N. 49 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2017
Ordinanza del 12 dicembre 2017 del G.I.P. del Tribunale di Torino nel
procedimento penale a carico di xxx.
Circolazione stradale - Reato di guida sotto l'influenza dell'alcool
- Sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica
utilita' disposta contestualmente all'emissione del decreto penale
di condanna - Parametri di ragguaglio della sanzione irrogata con
quella sostitutiva.
- Codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), art. 186,
comma 9-bis.
(GU n.12 del 21-3-2018 )
TRIBUNALE DI TORINO
Sezione dei giudici per le indagini preliminari
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino,
ravvisati profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 186,
comma 9-bis decreto legislativo n. 285/1992 in rapporto agli articoli
3 e 25, comma 2 Cost., ritenuta pertanto la necessita' di sollevare
ai sensi dell'art. 23, comma 3, legge n. 87/1953 una questione di
legittimita' costituzionale, osserva nell'ambito del procedimento n.
24417/2017 R.G.N.R. della Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Torino si contesta a xxx la contravvenzione di cui
all'art. 186 decreto legislativo n. 285/1992.
Alle ore 2,55 circa del 17 ottobre 2017 personale della Polizia
stradale della sottosezione di Torino sottoponeva a controllo
l'autovettura condotta dal predetto imputato, il quale presentava i
sintomi tipici dell'ebbrezza.
In ragione di cio', il conducente veniva sottoposto a controllo
del tasso alcolemico tramite apposita apparecchiatura in dotazione
agli operanti.
Tale controllo dava esito positivo, essendo riscontrata nelle due
campionature eseguite alle ore 2,59 e 3,13 la presenza
rispettivamente di 0,92 e 0,87 g/l di alcool nel sangue.
In data 28 novembre 2017, ravvisati i presupposti indicati
dall'art. 459 c.p.p., la Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Torino ha chiesto emettersi decreto penale di condanna nei
confronti del trasgressore per i fatti appena descritti, fondatamente
ipotizzando la seguente imputazione: «reato di cui all'art. 186,
commi 1 e 2, lettera b) e comma 2-sexies, decreto legislativo 30
aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni, perche' si poneva
alla guida del veicolo targato /// in stato di ebbrezza in
conseguenza dell'uso di bevande alcoliche (tasso alcolemico accertato
pari a 0,92 g/l alle ore 2,59, 0,87 g/l alle ore 3,13).
Con l'aggravante di aver commesso il fatto in orario notturno
(dopo le ore 22 e prima delle ore 7).
Commesso in xxx (Torino) il 17 ottobre 2017».
Poste tali premesse in fatto, si ritiene che il procedimento al
vaglio di questo giudice non possa essere definito indipendentemente
dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale che
ci si accinge a prospettare.
Come noto, i procedimenti per decreto previsti dal titolo V del
libro VI del codice di procedura penale si caratterizzano per il
fatto che i reati con essi giudicati debbano essere sanzionati
unicamente con pena pecuniaria.
L'art. 459, comma 1 c.p.p. circoscrive, infatti, i casi di
procedimento per decreto alle ipotesi in cui «si debba applicare
soltanto una pena pecuniaria, anche se inflitta in sostituzione di
una pena detentiva».
Con l'art. 1, comma 53, legge n. 103/2017, in vigore dal 3 agosto
2017 e quindi pacificamente applicabile al caso di specie, si e'
introdotto nel codice di rito l'art. 459, comma 1-bis, ai sensi del
quale l'individuazione della pena pecuniaria irrogata in sostituzione
di quella detentiva deve essere determinata in un ammontare compreso
fra 75,00 e 225,00 euro per ogni giorno di pena detentiva.
L'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 prevede
che la pena inflitta «anche con il decreto di condanna» per le
violazioni contemplate dal comma 2 del medesimo articolo possa essere
sostituita con quella del lavoro di pubblica utilita' ed inoltre che
la sanzione sostitutiva abbia «una durata corrispondente a quella
della sanzione detentiva irrogata e della conversione della pena
pecuniaria ragguagliando 250,00 euro ad un giorno di lavoro di
pubblica utilita'».
Se in passato tale disposizione non presentava profili di
criticita', l'entrata in vigore dell'art. 459, comma 1-bis c.p. ha
determinato una situazione di notevole incertezza e comporta oggi una
ingiustificata disparita' di trattamento in condizioni di totale
identita' di premesse.
