Consiglio di Stato
2018: “la originaria ricorrente dal 4.7.1987 alla data di
proposizione del ricorso, aveva prestato servizio come dirigente
medico del Corpo forestale dello Stato (CFS)”
Pubblicato il
29/05/2018
N.
03190/2018REG.PROV.COLL.
N. 00175/2017
REG.RIC.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
Il Consiglio di
Stato
in sede
giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la
presente
SENTENZA
sul ricorso numero
di registro generale 175 del 2017, proposto dalla Signora xxx xxx,
rappresentato e difeso dagli avvocati Domenico D'Amato, Angela
Picciariello, con domicilio eletto presso lo studio Domenico D'Amato
in Roma, via Cola di Rienzo 111;
contro
Ministero delle
Politiche Agricole Alimentari e Forestali - Corpo Forestale dello
Stato, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, n persona dei
rispettivi legali rappresentanti in carica, tutti rappresentati e
difesi per legge dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui
uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati,
costituitisi in giudizio;
per la riforma
della sentenza del
T.A.R. per l’ABRUZZO – Sede di L'AQUILA- SEZIONE I n. 477/2016.
Visti il ricorso in
appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di
costituzione in giudizio del Ministero delle Politiche Agricole
Alimentari e Forestali - Corpo Forestale dello Stato e del Comando
Generale dell'Arma dei Carabinieri, ed il ricorso incidentale da
questi proposto;
Viste le memorie
difensive;
Visti tutti gli atti
della causa;
Relatore
nell'udienza pubblica del giorno 1 marzo 2018 il consigliere Fabio
Taormina e uditi per le parti l’ avvocato Picciariello, e l’
avvocato dello Stato Fiorentino;
Ritenuto e
considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza
in epigrafe impugnata n. 477dell’ 8 agosto 2016 il Tribunale
amministrativo regionale per l’ Abruzzo – Sede di L’Aquila - ha
respinto il ricorso proposto dalla parte odierna appellante Signora
xxx xxx teso ad l’accertamento dell’avvenuto perfezionamento di
un rapporto di pubblico impiego intrattenuto dalla medesima con il
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Corpo
forestale dello Stato ed il risarcimento dei danni cagionati dalla
mancata erogazione delle retribuzioni e delle provvidenze economiche
discendenti dal predetto rapporto.
2. In particolare,
la domanda principale era volta all’affermazione dell’asserito
diritto alla conversione del rapporto di lavoro in essere in rapporto
di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal 4.7.1987 ed alla
condanna dell’amministrazione ad assumere in servizio la originaria
ricorrente con la qualifica di primo dirigente medico (secondo quanto
prescritto dall’art. 43 del d.lgs. n. 334 del 2000 e dal d.l. n. 45
del 2003) ed a pagarle le differenze retributive tra quanto essa
stessa avrebbe dovuto percepire come dirigente medico e quanto ha
effettivamente percepito per il lavoro svolto, nonché a risarcirle
il danno all’immagine e morale; in via subordinata era stato
chiesto che il Ministero delle politiche agricole alimentari e
forestali – Corpo forestale dello Stato venisse condannato a
risarcire il danno corrispondente alle differenze retributive tra
quanto la originaria ricorrente stessa avrebbe dovuto percepire come
dirigente medico ove fosse stata assunta dall’amministrazione
resistente e quanto aveva effettivamente percepito per il lavoro
svolto, compreso il differente trattamento pensionistico, nonché a
risarcirle il danno all’immagine e morale.
3. Il Ministero
delle Politiche Agricole e Forestali si era costituito in giudizio
chiedendo la declaratoria di inammissibilità, ovvero la reiezione
del ricorso in quanto infondato.
