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venerdì 9 maggio 2014

Audizione del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, sulle linee programmatiche presso le commissioni riunite I e XI della Camera dei deputati


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2 aprile 2014
Audizione del Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione,
Marianna Madia, sulle linee programmatiche presso le commissioni riunite I e XI
della Camera dei deputati
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Provo una certa emozione, dopo diversi anni in cui ho svolto il mio mandato parlamentare,
nel trovarmi da questa “parte del tavolo”. Proprio l’impegno in commissione Lavoro della
Camera mi ha insegnato quanto sia prezioso lo scambio costante tra Governo e Parlamento.
Spesso, quando si parla di pubblica amministrazione, si corre il rischio di cadere in due
errori: si seguono formule di ragionamento basate solo su numeri, costi e voci di spesa; oppure
si cede alla tentazione dell’astrattezza accademica, inseguendo teorie giuridiche o modelli
economici che non tengono conto della realtà del contesto amministrativo.
Ciò che manca è una visione d’insieme del modo in cui il pubblico potere, in tutte le sue
articolazioni, debba essere organizzato per la gestione virtuosa della cosa pubblica.
Il governo della PA richiede di decidere in modo semplice e chiaro alcune cose
fondamentali: chi fa che cosa, come va fatto e con quali costi.
Per questo oggi non intendo dilungarmi in analisi astratte o in mere rappresentazioni
contabili della realtà amministrativa. Intendo indicare in modo chiaro 6 obiettivi con precise
azioni per realizzarli.
Obiettivo 1: Semplificare l’amministrazione, il suo linguaggio, la sua azione.
Governare è complicato, perché sono tanti i problemi di cui farsi carico e tante le
esigenze da prendere in considerazione. Ma spesso complichiamo inutilmente le regole e la loro
attuazione, a danno dei cittadini e delle imprese, ai quali ci rivolgiamo con norme illeggibili,
circolari incomprensibili, frammentazione di competenze, adempimenti ingiustificati. Abbiamo
un’amministrazione troppo complicata e dobbiamo semplificarla. La semplificazione deve
diventare semplicità per la vita quotidiana di cittadini e imprese.
a) Semplificare la semplificazione
Perché la semplificazione sia consapevole, occorre che abbia una guida forte. I cittadini si
aspettano un rapporto semplice con l’amministrazione. Le imprese pretendono che le norme
siano attuate. La fase attuativa è importante almeno quanto la fase di redazione e
approvazione delle norme; troppo spesso abbiamo assistito a norme annunciate, persino
formalmente approvate, ma delle quali cittadini e imprese non hanno mai concretamente
beneficiato, perché bloccate nella fase di attuazione. Vogliamo mettere in campo, da subito,
un nuovo modello operativo. Con Anci e Conferenza delle regioni siamo già d’accordo per
realizzare un sistema di coordinamento della semplificazione. Il compito del coordinamento è
“blindare” l’intesa attuativa su tutti i provvedimenti, prima ancora che vengano approvati.
Raggiunta l’intesa, mi impegno a far adottare le misure dal Consiglio dei Ministri; Anci e
Conferenza delle Regioni si impegnano, a loro volta, a garantirne la tempestiva attuazione sul
territorio.
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Le prime intese potrebbero riguardare l’introduzione di modelli uniformi per regioni e
comuni: un modello unico standardizzato per il permesso di costruire; un modello unico
standardizzato per la SCIA edilizia; un modello unico per l’autorizzazione unica ambientale.
Modelli che il cittadino possa scaricare da Internet e compilare, in qualsiasi comune si trovi il
suo immobile.
Infine, può sembrare un paradosso, ma occorre semplificare e riordinare l’intera
normativa sulla semplificazione.
b) Impegni per l’attuazione delle misure già previste
Nell’azione di semplificazione non si parte da zero. Ci sono tante norme, già approvate dal
Parlamento, che aspettano la piena attuazione. Tra i primi atti ci sarà certamente l’immediata
accelerazione di alcuni percorsi attuativi tra i quali mi preme citare la riduzione degli
adempimenti richiesti alle persone con disabilità per ottenere le prestazioni a cui hanno
diritto.
c) Le prime nuove misure
Dobbiamo intervenire anzitutto in materia fiscale, per ridurre il tempo e le energie che i
contribuenti devono dedicare a pagare le tasse. Per esempio attraverso l’invio della
dichiarazione dei redditi precompilata per pensionati e lavoratori dipendenti. Altre misure
riguardano diverse materie per le quali la domanda di semplificazione è forte: come l’edilizia,
l’ambiente, le successioni, il rilascio dei titoli di studio, le prescrizioni mediche. Non si tratta
di sacrificare in alcun modo le esigenze di garanzia per le quali questi adempimenti sono
previsti, ma di ridurre i tempi, eliminare le duplicazioni, indurre le amministrazioni a
comunicare tra loro.