Tale ultima norma, infatti, ha introdotto una deroga al regime
generale dettato dall'art. 135 c.p., che in precedenza trovava
applicazione anche in sede di conversione della pena detentiva in
pena pecuniaria nei casi di procedimento per decreto penale di
condanna.
Per effetto di cio', nei casi in cui il giudice provveda
contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna ed alla
sostituzione di cui all'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n.
285/1992, la durata dei lavori di pubblica utilita' viene ad essere
determinata secondo parametri non omogenei rispetto a quelli fissati
per la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria.
Cio' comporta dunque una irragionevole disparita' di trattamento
fra i destinatari della sanzione irrogata con decreto penale di
condanna, a seconda che la sostituzione prevista dall'art. 186, comma
9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 sia stata disposta ab origine,
oppure, a parita' di condizioni, sia stata riconosciuta all'esito del
giudizio celebrato ai sensi dell'art. 464 c.p.p.
Viene inoltre a determinarsi una situazione di insuperabile
incertezza per il destinatario della sanzione sostitutiva, il quale
puo' trovarsi soggetto con uguale grado di probabilita' ed in maniera
completamente aleatoria a pene di entita' fra loro anche notevolmente
differenti.
Si osserva al riguardo che la sostituzione della pena con i
lavori di pubblica utilita' e' sottoposta, nei casi in cui e'
ammessa, all'unico vincolo della eventuale opposizione del condannato
ed e' espressamente prevista dal legislatore anche la facolta' che
essa sia disposta in sede di emissione del decreto penale di
condanna.
A fronte dell'indifferenza del legislatore rispetto all'una,
piuttosto che all'altra soluzione, estremamente rilevanti sono
viceversa le ricadute pratiche della scelta di operare o meno la
sostituzione prevista dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo
n. 285/1992 contestualmente all'emissione del decreto penale di
condanna.
Ipotizzando a titolo esemplificativo che all'esito del
procedimento per decreto venga inflitta la sanzione di dieci giorni
di arresto e 250,00 euro di ammenda, il trasgressore si vedrebbe
irrogata una pena complessivamente determinata nella somma compresa
fra 1.000,00 e 2.500,00 euro, a seconda che si prenda in
considerazione il parametro minimo o quello massimo individuato dalla
legge per la sostituzione della pena detentiva.
Tale sanzione si ottiene applicando alla pena detentiva di dieci
giorni il criterio di conversione introdotto dall'art. 459, comma
1-bis c.p.p., determinando quindi la pena in una somma compresa fra
750,00 e 2.250,00 euro, cui vanno aggiunti 250,00 euro di pena
pecuniaria.
Ragguagliando 250,00 euro di sanzione ad un giorno di lavoro di
pubblica utilita' secondo i criteri indicati dall'art. 186, comma
9-bis, decreto legislativo n. 285/1992, quindi, il trasgressore
dovrebbe essere condannato allo svolgimento di lavori di pubblica
utilita' per un periodo compreso fra quattro e dieci giorni.
Nell'ipotesi in cui, viceversa, contestualmente all'emissione del
decreto penale non fosse riconosciuta al condannato la possibilita'
di sostituire la pena ai sensi dell'art. 186, comma 9-bis, decreto
legislativo n. 285/1992 e costui ne volesse beneficiare, come avviene
nella pressoche' totalita' dei casi attese le conseguenze
particolarmente favorevoli derivanti dal corretto svolgimento dei
lavori, egli si vedrebbe costretto a formulare opposizione al decreto
penale di' condanna.
Stando alla lettera della legge ed al costante indirizzo
interpretativo della giurisprudenza di legittimita', in questo
secondo caso la durata dei lavori di pubblica utilita' verrebbe
determinata in misura diversa, senza che cio' abbia tuttavia la
benche' minima giustificazione.
Una volta instaurato il giudizio di opposizione, quale che sia la
scelta processuale intrapresa dal condannato, la pena irrogata puo'
essere unicamente quella congiunta detentiva e pecuniaria.
Conforme il costante e condiviso orientamento della
giurisprudenza di legittimita', deve infatti escludersi la
possibilita' per il giudice di disporre la conversione della pena
detentiva con quella pecuniaria e poi sostituire la pena cosi'
ottenuta con i lavori di pubblica utilita'.