4. Il T.a.r. con la
impugnata decisione ha innanzitutto rammentato che, in punto di fatto
era stato dedotto che:
a) la originaria
ricorrente dal 4.7.1987 alla data di proposizione del ricorso, aveva
prestato servizio come dirigente medico del Corpo forestale dello
Stato (CFS), sia per l’assistenza sanitaria ordinaria, sia, dal
1990, per l’assistenza sanitaria specialistica di tutto il
personale del CFS della Regione Abruzzo, per un totale di 800 unità
dislocate presso i 110 Comandi di Stazione distribuiti sull’intero
territorio dell’Abruzzo;
b) tale attività
era stata svolta in modo continuativo, con il vincolo della
subordinazione e a tempo pieno; per questa attività erano stati
stipulati ben 60 contratti di lavoro che coprivano un periodo di 27
anni; inoltre,il CFS non aveva nella propria organizzazione un
servizio sanitario e a ciò aveva sopperito tramite l’attività
della originaria ricorrente;
c) con riferimento
all’assistenza sanitaria ordinaria, dal 1987 alla data di
proposizione del ricorso essa aveva stipulato contratti, rinnovati
ogni anno, aventi ad oggetto il servizio sanitario del personale del
CFS della Regione Abruzzo; dal 2013, era risultata prima classificata
nella selezione per l’affidamento alla collaborazione esterna del
servizio sanitario; in forza di questi contratti, essa aveva
l’obbligo di svolgere tutte le mansioni rientranti nel servizio
sanitario in favore del personale del CFS dell’Abruzzo per un
totale di 38 ore settimanali, quali visite fiscali, visite
oculistiche per il rilascio o il rinnovo delle patenti di guida,
visite per l’autorizzazione alle cure termali, rilascio di
certificati medici per la cessione del quinto dello stipendio,
redazione di relazioni mediche, rapporti con enti sanitari esterni,
assistenza medica alle esercitazioni di tiro presso il poligono,
rilascio di certificati medici, valutazione dei requisiti ex legge n.
104 del 1992, rilascio delle certificazioni per il porto d’armi,
istruzione delle pratiche per il riconoscimento della causa di
servizio e collaborazione con la CMO di Chieti;
d) con riferimento
all’attività sanitaria specialistica, a partire dalla metà del
1990, il CFS dell’Abruzzo aveva incaricato la originaria ricorrente
di svolgere mansioni rientranti nel piano sanitario di prevenzione
degli infortuni sul lavoro ( quali sopralluoghi sugli ambienti di
lavoro, visite al personale, corsi informativi per la sicurezza e
l’igiene sul lavoro presso la scuola forestale di Gagliano Aterno,
gestione della normativa relativa alla tutela delle lavoratrici
madri, realizzazione del piano di vaccinazione contro il tetano,
l’epatite B al personale, censimento dei video-terminali e
valutazione del rischio dei lavoratori esposti, corsi di formazione
di primo soccorso al personale) per un totale di 3277 ore di lavoro
per le quali l’amministrazione non aveva corrisposto alcun
compenso: successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 626
del 1994, il CFS aveva richiesto alla originaria ricorrente
l’assistenza sanitaria specialistica, ormai obbligatoria, dal 1995
al 2000 con atti di nomina, dal 2001 in poi con contratti;
e) per la sua
attività lavorativa percepiva un compenso mensile di lire 296.000;
solamente nel 2001 aveva conseguito un incremento di retribuzione;
l’attività lavorativa era stata svolta in parte fuori
dall’ufficio, avvalendosi della macchina di servizio con autista,
in forza di apposito ordine di servizio, e conseguendo il rimborso
del pasto e l’indennità di missione; in parte nell’ufficio
messole a disposizione presso il Comando genarle del CFS, cui erano
addetti due dipendenti in divisa incaricati di coadiuvarla; per lo
svolgimento di tutte le mansioni conferitele, essa aveva quale unico
e diretto superiore il Comando regionale del CFS dell’Abruzzo, e
l’amministrazione le aveva messo a disposizione tutta la
strumentazione professionale di supporto alla sua attività, la carta
telefonica, il personale in divisa.
4.1. Il T.a.r. con
la impugnata decisione ha:
a) respinto
l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice adito (vertendo
la controversia in tema di pubblico impiego non privatizzato, ai
sensi dell’art. 63, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001);
b) respinto nel
merito la domanda principale di conversione del rapporto (sulla
scorta della considerazione che si era trattato di un unico e
unitario rapporto di lavoro, caratterizzato dai requisiti della
subordinazione, che si era svolto con il susseguirsi di contratti a
tempo determinato di durata semestrale o annuale) rammentando che
l’art. 36 comma V del d.lgs. n. 165 del 2001 costituiva barrage
insuperabile, anche laddove si fosse convenuto con la tesi ricorsuale
secondo cui l’Amministrazione avesse fatto ricorso a una forma
contrattuale flessibile di assunzione e di impiego della xxx in
assenza delle prescritte ragioni temporanee ed eccezionali che
giustificassero la deroga alla regola generale dell’assunzione;
c) fatto presente
che la costante giurisprudenza attribuiva portata tassativa a detto
divieto, di trasformazione del contratto di lavoro da tempo
determinato a tempo indeterminato posto dal d.lgs. 30 marzo 2001, n.