Il Governo si doterà di un’agenda per la semplificazione, che definisca obiettivi,
responsabilità, scadenze e modalità di verifica dei risultati previsti. Ciò va fatto con il
continuo coinvolgimento dei destinatari della semplificazione, cioè cittadini e imprese: da
questo punto di vista, sono particolarmente interessanti i risultati della consultazione del
Dipartimento della Funzione pubblica in materia di semplificazione, che saranno presto
pubblicati online.
Obiettivo 2: Garantire la trasparenza con azioni concrete.
Le amministrazioni vengono troppo spesso percepite come ostacoli al godimento dei diritti
o allo svolgimento delle attività private. Si può migliorare il modo in cui le amministrazioni
interagiscono con i privati: puntando sulla trasparenza che deve riguardare le persone, i costi
e i dati.
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La prima innovazione ho voluto introdurla a partire dalle persone: il metodo delle
autocandidature pubbliche, con cv e motivazioni, utilizzato per la selezione del nuovo
Presidente Istat, come dei 4 membri dell’Autorità anticorruzione, deve divenire una buona
pratica di riferimento per le scelte che riguardano alte responsabilità nell’amministrazione. I
cittadini devono sapere chi sono i candidati a una determinata carica. E la politica deve dare
l’esempio, per questo renderemo pubblica la composizione degli uffici di diretta collaborazione
di tutti i ministri di questo Governo. Negli ultimi anni si è molto insistito, giustamente, sulla
trasparenza “strumentale” relativa all’uso delle risorse pubbliche. Vorrei che ogni
contribuente sapesse come vengono spesi, concretamente, i soldi che ha pagato. E vorrei che
comparissero online, come peraltro già previsto dalla legge, informazioni sull’organizzazione
amministrativa, sulle dotazioni organiche e sul rispetto dei termini procedimentali.
Oltre alla trasparenza “strumentale”, peraltro, occorre puntare su quella “finale”, relativa
ai risultati prodotti dall’azione amministrativa. In questo senso bisogna segnalare l’esistenza
di un grave problema di certezza dei dati. Siamo un paese che non conosce più se stesso. I
dati frammentari e non condivisi sulla pubblica amministrazione sono una delle nostre maggiori
debolezze. Abbiamo tante banche dati, che spesso non comunicano e forniscono numeri diversi
per lo stesso fenomeno. Dati certi e affidabili sono indispensabili sia alla politica per prendere
decisioni, sia ai cittadini per valutare i servizi offerti dalle singole amministrazioni (scuole,
ospedali, università etc.)
Iniziamo facendo rispettare il testo unico della trasparenza del 2013. E, direi, anche
colmando il ritardo clamoroso che registriamo sugli “open data”.
Sono certa, peraltro, che la presidenza del Consiglio voglia investire sull’agenda digitale,
con un coordinamento vero e forte tra amministrazioni, nella gestione dei sistemi informatici
e dei siti Intenet, ma anche partendo da cose concrete: anagrafe unica e identità digitale,
fatturazione elettronica, digitalizzazione del processo civile.
Su questo terreno dobbiamo utilizzare al meglio la programmazione dei fondi europei
2014-2020: l’Europa ci chiede di impiegarli anche per migliorare la nostra capacità
amministrativa.
Obiettivo 3: Riportare le persone e le loro competenze al centro dell’azione
amministrativa.
La pubblica amministrazione, per funzionare, ha bisogno delle persone e delle loro
professionalità. Non basta disegnare in modo astratto processi organizzativi, né piani
strategici di spesa, se non si è grado di valorizzare al meglio il contributo professionale delle
donne e degli uomini a cui lo Stato domanda di realizzare i propri programmi e senza che le
stesse persone si sentano protagonisti attivi dei cambiamenti che vogliamo apportare. Per
questo noi dobbiamo rimettere le persone al centro del processo di rilancio
dell’amministrazione pubblica. Rimettere le persone al centro significa saper valorizzare al
meglio le professionalità delle donne e degli uomini che operano nell’amministrazione, ma anche
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introdurre processi virtuosi di rinnovamento, anche generazionale, avendo la capacità di
scegliere le competenze giuste, al posto giusto, per il tempo giusto.
