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giovedì 28 giugno 2018

Consiglio di Stato 2018: “la originaria ricorrente dal 4.7.1987 alla data di proposizione del ricorso, aveva prestato servizio come dirigente medico del Corpo forestale dello Stato (CFS)”



Consiglio di Stato 2018: “la originaria ricorrente dal 4.7.1987 alla data di proposizione del ricorso, aveva prestato servizio come dirigente medico del Corpo forestale dello Stato (CFS)”


Pubblicato il 29/05/2018

N. 03190/2018REG.PROV.COLL.

N. 00175/2017 REG.RIC.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 175 del 2017, proposto dalla Signora xxx xxx, rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico D'Amato, Angela Picciariello, con domicilio eletto presso lo studio Domenico D'Amato in Roma, via Cola di Rienzo 111;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Corpo Forestale dello Stato, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, n persona dei rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e difesi per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati, costituitisi in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per l’ABRUZZO – Sede di L'AQUILA- SEZIONE I n. 477/2016.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Corpo Forestale dello Stato e del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, ed il ricorso incidentale da questi proposto;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 1 marzo 2018 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’ avvocato Picciariello, e l’ avvocato dello Stato Fiorentino;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 477dell’ 8 agosto 2016 il Tribunale amministrativo regionale per l’ Abruzzo – Sede di L’Aquila - ha respinto il ricorso proposto dalla parte odierna appellante Signora xxx xxx teso ad l’accertamento dell’avvenuto perfezionamento di un rapporto di pubblico impiego intrattenuto dalla medesima con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Corpo forestale dello Stato ed il risarcimento dei danni cagionati dalla mancata erogazione delle retribuzioni e delle provvidenze economiche discendenti dal predetto rapporto.

2. In particolare, la domanda principale era volta all’affermazione dell’asserito diritto alla conversione del rapporto di lavoro in essere in rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal 4.7.1987 ed alla condanna dell’amministrazione ad assumere in servizio la originaria ricorrente con la qualifica di primo dirigente medico (secondo quanto prescritto dall’art. 43 del d.lgs. n. 334 del 2000 e dal d.l. n. 45 del 2003) ed a pagarle le differenze retributive tra quanto essa stessa avrebbe dovuto percepire come dirigente medico e quanto ha effettivamente percepito per il lavoro svolto, nonché a risarcirle il danno all’immagine e morale; in via subordinata era stato chiesto che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Corpo forestale dello Stato venisse condannato a risarcire il danno corrispondente alle differenze retributive tra quanto la originaria ricorrente stessa avrebbe dovuto percepire come dirigente medico ove fosse stata assunta dall’amministrazione resistente e quanto aveva effettivamente percepito per il lavoro svolto, compreso il differente trattamento pensionistico, nonché a risarcirle il danno all’immagine e morale.

3. Il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali si era costituito in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità, ovvero la reiezione del ricorso in quanto infondato.

4. Il T.a.r. con la impugnata decisione ha innanzitutto rammentato che, in punto di fatto era stato dedotto che:

a) la originaria ricorrente dal 4.7.1987 alla data di proposizione del ricorso, aveva prestato servizio come dirigente medico del Corpo forestale dello Stato (CFS), sia per l’assistenza sanitaria ordinaria, sia, dal 1990, per l’assistenza sanitaria specialistica di tutto il personale del CFS della Regione Abruzzo, per un totale di 800 unità dislocate presso i 110 Comandi di Stazione distribuiti sull’intero territorio dell’Abruzzo;

b) tale attività era stata svolta in modo continuativo, con il vincolo della subordinazione e a tempo pieno; per questa attività erano stati stipulati ben 60 contratti di lavoro che coprivano un periodo di 27 anni; inoltre,il CFS non aveva nella propria organizzazione un servizio sanitario e a ciò aveva sopperito tramite l’attività della originaria ricorrente;