Con la sentenza n. 27519 del 10 maggio 2017 la Corte di
cassazione ha infatti avuto modo di affermare che «e' illegittima la
decisione del giudice di merito con la quale la pena per il reato di
guida in stato di ebbrezza, previa conversione della pena detentiva
in quella pecuniaria, e' sostituita nel suo complesso con lo
svolgimento del lavoro di pubblica utilita', in quanto i due regimi
sanzionatori costituiscono strumenti distinti di adeguamento della
sanzione al caso concreto ed alle caratteristiche personali
dell'imputato, corrispondenti a diversificate e non sovrapponibili
istanze afferenti alla relazione della funzione rieducativa della
pena, di talche', una volta adottata una strategia sanzionatoria, non
e' possibile, per esigenze di coerenza e razionalita' del sistema,
sovrapporne altra».
Se nei mesi successivi all'entrata in vigore della riforma del
codice della strada, con la sentenza n. 71 del 14 novembre 2012, la
Sezione quarta della Corte di cassazione aveva affermato il principio
opposto, a partire dalla sentenza n. 8005 del 15 novembre 2013, cui
sono seguite le n. 27602 del 2 aprile 2014, n. 21238 del 2 ottobre
2014, n. 19183 del 3 marzo 2016 e n. 27519 del 10 maggio 2017, gia'
citata, i giudici della medesima Sezione si sono assestati in maniera
granitica e pienamente convincente sulle posizioni appena riportate.
Il principio in parola non e' evidentemente destinato ad operare
nei casi in cui si proceda con decreto penale di condanna, un'opzione
in tal senso essendo espressamente prevista dal legislatore all'art.
186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992, rispondendo ad
esigenze di celerita' ed economia processuale delle quali si avra'
modo di meglio argomentare nel prosieguo.
Muovendo da tale premessa, dunque, la durata dei lavori di
pubblica utilita' inflitti in sostituzione della pena irrogata
all'esito del giudizio di opposizione a decreto penale di condanna
non potra' che essere determinata nella «durata corrispondente a
quella della sanzione detentiva irrogata e della conversione della
pena pecuniaria ragguagliando 250,00 euro ad un giorno di lavoro di
pubblica utilita'».
Tornando al precedente esempio, anche volendo considerare per
ipotesi che all'esito del giudizio di opposizione venga inflitta la
medesima sanzione di dieci giorni di arresto e 250,00 euro di
ammenda, in applicazione dei criteri appena indicati il condannato si
troverebbe infatti a dover svolgere i lavori di pubblica utilita' per
complessivi undici giorni.
E' appena il caso di osservare che, in ogni caso, l'eventuale
conversione della pena detentiva irrogata all'esito del giudizio di
opposizione dovrebbe comunque essere effettuata sulla scorta del
parametro di cui all'art. 135 c.p. e non certo secondo le indicazioni
fornite dall'art. 459, comma 1-bis c.p.p.
Non si ritiene, infatti, possibile che tali criteri,
espressamente riferiti al procedimento speciale di cui al libro VI,
titolo V del codice di rito, trovino applicazione analogica al di
fuori di questo ambito, derogando in maniera implicita ad una norma
di portata generale.
Una volta emesso il decreto penale di condanna senza che venga
disposta la sostituzione della pena inflitta con i lavori di pubblica
utilita', l'unica possibilita' che si offre all'interprete e' dunque
quella di determinarne la durata nei termini di cui all'art. 186,
comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 facendo riferimento alla
pena detentiva ed a quella pecuniaria inflitta all'esito del giudizio
di opposizione.
Appare dunque evidente anche alla luce dell'esempio pratico sopra
esposto che, in maniera del tutto ingiustificata, la sanzione
sostitutiva dei lavori di pubblica utilita' viene ad essere
determinata in misura differente a seconda che si proceda o meno
contestualmente alla conversione della pena detentiva nei termini
oggi previsti dall'art. 459, comma 1-bis c.p.p. ed alla sostituzione
di questa secondo i parametri dettati dall'art. 186, comma 9-bis,
decreto legislativo n. 285/1992.
A fronte di condotte sanzionate in termini esattamente identici,
il destinatario di un decreto penale emesso gia' prevedendo la
sostituzione della pena con lo svolgimento dei lavori di pubblica
utilita' si troverebbe in una situazione differente rispetto a colui
il quale viceversa non si vedesse riconosciuta tale opportunita'.