165, art. 36, comma 5, riconoscendo soltanto che il dipendente, che
avesse subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego,
potesse ottenere il risarcimento del danno previsto dalla medesima
disposizione con esonero dall'onere probatorio nella misura e nei
limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e
quindi nella misura pari ad un'indennità onnicomprensiva tra un
minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione
globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15
luglio 1966, n. 604, art. 8”.
4.2. Passando
all’esame delle domande articolate in via subordinata, il T.a.r ha
dedotto che:
a) condizione
indispensabile per la positiva delibazione di tale petitum riposava,
ovviamente, nel riconoscimento giudiziale della natura subordinata
del rapporto di lavoro intercorso tra la originaria ricorrente e il
CFS della Regione Abruzzo;
b) detta tesi non
risultava, però, condivisibile, in quanto:
I) i contratti
stipulati sin dal 4.7.1987 dalla originaria ricorrente avevano ad
oggetto una “convenzione a trattativa privata per il servizio
sanitario” del CFS nel territorio abruzzese, in forza dei quali
essa aveva assunto l’obbligo di disimpegnare tutte le attività
rientranti nel servizio sanitario per il personale del Corpo
acquisendo il diritto ad una retribuzione mensile forfettaria (e di
converso l’Amministrazione aveva assunto l’obbligo, oltre che di
pagare il compenso pattuito, altresì di mettere a disposizione della
xxx le strutture, le attrezzature mediche, i medicinali e il
personale necessario all’espletamento dell’incarico);
II) le convenzioni
che si erano succedute dal 1987 al 2012 avevano per lo più analogo
contenuto, essendo parzialmente mutate solamente le attività di cui
la xxx era stata, nel corso del tempo, incaricata (gli altri servizi
di carattere sanitario o riconducibili all’attività del CFS,
prima, e la presenza, quale membro della CMO di Chieti presso il
relativo ospedale militare, poi), nonché la retribuzione;
III) risultava dalle
determinazioni del 31.12.2012 e del 6.2.2013 del CFS della Regione
Abruzzo, di proroga delle convenzioni in scadenza, che dette
convenzioni erano state ricondotte a incarichi di collaborazione
esterni, per i quali l’art. 7, comma 6 bis, del d.lgs. n. 165 del
2001, richiedeva una procedura comparativa: ed infatti, a partire dal
contratto stipulato il 30.4.2013, l’incarico di dirigente medico
del servizio sanitario a favore del personale del CFS abruzzese era
stato conferito, ai sensi della suindicata norma, a seguito di una
procedura di valutazione comparativa;
IV) a questi
contratti se ne erano aggiunti, nel corso del tempo, altri
riguardanti attività sanitarie specifiche conferite di volta in
volta ( quali ad esempio presso il poligono di tiro -contratto del
5.5.2005-), per il quale era stato attribuito un apposito compenso
orario ed indicato il numero complessivo di giorni e di ore per ogni
giorno in cui l’attività doveva essere espletata, ovvero quelle
relative alla consulenza globale per i problemi di prevenzione,
sicurezza e igiene del lavoro (a partire dal 2001);
c) da tali elementi,
doveva discendere che l’Amministrazione avesse conferito,
semestralmente o annualmente, un incarico a persona esterna alla
propria organizzazione, e che dal contenuto dei contratti succedutesi
nel tempo non fosse possibile inferire la natura subordinata
dell’attività lavorativa espletata, in quanto:
I) l’Amministrazione
si era limitata ad incaricare la xxx dello svolgimento di determinate
attività, fissando un corrispettivo forfettario e lasciandola, per
il resto, libera di organizzare la prestazione resa nei tempi e nelle
modalità;
II) dai numerosi
ordini di servizio non era possibile la natura subordinata del
rapporto di lavoro, limitandosi questi ordini, in alcuni casi, ad
autorizzare l’uso della macchina di servizio ( che non richiedeva
la qualifica di dipendente del CFS) per un determinato giorno e per
