza obbligatoria nell’ambito di un rapporto (previdenziale, appunto) che
trovi fonte esclusiva nella legge e abbia causa, soggetti e contenuto diversi
rispetto al rapporto di lavoro, il quale a sua volta si ponga rispetto al
rapporto previdenziale come mero presupposto di fatto e non come momento
genetico del diritto alla prestazione. Ove sussistano questi requisiti, vi è la
giurisdizione del giudice ordinario anche quando il lavoratore sia un pubblico
impiegato, salvo beninteso il caso di giurisdizione della Corte dei Conti. Ben
diverso è il caso in cui la prestazione di contenuto g enericamente
previdenziale sia dovuta al lavoratore come prestazione del datore di lavoro
nell'ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale, anche se
il fondo all'uopo costituito sia alimentato dai contributi a carico anche dei
lavoratori. Ed infatti le somme in tal modo raccolte appartengono ai soggetti
del rapporto di lavoro e costituiscono l'accantonamento di una parte della
retribuzione a fini previdenziali (così realizzandosi, ma per il tramite della
retribuzione, la funzione previdenziale di cui all'art. 38 Cost.), ed hanno
perciò natura del tutto diversa da quella assunta dai contributi previdenziali
obbligatori.
La stretta inerenza sostanziale al
rapporto di impiego, tale che la contribuzione non è altro che una parte della
prestazione retributiva, si riflette sulla determinazione della giurisdizione,
nel senso che le relative controversie sono devolute al giudice del rapporto”, e
quindi al g.a. in via esclusiva o a quello ordinario a seconda che siano
attinenti, ai sensi dell'art. 45, comma 17, d.lg. n. 80 del 1998 (cui ora
corrisponde l'art. 69, comma 7, d.lg. n. 165 del 2001), a questioni sorte in un
periodo antecedente o successivo al 30 giugno 1998, con riferimento, ove la
lesione del diritto del lavoratore sia prodotta da un atto formale, all'epoca
della sua emanazione (Cass. civ., Sez. Un., 12 ottobre 2009, n.
21554).
Nel caso di specie, si verte
peraltro in ordine alla previdenza complementare degli appartenenti al Corpo
della Guardia di Finanza.
In tale ipotesi, trattandosi di
personale sottratto alla privatizzazione del rapporto di impiego (art. 3, comma
1, del d.lgs. n. 165/2001) permane la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo sulle “controversie relative ai rapporti di lavoro [...] ivi
comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi” (art. 63, comma 4,
decreto ult. cit.).
Per quanto occorrer possa, si rileva
che il legislatore ha disegnato la previdenza complementare del personale
rimasto in regime di diritto pubblico come attinente al rapporto di
impiego.
Infatti, secondo l’art. 3, comma 1,
lett. b, del d.lgs. n. 195 del 1995, formano oggetto di contrattazione, tra gli
altri, “b) il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche
complementari, ai sensi dell'articolo 26, comma 20, della legge 23 dicembre
1998, n. 448”.
Tale norma, richiama a sua volta, le
“forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del decreto
legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni”, recante la
disciplina generale della materia tanto per l’impiego pubblico quanto per
l’impiego privato, ed imperniata sulla creazione di “fondi pensione” ad adesione
volontaria.
Ne consegue che, correttamente, la
controversia in esame è stata incardinata innanzi al giudice amministrativo,
che ne conosce in sede di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. i
del Codice del Processo Amministrativo).
2. Ciò posto, tuttavia, il ricorso
è inammissibile, per difetto di legittimazione ad
agire.
Al riguardo, il Collegio non può
che richiamarsi ai numerosi precedenti resi, in materia, dalla I^ Sezione di
questo Tribunale amministrativo (cfr., ex plurimis, TAR Lazio, sez.I^, 8
marzo 2011, n. 2092; Cons. St., sez. IV, n. 5698/2011).
2.1. Com'è noto, la riforma
previdenziale di cui alla c.d. legge “Dini” (legge 8 agosto 1995, n. 335) ha
introdotto per la liquidazione delle pensioni a carico dell’assicurazione
generale obbligatoria e delle altre forme sostitutive ed esclusive della
medesima un nuovo sistema contributivo, confermando il previgente sistema
retributivo per i lavoratori con anzianità contributiva di almeno diciotto anni
alla data del 31 dicembre 1995 e istituendo un regime misto per i lavoratori con
anzianità contributiva inferiore a diciotto anni alla stessa data del 31
dicembre 1995 (art. 1 commi 6 e 12); il successivo art. 2 della legge ha poi
previsto la “trasformazione” per i lavoratori pubblici dei trattamenti di fine
servizio in trattamenti di fine rapporto, ossia la loro omogeneizzazione alle
previsioni dell'art. 2120 cod. civ. (comma 5), deman dando alla contrattazione
collettiva nazionale la relativa disciplina e i relativi adeguamenti della
struttura retributiva e previdenziale, anche ai fini dell'attuazione della c.d.
previdenza complementare (comma 6), e ciò anche per i lavoratori già occupati
al 31 dicembre 1995 (comma 7).
Come già accennato, le c.d. forme di
previdenza complementare per l’erogazione di trattamenti pensionistici
complementari del sistema obbligatorio pubblico sono state introdotte dal d.lgs.
21 aprile 1993, n. 124 per i lavoratori sia privati che pubblici (art. 2 lettera
a), demandandone l'istituzione, quanto al personale pubblico, ai contratti
collettivi e, per il personale non contrattualizzato, ossia in regime di diritto
pubblico, alle norme dei rispettivi ordinamenti (art. 3 comma 2); disposizioni
analoghe sono state poi dettate dal d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 che ha
riformulato la disciplina delle forme di previdenza
complementare.