c) con riferimento all’assistenza sanitaria ordinaria, dal 1987 alla data di proposizione del ricorso essa aveva stipulato contratti, rinnovati ogni anno, aventi ad oggetto il servizio sanitario del personale del CFS della Regione Abruzzo; dal 2013, era risultata prima classificata nella selezione per l’affidamento alla collaborazione esterna del servizio sanitario; in forza di questi contratti, essa aveva l’obbligo di svolgere tutte le mansioni rientranti nel servizio sanitario in favore del personale del CFS dell’Abruzzo per un totale di 38 ore settimanali, quali visite fiscali, visite oculistiche per il rilascio o il rinnovo delle patenti di guida, visite per l’autorizzazione alle cure termali, rilascio di certificati medici per la cessione del quinto dello stipendio, redazione di relazioni mediche, rapporti con enti sanitari esterni, assistenza medica alle esercitazioni di tiro presso il poligono, rilascio di certificati medici, valutazione dei requisiti ex legge n. 104 del 1992, rilascio delle certificazioni per il porto d’armi, istruzione delle pratiche per il riconoscimento della causa di servizio e collaborazione con la CMO di Chieti;

d) con riferimento all’attività sanitaria specialistica, a partire dalla metà del 1990, il CFS dell’Abruzzo aveva incaricato la originaria ricorrente di svolgere mansioni rientranti nel piano sanitario di prevenzione degli infortuni sul lavoro ( quali sopralluoghi sugli ambienti di lavoro, visite al personale, corsi informativi per la sicurezza e l’igiene sul lavoro presso la scuola forestale di Gagliano Aterno, gestione della normativa relativa alla tutela delle lavoratrici madri, realizzazione del piano di vaccinazione contro il tetano, l’epatite B al personale, censimento dei video-terminali e valutazione del rischio dei lavoratori esposti, corsi di formazione di primo soccorso al personale) per un totale di 3277 ore di lavoro per le quali l’amministrazione non aveva corrisposto alcun compenso: successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 626 del 1994, il CFS aveva richiesto alla originaria ricorrente l’assistenza sanitaria specialistica, ormai obbligatoria, dal 1995 al 2000 con atti di nomina, dal 2001 in poi con contratti;

e) per la sua attività lavorativa percepiva un compenso mensile di lire 296.000; solamente nel 2001 aveva conseguito un incremento di retribuzione; l’attività lavorativa era stata svolta in parte fuori dall’ufficio, avvalendosi della macchina di servizio con autista, in forza di apposito ordine di servizio, e conseguendo il rimborso del pasto e l’indennità di missione; in parte nell’ufficio messole a disposizione presso il Comando genarle del CFS, cui erano addetti due dipendenti in divisa incaricati di coadiuvarla; per lo svolgimento di tutte le mansioni conferitele, essa aveva quale unico e diretto superiore il Comando regionale del CFS dell’Abruzzo, e l’amministrazione le aveva messo a disposizione tutta la strumentazione professionale di supporto alla sua attività, la carta telefonica, il personale in divisa.

4.1. Il T.a.r. con la impugnata decisione ha:

a) respinto l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito (vertendo la controversia in tema di pubblico impiego non privatizzato, ai sensi dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001);

b) respinto nel merito la domanda principale di conversione del rapporto (sulla scorta della considerazione che si era trattato di un unico e unitario rapporto di lavoro, caratterizzato dai requisiti della subordinazione, che si era svolto con il susseguirsi di contratti a tempo determinato di durata semestrale o annuale) rammentando che l’art. 36 comma V del d.lgs. n. 165 del 2001 costituiva barrage insuperabile, anche laddove si fosse convenuto con la tesi ricorsuale secondo cui l’Amministrazione avesse fatto ricorso a una forma contrattuale flessibile di assunzione e di impiego della xxx in assenza delle prescritte ragioni temporanee ed eccezionali che giustificassero la deroga alla regola generale dell’assunzione;

c) fatto presente che la costante giurisprudenza attribuiva portata tassativa a detto divieto, di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, riconoscendo soltanto che il dipendente, che avesse subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, potesse ottenere il risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall'onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un'indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

4.2. Passando all’esame delle domande articolate in via subordinata, il T.a.r ha dedotto che:

a) condizione indispensabile per la positiva delibazione di tale petitum riposava, ovviamente, nel riconoscimento giudiziale della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso tra la originaria ricorrente e il CFS della Regione Abruzzo;

b) detta tesi non risultava, però, condivisibile, in quanto:

