Translate

giovedì 22 marzo 2018

N. 49 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2017 Ordinanza del 12 dicembre 2017 del G.I.P. del Tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di xxx. Circolazione stradale - Reato di guida sotto l'influenza dell'alcool - Sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica utilita' disposta contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna - Parametri di ragguaglio della sanzione irrogata con quella sostitutiva. - Codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), art. 186, comma 9-bis. (GU n.12 del 21-3-2018 )





N. 49 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2017 
Ordinanza del 12 dicembre 2017 del G.I.P. del Tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di xxx. 
 
Circolazione stradale - Reato di guida sotto l'influenza  dell'alcool
  - Sostituzione  della  pena  inflitta  con  i  lavori  di  pubblica
  utilita' disposta contestualmente all'emissione del decreto  penale
  di condanna - Parametri di ragguaglio della sanzione  irrogata  con
  quella sostitutiva. 
- Codice della strada (d.lgs. 30 aprile  1992,  n.  285),  art.  186,
  comma 9-bis. 
(GU n.12 del 21-3-2018 ) 
 
                         TRIBUNALE DI TORINO 
           Sezione dei giudici per le indagini preliminari 
 
    Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale  di  Torino,
ravvisati profili di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  186,
comma 9-bis decreto legislativo n. 285/1992 in rapporto agli articoli
3 e 25, comma 2 Cost., ritenuta pertanto la necessita'  di  sollevare
ai sensi dell'art. 23, comma 3, legge n.  87/1953  una  questione  di
legittimita' costituzionale, osserva nell'ambito del procedimento  n.
24417/2017  R.G.N.R.  della  Procura  della  Repubblica   presso   il
Tribunale di Torino si contesta a xxx  la  contravvenzione  di  cui
all'art. 186 decreto legislativo n. 285/1992. 
    Alle ore 2,55 circa del 17 ottobre 2017 personale  della  Polizia
stradale  della  sottosezione  di  Torino  sottoponeva  a   controllo
l'autovettura condotta dal predetto imputato, il quale  presentava  i
sintomi tipici dell'ebbrezza. 
    In ragione di cio', il conducente veniva sottoposto  a  controllo
del tasso alcolemico tramite apposita  apparecchiatura  in  dotazione
agli operanti. 
    Tale controllo dava esito positivo, essendo riscontrata nelle due
campionature  eseguite   alle   ore   2,59   e   3,13   la   presenza
rispettivamente di 0,92 e 0,87 g/l di alcool nel sangue. 
    In data  28  novembre  2017,  ravvisati  i  presupposti  indicati
dall'art. 459 c.p.p., la Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Torino  ha  chiesto  emettersi  decreto  penale  di  condanna  nei
confronti del trasgressore per i fatti appena descritti, fondatamente
ipotizzando la seguente imputazione:  «reato  di  cui  all'art.  186,
commi 1 e 2, lettera b) e  comma  2-sexies,  decreto  legislativo  30
aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni,  perche'  si  poneva
alla  guida  del  veicolo  targato  ///  in  stato  di  ebbrezza   in
conseguenza dell'uso di bevande alcoliche (tasso alcolemico accertato
pari a 0,92 g/l alle ore 2,59, 0,87 g/l alle ore 3,13). 
    Con l'aggravante di aver commesso il  fatto  in  orario  notturno
(dopo le ore 22 e prima delle ore 7). 
    Commesso in xxx (Torino) il 17 ottobre 2017». 
    Poste tali premesse in fatto, si ritiene che il  procedimento  al
vaglio di questo giudice non possa essere definito  indipendentemente
dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale  che
ci si accinge a prospettare. 
    Come noto, i procedimenti per decreto previsti dal titolo  V  del
libro VI del codice di procedura  penale  si  caratterizzano  per  il
fatto che i  reati  con  essi  giudicati  debbano  essere  sanzionati
unicamente con pena pecuniaria. 
    L'art. 459, comma  1  c.p.p.  circoscrive,  infatti,  i  casi  di
procedimento per decreto alle ipotesi  in  cui  «si  debba  applicare
soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta  in  sostituzione  di
una pena detentiva». 