Con particolare riguardo al
personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, il d.lgs. 12 maggio 1995,
n. 195, ha rinviato la disciplina del rapporto di lavoro, ivi compreso il
trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari,
rispettivamente alla contrattazione collettiva (per le forze di polizia a
ordinamento civile: art. 3) e a procedure di concertazione (per le forze di
polizia a ordinamento militare: art. 4 e per le forze armate: art.
5).
Le procedure di concertazione sono
regolate dall'art. 7 del d.lgs. n. 195 del 1995 (come modificato dal d.lgs. 31
marzo 2000, n. 129); avviate dal Ministro della funzione pubblica (ora Ministro
per la pubblica amministrazione e l’innovazione), con il coinvolgimento,
rispettivamente, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per
il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, e del Comitato
centrale di rappresentanza (COCER) interforze.
Dette procedure “ [...] hanno inizio
contemporaneamente e si sviluppano con carattere di contestualità nelle fasi
successive [...]”, ivi compresa la sottoscrizione dell’ipotesi di accordo
sindacale (per le forze di polizia a ordinamento civile) e dello schema di
provvedimento (per il personale delle forze armate e di polizia a ordinamento
militare), anche con convocazioni congiunte delle delegazioni di parte pubblica,
dei rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa, dei Comandi generali
dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e dei COCER e delle
organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale delle forze di
polizia ad ordinamento civile.
Infine, l’ipotesi di accordo
economico collettivo e lo schema di provvedimento, corredati dai prescritti
prospetti (che indicano personale interessato, costi unitari, oneri riflessi del
trattamento economico, quantificazione complessiva della spesa, diretta ed
indiretta), esaminate le eventuali osservazioni, sono approvati dal Consiglio
dei Ministri, che autorizza la sottoscrizione degli accordi e fissa i contenuti
dello schema di provvedimento, successivamente “recepiti con i decreti del
Presidente della Repubblica di cui all'articolo 1, comma 2, per i quali si
prescinde dal parere del Consiglio di Stato”.
L'art. 26 comma 20 della legge
finanziaria 23 dicembre 1998, n. 448, con norma d'interpretazione autentica, ha
chiarito che compete alle procedure di negoziazione e concertazione testé
illustrate, la definizione, per il personale delle forze di polizia a
ordinamento civile e militare e delle forze armate, della disciplina del
trattamento di fine rapporto e l'istituzione di forme di previdenza
complementare.
L'art. 67 del d.P.R. 16 marzo 1999,
n. 254 ha ribadito che le procedure di negoziazione e concertazione, in prima
applicazione, provvedono a definire (salva la volontarietà dell'adesione ai
fondi pensione):
“a) la costituzione di uno o più
fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e
delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare [...] anche verificando
la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle
normative richiamate per i lavoratori del pubblico
impiego;
b) la misura percentuale della quota
di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal
lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote
stesse;
c) le modalità di trasformazione
della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per
gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di
trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza
complementare”.
2.2. Così delineato, in estrema
sintesi, il quadro di riferimento normativo, deve rilevarsi che il ricorrente
censura il silenzio-inadempimento in ordine alla mancata definizione delle
procedure di negoziazione e concertazione di cui all’art. 7del d.lgs. n. 195 del
1995, da ultimo citato.
Orbene, è del tutto evidente che i
dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del
decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di
concertazione sono titolari di un interesse “finale”, ovvero della posizione
soggettiva destinata a sorgere per effetto di tale concertazione, e non già di
un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e
conclusione dei procedimenti “negoziali” in
oggetto.
Tale interesse (assimilabile agli
interessi legittimi procedimentali), appartiene, semmai, esclusivamente alle
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di
polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre
quali organismi esponenziali d'interessi collettivi chiamati a partecipare ai
predetti procedimenti.
Per quanto occorrer possa si
evidenzia ancora, che, se anche le amministrazioni competenti si attivassero,
l’effettivo avvio del procedimento di concertazione, preliminare all’adozione
dello schema di atto da emanarsi nella forma di d.P.R., non potrebbe che
dipendere anche da una concorrente e convergente volontà delle organizzazione
sindacali summenzionate (quest’ultima, ovviamente, di natura squisitamente
negoziale).
E’ pertanto evidente che, allo
stato, il ricorrente non è titolare né di un diritto soggettivo, né di un
interesse legittimo, potendo semmai riconoscersi un interesse di tal fatta (di
carattere strumentale) solo in capo alle organizzazioni sindacali legittimate a
partecipare alle procedure di contrattazione
collettiva.
L’assenza di una posizione
soggettiva tutelabile attraverso lo strumento del silenzio – rifiuto, è poi
resa particolarmente evidente, nel caso in esame, dalla natura normativa
dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di
rapporti di pubblico impiego (cfr., al riguardo, Cons. St., sez. IV, 7 luglio
2009, n. 4351).
Ne deriva che l’odierno ricorrente non
è legittimato a partecipare a detto procedimento, non essendo titolare di un
interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma
attributiva del potere, con la previsione di un correlato obbligo di provvedere
in capo alle amministrazioni competenti.
3. In conclusione, il ricorso deve
essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione ad
agire.
Tuttavia, in ragione della natura
degli interessi coinvolti, appare equo compensare integralmente tra le parti le
spese e gli onorari di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo
Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II^, definitivamente pronunciando sul
ricorso di cui in premessa, lo dichiara inammissibile.
Spese
compensate.
Così deciso in Roma nella camera di
consiglio del giorno 19 giugno 2013 con l'intervento dei
magistrati:
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