I) i contratti stipulati sin dal 4.7.1987 dalla originaria ricorrente avevano ad oggetto una “convenzione a trattativa privata per il servizio sanitario” del CFS nel territorio abruzzese, in forza dei quali essa aveva assunto l’obbligo di disimpegnare tutte le attività rientranti nel servizio sanitario per il personale del Corpo acquisendo il diritto ad una retribuzione mensile forfettaria (e di converso l’Amministrazione aveva assunto l’obbligo, oltre che di pagare il compenso pattuito, altresì di mettere a disposizione della xxx le strutture, le attrezzature mediche, i medicinali e il personale necessario all’espletamento dell’incarico);

II) le convenzioni che si erano succedute dal 1987 al 2012 avevano per lo più analogo contenuto, essendo parzialmente mutate solamente le attività di cui la xxx era stata, nel corso del tempo, incaricata (gli altri servizi di carattere sanitario o riconducibili all’attività del CFS, prima, e la presenza, quale membro della CMO di Chieti presso il relativo ospedale militare, poi), nonché la retribuzione;

III) risultava dalle determinazioni del 31.12.2012 e del 6.2.2013 del CFS della Regione Abruzzo, di proroga delle convenzioni in scadenza, che dette convenzioni erano state ricondotte a incarichi di collaborazione esterni, per i quali l’art. 7, comma 6 bis, del d.lgs. n. 165 del 2001, richiedeva una procedura comparativa: ed infatti, a partire dal contratto stipulato il 30.4.2013, l’incarico di dirigente medico del servizio sanitario a favore del personale del CFS abruzzese era stato conferito, ai sensi della suindicata norma, a seguito di una procedura di valutazione comparativa;

IV) a questi contratti se ne erano aggiunti, nel corso del tempo, altri riguardanti attività sanitarie specifiche conferite di volta in volta ( quali ad esempio presso il poligono di tiro -contratto del 5.5.2005-), per il quale era stato attribuito un apposito compenso orario ed indicato il numero complessivo di giorni e di ore per ogni giorno in cui l’attività doveva essere espletata, ovvero quelle relative alla consulenza globale per i problemi di prevenzione, sicurezza e igiene del lavoro (a partire dal 2001);

c) da tali elementi, doveva discendere che l’Amministrazione avesse conferito, semestralmente o annualmente, un incarico a persona esterna alla propria organizzazione, e che dal contenuto dei contratti succedutesi nel tempo non fosse possibile inferire la natura subordinata dell’attività lavorativa espletata, in quanto:

I) l’Amministrazione si era limitata ad incaricare la xxx dello svolgimento di determinate attività, fissando un corrispettivo forfettario e lasciandola, per il resto, libera di organizzare la prestazione resa nei tempi e nelle modalità;

II) dai numerosi ordini di servizio non era possibile la natura subordinata del rapporto di lavoro, limitandosi questi ordini, in alcuni casi, ad autorizzare l’uso della macchina di servizio ( che non richiedeva la qualifica di dipendente del CFS) per un determinato giorno e per una determinata attività, in altri, ad indicare i giorni e gli orari delle esercitazioni del personale del CFS in cui era possibile svolgere l’attività sanitaria richiesta e il relativo compenso giornaliero;

III) anche quando gli ordini di servizio indicavano il giorno e l’ora in cui la originaria ricorrente avrebbe dovuto svolgere una determinata attività (ad esempio visite mediche al personale), non si rinveniva alcun indice di eterodirezione della prestazione lavorativa: si era al cospetto di una modalità di coordinamento fra l’attività resa dalla d.ssa xxx e la tempistica e le esigenze organizzative dell’Amministrazione;

d) non v’era alcun atto da cui emergesse l‘assoggettamento al potere direttivo, di controllo e gerarchico dell’amministrazione resistente (con indicazione delle modalità della prestazione lavorativa o del suo contenuto); la originaria ricorrente era infatti pienamente autonoma nella relativa determinazione ed anche in ordine ai tempi dell’attività lavorativa, non vi era stata alcuna indicazione fissa e rigorosa di un orario di lavoro da rispettare da parte dell’amministrazione resistente, né risultava che la predetta originaria ricorrente dovesse giustificare le sue assenza o preavvertire in caso di malattia o ferie, essendo pienamente autonoma anche nell’organizzazione della propria attività lavorativa e neppure che la stessa, nell’espletamento delle sue funzioni, fosse sottoposta al potere di controllo e disciplinare dell’amministrazione (nel ricorso introduttivo era stato anzi sottolineato che essa “rendeva conto” solamente al Comandante regionale del CFS).