    Con l'art. 1, comma 53, legge n. 103/2017, in vigore dal 3 agosto
2017 e quindi pacificamente applicabile al  caso  di  specie,  si  e'
introdotto nel codice di rito l'art. 459, comma 1-bis, ai  sensi  del
quale l'individuazione della pena pecuniaria irrogata in sostituzione
di quella detentiva deve essere determinata in un ammontare  compreso
fra 75,00 e 225,00 euro per ogni giorno di pena detentiva. 
    L'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992  prevede
che la pena inflitta «anche  con  il  decreto  di  condanna»  per  le
violazioni contemplate dal comma 2 del medesimo articolo possa essere
sostituita con quella del lavoro di pubblica utilita' ed inoltre  che
la sanzione sostitutiva abbia «una  durata  corrispondente  a  quella
della sanzione detentiva irrogata  e  della  conversione  della  pena
pecuniaria ragguagliando 250,00  euro  ad  un  giorno  di  lavoro  di
pubblica utilita'». 
    Se  in  passato  tale  disposizione  non  presentava  profili  di
criticita', l'entrata in vigore dell'art. 459, comma  1-bis  c.p.  ha
determinato una situazione di notevole incertezza e comporta oggi una
ingiustificata disparita' di  trattamento  in  condizioni  di  totale
identita' di premesse. 
    Tale ultima norma, infatti, ha introdotto una  deroga  al  regime
generale dettato  dall'art.  135  c.p.,  che  in  precedenza  trovava
applicazione anche in sede di conversione  della  pena  detentiva  in
pena pecuniaria nei  casi  di  procedimento  per  decreto  penale  di
condanna. 
    Per effetto  di  cio',  nei  casi  in  cui  il  giudice  provveda
contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna ed  alla
sostituzione di cui all'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n.
285/1992, la durata dei lavori di pubblica utilita' viene  ad  essere
determinata secondo parametri non omogenei rispetto a quelli  fissati
per la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria. 
    Cio' comporta dunque una irragionevole disparita' di  trattamento
fra i destinatari della  sanzione  irrogata  con  decreto  penale  di
condanna, a seconda che la sostituzione prevista dall'art. 186, comma
9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 sia stata disposta ab origine,
oppure, a parita' di condizioni, sia stata riconosciuta all'esito del
giudizio celebrato ai sensi dell'art. 464 c.p.p. 
    Viene inoltre  a  determinarsi  una  situazione  di  insuperabile
incertezza per il destinatario della sanzione sostitutiva,  il  quale
puo' trovarsi soggetto con uguale grado di probabilita' ed in maniera
completamente aleatoria a pene di entita' fra loro anche notevolmente
differenti. 
    Si osserva al riguardo che  la  sostituzione  della  pena  con  i
lavori di pubblica  utilita'  e'  sottoposta,  nei  casi  in  cui  e'
ammessa, all'unico vincolo della eventuale opposizione del condannato
ed e' espressamente prevista dal legislatore anche  la  facolta'  che
essa sia  disposta  in  sede  di  emissione  del  decreto  penale  di
condanna. 
    A fronte  dell'indifferenza  del  legislatore  rispetto  all'una,
piuttosto  che  all'altra  soluzione,  estremamente  rilevanti   sono
viceversa le ricadute pratiche della scelta  di  operare  o  meno  la
sostituzione prevista dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo
n. 285/1992  contestualmente  all'emissione  del  decreto  penale  di
condanna. 
    Ipotizzando  a   titolo   esemplificativo   che   all'esito   del
procedimento per decreto venga inflitta la sanzione di  dieci  giorni
di arresto e 250,00 euro di  ammenda,  il  trasgressore  si  vedrebbe
irrogata una pena complessivamente determinata nella  somma  compresa
fra  1.000,00  e  2.500,00  euro,  a  seconda  che   si   prenda   in
considerazione il parametro minimo o quello massimo individuato dalla
legge per la sostituzione della pena detentiva. 
    Tale sanzione si ottiene applicando alla pena detentiva di  dieci
giorni il criterio di conversione  introdotto  dall'art.  459,  comma
1-bis c.p.p., determinando quindi la pena in una somma  compresa  fra
750,00 e 2.250,00 euro,  cui  vanno  aggiunti  250,00  euro  di  pena
pecuniaria. 