una determinata attività, in altri, ad indicare i giorni e gli orari
delle esercitazioni del personale del CFS in cui era possibile
svolgere l’attività sanitaria richiesta e il relativo compenso
giornaliero;
III) anche quando
gli ordini di servizio indicavano il giorno e l’ora in cui la
originaria ricorrente avrebbe dovuto svolgere una determinata
attività (ad esempio visite mediche al personale), non si rinveniva
alcun indice di eterodirezione della prestazione lavorativa: si era
al cospetto di una modalità di coordinamento fra l’attività resa
dalla d.ssa xxx e la tempistica e le esigenze organizzative
dell’Amministrazione;
d) non v’era alcun
atto da cui emergesse l‘assoggettamento al potere direttivo, di
controllo e gerarchico dell’amministrazione resistente (con
indicazione delle modalità della prestazione lavorativa o del suo
contenuto); la originaria ricorrente era infatti pienamente autonoma
nella relativa determinazione ed anche in ordine ai tempi
dell’attività lavorativa, non vi era stata alcuna indicazione
fissa e rigorosa di un orario di lavoro da rispettare da parte
dell’amministrazione resistente, né risultava che la predetta
originaria ricorrente dovesse giustificare le sue assenza o
preavvertire in caso di malattia o ferie, essendo pienamente autonoma
anche nell’organizzazione della propria attività lavorativa e
neppure che la stessa, nell’espletamento delle sue funzioni, fosse
sottoposta al potere di controllo e disciplinare dell’amministrazione
(nel ricorso introduttivo era stato anzi sottolineato che essa
“rendeva conto” solamente al Comandante regionale del CFS).
e) infine, la
circostanza che, qualora dovesse rendere attività fuori
dall’ufficio, essa potesse fruire, dietro apposito ordine di
servizio, della macchina di servizio (guidata da personale del CFS)
non provava la natura subordinata del rapporto e neppure la
previsione di un’indennità di missione era dirimente in tal senso
(trattandosi di una mera voce, eventuale, del compenso
forfettariamente fissato per la prestazione resa in caso di
spostamenti al di fuori degli uffici del CFS).
4. La originaria
ricorrente rimasta soccombente, ha impugnato la suindicata decisione
criticandola sotto ogni angolo prospettico, e, dopo avere riepilogato
le principali tappe infraprocedimentali ha prospettato le tesi invano
sostenute in primo grado, attualizzandole rispetto alla motivazione
reiettiva:
a) alla mancata
istituzione del “ruolo dei funzionari medici” del CFS ed
all’obbligo su detta amministrazione incombente di garantire la
continuità dell’assistenza sanitaria, il CFS aveva “ovviato”
stipulando una serie di contratti di lavoro con l’appellante;
b) lo stesso Corpo
Forestale dello Stato aveva di fatto riconosciuto (anche
esplicitamente) il ruolo svolto e ricoperto dalla dott.ssa xxx
durante 30 anni;
c) ricorreva uno
stabile rapporto di lavoro subordinato in quanto erano presenti tutti
i requisiti essenziali della subordinazione ( sottoposizione al
potere di direzione la continuità della prestazione e
predeterminazione della retribuzione);
d)il rapporto era
organizzato dal CFS, nell’esercizio del proprio potere direttivo
attraverso ordini di servizio impartiti (per iscritto e verbalmente,
convocandola, indicando luoghi ed orari delle visite, etc ).
5. In data 15.2.2017
il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali –
Corpo forestale dello Stato si è costituito con atto di stile, ed in
data 17.3.2017 ha depositato una articolata memoria (contenente un
appello incidentale subordinato) nell’ambito della quale ha chiesto
la reiezione dell’appello, in quanto infondato, ed ha comunque
riproposto l’eccezione di prescrizione, già prospettata in primo
grado, ed assorbita dal T.a.r.
7. Alla camera di
consiglio del 23 marzo 2017 fissata per la delibazione della istanza
di sospensione della esecutività della impugnata decisione, la
trattazione della controversia, sull’accordo delle parti, è stata
differita all’udienza di merito.