e) infine, la circostanza che, qualora dovesse rendere attività fuori dall’ufficio, essa potesse fruire, dietro apposito ordine di servizio, della macchina di servizio (guidata da personale del CFS) non provava la natura subordinata del rapporto e neppure la previsione di un’indennità di missione era dirimente in tal senso (trattandosi di una mera voce, eventuale, del compenso forfettariamente fissato per la prestazione resa in caso di spostamenti al di fuori degli uffici del CFS).

4. La originaria ricorrente rimasta soccombente, ha impugnato la suindicata decisione criticandola sotto ogni angolo prospettico, e, dopo avere riepilogato le principali tappe infraprocedimentali ha prospettato le tesi invano sostenute in primo grado, attualizzandole rispetto alla motivazione reiettiva:

a) alla mancata istituzione del “ruolo dei funzionari medici” del CFS ed all’obbligo su detta amministrazione incombente di garantire la continuità dell’assistenza sanitaria, il CFS aveva “ovviato” stipulando una serie di contratti di lavoro con l’appellante;

b) lo stesso Corpo Forestale dello Stato aveva di fatto riconosciuto (anche esplicitamente) il ruolo svolto e ricoperto dalla dott.ssa xxx durante 30 anni;

c) ricorreva uno stabile rapporto di lavoro subordinato in quanto erano presenti tutti i requisiti essenziali della subordinazione ( sottoposizione al potere di direzione la continuità della prestazione e predeterminazione della retribuzione);

d)il rapporto era organizzato dal CFS, nell’esercizio del proprio potere direttivo attraverso ordini di servizio impartiti (per iscritto e verbalmente, convocandola, indicando luoghi ed orari delle visite, etc ).

5. In data 15.2.2017 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Corpo forestale dello Stato si è costituito con atto di stile, ed in data 17.3.2017 ha depositato una articolata memoria (contenente un appello incidentale subordinato) nell’ambito della quale ha chiesto la reiezione dell’appello, in quanto infondato, ed ha comunque riproposto l’eccezione di prescrizione, già prospettata in primo grado, ed assorbita dal T.a.r.

7. Alla camera di consiglio del 23 marzo 2017 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della impugnata decisione, la trattazione della controversia, sull’accordo delle parti, è stata differita all’udienza di merito.

8. In data 29.1.2018 l’appellante ha depositato una memoria puntualizzando le proprie doglianze, e facendo presente che essa aveva continuato a prestare la propria opera “alle dipendenze” del Corpo Forestale anche in pendenza del presente contenzioso e, peraltro, di recente, la Corte Costituzionale con la decisione dell’11 aprile – 19 maggio 2017 n. 111 aveva rilevato che vi erano dei casi in cui il principio del pubblico concorso per l’accesso al pubblico impiego poteva essere derogato

9.Alla odierna pubblica udienza dell’1 marzo 2018 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello principale è infondato e va respinto. L’appello incidentale è improcedibile.

2. Premesso che non è stato contestato da alcuna delle parti processuali il capo della sentenza con la quale è stata affermata la spettanza al plesso giurisdizionale amministrativo della giurisdizione sulla controversia, in ordine logico la prima questione da scrutinare riposa nella censura mossa al capo di sentenza che ha respinto la pretesa della odierna parte appellante volta ad ottenere una pronuncia dichiarativa del proprio asserito diritto ad ottenere la conversione del rapporto di lavoro intrattenuto con l’Amministrazione in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal 4.7.1987.