    Ragguagliando 250,00 euro di sanzione ad un giorno di  lavoro  di
pubblica utilita' secondo i criteri  indicati  dall'art.  186,  comma
9-bis, decreto  legislativo  n.  285/1992,  quindi,  il  trasgressore
dovrebbe essere condannato allo svolgimento  di  lavori  di  pubblica
utilita' per un periodo compreso fra quattro e dieci giorni. 
    Nell'ipotesi in cui, viceversa, contestualmente all'emissione del
decreto penale non fosse riconosciuta al condannato  la  possibilita'
di sostituire la pena ai sensi dell'art. 186,  comma  9-bis,  decreto
legislativo n. 285/1992 e costui ne volesse beneficiare, come avviene
nella  pressoche'  totalita'   dei   casi   attese   le   conseguenze
particolarmente favorevoli derivanti  dal  corretto  svolgimento  dei
lavori, egli si vedrebbe costretto a formulare opposizione al decreto
penale di' condanna. 
    Stando  alla  lettera  della  legge  ed  al  costante   indirizzo
interpretativo  della  giurisprudenza  di  legittimita',  in   questo
secondo caso la durata  dei  lavori  di  pubblica  utilita'  verrebbe
determinata in misura diversa,  senza  che  cio'  abbia  tuttavia  la
benche' minima giustificazione. 
    Una volta instaurato il giudizio di opposizione, quale che sia la
scelta processuale intrapresa dal condannato, la pena  irrogata  puo'
essere unicamente quella congiunta detentiva e pecuniaria. 
    Conforme   il   costante   e   condiviso    orientamento    della
giurisprudenza  di   legittimita',   deve   infatti   escludersi   la
possibilita' per il giudice di disporre  la  conversione  della  pena
detentiva con quella  pecuniaria  e  poi  sostituire  la  pena  cosi'
ottenuta con i lavori di pubblica utilita'. 
    Con la  sentenza  n.  27519  del  10  maggio  2017  la  Corte  di
cassazione ha infatti avuto modo di affermare che «e' illegittima  la
decisione del giudice di merito con la quale la pena per il reato  di
guida in stato di ebbrezza, previa conversione della  pena  detentiva
in  quella  pecuniaria,  e'  sostituita  nel  suo  complesso  con  lo
svolgimento del lavoro di pubblica utilita', in quanto i  due  regimi
sanzionatori costituiscono strumenti distinti  di  adeguamento  della
sanzione  al  caso  concreto  ed   alle   caratteristiche   personali
dell'imputato, corrispondenti a diversificate  e  non  sovrapponibili
istanze afferenti alla relazione  della  funzione  rieducativa  della
pena, di talche', una volta adottata una strategia sanzionatoria, non
e' possibile, per esigenze di coerenza e  razionalita'  del  sistema,
sovrapporne altra». 
    Se nei mesi successivi all'entrata in vigore  della  riforma  del
codice della strada, con la sentenza n. 71 del 14 novembre  2012,  la
Sezione quarta della Corte di cassazione aveva affermato il principio
opposto, a partire dalla sentenza n. 8005 del 15 novembre  2013,  cui
sono seguite le n. 27602 del 2 aprile 2014, n. 21238  del  2  ottobre
2014, n. 19183 del 3 marzo 2016 e n. 27519 del 10 maggio  2017,  gia'
citata, i giudici della medesima Sezione si sono assestati in maniera
granitica e pienamente convincente sulle posizioni appena riportate. 
    Il principio in parola non e' evidentemente destinato ad  operare
nei casi in cui si proceda con decreto penale di condanna, un'opzione
in tal senso essendo espressamente prevista dal legislatore  all'art.
186, comma 9-bis, decreto legislativo  n.  285/1992,  rispondendo  ad
esigenze di celerita' ed economia processuale delle  quali  si  avra'
modo di meglio argomentare nel prosieguo. 
    Muovendo da tale  premessa,  dunque,  la  durata  dei  lavori  di
pubblica  utilita'  inflitti  in  sostituzione  della  pena  irrogata
all'esito del giudizio di opposizione a decreto  penale  di  condanna
non potra' che essere  determinata  nella  «durata  corrispondente  a
quella della sanzione detentiva irrogata e  della  conversione  della
pena pecuniaria ragguagliando 250,00 euro ad un giorno di  lavoro  di
pubblica utilita'». 