8. In data 29.1.2018
l’appellante ha depositato una memoria puntualizzando le proprie
doglianze, e facendo presente che essa aveva continuato a prestare la
propria opera “alle dipendenze” del Corpo Forestale anche in
pendenza del presente contenzioso e, peraltro, di recente, la Corte
Costituzionale con la decisione dell’11 aprile – 19 maggio 2017
n. 111 aveva rilevato che vi erano dei casi in cui il principio del
pubblico concorso per l’accesso al pubblico impiego poteva essere
derogato
9.Alla odierna
pubblica udienza dell’1 marzo 2018 la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
1. L’appello
principale è infondato e va respinto. L’appello incidentale è
improcedibile.
2. Premesso che non
è stato contestato da alcuna delle parti processuali il capo della
sentenza con la quale è stata affermata la spettanza al plesso
giurisdizionale amministrativo della giurisdizione sulla
controversia, in ordine logico la prima questione da scrutinare
riposa nella censura mossa al capo di sentenza che ha respinto la
pretesa della odierna parte appellante volta ad ottenere una
pronuncia dichiarativa del proprio asserito diritto ad ottenere la
conversione del rapporto di lavoro intrattenuto con l’Amministrazione
in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con decorrenza dal
4.7.1987.
2.1. La censura è
infondata in quanto, il principio generale stabilito nella Carta
Fondamentale (art.97 Cost) è quello per cui alle pubbliche
amministrazioni si accede per pubblico concorso, salve ipotesi
eccezionali -non ricorrenti nel caso di specie- (tra le tante,
Consiglio di Stato, sez. V, 14aprile 2008, n. 1645 “il divieto di
assunzione in forme diverse da quelle del pubblico concorso e la
nullità degli atti adottati in tal senso, deve essere intesa come
fondamento dell'impossibilità di accertare che il rapporto di
pubblico impiego si è costituito, e ciò indipendentemente dalla
sussistenza, in concreto, di quelli che sono stati definiti gli
indici rivelatori della rapporto di lavoro subordinato, che hanno
perduto rilevanza al fine specifico di tale accertamento. Pertanto, è
inattuabile la conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato
in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per l'esistenza di una
specifica disciplina contraria che esclude ogni riferimento alla
diversa disciplina privatistica, che non può trovare applicazione al
caso di specie.”),.
2.1.1. Quanto sopra
rilevato spiega portata assorbente. Ad abundantiam si osserva,
inoltre, che il comma V dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001
(“In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative
riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle
pubbliche amministrazioni, non puo' comportare la costituzione di
rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche
amministrazioni, ferma restando ogni responsabilita' e sanzione. Il
lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante
dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative.
Le amministrazioni hanno l'obbligo di recuperare le somme pagate a
tale titolo nei confronti dei dirigenti responsabili, qualora la
violazione sia dovuta a dolo o colpa grave. I dirigenti che operano
in violazione delle disposizioni del presente articolo sono
responsabili anche ai sensi dell'articolo 21 del presente decreto. Di
tali violazioni si terra' conto in sede di valutazione dell'operato
del dirigente ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 30
luglio 1999, n. 286”) è perentorio nello stabilire che giammai la
violazione di disposizioni in materia di impiego da parte delle
pubbliche amministrazioni (e tale è quella contenuta al comma II del
medesimo articolo: “Per rispondere ad esigenze di carattere
esclusivamente temporaneo o eccezionale le amministrazioni pubbliche
possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e
di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui
rapporti di lavoro subordinato nell'impresa, nel rispetto delle
procedure di reclutamento vigenti. Ferma restando la competenza delle
amministrazioni in ordine alla individuazione delle necessita'
organizzative in coerenza con quanto stabilito dalle vigenti
disposizioni di legge, i contratti collettivi nazionali provvedono a
disciplinare la materia dei contratti di lavoro a tempo determinato,
dei contratti di formazione e lavoro, degli altri rapporti formativi
e della somministrazione di lavoro, in applicazione di quanto
previsto dal decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368,
dall'articolo 3 del decreto-legge 30 ottobre 1984, n. 726,
convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 1984, n. 863,
dall'articolo 16 del decreto-legge 16 maggio 1994, n. 299, convertito
con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, dal decreto
legislativo 10 settembre 2003, n. 276 per quanto riguarda la
somministrazione di lavoro, nonche' da ogni successiva modificazione
o integrazione della relativa disciplina con riferimento alla
individuazione dei contingenti di personale utilizzabile ed il lavoro
accessorio di cui all'articolo 70 del medesimo decreto legislativo n.