2.1. La censura è infondata in quanto, il principio generale stabilito nella Carta Fondamentale (art.97 Cost) è quello per cui alle pubbliche amministrazioni si accede per pubblico concorso, salve ipotesi eccezionali -non ricorrenti nel caso di specie- (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. V, 14aprile 2008, n. 1645 “il divieto di assunzione in forme diverse da quelle del pubblico concorso e la nullità degli atti adottati in tal senso, deve essere intesa come fondamento dell'impossibilità di accertare che il rapporto di pubblico impiego si è costituito, e ciò indipendentemente dalla sussistenza, in concreto, di quelli che sono stati definiti gli indici rivelatori della rapporto di lavoro subordinato, che hanno perduto rilevanza al fine specifico di tale accertamento. Pertanto, è inattuabile la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per l'esistenza di una specifica disciplina contraria che esclude ogni riferimento alla diversa disciplina privatistica, che non può trovare applicazione al caso di specie.”),.

2.1.1. Quanto sopra rilevato spiega portata assorbente. Ad abundantiam si osserva, inoltre, che il comma V dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 (“In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non puo' comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilita' e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative. Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano in violazione delle disposizioni del presente articolo sono responsabili anche ai sensi dell'articolo 21 del presente decreto. Di tali violazioni si terra' conto in sede di valutazione dell'operato del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286”) è perentorio nello stabilire che giammai la violazione di disposizioni in materia di impiego da parte delle pubbliche amministrazioni (e tale è quella contenuta al comma II del medesimo articolo: “Per rispondere ad esigenze di carattere esclusivamente temporaneo o eccezionale le amministrazioni pubbliche possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessita' organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato, dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, dall'articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863, dall'articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la somministrazione di lavoro, nonche' da ogni successiva modificazione o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla individuazione dei contingenti di personale utilizzabile ed il lavoro accessorio di cui all'articolo 70 del medesimo decreto legislativo n. 276 del 2003, e successive modificazioni ed integrazioni. Non e' possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. E' consentita l'applicazione dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato”) non può comportare la costituzione “forzosa” di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con il prestatore di lavoro (tra le tante, si veda Cassazione civile, sez. VI, 02/08/2016, n. 16095, Cassazione civile sez. un. 15 marzo 2016 n. 5072, Cassazione civile sez. un. 14 marzo 2016 n. 4912 ).

2.1.2. La disposizione suindicata, pacificamente applicabile all’intero settore del pubblico impiego,(sulla circostanza che i principi generali del decreto Legislativo n. 165/2001 trovino applicazione nei confronti di tutte le amministrazioni, tra le tante si veda Consiglio di Stato, sez. IV, 1giugno 2016, n. 2318) e, quindi, anche a quello c.d. “non contrattualizzato” il che ne dimostra la natura di “pietra angolare del sistema” e diretto precipitato dell’art. 97 della Carta Fondamentale - implica che il meccanismo della conversione in contratto a tempo indeterminato prevista dal d.lg. n. 368/2001 per il caso di abusivo utilizzo di contratti a termine, sia inapplicabile al rapporto di lavoro pubblico: infatti, per quest’ultimo vige, in caso di violazione di norme imperative in materia, un proprio e specifico regime sanzionatorio, contenuto all’art. 36, comma 5, d.lg. n. 165/2001, costituito dal diritto del lavoratore al risarcimento del danno,e detta disciplina che non può ritenersi abrogata da quella stabilita in via generale dal richiamato d.lg. n. 368/2001, trattandosi di disposizione generale non idonea a derogare una precedente disposizione speciale.

2.2. Quanto sinora rilevato, esclude altresì la favorevole delibabilità della articolazione della domanda principale tesa ad ottenere la condanna dell’amministrazione ad assumere in servizio la originaria ricorrente con la qualifica di primo dirigente medico.

3. Quanto alla domanda proposta in via subordinata, si osserva innanzitutto che la “posta” risarcitoria richiesta dalla odierna appellante non coincide con quella che –secondo la giurisprudenza consolidata- sarebbe anche in astratto liquidabile.