    Tornando al precedente esempio,  anche  volendo  considerare  per
ipotesi che all'esito del giudizio di opposizione venga  inflitta  la
medesima sanzione di  dieci  giorni  di  arresto  e  250,00  euro  di
ammenda, in applicazione dei criteri appena indicati il condannato si
troverebbe infatti a dover svolgere i lavori di pubblica utilita' per
complessivi undici giorni. 
    E' appena il caso di osservare che,  in  ogni  caso,  l'eventuale
conversione della pena detentiva irrogata all'esito del  giudizio  di
opposizione dovrebbe comunque  essere  effettuata  sulla  scorta  del
parametro di cui all'art. 135 c.p. e non certo secondo le indicazioni
fornite dall'art. 459, comma 1-bis c.p.p. 
    Non  si   ritiene,   infatti,   possibile   che   tali   criteri,
espressamente riferiti al procedimento speciale di cui al  libro  VI,
titolo V del codice di rito, trovino  applicazione  analogica  al  di
fuori di questo ambito, derogando in maniera implicita ad  una  norma
di portata generale. 
    Una volta emesso il decreto penale di condanna  senza  che  venga
disposta la sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica
utilita', l'unica possibilita' che si offre all'interprete e'  dunque
quella di determinarne la durata nei termini  di  cui  all'art.  186,
comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 facendo riferimento alla
pena detentiva ed a quella pecuniaria inflitta all'esito del giudizio
di opposizione. 
    Appare dunque evidente anche alla luce dell'esempio pratico sopra
esposto  che,  in  maniera  del  tutto  ingiustificata,  la  sanzione
sostitutiva  dei  lavori  di  pubblica  utilita'  viene   ad   essere
determinata in misura differente a seconda  che  si  proceda  o  meno
contestualmente alla conversione della  pena  detentiva  nei  termini
oggi previsti dall'art. 459, comma 1-bis c.p.p. ed alla  sostituzione
di questa secondo i parametri dettati  dall'art.  186,  comma  9-bis,
decreto legislativo n. 285/1992. 
    A fronte di condotte sanzionate in termini esattamente  identici,
il destinatario di  un  decreto  penale  emesso  gia'  prevedendo  la
sostituzione della pena con lo svolgimento  dei  lavori  di  pubblica
utilita' si troverebbe in una situazione differente rispetto a  colui
il quale viceversa non si vedesse riconosciuta tale opportunita'. 
    Questa  disparita'  di  trattamento  in  presenza  di  situazioni
perfettamente  sovrapponibili  fra  loro  pare   a   questo   giudice
esorbitare dai criteri  di  ragionevolezza  alla  stregua  dei  quali
l'interprete  e'  chiamato  a  valutare  l'effettiva  violazione  del
principio di uguaglianza secondo il costante insegnamento della Corte
costituzionale venutosi a consolidare sul punto. 
    Il differente  trattamento  sanzionatorio  applicato  a  soggetti
condannati alla medesima pena con decreto penale,  la  cui  posizione
varierebbe unicamente per il fatto che la sostituzione della pena con
i lavori di pubblica utilita' venisse disposta o meno contestualmente
all'emissione del decreto, non presenta il benche' minimo fondamento.
Non si ravvisano, infatti, situazioni che  giustifichino  una  scelta
premiale da parte del legislatore, ne' peraltro una opzione di questo
tipo  trova  riscontro  nella  lettera  della  legge  o  nei   lavori
preparatori della legge n. 103/2017. 
    Se e' vero che con la novella del 2017 si e' evidentemente inteso
incentivare il ricorso  al  decreto  penale  di  condanna,  non  puo'
altrettanto  fondatamente  sostenersi   che   cosi'   disponendo   il
legislatore abbia voluto incidere in maniera tanto dirompente su  una
materia,  quella  della  sicurezza   stradale,   che   viceversa   si
caratterizza  per  interventi  improntati  ad  una  sempre   maggiore
severita' (si vedano in tal  senso  le  nuove  fattispecie  di  reato
introdotte nel codice penale dalla legge n. 41/2016). 
    Oltre ad essere incoerente rispetto alle scelte normative di piu'
recente  introduzione,  la  natura   premiale   dell'istituto   della
sostituzione della pena inflitta con il decreto  penale  di  condanna
non   risulterebbe   ancorata   a   criteri   di   ragionevolezza   e
proporzionalita' per come in concreto si troverebbe ad operare. 
