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domenica 1 settembre 2013

NUOVA INVERSIONE DI ROTTA DEL TAR LAZIO SULLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: NON E' IL SINGOLO FINANZIERE CHE PUO' CHIEDERE L'AVVIO DEL PROCEDIMENTO.


Riceviamo da Ficiesse e pubblichiamo

NUOVA INVERSIONE DI ROTTA DEL TAR LAZIO SULLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE: NON E' IL SINGOLO FINANZIERE CHE PUO' CHIEDERE L'AVVIO DEL PROCEDIMENTO.

 
Pubblichiamo una recentissima sentenza del TAR del Lazio (Sez. Seconda), il quale, contrariamente a quanto deciso in altra Sentenza (Sezione Prima bis) già pubblicata e relativa alle Forze Armate, ha statuito nuovamente che il singolo Finanziere non è legittimato a chiedere l'inizio del procedimento di concertazione per la previdenza complementare, ma che si tratta di un interesse in capo al CoCeR.

 

 

 
N. 07715/2013 REG.PROV.COLL.
N. 03936/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA


IN NOME DEL POPOLO ITALIANO


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio


(Sezione Seconda)


ha pronunciato la presente
 
 
SENTENZA


sul ricorso numero di registro generale 3936 del 2013, proposto da:
************, rappresentato e difeso dagli avv.ti ************ 
 
 
contro
 Ministero dell’Economia e delle Finanze, Comando Generale della Guardia di Finanza, Presidenza del Consiglio Dei Ministri, tutti rappresentati e difesi ope legis dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale domiciliano, in Roma, via dei Portoghesi, 12; 
Ministero della Pubblica Amministrazione e l’Innovazione, n.c.;


per fare accertare e dichiarare


l’obbligo delle intimate amministrazioni, odierne resistenti, a concludere, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo di cui in prosieguo.




Visto il ricorso con i relativi allegati;


Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate,


Vista la memoria difensiva dell’Avvocatura dello Stato;


Visti tutti gli atti della causa;


Relatore alla camera di consiglio del giorno 19 giugno 2013 il Cons. Silvia Martino;


Uditi gli avv.ti delle parti, come da verbale;


Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:




FATTO e DIRITTO


1. Il ricorrente, maresciallo aiutante della Guardia di Finanza, rappresenta di avere intimato, tra le altre, le resistenti amministrazioni affinché pongano in essere ogni provvedimento di loro competenza per attivare il c.d. “Secondo Pilastro previdenziale” (la previdenza complementare).


All’uopo ha richiamato il combinato disposto di cui agli artt. 1, 2, 4 e 7 del d.lgs. n. 195 del 1995,a norma delle quali ritiene che l’Apparato Pubblico abbia l’obbligo di attivarsi concretamente a tal fine.


Ha in particolare invocato, nel corpo della diffida, un precedente reso dalla sezione I^ bis di questo Tribunale (sentenza n. 12867/2009), che ha riconosciuto l’esistenza di un interesse legittimo, da parte del personale contemplato dalle norme di cui sopra, a che l’amministrazione eserciti i poteri che, all’uopo, le sono stati conferiti.


Nell’inerzia delle amministrazioni intimate, ha quindi notificato il presente ricorso, al fine di sentire dichiarare il loro obbligo di concludere, mediante l’adozione di un provvedimento espresso, il procedimento amministrativo di cui è causa.


Si sono costituiti, per resistere, il MEF e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, depositando una memoria.


Il ricorso è stato quindi assunto per la decisione alla camera di consiglio del 19 giugno 2013.


2. In via preliminare, deve respingersi l’eccezione preliminare svolta dall’Avvocatura dello Stato, secondo cui la controversia in esame appartiene alla giurisdizione della Corte dei Conti.


E’ noto, infatti, che, secondo la Corte regolatrice, ai fini della determinazione delle giurisdizione “non è sufficiente la natura latamente previdenziale della prestazione richiesta, ma occorre altresì che tale prestazione sia dovuta da un ente preposto alla previdenza obbligatoria nell’ambito di un rapporto (previdenziale, appunto) che trovi fonte esclusiva nella legge e abbia causa, soggetti e contenuto diversi rispetto al rapporto di lavoro, il quale a sua volta si ponga rispetto al rapporto previdenziale come mero presupposto di fatto e non come momento genetico del diritto alla prestazione. Ove sussistano questi requisiti, vi è la giurisdizione del giudice ordinario anche quando il lavoratore sia un pubblico impiegato, salvo beninteso il caso di giurisdizione della Corte dei Conti. Ben diverso è il caso in cui la prestazione di contenuto g enericamente previdenziale sia dovuta al lavoratore come prestazione del datore di lavoro nell'ambito di una forma di previdenza interna a carattere aziendale, anche se il fondo all'uopo costituito sia alimentato dai contributi a carico anche dei lavoratori. Ed infatti le somme in tal modo raccolte appartengono ai soggetti del rapporto di lavoro e costituiscono l'accantonamento di una parte della retribuzione a fini previdenziali (così realizzandosi, ma per il tramite della retribuzione, la funzione previdenziale di cui all'art. 38 Cost.), ed hanno perciò natura del tutto diversa da quella assunta dai contributi previdenziali obbligatori.