276 del 2003, e successive modificazioni ed integrazioni. Non e'
possibile ricorrere alla somministrazione di lavoro per l'esercizio
di funzioni direttive e dirigenziali. Per prevenire fenomeni di
precariato, le amministrazioni pubbliche, nel rispetto delle
disposizioni del presente articolo, sottoscrivono contratti a tempo
determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie
vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato. E' consentita
l'applicazione dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge
24 dicembre 2003, n. 350, ferma restando la salvaguardia della
posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per
le assunzioni a tempo indeterminato”) non può comportare la
costituzione “forzosa” di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato con il prestatore di lavoro (tra le tante, si veda
Cassazione civile, sez. VI, 02/08/2016, n. 16095, Cassazione civile
sez. un. 15 marzo 2016 n. 5072, Cassazione civile sez. un. 14 marzo
2016 n. 4912 ).
2.1.2. La
disposizione suindicata, pacificamente applicabile all’intero
settore del pubblico impiego,(sulla circostanza che i principi
generali del decreto Legislativo n. 165/2001 trovino applicazione nei
confronti di tutte le amministrazioni, tra le tante si veda Consiglio
di Stato, sez. IV, 1giugno 2016, n. 2318) e, quindi, anche a quello
c.d. “non contrattualizzato” il che ne dimostra la natura di
“pietra angolare del sistema” e diretto precipitato dell’art.
97 della Carta Fondamentale - implica che il meccanismo della
conversione in contratto a tempo indeterminato prevista dal d.lg. n.
368/2001 per il caso di abusivo utilizzo di contratti a termine, sia
inapplicabile al rapporto di lavoro pubblico: infatti, per
quest’ultimo vige, in caso di violazione di norme imperative in
materia, un proprio e specifico regime sanzionatorio, contenuto
all’art. 36, comma 5, d.lg. n. 165/2001, costituito dal diritto del
lavoratore al risarcimento del danno,e detta disciplina che non può
ritenersi abrogata da quella stabilita in via generale dal richiamato
d.lg. n. 368/2001, trattandosi di disposizione generale non idonea a
derogare una precedente disposizione speciale.
2.2. Quanto sinora
rilevato, esclude altresì la favorevole delibabilità della
articolazione della domanda principale tesa ad ottenere la condanna
dell’amministrazione ad assumere in servizio la originaria
ricorrente con la qualifica di primo dirigente medico.
3. Quanto alla
domanda proposta in via subordinata, si osserva innanzitutto che la
“posta” risarcitoria richiesta dalla odierna appellante non
coincide con quella che –secondo la giurisprudenza consolidata-
sarebbe anche in astratto liquidabile.
Ed invero, la
costante giurisprudenza di legittimità proprio muovendo le mosse dal
divieto stabilito dal comma V dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del
2001 sul quale ci si è prima soffermati ha condivisibilmente
rilevato che (tra le tante, si veda Cassazione civile, sez. lav.,
13/03/2017, n. 6413) “in caso di illegittima reiterazione di
contratti a termine alle dipendenze di una p.a., il pregiudizio
economico oggetto di risarcimento non può essere collegato alla
mancata conversione del rapporto: quest'ultima, infatti, è esclusa
per legge e trattasi di esclusione del tutto legittima sia secondo i
parametri costituzionali sia secondo quelli comunitari. Piuttosto, al
fine di consentire al lavoratore che abbia patito la reiterazione di
contratti a termine di avvalersi di una presunzione di legge circa
l'ammontare del danno, normalmente correlato alla perdita di chance
di altre occasioni di lavoro stabile, si rinviene nel comma 5
dell'art. 32 l. n. 183 del 2010, una disposizione idonea allo scopo,
nella misura in cui, prevedendo un risarcimento predeterminato tra un
minimo e un massimo, consente al lavoratore di essere esonerato
dall'onere della prova, fermo restando il suo diritto di provare di
aver subito danni ulteriori”.