Questa disparita' di trattamento in presenza di situazioni
perfettamente sovrapponibili fra loro pare a questo giudice
esorbitare dai criteri di ragionevolezza alla stregua dei quali
l'interprete e' chiamato a valutare l'effettiva violazione del
principio di uguaglianza secondo il costante insegnamento della Corte
costituzionale venutosi a consolidare sul punto.
Il differente trattamento sanzionatorio applicato a soggetti
condannati alla medesima pena con decreto penale, la cui posizione
varierebbe unicamente per il fatto che la sostituzione della pena con
i lavori di pubblica utilita' venisse disposta o meno contestualmente
all'emissione del decreto, non presenta il benche' minimo fondamento.
Non si ravvisano, infatti, situazioni che giustifichino una scelta
premiale da parte del legislatore, ne' peraltro una opzione di questo
tipo trova riscontro nella lettera della legge o nei lavori
preparatori della legge n. 103/2017.
Se e' vero che con la novella del 2017 si e' evidentemente inteso
incentivare il ricorso al decreto penale di condanna, non puo'
altrettanto fondatamente sostenersi che cosi' disponendo il
legislatore abbia voluto incidere in maniera tanto dirompente su una
materia, quella della sicurezza stradale, che viceversa si
caratterizza per interventi improntati ad una sempre maggiore
severita' (si vedano in tal senso le nuove fattispecie di reato
introdotte nel codice penale dalla legge n. 41/2016).
Oltre ad essere incoerente rispetto alle scelte normative di piu'
recente introduzione, la natura premiale dell'istituto della
sostituzione della pena inflitta con il decreto penale di condanna
non risulterebbe ancorata a criteri di ragionevolezza e
proporzionalita' per come in concreto si troverebbe ad operare.
Come si e' visto, infatti, dall'applicazione del combinato
disposto degli art. 459, comma 1-bis c.p.p. e 186, comma 9-bis,
decreto legislativo n. 285/1992 potrebbe derivare la determinazione
di una pena sostitutiva in misura pari circa ad un terzo rispetto a
quella che sarebbe irrogata qualora non si operasse la sostituzione
in sede di emissione del decreto penale di condanna.
Anche da un punto di vista meramente quantitativo, dunque, deve
escludersi che il legislatore abbia inteso implicitamente introdurre
nell'ordinamento un istituto premiale di cosi' vasta portata da non
avere eguali negli altri casi contemplati dal sesto libro del codice
di rito: le pene irrogate all'esito del giudizio abbreviato sono
ridotte di un terzo, quelle applicate su accordo delle parti possono
essere ridotte fino ad un terzo, l'art. 459 c.p.p. facoltizza una
riduzione fino alla meta' del minimo edittale della norma violata,
mai e' prevista una riduzione della pena di circa i due terzi.
Si deve piuttosto rilevare che l'applicazione di una sanzione
determinata in termini differenti a seconda che essa venga o meno
disposta contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna
prescinde completamente dalle scelte processuali del trasgressore ed
e' in ultima analisi rimessa esclusivamente all'arbitrio del
giudicante, quando non addirittura affidata all'adozione di modelli
organizzativi da parte dei singoli uffici procedenti.
Il complesso delle considerazioni che precedono porta dunque ad
affermare che la differente condizione in cui verrebbe a trovarsi il
trasgressore cui fosse riconosciuta la sostituzione della pena con i
lavori di pubblica utilita' contestualmente all'emissione del decreto
penale rispetto a quello che, per ottenere il medesimo beneficio,
fosse costretto a proporre opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p.,
non ha giustificazione alcuna ed integra la violazione del principio
di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge di cui all'art. 3
Cost.
Il sistema venutosi a delineare a seguito dell'entrata in vigore
dell'art. 459, comma 1-bis c.p.p. si pone inoltre in contrasto con
l'art. 25, comma 2 Cost. in quanto costituisce una violazione del
principio di determinatezza della pena, incidendo in particolare
sulla esatta individuazione della durata della sanzione sostitutiva.
Con la sentenza n. 327 del 2008, la Corte costituzionale ha avuto
modo di evidenziare come tale principio, corollario del principio di
legalita' di cui all'art. 25 Cost., risponda a due «obiettivi
fondamentali».
Si tratta, infatti, di evitare, per un verso, che il giudice
assuma un «ruolo creativo» di individuazione dei confini fra lecito
ed illecito e, sotto altro profilo, di assicurare ai destinatari
della norma incriminatrice la possibilita' di autodeterminarsi
liberamente, mettendoli in grado di «apprezzare a priori le
conseguenze giuridico - penali della propria condotta».