La stretta inerenza sostanziale al rapporto di impiego, tale che la contribuzione non è altro che una parte della prestazione retributiva, si riflette sulla determinazione della giurisdizione, nel senso che le relative controversie sono devolute al giudice del rapporto”, e quindi al g.a. in via esclusiva o a quello ordinario a seconda che siano attinenti, ai sensi dell'art. 45, comma 17, d.lg. n. 80 del 1998 (cui ora corrisponde l'art. 69, comma 7, d.lg. n. 165 del 2001), a questioni sorte in un periodo antecedente o successivo al 30 giugno 1998, con riferimento, ove la lesione del diritto del lavoratore sia prodotta da un atto formale, all'epoca della sua emanazione (Cass. civ., Sez. Un., 12 ottobre 2009, n. 21554).


Nel caso di specie, si verte peraltro in ordine alla previdenza complementare degli appartenenti al Corpo della Guardia di Finanza.


In tale ipotesi, trattandosi di personale sottratto alla privatizzazione del rapporto di impiego (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 165/2001) permane la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle “controversie relative ai rapporti di lavoro [...] ivi comprese quelle attinenti ai diritti patrimoniali connessi” (art. 63, comma 4, decreto ult. cit.).


Per quanto occorrer possa, si rileva che il legislatore ha disegnato la previdenza complementare del personale rimasto in regime di diritto pubblico come attinente al rapporto di impiego.


Infatti, secondo l’art. 3, comma 1, lett. b, del d.lgs. n. 195 del 1995, formano oggetto di contrattazione, tra gli altri, “b) il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, ai sensi dell'articolo 26, comma 20, della legge 23 dicembre 1998, n. 448”.


Tale norma, richiama a sua volta, le “forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni”, recante la disciplina generale della materia tanto per l’impiego pubblico quanto per l’impiego privato, ed imperniata sulla creazione di “fondi pensione” ad adesione volontaria.


Ne consegue che, correttamente, la controversia in esame è stata incardinata innanzi al giudice amministrativo, che ne conosce in sede di giurisdizione esclusiva (art. 133, comma 1, lett. i del Codice del Processo Amministrativo).


2. Ciò posto, tuttavia, il ricorso è inammissibile, per difetto di legittimazione ad agire.


Al riguardo, il Collegio non può che richiamarsi ai numerosi precedenti resi, in materia, dalla I^ Sezione di questo Tribunale amministrativo (cfr., ex plurimis, TAR Lazio, sez.I^, 8 marzo 2011, n. 2092; Cons. St., sez. IV, n. 5698/2011).


2.1. Com'è noto, la riforma previdenziale di cui alla c.d. legge “Dini” (legge 8 agosto 1995, n. 335) ha introdotto per la liquidazione delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle altre forme sostitutive ed esclusive della medesima un nuovo sistema contributivo, confermando il previgente sistema retributivo per i lavoratori con anzianità contributiva di almeno diciotto anni alla data del 31 dicembre 1995 e istituendo un regime misto per i lavoratori con anzianità contributiva inferiore a diciotto anni alla stessa data del 31 dicembre 1995 (art. 1 commi 6 e 12); il successivo art. 2 della legge ha poi previsto la “trasformazione” per i lavoratori pubblici dei trattamenti di fine servizio in trattamenti di fine rapporto, ossia la loro omogeneizzazione alle previsioni dell'art. 2120 cod. civ. (comma 5), deman dando alla contrattazione collettiva nazionale la relativa disciplina e i relativi adeguamenti della struttura retributiva e previdenziale, anche ai fini dell'attuazione della c.d. previdenza complementare (comma 6), e ciò anche per i lavoratori già occupati al 31 dicembre 1995 (comma 7).


Come già accennato, le c.d. forme di previdenza complementare per l’erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico sono state introdotte dal d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124 per i lavoratori sia privati che pubblici (art. 2 lettera a), demandandone l'istituzione, quanto al personale pubblico, ai contratti collettivi e, per il personale non contrattualizzato, ossia in regime di diritto pubblico, alle norme dei rispettivi ordinamenti (art. 3 comma 2); disposizioni analoghe sono state poi dettate dal d.lgs. 5 dicembre 2005, n. 252 che ha riformulato la disciplina delle forme di previdenza complementare.