Già sotto il
profilo teorico, quindi la richiesta della parte appellante ottenere
la liquidazione a titolo di risarcimento di un danno corrispondente
alle differenze retributive tra quanto essa avrebbe dovuto percepire
come dirigente medico ove fosse stata assunta dall’amministrazione
e quanto aveva effettivamente percepito per il lavoro svolto,
compreso il differente trattamento pensionistico, nonché del danno
all’immagine e morale non potrebbe trovare soddisfacimento, ed a
tutto concedere dovrebbero trovare applicazione le disposizioni di
cui al comma 5 dell'art. 32 l. n. 183 del 2010 (“Nei casi di
conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il
datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo
un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di
2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale
di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della
legge 15 luglio 1966, n. 604”).
3.1. Correttamente,
tuttavia, il T.a.r., ancor prima di scendere all’esame della
quantificazione del danno, ha rilevato che condizione imprescindibile
della liquidazione di qualsivoglia pretesa risarcitoria riposava
nella verifica della correttezza della tesi dell’appellante secondo
cui, in concreto, il rapporto da essa intrattenuto con
l’Amministrazione possedeva tutte le caratteristiche per essere
qualificato qual rapporto di natura “subordinata”.
3.2. Come rilevato
nella parte in fatto della presente decisione, il T.a.r. ha disatteso
anche tale prospettazione, nella sostanza facendo proprie le
argomentazioni contenute dall’Amministrazione nella nota n. 567/14
ct 1782714, depositata in primo grado in data 17 gennaio 2015.
3.3. Il Collegio
ritiene che anche le critiche mosse dall’appellante a tale capo di
decisione, non siano persuasive, in quanto:
a) per costante
giurisprudenza amministrativa ( tra le tante, Consiglio di Stato sez.
V 30 maggio 2016 n. 2275; Consiglio di Stato, sez. V, 05/04/2017, n.
1601 “indici rivelatori della presenza di un rapporto di pubblico
impiego sono: a) un'attività svolta in modo continuativo per un
apprezzabile lasso temporale; b) un compenso mensile e
predeterminato; c) un servizio prestato in orario e giorni
predeterminati; d) il riconoscimento implicito per le modalità di
svolgimento del servizio che si tratti di lavoro subordinato: vincolo
di subordinazione gerarchica, mansioni corrispondenti a quelle della
qualifica rivendicata, evidenziate da ordini di servizio, inserimento
stabile nell'organizzazione dell'ente; e) l'esclusività della
prestazione lavorativa.”) e civile (Cassazione civile, sez. lav.,
05/09/2014, n. 18783) il parametro normativo che contraddistingue il
rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro
autonomo è il vincolo di soggezione personale del lavoratore al
potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro,
con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento
nell'organizzazione aziendale;
b) la giurisprudenza
è concorde del ritenere che tale delicata verifica debba essere
effettuata in concreto, e non già in astratto (tra le tante,
Cassazione civile sez. lav. 14 maggio 2009 n. 11207
“ai fini della
distinzione tra lavoro autonomo e subordinato, quando l'elemento
dell'assoggettamento del lavoratore alle direttive altrui non sia
agevolmente apprezzabile a causa della peculiare struttura
organizzativa del datore di lavoro e del relativo atteggiarsi del
rapporto (prestato, nella specie, a favore di gruppi parlamentari
della Camera dei deputati), occorre fare completo riferimento a
criteri sintomatici e sussidiari - quali la qualificazione della
ricorrente come dipendente del gruppo parlamentare, il pagamento con
cadenza mensile di un corrispettivo, la corresponsione della
tredicesima mensilità e del compenso per le ferie non godute,
l'inserimento della stessa nell'organizzazione del gruppo
parlamentare al fine di assicurare la presenza di un addetto alla
segreteria anche in giorni festivi, la qualificazione della
cessazione del rapporto come licenziamento, la costituzione di una
posizione assicurativa-previdenziale quale impiegata, nonché, ove il
rapporto nel suo concreto esplicarsi presenti elementi tali da essere
compatibile sia con l'autonomia che con la subordinazione del
lavoratore, la volontà delle parti come espressasi sia nel momento