Proprio con riferimento a tale secondo profilo, gia' oggetto
delle pronunce n. 185 del 1992 e n. 364 del 1988 della Corte
costituzionale, si rileva nel caso di specie un contrasto fra la
disposizione contenuta nell'art. 186, comma 9-bis, decreto
legislativo n. 285/1992 e l'art. 25, comma 2 Cost.
La sentenza n. 364 del 1988 merita in particolare di essere
richiamata anche in questa sede anche perche' con essa si afferma che
il principio di determinatezza e' destinato ad operare rispetto al
precetto penale globalmente inteso, quindi anche investendo l'ambito
della sanzione.
Anche la sentenza n. 185 del 1992, che pure riguarda il principio
di determinatezza, pare rilevante nel caso concreto dal momento che
stabilisce inoltre un principio applicabile nei medesimi termini alla
fattispecie in esame.
Si legga in tale provvedimento che «la Corte costituzionale puo'
sindacare il vizio consistente nell'errore materiale di redazione
legislativa ove questo infici il testo della disposizione,
pregiudicando la riconoscibilita' e l'intellegibilita' del precetto
penale che essa contiene, e, in adempimento della sua funzione di
conformazione dell'ordinamento legislativo al dettato costituzionale,
deve dichiarare l'illegittimita' costituzionale della parte di
disposizione viziata dalla quale deriva il difetto di
riconoscibilita' e di intellegibilita' del precetto; ne' cosi'
operando viene a prodursi, ad opera della pronuncia della Corte, un
precetto penale nuovo rispetto a quello dettato dal legislatore ma si
restituisce semplicemente alla norma quella intellegibilita' che i
principi costituzionali richiedono per i precetti penali».
La pronuncia appena richiamata si ritiene fornisca spunti
utilissimi per la valutazione del caso concreto, che per l'appunto e'
caratterizzato da una situazione di insuperabile incertezza in merito
al regime sanzionatorio applicabile nei casi in cui l'istituto della
sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilita' operi
contemporaneamente alla conversione della pena di cui all'art. 459,
comma 1-bis c.p.p.
E' appena il caso di osservare che il principio di determinatezza
e' destinato a trovare applicazione anche qualora si abbia riguardo
alle pene sostitutive della sanzione penale, in tal senso deponendo
il disposto dell'art. 1 c.p., che per l'appunto costituisce diretta
emanazione concreta del disposto dell'art. 25, comma 2 Cost.
La situazione fin qui descritta impone conclusivamente di
rilevare come, a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 459, comma
1-bis c.p.p., l'applicazione dei criteri alla cui stregua determinare
la durata dei lavori di pubblica utilita' nei casi disciplinati
dall'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n. 285/1992 comporti
un'evidente violazione di principi di rango costituzionale che solo
l'intervento della Corte costituzionale puo' rimuovere.
Si intende dunque in questa sede denunciare l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n.
285/1992 nella parte in cui non prevede che, qualora la sostituzione
della pena inflitta con i lavori di pubblica utilita' sia disposta
contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna, i
parametri sulla cui base effettuare il ragguaglio della sanzione
irrogata con quella sostitutiva, quanto alla porzione di pena
imputabile a quella detentiva rideterminata ai sensi dell'art. 459,
comma 1-bis c.p.p., siano individuati sulla scorta dei medesimi
indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione.
La questione appena prospettata si ritiene presenti profili di
assoluta rilevanza nel caso sottoposto all'attenzione di questo
giudice, sopra tratteggiato nei suoi elementi essenziali, ricorrendo
dunque il presupposto indicato dall'art. 23, comma 2, prima parte,
legge n. 87/1953.
Lo scrivente e', infatti, chiamato a valutare una richiesta di
emissione di decreto penale di condanna per il reato di cui all'art.
186, decreto legislativo n. 285/1992, in una situazione in cui non
sussistono le condizioni indicate dall'art. 459, comma 3 c.p.p. e
ricorrono i presupposti della sostituzione della pena ai sensi del
comma 9-bis di tale norma.
Sotto quest'ultimo profilo merita in particolare evidenziare come
nel corpo della richiesta del pubblico ministero si sia dato
esplicitamente atto dell'assenza di cause ostative al riconoscimento
del beneficio, ne' fino ad oggi risulta sia mai stata formalizzata
alcuna opposizione da parte del trasgressore, unico soggetto
legittimato in tal senso.