a) Il progetto “staffetta generazionale”
In queste settimane si è tanto discusso, a proposito di revisione della spesa, sulla quale
tornerò più avanti, in merito al presunto blocco del turnover. L’amministrazione non può
permettersi, e nemmeno serve, alcun blocco. Il blocco delle assunzioni è un meccanismo
“orizzontale” e non selettivo, mentre è necessario fare scelte consapevoli per operare una
razionale redistribuzione. L’amministrazione ha bisogno di cambiamento, di rinnovamento e di
nuove competenze fresche. Per questo la prima azione sarà un grande progetto di “staffetta
generazionale” nella PA: va avviato un processo di riduzione non traumatica dei dirigenti e, più
in generale, dei dipendenti vicini alla pensione, per favorire l’ingresso di giovani. Se non si fa,
non ci può essere il rinnovamento della pubblica amministrazione, ma la sua agonia, con il
rischio di alimentare un scontro tra una generazione che ha dato molto ma ha anche potuto
beneficiare delle condizioni di una diversa fase storica e le nuove generazioni cui, per
garantire la quadratura dei conti, stiamo facendo pagare, anche nella pubblica
amministrazione, il prezzo altissimo del blocco degli accessi e di un precariato perenne.
Abbiamo l’assoluta necessità di garantire la continuità del reclutamento – in una fase cruciale
di modernizzazione, semplificazione e digitalizzazione del settore pubblico – anche in un
periodo di crisi finanziaria, che impone di trovare le risorse per le nuove assunzioni.
Questa operazione, che non vuole a mettere in discussione gli equilibri realizzati con la
riforma della previdenza attuata nel dicembre 2011, garantirebbe da un lato una forte
iniezione di indispensabile rinnovamento, dall’altro un risparmio complessivo per le casse dello
Stato, dato dalla differenza tra gli stipendi attualmente pagati e quelli dei neo assunti, al
netto della spesa per le pensioni erogate in anticipo.
b) Garanzie per i vincitori di concorso e punteggi aggiuntivi per i precari
Quando si parla di nuovi accessi alla PA, si deve necessariamente tenere conto di due
fenomeni: i vincitori di concorso non assunti e il drammatico problema dei precari. Sul primo
punto, si deve affermare il principio che tutti coloro che hanno vinto un concorso pubblico,
hanno diritto all’assunzione. Pertanto, una quota dei nuovi ingressi che stimiamo, sarà
necessariamente riservata a queste persone. Per tutte le altre categorie dobbiamo essere
responsabili nell’affermare il principio che coloro che non hanno vinto un concorso pubblico non
hanno gli stessi diritti di coloro che un concorso per un impiego a tempo indeterminato lo
hanno sostenuto e superato. Parificheremmo in modo ingiusto situazioni diseguali. Al
contempo, non si può fare a meno di affrontare con la dovuta serietà questo problema, che
porta con sé risvolti sociali rilevanti, anche con drammatici impatti sulla vita di molte persone,
e ci espone a procedure di infrazione e condanne in sede europea.
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Inutile qui stigmatizzare gli abusi che negli anni si sono compiuti nell’utilizzo di lavoro
precario per far fronte ad esigenze, vere o presunte, di molte amministrazioni, sia al livello
centrale che a livello locale. Il risultato, che dobbiamo affrontare, è una platea di centinaia di
migliaia di persone. Fermo restando i processi avviati con il decreto-legge n. 101 del 2013,
pensiamo che la soluzione più idonea da percorrere sia il riconoscimento a questi soggetti di un
certo punteggio nei futuri concorsi, aperti a tutti, che verranno banditi in applicazione del
progetto “staffetta generazionale”.
c) La mobilità
Le risorse umane, anche le migliori selezionabili, rischiano di non produrre i risultati
necessari se il sistema non è in grado di utilizzarle al meglio, mettendo le persone giuste al
posto giusto. L’attuale disciplina della mobilità del personale non ha impedito di avere uffici in
forte carenza di personale e altri con palesi eccedenze.