genetico che, eventualmente, nei momenti successivi - che, privi
ciascuno di valore decisivo, possono essere valutati globalmente come
indizi probatori della subordinazione, assumendo il giudizio relativo
alla qualificazione del rapporto carattere sintetico in relazione
all'insieme degli indici significativi e alle specificità del caso
concreto. Cassazione civile sez. lav., 14 maggio 2009, n. 11207;
Cassazione civile sez. lav., 6 giugno 2014, n. 12817);
c) in particolare,
occorre tenere conto della specificità della condizione
organizzativa del “datore di lavoro” e costituirebbe errore
prospettico non irrilevante, quello di scambiare la necessaria
attività di coordinamento che l’organizzazione datoriale appresta,
affinchè la prestazione svolta dal lavoratore autonomo possa
esplicarsi nel modo più efficiente possibile, con le “istruzioni”
tipiche del rapporto lavorativo di natura subordinata;
d) nel caso di
specie, l’appellante trascura di considerare che:
I) le convenzioni
intervenute tra le parti (come correttamente colto dal T.a.r. al capo
3 della sentenza) lasciavano libera l’appellante, di organizzare la
prestazione resa nei tempi e nelle modalità da essa stabilite;
II) è ben ovvio che
ciò andasse coordinato con una struttura complessa, ed una
organizzazione di stampo militare, quale era quella del Corpo
Forestale dello Stato;
III) ed è ben
logico che l’Amministrazione dovesse indicare tempistica e modi di
possibile espletamento della prestazione, per far si che non vi fosse
dispersione di attività;
IV) ma tale
coordinamento, era appunto necessario, in quanto discendente dalla
struttura datoriale;
V) da alcun atto del
procedimento emerge che l’appellante fosse soggetta a potere
disciplinare, e neppure che la stessa fosse stabilmente inserita
nell’organizzazione dell’Ente, che quest’ultimo fosse in grado
di controllare il quomodo della prestazione da essa apprestata, che
vi fosse alcun vincolo di tipo gerarchico.
3.4. Il vero è che
ci si trovava al cospetto di plurimi contratti di prestazione d’opera
professionale, con elementi di “rigidità” conferenti con la
struttura militare
4. Conclusivamente,
sembra al Collegio che l’appello vada disatteso, dovendosi in
ultimo rilevare che neppure dalla decisione della Corte
Costituzionale 19/05/2017, n. 113 (l’appellante nella propria
memoria depositata il 29.1.2018 ha erroneamente citato la decisione
n. 111, che tuttavia non ha alcuna aderenza alla fattispecie oggetto
della disamina affidata al Collegio) possano trarsi elementi in
favore della critica dell’appellante: se sono state enucleate
ipotesi di possibile deroga alla regola di cui all’ar. 97 della
Costituzione, non v’è dubbio che comunque, a tutto concedere, ciò
rientrerebbe nella latissima discrezionalità dell’Amministrazione
che, nel caso di specie, non è stata esercitata in senso
irragionevole; in ogni caso ivi si controverteva in ordine alla
possibilità di inserire nei ruoli di una amministrazione regionale
lavoratori dipendenti di società per azioni a partecipazione
pubblica poste in liquidazione, e la Corte, richiamati pregressi
precedenti ha dichiarato la illegittimità della legge regionale che
tale eventualità prevedeva: non è dato riscontrare nella
fattispecie in esame alcuna delle esigenze particolari che potrebbero
giustificare la deroga all’art. 97 della Costituzione.
5.L’appello
principale deve essere quindi integralmente respinto, mentre deve
essere dichiarato improcedibile l’appello incidentale.
6.Le spese
processuali del grado possono tuttavia essere compensate, a cagione
della particolarità della situazione fattuale sottesa alla
controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di
Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente
pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge
l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello
incidentale.
Spese processuali
del grado compensate.
Ordina che la
presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma
nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2018 con l'intervento
dei magistrati:
Paolo Troiano,
Presidente
Fabio Taormina,
Consigliere, Estensore
Leonardo
Spagnoletti, Consigliere
Giuseppe Castiglia,
Consigliere
Alessandro Verrico,
Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
Fabio Taormina
Paolo Troiano
IL SEGRETARIO
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