Ed invero, la costante giurisprudenza di legittimità proprio muovendo le mosse dal divieto stabilito dal comma V dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 sul quale ci si è prima soffermati ha condivisibilmente rilevato che (tra le tante, si veda Cassazione civile, sez. lav., 13/03/2017, n. 6413) “in caso di illegittima reiterazione di contratti a termine alle dipendenze di una p.a., il pregiudizio economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla mancata conversione del rapporto: quest'ultima, infatti, è esclusa per legge e trattasi di esclusione del tutto legittima sia secondo i parametri costituzionali sia secondo quelli comunitari. Piuttosto, al fine di consentire al lavoratore che abbia patito la reiterazione di contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa l'ammontare del danno, normalmente correlato alla perdita di chance di altre occasioni di lavoro stabile, si rinviene nel comma 5 dell'art. 32 l. n. 183 del 2010, una disposizione idonea allo scopo, nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un minimo e un massimo, consente al lavoratore di essere esonerato dall'onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di aver subito danni ulteriori”.

Già sotto il profilo teorico, quindi la richiesta della parte appellante ottenere la liquidazione a titolo di risarcimento di un danno corrispondente alle differenze retributive tra quanto essa avrebbe dovuto percepire come dirigente medico ove fosse stata assunta dall’amministrazione e quanto aveva effettivamente percepito per il lavoro svolto, compreso il differente trattamento pensionistico, nonché del danno all’immagine e morale non potrebbe trovare soddisfacimento, ed a tutto concedere dovrebbero trovare applicazione le disposizioni di cui al comma 5 dell'art. 32 l. n. 183 del 2010 (“Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604”).

3.1. Correttamente, tuttavia, il T.a.r., ancor prima di scendere all’esame della quantificazione del danno, ha rilevato che condizione imprescindibile della liquidazione di qualsivoglia pretesa risarcitoria riposava nella verifica della correttezza della tesi dell’appellante secondo cui, in concreto, il rapporto da essa intrattenuto con l’Amministrazione possedeva tutte le caratteristiche per essere qualificato qual rapporto di natura “subordinata”.

3.2. Come rilevato nella parte in fatto della presente decisione, il T.a.r. ha disatteso anche tale prospettazione, nella sostanza facendo proprie le argomentazioni contenute dall’Amministrazione nella nota n. 567/14 ct 1782714, depositata in primo grado in data 17 gennaio 2015.

3.3. Il Collegio ritiene che anche le critiche mosse dall’appellante a tale capo di decisione, non siano persuasive, in quanto:

a) per costante giurisprudenza amministrativa ( tra le tante, Consiglio di Stato sez. V 30 maggio 2016 n. 2275; Consiglio di Stato, sez. V, 05/04/2017, n. 1601 “indici rivelatori della presenza di un rapporto di pubblico impiego sono: a) un'attività svolta in modo continuativo per un apprezzabile lasso temporale; b) un compenso mensile e predeterminato; c) un servizio prestato in orario e giorni predeterminati; d) il riconoscimento implicito per le modalità di svolgimento del servizio che si tratti di lavoro subordinato: vincolo di subordinazione gerarchica, mansioni corrispondenti a quelle della qualifica rivendicata, evidenziate da ordini di servizio, inserimento stabile nell'organizzazione dell'ente; e) l'esclusività della prestazione lavorativa.”) e civile (Cassazione civile, sez. lav., 05/09/2014, n. 18783) il parametro normativo che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell'organizzazione aziendale;

b) la giurisprudenza è concorde del ritenere che tale delicata verifica debba essere effettuata in concreto, e non già in astratto (tra le tante, Cassazione civile sez. lav. 14 maggio 2009 n. 11207