Con particolare riguardo al personale delle Forze di Polizia e delle Forze Armate, il d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195, ha rinviato la disciplina del rapporto di lavoro, ivi compreso il trattamento di fine rapporto e le forme pensionistiche complementari, rispettivamente alla contrattazione collettiva (per le forze di polizia a ordinamento civile: art. 3) e a procedure di concertazione (per le forze di polizia a ordinamento militare: art. 4 e per le forze armate: art. 5).


Le procedure di concertazione sono regolate dall'art. 7 del d.lgs. n. 195 del 1995 (come modificato dal d.lgs. 31 marzo 2000, n. 129); avviate dal Ministro della funzione pubblica (ora Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione), con il coinvolgimento, rispettivamente, delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile, e del Comitato centrale di rappresentanza (COCER) interforze.


Dette procedure “ [...] hanno inizio contemporaneamente e si sviluppano con carattere di contestualità nelle fasi successive [...]”, ivi compresa la sottoscrizione dell’ipotesi di accordo sindacale (per le forze di polizia a ordinamento civile) e dello schema di provvedimento (per il personale delle forze armate e di polizia a ordinamento militare), anche con convocazioni congiunte delle delegazioni di parte pubblica, dei rappresentanti dello Stato Maggiore della Difesa, dei Comandi generali dell'Arma dei carabinieri e della Guardia di finanza e dei COCER e delle organizzazioni sindacali rappresentative sul piano nazionale delle forze di polizia ad ordinamento civile.


Infine, l’ipotesi di accordo economico collettivo e lo schema di provvedimento, corredati dai prescritti prospetti (che indicano personale interessato, costi unitari, oneri riflessi del trattamento economico, quantificazione complessiva della spesa, diretta ed indiretta), esaminate le eventuali osservazioni, sono approvati dal Consiglio dei Ministri, che autorizza la sottoscrizione degli accordi e fissa i contenuti dello schema di provvedimento, successivamente “recepiti con i decreti del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 1, comma 2, per i quali si prescinde dal parere del Consiglio di Stato”.


L'art. 26 comma 20 della legge finanziaria 23 dicembre 1998, n. 448, con norma d'interpretazione autentica, ha chiarito che compete alle procedure di negoziazione e concertazione testé illustrate, la definizione, per il personale delle forze di polizia a ordinamento civile e militare e delle forze armate, della disciplina del trattamento di fine rapporto e l'istituzione di forme di previdenza complementare.


L'art. 67 del d.P.R. 16 marzo 1999, n. 254 ha ribadito che le procedure di negoziazione e concertazione, in prima applicazione, provvedono a definire (salva la volontarietà dell'adesione ai fondi pensione):


a) la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare [...] anche verificando la possibilità di unificarlo con analoghi fondi istituiti ai sensi delle normative richiamate per i lavoratori del pubblico impiego;


b) la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle Amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore, nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse;


c) le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare”.


2.2. Così delineato, in estrema sintesi, il quadro di riferimento normativo, deve rilevarsi che il ricorrente censura il silenzio-inadempimento in ordine alla mancata definizione delle procedure di negoziazione e concertazione di cui all’art. 7del d.lgs. n. 195 del 1995, da ultimo citato.


Orbene, è del tutto evidente che i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse “finale”, ovvero della posizione soggettiva destinata a sorgere per effetto di tale concertazione, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti “negoziali” in oggetto.


Tale interesse (assimilabile agli interessi legittimi procedimentali), appartiene, semmai, esclusivamente alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (quanto alle forze di polizia a ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, sempre quali organismi esponenziali d'interessi collettivi chiamati a partecipare ai predetti procedimenti.


Per quanto occorrer possa si evidenzia ancora, che, se anche le amministrazioni competenti si attivassero, l’effettivo avvio del procedimento di concertazione, preliminare all’adozione dello schema di atto da emanarsi nella forma di d.P.R., non potrebbe che dipendere anche da una concorrente e convergente volontà delle organizzazione sindacali summenzionate (quest’ultima, ovviamente, di natura squisitamente negoziale).


E’ pertanto evidente che, allo stato, il ricorrente non è titolare né di un diritto soggettivo, né di un interesse legittimo, potendo semmai riconoscersi un interesse di tal fatta (di carattere strumentale) solo in capo alle organizzazioni sindacali legittimate a partecipare alle procedure di contrattazione collettiva.


L’assenza di una posizione soggettiva tutelabile attraverso lo strumento del silenzio – rifiuto, è poi resa particolarmente evidente, nel caso in esame, dalla natura normativa dell’atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego (cfr., al riguardo, Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2009, n. 4351).


Ne deriva che l’odierno ricorrente non è legittimato a partecipare a detto procedimento, non essendo titolare di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere, con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle amministrazioni competenti.


3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione ad agire.


Tuttavia, in ragione della natura degli interessi coinvolti, appare equo compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari di giudizio.


P.Q.M.


Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sede di Roma, sez. II^, definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in premessa, lo dichiara inammissibile.


Spese compensate.


Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

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