La nostra amministrazione ha bisogno di un piano strategico di redistribuzione delle
risorse. Questa azione non si risolve in un intervento una tantum. Occorre un ruolo di
coordinamento forte della Funzione pubblica, che abbia due compiti: una mappatura completa
delle competenze oggi presenti in tutti i nostri uffici, d’intesa con tutte le amministrazioni
pubbliche, e una pianificazione dei fabbisogni di personale, presenti e futuri. Dobbiamo
determinare gli spostamenti di personale necessari, superando così l’attuale ingessatura del
sistema, determinata anche da una scarsa disponibilità delle singole amministrazioni, che
troppo spesso agiscono come monadi invece di pensarsi all’interno di un sistema. La mobilità
che serve deve consentire spostamenti di personale, sia tra i diversi comparti della PA sia tra
diversi livelli amministrativi. Per questo occorre che venga definito un allineamento delle
diverse tabelle retributive e degli inquadramenti.
Obiettivo 4: Dirigenti pubblici protagonisti delle riforme.
La guida della più complessa e importante organizzazione produttiva del paese deve
essere affidata ai migliori dirigenti disponibili. Il rilancio della pubblica amministrazione deve
iniziare dalla testa, riformando il sistema di reclutamento, di carriera e misurazione dei
risultati, valorizzando il prestigio di chi è chiamato a ruoli di direzione nell’amministrazione
della cosa pubblica.
a) Un corpo unitario, una sana competizione al suo interno
L’introduzione di un ruolo unico della dirigenza pubblica, eventualmente articolato per
territorio e per specifici profili professionali, è utile per superare le distorsioni generate
dall’attuale sistema di reclutamento e di carriera. Il ruolo unico ci permette di raggiungere
due importanti obiettivi: mettere ordine nelle retribuzioni (oggi spesso eccessive, sperequate
e caotiche) e consentire una reale mobilità tra le amministrazioni, con la rotazione degli
incarichi.
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Quanto alle procedure di accesso, il sistema di reclutamento e formazione assicurato
dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione ha garantito la selezione di dirigenti di ottimo
livello. L’unificazione dei concorsi, operata dal decreto-legge 101, consente di estendere
questo meccanismo fortemente selettivo anche all’altro 50% della dirigenza. Il reclutamento
e la formazione costituiscono un grande investimento che lo Stato fa in ciascun dirigente
pubblico: questo investimento va valorizzato, con un percorso di carriera che consenta di
impiegare adeguatamente i dirigenti, sottoponendoli a valutazioni periodiche. In questa logica,
credo che vada dato anche un segnale di equità sul sistema retributivo del dirigenti, in modo
da renderlo più comprensibile anche ai cittadini. Da parte nostra abbiamo già emanato, in linea
con gli indirizzi generali di Governo, la circolare che rende operativo il limite di cumulo tra
redditi nel settore pubblico, incluse le pensioni e i vitalizi.
b) Un meccanismo trasparente di attribuzione degli incarichi dirigenziali
La valutazione continua è un punto centrale. Il principio del merito non deve esaurire i suoi
effetti all’atto dell’assunzione, ma accompagnare tutta la vita lavorativa del dipendente
pubblico. Negli anni scorsi è stato costruito un complesso – troppo complesso – sistema di
valutazione, ma non è stata prevista la sua utilizzazione ai fini dello sviluppo della carriera e
dell’attribuzione degli incarichi dirigenziali. Dobbiamo strutturare un sistema trasparente, in
cui gli incarichi siano assegnati sulla base di interpelli accessibili all’intero bacino del ruolo,
diversamente retribuiti e di natura necessariamente temporanea, affinché nessun dirigente
possa rimanere nella stessa postazione oltre un determinato periodo di tempo. Per i dirigenti
che, nel corso della carriera, dovessero ritrovarsi privi di incarico deve essere prevista la
possibilità di ricercare un impiego nel settore privato, pur mantenendo la possibilità di
rientrare nel pubblico qualora vengano selezionati per un successivo interpello.
c) Un mercato della dirigenza pubblica, aperto al contributo di professionalità provenienti
dal privato
L’assegnazione di incarichi dirigenziali a tempo determinato a persone non selezionate con
procedure concorsuali, è attualmente disciplinato dall’articolo 19, comma 6, del decreto
legislativo 165 del 2001. Questo meccanismo, nato dalla felice intuizione di introdurre
temporaneamente professionalità di rilievo nel settore pubblico, si è tramutato in molti casi
in uno strumento utilizzato in maniera distorta. Va riportato a un uso virtuoso, dando modo
all’amministrazione di ricorrere temporaneamente a soggetti che possano apportare
significativi benefici all’amministrazione, attraverso una continua e positiva osmosi tra
settore pubblico e settore privato. Per evitare le distorsioni del passato, dobbiamo introdurre
un meccanismo rigoroso di selezione dei professionisti esterni, ai quali possano essere affidati
incarichi dirigenziali.
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Obiettivo 5: Conciliazione dei tempi di vita e pari opportunità nei ruoli di vertice
Le donne rappresentano la metà della forza lavoro nella pubblica amministrazione.
Tuttavia non sono valorizzate abbastanza, in particolare nelle posizioni di vertice di tutte le
carriere pubbliche. Una causa, se non la principale, della difficoltà delle donne negli impieghi
pubblici sta nell’ancora limitata diffusione di modalità lavorative flessibili, che assicurino la
conciliazione tra lavoro e vita privata. Non voglio cadere nella retorica contrapposizione uomodonna;
occorre invece un’azione che aiuti, senza distinzioni, i lavoratori del settore pubblico a
conciliare vita e lavoro, favorendo la genitorialità e le esigenze di cura familiare. Dobbiamo, in
particolare, puntare al rafforzamento dei meccanismi esistenti di elasticità dell’orario di
lavoro e allo sviluppo di progetti per la diffusione del telelavoro e di altre forme di flessibilità
lavorativa, spaziale e temporale, favorite dall’utilizzo delle nuove tecnologie.
In questo contesto, vorremmo intervenire per:
• rendere il part-time più flessibile;
• fornire indicazioni sugli orari di inizio e di fine delle riunioni;
• incentivare la presenza di nidi nelle amministrazioni al di sopra di un certo numero di
dipendenti;
• favorire l’equilibrio di genere nell’affidamento degli incarichi, anche sulla base della
descritta unificazione dei ruoli.
Obiettivo 6: Utilizzo efficiente del denaro dei cittadini.
La spending review non deve essere solo un intervento emergenziale e non può tradursi in
tagli orizzontali di risorse umane ed economiche, senza alcuna pianificazione selettiva. La
spending review deve essere l’occasione per una grande riorganizzazione dello Stato.
È per questo che dedicheremo il massimo impegno nella definizione e nella realizzazione
della revisione della spesa. Allo stesso modo, proseguiremo sulla strada della lotta alla
corruzione, che sottrae risorse preziose all’amministrazione e, quindi, ai cittadini.
a) La spending review
Sulla spending review occorre essere molto chiari: intendo non solo far rispettare gli
obiettivi di spesa che come Governo ci daremo, ma attuare un piano strutturale di risparmio
vincolato ad un ritorno di investimento nella pubblica amministrazione. Un esempio su tutti: il
piano di risparmi già ipotizzato consentirà di coprire la grande operazione sull’Irpef, ossia 80
euro in più in busta paga, che di fatto significano, per il pubblico impiego, l’equivalente di un
rinnovo contrattuale che altrimenti non sarebbe stato possibile.
I dettagli del piano di revisione della spesa pubblica, come è noto, sono ancora in via di
definizione. Tra gli strumenti che stiamo considerando, vi sono: il piano nazionale di
rinnovamento generazionale di cui ho parlato, la reintroduzione dell’istituto dell’esonero dal
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servizio, un piano di progressiva riduzione dei servizi attualmente esternalizzati, una
riduzione delle attuali retribuzioni dei più alti dirigenti di ogni amministrazione pubblica,
compresi quelli delle società partecipate, la riorganizzazione e l’accorpamento di enti, la
realizzazione della gestione associata di funzioni per i Comuni nonché per i servizi di supporto
nelle amministrazioni centrali.
Con i risparmi aggiuntivi ottenuti con le azioni che ho indicato, intendo finanziare la
staffetta generazionale nella pubblica amministrazione.
Su questo progetto politico sono pronta a un confronto innovativo di idee con le parti
sociali, che ho già iniziato a incontrare.
b) La lotta alla corruzione
Infine, in materia di prevenzione della corruzione, la legge varata dal governo Monti, la n.
190 del 2012, è un buon punto di partenza. E’ un testo che può essere perfezionato, ma che
deve soprattutto essere attuato dal Governo, emanando i regolamenti ancora mancanti; dalle
singole amministrazioni, elaborando le proprie specifiche misure di contrasto alla corruzione;
e dai dirigenti amministrativi, applicando queste misure e vigilando sull’attuazione della legge.
Assieme alla nuova Autorità Anticorruzione presieduta da Raffaele Cantone, siamo pronti
a lanciare un grande programma di prevenzione della corruzione e un nuovo metodo di stretta
sinergia con il Governo, al supporto delle altre amministrazioni per agevolare la rigorosa
applicazione della legge.

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