    Come  si  e'  visto,  infatti,  dall'applicazione  del  combinato
disposto degli art. 459, comma  1-bis  c.p.p.  e  186,  comma  9-bis,
decreto legislativo n. 285/1992 potrebbe derivare  la  determinazione
di una pena sostitutiva in misura pari circa ad un terzo  rispetto  a
quella che sarebbe irrogata qualora non si operasse  la  sostituzione
in sede di emissione del decreto penale di condanna. 
    Anche da un punto di vista meramente quantitativo,  dunque,  deve
escludersi che il legislatore abbia inteso implicitamente  introdurre
nell'ordinamento un istituto premiale di cosi' vasta portata  da  non
avere eguali negli altri casi contemplati dal sesto libro del  codice
di rito: le pene irrogate  all'esito  del  giudizio  abbreviato  sono
ridotte di un terzo, quelle applicate su accordo delle parti  possono
essere ridotte fino ad un terzo, l'art.  459  c.p.p.  facoltizza  una
riduzione fino alla meta' del minimo edittale  della  norma  violata,
mai e' prevista una riduzione della pena di circa i due terzi. 
    Si deve piuttosto rilevare che  l'applicazione  di  una  sanzione
determinata in termini differenti a seconda che  essa  venga  o  meno
disposta contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna
prescinde completamente dalle scelte processuali del trasgressore  ed
e'  in  ultima  analisi  rimessa  esclusivamente   all'arbitrio   del
giudicante, quando non addirittura affidata all'adozione  di  modelli
organizzativi da parte dei singoli uffici procedenti. 
    Il complesso delle considerazioni che precedono porta  dunque  ad
affermare che la differente condizione in cui verrebbe a trovarsi  il
trasgressore cui fosse riconosciuta la sostituzione della pena con  i
lavori di pubblica utilita' contestualmente all'emissione del decreto
penale rispetto a quello che, per  ottenere  il  medesimo  beneficio,
fosse costretto a proporre opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p.,
non ha giustificazione alcuna ed integra la violazione del  principio
di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge  di  cui  all'art.  3
Cost. 
    Il sistema venutosi a delineare a seguito dell'entrata in  vigore
dell'art. 459, comma 1-bis c.p.p. si pone inoltre  in  contrasto  con
l'art. 25, comma 2 Cost. in quanto  costituisce  una  violazione  del
principio di determinatezza  della  pena,  incidendo  in  particolare
sulla esatta individuazione della durata della sanzione sostitutiva. 
    Con la sentenza n. 327 del 2008, la Corte costituzionale ha avuto
modo di evidenziare come tale principio, corollario del principio  di
legalita' di  cui  all'art.  25  Cost.,  risponda  a  due  «obiettivi
fondamentali». 
    Si tratta, infatti, di evitare, per  un  verso,  che  il  giudice
assuma un «ruolo creativo» di individuazione dei confini  fra  lecito
ed illecito e, sotto altro  profilo,  di  assicurare  ai  destinatari
della  norma  incriminatrice  la  possibilita'  di   autodeterminarsi
liberamente,  mettendoli  in  grado  di  «apprezzare  a   priori   le
conseguenze giuridico - penali della propria condotta». 
    Proprio con riferimento a  tale  secondo  profilo,  gia'  oggetto
delle pronunce n. 185  del  1992  e  n.  364  del  1988  della  Corte
costituzionale, si rileva nel caso di  specie  un  contrasto  fra  la
disposizione  contenuta   nell'art.   186,   comma   9-bis,   decreto
legislativo n. 285/1992 e l'art. 25, comma 2 Cost. 
    La sentenza n. 364 del  1988  merita  in  particolare  di  essere
richiamata anche in questa sede anche perche' con essa si afferma che
il principio di determinatezza e' destinato ad  operare  rispetto  al
precetto penale globalmente inteso, quindi anche investendo  l'ambito
della sanzione. 
    Anche la sentenza n. 185 del 1992, che pure riguarda il principio
di determinatezza, pare rilevante nel caso concreto dal  momento  che
stabilisce inoltre un principio applicabile nei medesimi termini alla
fattispecie in esame. 