“ai fini della distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia agevolmente apprezzabile a causa della peculiare struttura organizzativa del datore di lavoro e del relativo atteggiarsi del rapporto (prestato, nella specie, a favore di gruppi parlamentari della Camera dei deputati), occorre fare completo riferimento a criteri sintomatici e sussidiari - quali la qualificazione della ricorrente come dipendente del gruppo parlamentare, il pagamento con cadenza mensile di un corrispettivo, la corresponsione della tredicesima mensilità e del compenso per le ferie non godute, l'inserimento della stessa nell'organizzazione del gruppo parlamentare al fine di assicurare la presenza di un addetto alla segreteria anche in giorni festivi, la qualificazione della cessazione del rapporto come licenziamento, la costituzione di una posizione assicurativa-previdenziale quale impiegata, nonché, ove il rapporto nel suo concreto esplicarsi presenti elementi tali da essere compatibile sia con l'autonomia che con la subordinazione del lavoratore, la volontà delle parti come espressasi sia nel momento genetico che, eventualmente, nei momenti successivi - che, privi ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come indizi probatori della subordinazione, assumendo il giudizio relativo alla qualificazione del rapporto carattere sintetico in relazione all'insieme degli indici significativi e alle specificità del caso concreto. Cassazione civile sez. lav., 14 maggio 2009, n. 11207; Cassazione civile sez. lav., 6 giugno 2014, n. 12817);

c) in particolare, occorre tenere conto della specificità della condizione organizzativa del “datore di lavoro” e costituirebbe errore prospettico non irrilevante, quello di scambiare la necessaria attività di coordinamento che l’organizzazione datoriale appresta, affinchè la prestazione svolta dal lavoratore autonomo possa esplicarsi nel modo più efficiente possibile, con le “istruzioni” tipiche del rapporto lavorativo di natura subordinata;

d) nel caso di specie, l’appellante trascura di considerare che:

I) le convenzioni intervenute tra le parti (come correttamente colto dal T.a.r. al capo 3 della sentenza) lasciavano libera l’appellante, di organizzare la prestazione resa nei tempi e nelle modalità da essa stabilite;

II) è ben ovvio che ciò andasse coordinato con una struttura complessa, ed una organizzazione di stampo militare, quale era quella del Corpo Forestale dello Stato;

III) ed è ben logico che l’Amministrazione dovesse indicare tempistica e modi di possibile espletamento della prestazione, per far si che non vi fosse dispersione di attività;

IV) ma tale coordinamento, era appunto necessario, in quanto discendente dalla struttura datoriale;

V) da alcun atto del procedimento emerge che l’appellante fosse soggetta a potere disciplinare, e neppure che la stessa fosse stabilmente inserita nell’organizzazione dell’Ente, che quest’ultimo fosse in grado di controllare il quomodo della prestazione da essa apprestata, che vi fosse alcun vincolo di tipo gerarchico.

3.4. Il vero è che ci si trovava al cospetto di plurimi contratti di prestazione d’opera professionale, con elementi di “rigidità” conferenti con la struttura militare

4. Conclusivamente, sembra al Collegio che l’appello vada disatteso, dovendosi in ultimo rilevare che neppure dalla decisione della Corte Costituzionale 19/05/2017, n. 113 (l’appellante nella propria memoria depositata il 29.1.2018 ha erroneamente citato la decisione n. 111, che tuttavia non ha alcuna aderenza alla fattispecie oggetto della disamina affidata al Collegio) possano trarsi elementi in favore della critica dell’appellante: se sono state enucleate ipotesi di possibile deroga alla regola di cui all’ar. 97 della Costituzione, non v’è dubbio che comunque, a tutto concedere, ciò rientrerebbe nella latissima discrezionalità dell’Amministrazione che, nel caso di specie, non è stata esercitata in senso irragionevole; in ogni caso ivi si controverteva in ordine alla possibilità di inserire nei ruoli di una amministrazione regionale lavoratori dipendenti di società per azioni a partecipazione pubblica poste in liquidazione, e la Corte, richiamati pregressi precedenti ha dichiarato la illegittimità della legge regionale che tale eventualità prevedeva: non è dato riscontrare nella fattispecie in esame alcuna delle esigenze particolari che potrebbero giustificare la deroga all’art. 97 della Costituzione.

5.L’appello principale deve essere quindi integralmente respinto, mentre deve essere dichiarato improcedibile l’appello incidentale.

6.Le spese processuali del grado possono tuttavia essere compensate, a cagione della particolarità della situazione fattuale sottesa alla controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale.

Spese processuali del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:

Paolo Troiano, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere, Estensore

Leonardo Spagnoletti, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere

Alessandro Verrico, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Fabio Taormina
Paolo Troiano

IL SEGRETARIO

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