Poste tali premesse, questo giudice si trova nelle condizioni di
disporre la sostituzione della pena irrogata con il decreto penale di
condanna, ma di non poter operare in questi termini se non applicando
parametri che contrastano con le norme della Costituzione, come
appena si e' avuto modo di dimostrare.
La sostituzione della pena irrogata con i lavori di pubblica
utilita' disposta contestualmente all'emissione del decreto penale di
condanna costituisce prassi ormai consolidata della sezione dei
giudici per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, che a
questo scopo ha anche attivato sportelli di cancelleria dedicati.
Non si profilano peraltro nella presente fattispecie ragioni tali
da giustificare uno scostamento da questa prassi virtuosa, pienamente
condivisa dallo scrivente.
Anche a prescindere da tale pur assorbente profilo pratico, e'
appena il caso di sottolineare che la scelta di effettuare la
sostituzione della pena irrogata con i lavori di pubblica utilita'
contestualmente al decreto penale di condanna risponde a
condivisibili criteri di economia processuale.
L'applicazione dell'istituto previsto dall'art. 186, comma 9-bis,
decreto legislativo n. 285/1992 in questo momento comporta, infatti,
evidenti vantaggi rispetto all'unica alternativa che l'ordinamento
riconosce all'imputato che voglia accedere al beneficio della
sostituzione della pena con i lavori di pubblica utilita', vale a
dire quella di proporre opposizione ai sensi dell'art. 461 c.p.p.
L'opzione in esame e' foriera di una significativa contrazione
dei tempi di definizione del procedimento e di un ingente risparmio
di costi, non solo economici, costituenti migliore espressione dei
principi di ragionevole durata del processo e di buon andamento della
giustizia.
La scelta di operare la sostituzione della pena inflitta con
decreto penale di condanna contestualmente all'emissione di questo
provvedimento, peraltro, presenta evidenti vantaggi che non sono
limitati al singolo procedimento, ma coinvolgono a cascata l'intera
organizzazione di un ufficio giudiziario.
Se dunque la sostituzione prevista dall'art. 186, comma 9-bis,
decreto legislativo n. 285/1992 contestualmente all'emissione del
decreto penale di condanna risponde ad esigenze meritevoli del piu'
ampio riconoscimento, cio' nondimeno essa comporta allo stato attuale
una situazione di incertezza e disparita' di trattamento nella
determinazione della durata della sanzione sostitutiva.
L'unico strumento in grado di contemperare le esigenze appena
indicate con il dettato della Costituzione e' soltanto quello della
declaratoria di illegittimita' costituzionale.
Come gia' si e' avuto modo di evidenziare, infatti, l'attuale
sistema normativo da' luogo alla violazione dei principi
costituzionali di determinatezza e legalita' della sanzione penale
(art. 25 Cost.), nonche' di ragionevolezza e parita' di trattamento
(art. 3 Cost.).
Sussistono in conclusione le condizioni per sollevare ai sensi
dell'art. 23, comma 3, legge n. 87/1953 la questione di legittimita'
costituzionale prospettata.
P.Q.M.
Visti gli articoli 134 Cost. e 23, legge n. 87/1953, dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 186, comma 9-bis, decreto legislativo n.
285/1992 per violazione degli articoli 3 e 25, comma 2 Cost. nella
parte in cui non prevede che, qualora la sostituzione della pena
inflitta con i lavori di pubblica utilita' sia disposta
contestualmente all'emissione del decreto penale di condanna, i
parametri sulla cui base effettuare il ragguaglio della sanzione
irrogata con quella sostitutiva, quanto alla porzione di pena
imputabile a quella detentiva rideterminata ai sensi dell'art. 459,
comma 1-bis c.p.p., siano individuati sulla scorta dei medesimi
indici utilizzati dal giudice per effettuare la conversione.
Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
Sospende il procedimento n. 24417/2017 R.G.N.R. - 23083/2017
R.G.I.P., incardinato davanti a se', sino all'esito del giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale.
Ordina la notificazione della presente ordinanza al Presidente
del Consiglio dei ministri, al pubblico ministero, all'imputato ed al
suo difensore.
Dispone la comunicazione della presente ordinanza ai Presidenti
delle due Camere del Parlamento.
Manda alla cancelleria per quanto di competenza.
Torino, 11 dicembre 2017
Il Giudice: Marson
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