    Si legga in tale provvedimento che «la Corte costituzionale  puo'
sindacare il vizio consistente  nell'errore  materiale  di  redazione
legislativa  ove  questo  infici   il   testo   della   disposizione,
pregiudicando la riconoscibilita' e l'intellegibilita'  del  precetto
penale che essa contiene, e, in adempimento  della  sua  funzione  di
conformazione dell'ordinamento legislativo al dettato costituzionale,
deve  dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  della  parte   di
disposizione   viziata   dalla   quale   deriva   il    difetto    di
riconoscibilita'  e  di  intellegibilita'  del  precetto;  ne'  cosi'
operando viene a prodursi, ad opera della pronuncia della  Corte,  un
precetto penale nuovo rispetto a quello dettato dal legislatore ma si
restituisce semplicemente alla norma quella  intellegibilita'  che  i
principi costituzionali richiedono per i precetti penali». 
    La  pronuncia  appena  richiamata  si  ritiene  fornisca   spunti
utilissimi per la valutazione del caso concreto, che per l'appunto e'
caratterizzato da una situazione di insuperabile incertezza in merito
al regime sanzionatorio applicabile nei casi in cui l'istituto  della
sostituzione della pena con  i  lavori  di  pubblica  utilita'  operi
contemporaneamente alla conversione della pena di cui  all'art.  459,
comma 1-bis c.p.p. 
    E' appena il caso di osservare che il principio di determinatezza
e' destinato a trovare applicazione anche qualora si  abbia  riguardo
alle pene sostitutive della sanzione penale, in tal  senso  deponendo
il disposto dell'art. 1 c.p., che per l'appunto  costituisce  diretta
emanazione concreta del disposto dell'art. 25, comma 2 Cost. 
    La  situazione  fin  qui  descritta  impone  conclusivamente   di
rilevare come, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 459,  comma
1-bis c.p.p., l'applicazione dei criteri alla cui stregua determinare
la durata dei lavori  di  pubblica  utilita'  nei  casi  disciplinati
dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992  comporti
un'evidente violazione di principi di rango costituzionale  che  solo
l'intervento della Corte costituzionale puo' rimuovere. 
    Si intende dunque  in  questa  sede  denunciare  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 186, comma  9-bis,  decreto  legislativo  n.
285/1992 nella parte in cui non prevede che, qualora la  sostituzione
della pena inflitta con i lavori di pubblica  utilita'  sia  disposta
contestualmente all'emissione  del  decreto  penale  di  condanna,  i
parametri sulla cui base  effettuare  il  ragguaglio  della  sanzione
irrogata  con  quella  sostitutiva,  quanto  alla  porzione  di  pena
imputabile a quella detentiva rideterminata ai sensi  dell'art.  459,
comma 1-bis c.p.p.,  siano  individuati  sulla  scorta  dei  medesimi
indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione. 
    La questione appena prospettata si ritiene  presenti  profili  di
assoluta rilevanza  nel  caso  sottoposto  all'attenzione  di  questo
giudice, sopra tratteggiato nei suoi elementi essenziali,  ricorrendo
dunque il presupposto indicato dall'art. 23, comma  2,  prima  parte,
legge n. 87/1953. 
    Lo scrivente e', infatti, chiamato a valutare  una  richiesta  di
emissione di decreto penale di condanna per il reato di cui  all'art.
186, decreto legislativo n. 285/1992, in una situazione  in  cui  non
sussistono le condizioni indicate dall'art. 459,  comma  3  c.p.p.  e
ricorrono i presupposti della sostituzione della pena  ai  sensi  del
comma 9-bis di tale norma. 
    Sotto quest'ultimo profilo merita in particolare evidenziare come
nel  corpo  della  richiesta  del  pubblico  ministero  si  sia  dato
esplicitamente atto dell'assenza di cause ostative al  riconoscimento
del beneficio, ne' fino ad oggi risulta sia  mai  stata  formalizzata
alcuna  opposizione  da  parte  del  trasgressore,   unico   soggetto
legittimato in tal senso. 
    Poste tali premesse, questo giudice si trova nelle condizioni  di
disporre la sostituzione della pena irrogata con il decreto penale di
condanna, ma di non poter operare in questi termini se non applicando
parametri che contrastano  con  le  norme  della  Costituzione,  come
appena si e' avuto modo di dimostrare. 
    La sostituzione della pena irrogata  con  i  lavori  di  pubblica
utilita' disposta contestualmente all'emissione del decreto penale di
condanna costituisce  prassi  ormai  consolidata  della  sezione  dei
giudici per le indagini preliminari del Tribunale di  Torino,  che  a
questo scopo ha anche attivato sportelli di cancelleria dedicati. 
    Non si profilano peraltro nella presente fattispecie ragioni tali
da giustificare uno scostamento da questa prassi virtuosa, pienamente
condivisa dallo scrivente. 
    Anche a prescindere da tale pur assorbente  profilo  pratico,  e'
appena il caso  di  sottolineare  che  la  scelta  di  effettuare  la
sostituzione della pena irrogata con i lavori  di  pubblica  utilita'
contestualmente  al   decreto   penale   di   condanna   risponde   a
condivisibili criteri di economia processuale. 
    L'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 186, comma 9-bis,
decreto legislativo n. 285/1992 in questo momento comporta,  infatti,
evidenti vantaggi rispetto all'unica  alternativa  che  l'ordinamento
riconosce  all'imputato  che  voglia  accedere  al  beneficio   della
sostituzione della pena con i lavori di  pubblica  utilita',  vale  a
dire quella di proporre opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p. 
    L'opzione in esame e' foriera di  una  significativa  contrazione
dei tempi di definizione del procedimento e di un  ingente  risparmio
di costi, non solo economici, costituenti  migliore  espressione  dei
principi di ragionevole durata del processo e di buon andamento della
giustizia. 
    La scelta di operare la  sostituzione  della  pena  inflitta  con
decreto penale di condanna contestualmente  all'emissione  di  questo
provvedimento, peraltro, presenta  evidenti  vantaggi  che  non  sono
limitati al singolo procedimento, ma coinvolgono a  cascata  l'intera
organizzazione di un ufficio giudiziario. 
    Se dunque la sostituzione prevista dall'art.  186,  comma  9-bis,
decreto legislativo n.  285/1992  contestualmente  all'emissione  del
decreto penale di condanna risponde ad esigenze meritevoli  del  piu'
ampio riconoscimento, cio' nondimeno essa comporta allo stato attuale
una situazione  di  incertezza  e  disparita'  di  trattamento  nella
determinazione della durata della sanzione sostitutiva. 
    L'unico strumento in grado di  contemperare  le  esigenze  appena
indicate con il dettato della Costituzione e' soltanto  quello  della
declaratoria di illegittimita' costituzionale. 
    Come gia' si e' avuto modo  di  evidenziare,  infatti,  l'attuale
sistema  normativo   da'   luogo   alla   violazione   dei   principi
costituzionali di determinatezza e legalita'  della  sanzione  penale
(art. 25 Cost.), nonche' di ragionevolezza e parita'  di  trattamento
(art. 3 Cost.). 
    Sussistono in conclusione le condizioni per  sollevare  ai  sensi
dell'art. 23, comma 3, legge n. 87/1953 la questione di  legittimita'
costituzionale prospettata. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost. e 23,  legge  n.  87/1953,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 186, comma  9-bis,  decreto  legislativo  n.
285/1992 per violazione degli articoli 3 e 25, comma  2  Cost.  nella
parte in cui non prevede che,  qualora  la  sostituzione  della  pena
inflitta  con  i   lavori   di   pubblica   utilita'   sia   disposta
contestualmente all'emissione  del  decreto  penale  di  condanna,  i
parametri sulla cui base  effettuare  il  ragguaglio  della  sanzione
irrogata  con  quella  sostitutiva,  quanto  alla  porzione  di  pena
imputabile a quella detentiva rideterminata ai sensi  dell'art.  459,
comma 1-bis c.p.p.,  siano  individuati  sulla  scorta  dei  medesimi
indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione. 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Sospende il procedimento  n.  24417/2017  R.G.N.R.  -  23083/2017
R.G.I.P., incardinato davanti a  se',  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Ordina la notificazione della presente  ordinanza  al  Presidente
del Consiglio dei ministri, al pubblico ministero, all'imputato ed al
suo difensore. 
    Dispone la comunicazione della presente ordinanza  ai  Presidenti
delle due Camere del Parlamento. 
    Manda alla cancelleria per quanto di competenza. 
 
      Torino, 11 dicembre 2017 
 
                         Il Giudice: Marson 
 

Nessun commento: