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mercoledì 27 giugno 2018
N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2017 Ordinanza del 12 dicembre 2017 del G.I.P. del Tribunale di Lecce nel procedimento penale a carico di R.V. . Processo penale - Indagini preliminari - Prove illegittimamente acquisite - Perquisizioni e ispezioni compiuti dalla polizia giudiziaria fuori dei casi previsti dalla legge o comunque non convalidati dall'autorita' giudiziaria - Inutilizzabilita' delle prove acquisite - Inutilizzabilita' anche degli esiti probatori, compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, nonche' la deposizione testimoniale in ordine a tale attivita' - Mancata previsione. - Codice di procedura penale, art. 191.
N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2017
Ordinanza del 12 dicembre 2017 del G.I.P. del Tribunale di Lecce nel
procedimento penale a carico di R.V. .
Processo penale - Indagini preliminari - Prove illegittimamente
acquisite - Perquisizioni e ispezioni compiuti dalla polizia
giudiziaria fuori dei casi previsti dalla legge o comunque non
convalidati dall'autorita' giudiziaria - Inutilizzabilita' delle
prove acquisite - Inutilizzabilita' anche degli esiti probatori,
compreso il sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti
al reato, nonche' la deposizione testimoniale in ordine a tale
attivita' - Mancata previsione.
- Codice di procedura penale, art. 191.
(GU n.26 del 27-6-2018 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI LECCE
Ufficio del Giudice per le indagini preliminari
Il GIP dott. Stefano Sernia all'udienza preliminare del giorno 12
dicembre 2017, nel processo pendente nei confronti di R. V., nato a
... il ... sentite le parti, ha pronunziato la seguente ordinanza.
A seguito di emissione di decreto che ne disponeva il giudizio
immediato in ordine all'imputazione di detenzione per uso non
personale di gr. 12,341 di sostanza stupefacente del genere canapa
indiana (che la c.t. in atti indica idonei alla preparazione di circa
20 dosi aventi effetto stupefacente), l'imputato avanzava richiesta
di essere giudicato con rito abbreviato, per la cui trattazione il
giudicante ha fissato l'odierna udienza in cui, ammesso il rito
abbreviato e sentite le parti, ha emesso la presente ordinanza.
Il materiale probatorio e' quindi cristallizzato in quello
raccolto durante le indagini e documentato come in atti.
Va osservato che gli elementi a carico dell'imputato (che
peraltro, posto agli arresti domiciliari dal pubblico ministero ex
art. 386, comma 5 del codice di procedura penale, non si presento'
all'udienza di convalida e non risulta aver rilasciato alcuna
dichiarazione, tantomeno di natura confessoria) risiedono nei
risultati della perquisizione personale e domiciliare cui lo stesso
venne sottoposto d'iniziativa di militi appartenenti alla Compagnia
dei Carabinieri di Taurisano, che a tale attivita' particolarmente
invasiva (si pensi alla perquisizione personale) e limitatrice della
liberta' personale, oltre che dell'inviolabilita' del domicilio,
furono motivati - stando a quanto desumibile dal contenuto dei pp.vv.
di perquisizione ed arresto - da fonti confidenziali che avevano
indicato nel R. uno spacciatore; sicche', avendo in precedenti
occasioni rilevato, in quella zona, un andirivieni di soggetti noti
come tossicodipendenti (peraltro non indicati), ed avendo scorto un
giovane che consegnava una banconota all'imputato, i Carabinieri
avevano proceduto all'immediata identificazione di tali soggetti. Pur
avendo cosi' accertato che l'altro giovane altri non era che R. C.,
fratello dell'imputato, e pur avendo il suddetto R. C. chiarito che
stava consegnando al fratello del danaro per le spese di casa, i
Carabinieri - in assenza di qualsiasi contesto significativo di
un'attivita' di spaccio in corso - avevano quindi proceduto a
perquisizione personale dell'odierno imputato e, avendogli trovato in
tasca tre involucri di sostanza stupefacente, avevano esteso la
perquisizione all'abitazione, dove avevano rinvenuto la restante
parte della sostanza per cui e' processo.
Si pone il problema della liceita' della perquisizione e della
utilizzabilita' dei suoi esiti; e della costituzionalita' della
disciplina in tal senso vigente, quale risultante del diritto vivente
nascente dalla monolitica giurisprudenza di legittimita', stabilmente
applicata anche in sede locale dal competente Tribunale del riesame e
dalla Corte di appello.
La questione e' gia' stata sollevata da questo Giudice con
ordinanza emessa in data 5 ottobre 2017, le cui argomentazioni si
riproducono in questa sede in corsivo, con l'aggiunta, in caratteri
normali, di ulteriori considerazioni ed argomentazioni a sostegno di
tale questione.
Va invero premesso che l'imputato non e' gravato da precedenti in
materia di stupefacenti, e che le fonti confidenziali non possono
essere in alcun modo utilizzate (argomenta ex articoli 273, 195 comma
7 e 203 c.p.p.) per la prova dei fatti (ivi compresa, ex art. 167
c.p.p., la prova dei fatti da cui discende l'applicazione di norme
processuali), sicche' - escluso che nella situazione scorta dalla
p.g. fosse rilevabile una situazione di flagranza di reato (tanto
piu' una volta che si era accertato che l'interlocutore dell'imputato
ne era il fratello e non un estraneo che potesse essere inteso come
un potenziale cliente; ed escluso che il mero fatto della ricezione
di una banconota sia significativo di un'attivita' di spaccio in
atto) - va altresi' ritenuto che non ricorressero quei fondati motivi
che ex art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90
avrebbero potuto legittimare una perquisizione, apparendo
inammissibile la tesi che pretenda che il giudice debba ritenere la
sussistenza dei presupposti di tali atti, solo perche' lo affermi,
senza alcuna concreta indicazione o spiegazione, la p.g.
Con l'ordinanza emessa da questo giudice in data 5 ottobre 17, si
e' osservato, e qui si reitera, che «invero, la situazione di
flagranza di reato, che evidentemente si e' manifestata solo dopo la
perquisizione, non puo' aver quindi svolto la funzione di preventiva
legittimazione di tale atto, che la legge ordinaria (articoli 354 e
356 c.p.p.) e costituzionale (articoli 13 e 14 Cost.) le assegnano in
deroga al principio generale per cui simili atti, limitando la
liberta' personale (e della inviolabilita' del domicilio per quel che
attiene alla perquisizione domiciliare), possono essere disposti solo
dall'A.G. e nei casi e modi previsti dalla legge; allo stesso modo,
un non meglio specificato «atteggiamento sospetto» non puo' valere a
significare la ricorrenza di un fondato motivo atto, ai sensi
dell'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90, a
far ritenere il possesso di sostanze stupefacenti.
Cio' premesso, va sottolineata la cautela del legislatore
costituzionale, che ha assegnato solo all'Autorita' giudiziaria il
potere di disporre atti di perquisizione ed ispezione, prevedendo
solo in via eccezionale quelli [rectius quello] della p.g. ed entro
ambiti ben delimitati, fissati dalla legge, e con rispetto delle
garanzie di liberta' della persona.
I limiti fissati dalla legge si atteggiano, invero, in ragione
della previsione costituzionale che li assiste, come invalicabili e
di stretta interpretazione; e qualsiasi interpretazione che,
comunque, si risolva in una vanificazione dei limiti posti alla p.g.
(ad es., impedendo la verifica circa il rispetto di tali limiti; o
stabilendo l'irrilevanza processuale di tali violazioni) o nella
lesione - sia pure mediata - della liberta' personale, appare da
rigettarsi.
Invero, l'art. 13 Cost. (richiamato, quanto a garanzie e forme
ivi previste, dall'art. 14 Cost. in tema di ispezioni, perquisizioni
e sequestri domiciliari) prescrive che ogni atto di limitazione della
liberta' personale - tra i quali annovera non solo l'arresto o il
fermo, ma anche le perquisizioni e le ispezioni personali, sia
riservato ad «atto motivato dell'autorita' giudiziaria e nei soli
casi e modi previsti dalla legge»; riserva di legge e di
provvedimento dell'Autorita' giudiziaria, quindi, cui puo' derogarsi
solo per casi eccezionali previsti dalla legge, atteso che la norma
prosegue prevedendo che solo «in casi eccezionali di necessita' ed
urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l'autorita' di pubblica
sicurezza puo' adottare provvedimenti provvisori, che devono essere
comunicati entro quarantotto ore all'autorita' giudiziaria e, se
questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si
intendono revocati e restano privi di ogni efficacia».
Ai sensi dell'art. 13 Cost., costituiscono quindi restrizioni
della liberta' personale - la cui nozione e' dal Legislatore
costituzionale accolta e tutelata in un'accezione particolarmente
ampia, ricomprendente tutti i casi in cui il corpo dell'individuo
debba sottostare a manipolazioni ed attivita' degli organi pubblici -
non solo i casi dell'arresto e fermo, ma anche la sottoposizione ad
atti di ispezione e perquisizione personale, non foss'altro perche'
per il compimento di tali atti la persona si vede limitata nella sua
liberta' di locomozione e volizione perche' assoggettata alla
potesta' pubblica, costretta a sottoporsi al compimento di atti
invasivi (e potenzialmente anche pesantemente invasivi) della sua
sfera personale (o domiciliare). E' quindi per tali ragioni,
evidenzianti come il compimento di tali atti si ponga in termini di
concreta lesione di diritti costituzionali fondamentali
dell'individuo, che, a garanzia dell'effettivita' della tutela di
tali diritti, il legislatore costituzionale stabilisce in primo luogo
che solo la legge puo' e deve indicare i casi ed i modi in cui e'
possibile procedere a tali atti, riservando inoltre il potere di'
disporli all'autorita' giudiziaria, che puo' adottarli solo con
provvedimento motivato.
I suddetti diritti sono quindi assistiti - a sottolinearne
l'importanza nell'assetto democratico dell'ordinamento repubblicano
voluto dal legislatore costituzionale come fondato sulla tutela di
quelle liberta' individuali tendenzialmente negate o fortemente
compresse dal precedente regime - da un corredo di significative
cautele date dalla riserva di legge, dalla riserva del potere
giudiziario, dall'obbligo di provvedere con atto motivato.
Solo in casi eccezionali di necessita' ed urgenza, che spetta
alla legge indicare tassativamente, agli organi di pubblica sicurezza
(e cioe' alle forze di polizia, che di tali compiti sono titolari
unitamente a quelli di polizia giudiziaria) e' attribuito un potere
di intervento, provvisorio e soggetto a perdere ogni effetto in caso
di mancata convalida da parte dell'A.G. con provvedimento che,
sebbene cio' non sia espressamente previsto dalla norma, deve
ritenersi debba anch'esso essere motivato, dato che non vi e' ragione
di ritenere che il legislatore costituzionale, per l'ipotesi di
particolare delicatezza costituzionale data della convalida (la cui
funzione e' verificare che la p.g. non abbia agito in tali
delicatissime materie abusando dei propri poteri, fuori dei casi in
cui essi sono loro riconosciuti), abbia voluto esonerare l'Autorita'
giudiziaria dalla necessita' di motivare i propri provvedimenti (come
peraltro previsto gia' in via generale dall'art. 111, comma 6 Cost.).
Come si e' accennato, tali garanzie sono estese dall'art. 14
Cost. anche al caso delle perquisizioni, ispezioni e sequestri
domiciliari, giusta il richiamo che tale noma opera alle garanzie
prescritte (dall'art. 13 Cost.) per la tutela della liberta'
personale; caso che in questo caso specifico non interessa, ma che si
ritiene utile menzionare al fine di sottolineare l'unitarieta' della
visione del legislatore costituzionale in tema di tutela di liberta'
fondamentali della persona.
L'ipotesi principale ed originaria prevista dalla legge ordinaria
a legittimare l'intervento eccezionale delle forze di polizia, e'
data dai casi di flagranza di reato, allorche' gli organi di polizia
intervengono in un momento in cui il reato e' in corso di esecuzione,
o il reo, subito dopo la commissione del reato, ne reca indosso le
tracce, o e' inseguito dalla polizia, dalla persona offesa o da
altri: casi di evidenza probatoria che, nel giudizio del legislatore,
rendono meno pericolosa la deroga ai poteri dell'Autorita'
giudiziaria (cfr. sul punto anche C. cassazione SS.UU. 39131/2015 che
ha anche statuito, in tale linea di pensiero, che la c.d. quasi
flagranza rileva solo in quanto le forze di polizia abbiano assistito
alla commissione del reato o abbiano direttamente percepito le tracce
del reato sulla persona del reo).
Non si e' mai dubitato che le ipotesi della flagranza di reato,
concorrendo il requisito della pericolosita' dell'autore come
segnalata dalla sua personalita' o dalla gravita' del reato
(pericolosita' e gravita' presunte nei casi dei piu' gravi delitti di
cui all'art. 380 c.p.p., e da valutarsi nel concreto nei casi di cui
all'art. 381 c.p.p.) valgano ad individuare delle ipotesi generali di
necessita' ed urgenza tassativamente ben delineate, in cui si
giustifichi l'esercizio provvisorio dei poteri di arresto da parte
della p.g.; cosi', in relazione alla gravita' del reato (che la legge
ancora all'entita' della pena o all'appartenenza a ben definite
tipologie di delitto), il pericolo di fuga appare altra situazione di
necessita' ed urgenza che legittimi l'esercizio del potere di fermo e
la conseguente restrizione della liberta' personale.
Allo stesso modo, senz'altro la flagranza del reato integra una
situazione di necessita' ed urgenza quanto agli atti di perquisizione
e conseguente sequestro ad opera della p.g., finalizzati ad acquisire
al processo fonti di prova che altrimenti il reo, sapendo di essere
stato scoperto, provvederebbe verosimilmente a distruggere o
disperdere; sicche' anche gli articoli 352 e 354 c.p.p. appaiono
rispettosi del dettato costituzionale.
Sia per le perquisizioni e sequestri che per gli atti di arresto
e fermo, la legge prevede poi la necessita' della convalida da parte
dell'A.G., con provvedimento motivato, ed il dettato costituzionale
e' rispettato.
Norme speciali hanno ampliato i casi in cui alla p.g. e'
consentito procedere ad atti di ispezione e perquisizione.
Oltre all'ipotesi prevista dall'art. 4 della legge n. 152/1975
(che prevede la perquisizione personale, nei casi eccezionali di
necessita' ed urgenza, alla ricerca di armi e strumenti di
effrazione, nei confronti di soggetti la cui presenza o atteggiamento
non appaia giustificabile in relazione a specifiche o concrete
circostanze di tempo o di luogo) e dall'art. 41 TULPS - che peraltro
riguarda le perquisizioni domiciliari e non quelle personali - per la
ricerca di armi di cui, anche per indizio, la polizia abbia notizia
dell'esistenza all'interno di locali pubblici o privati, quella piu'
frequentemente ricorrente e' quella di cui all'art. 103, commi 2 e 3
decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 che disciplinano,
rispettivamente, le attivita' di controllo ed ispezione dei mezzi di
trasporto e dei bagagli e degli effetti personali, e gli atti di
perquisizione in senso stretto, sia domiciliari che personali; in
tutti tali casi e' previsto un provvedimento di controllo da parte
dell'Autorita' giudiziaria, nella specie il pubblico ministero, che
assumera' le forme della convalida nel caso degli atti di ispezione
controllo, e quello dell'autorizzazione preventiva, anche orale
telefonica, nei casi di perquisizione (in verita', l'art. 4 legge n.
152/75 prevede solo l'invio del verbale al pubblico ministero,
essendo verosimilmente apparsa implicita la necessita' della
convalida, in base ai principi generali); solo per i casi di
particolare necessita' ed urgenza che non consentano di richiedere
l'autorizzazione telefonica, la polizia puo' procedere ad atti di
perquisizione senza previa autorizzazione del pubblico ministero, che
dovra' comunque successivamente convalidare, se del caso, l'operato
della p.g.
Invero, l'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n.
309/90 cosi' recita:
«2. Oltre a quanto previsto dal comma l [che riguarda
ispezioni e perquisizioni negli spazi doganali, n.d.r.], gli
ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, nel corso di
operazioni di polizia per la prevenzione e la repressione del
traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, possono
procedere in ogni luogo al controllo e all'ispezione dei mezzi di
trasporto, dei bagagli e degli effetti personali quando hanno
fondato, motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze
stupefacenti o psicotrope. Dell'esito dei controlli e delle ispezioni
e' redatto processo verbale in appositi moduli, trasmessi entro
quarantotto ore al procuratore della Repubblica il quale, se ne
ricorrono i presupposti, li convalida entro le successive quarantotto
ore. Ai fini dell'applicazione del presente comma, saranno emanate,
con decreto del Ministro dell'interno di concerto con i Ministri
della difesa e delle finanze, le opportune norme di coordinamento nel
rispetto delle competenze istituzionali.
3. Gli ufficiali di polizia giudiziaria, quando ricorrano motivi
di particolare necessita' ed urgenza che non consentano di richiedere
l'autorizzazione telefonica del magistrato competente, possono
altresi' procedere a perquisizioni dandone notizia, senza ritardo e
comunque entro quarantotto ore, al procuratore della Repubblica il
quale, se ne ricorrono i presupposti, le convalida entro le
successive quarantotto ore.».
L'art. 103 del decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90,
pertanto, legittima - nel corso di operazioni finalizzate alla
prevenzione e repressione del reati in tema di stupefacenti - le
perquisizioni, anche fuori dei casi di flagranza, allorche' la p.g.
abbia «fondato motivo di ritenere» (analogamente alla «notizia anche
per indizio» secondo quanto prescrive l'art. 41 TULPS in tema di
perquisizioni domiciliari alla ricerca di armi) che taluno detenga
sostanza stupefacente; con l'ulteriore necessita' dell'autorizzazione
telefonica preventiva del pubblico ministero o, ove l'urgenza non
consenta di ricercarla, successiva comunicazione al pubblico
ministero e convalida ad opera dello stesso.
A parere di questo Giudice, un'interpretazione di tutte le norme
surrichiamate, che voglia essere rispettosa del dettato
costituzionale, impone che, perche' la p.g. possa procedere a quegli
atti limitativi della liberta' personale e dell'inviolabilita' del
domicilio, che sono gli atti di perquisizione personale o
domiciliare, debba ricorrere un requisito minimo di comprovabilita' e
verificabilita' della ricorrenza del presupposto all'esercizio del
potere di perquisizione da parte della p.g.: fuori dei casi di
flagrante detenzione di armi o stupefacenti, pertanto, sara'
necessario che di tale detenzione, quale condizione legittimante la
perquisizione da compiersi, dovranno gia' esservi almeno indizi, sia
pure semplici e non gravi; ma non potra' procedersi al di sotto della
soglia indiziaria, espressamente richiesta dall'art. 41 TULPS, e la
cui assenza impedirebbe il concretizzarsi del «fondato motivo» di cui
all'art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90 o la
condivisibile valutazione di «ingiustificatezza» della presenza del
perquisendo «in relazione a specifiche o concrete circostanze di
tempo o di luogo» prevista dall'art. 4 della legge n. 152/1975.
Una diversa interpretazione attribuirebbe, di fatto, alla p.g. un
potere insindacabile di procedere ad atti di perquisizione, e
vanificherebbe quindi quel limiti che la Costituzione ha invece
ritenuto necessari, sia pure demandandone la determinazione alla
legge ordinarla; e la legge ordinaria, per quel che qui interessa, ha
richiesto che la p.g. abbia fondato motivo di ritenere che taluno
detenga sostanza stupefacente; e l'esistenza di un indizio in tal
senso deve necessariamente essere verificabile, posto che altrimenti
si attribuirebbe alla p.g. il potere di ledere ad libitum la liberta'
personale e violare la vita privata e domiciliare della persona (in
spregio anche a quanto prescritto dall'art. 8 della Convenzione
europea dei diritti dell'Uomo).
Se cosi' non fosse, se si ammettesse (come non di rado la Suprema
Corte ha affermato) la liberta' della p.g. di procedere a
perquisizione in forza di un mero inverificabile e soggettivo
sospetto, o di un asserito «indizio» che non dovesse essere nemmeno
specificato nella fonte (C. cassazione Sez. 3, Sentenza n. 19365 del
17 febbraio 2016, ad es., che e' giunta ad affermare che «Le
perquisizioni che la polizia giudiziaria, nel caso di sospetto di
illecita detenzione di sostanze stupefacenti, e' legittimata a
compiere in forza del disposto dell'art. 103 del decreto del
Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, non presuppongono
necessariamente la commissione di un reato, ma possono essere
effettuate sulla base di notizie confidenzialmente apprese, senza
obbligo di avvertire la persona sottoposta a controllo del diritto
all'assistenza di un difensore; in ogni caso, anche se effettuate
illegittimamente, non rendono illegittimo l'eventuale sequestro dello
stupefacente e delle altre cose pertinenti al reato rinvenute
all'esito della perquisizione»), si impedirebbe ogni controllo
giurisdizionale sulla legittimita' dell'agire della p.g. e sulla
attendibilita' dei risultati della sua azione; si vanificherebbe la
previsione di inefficacia contenuta nell'art. 13 Cost.; si
contravverrebbe di fatto al regime dell'utilizzabilita' delle prove
(che pacificamente riguarda anche gli indizi) per come stabilito
dalla legge (nella specie, l'art. 191 c.p.p. per quel che riguarda il
divieto di utilizzazione di prove acquisite in violazione di un
divieto posto dalla legge); si vanificherebbe quindi (incentivandone
le violazioni per l'inesistenza di sanzioni processuali
all'utilizzabilita' degli esiti delle perquisizioni) la tutela
costituzionale della inviolabilita' del domicilio; si realizzerebbe,
infine, una potenziale lesione della liberta' personale, atteso che
questa verrebbe ad essere giurisdizionalmente limitata per effetto di
una apparenza di flagranza di reato conseguente (e non preesistente)
alla perquisizione, senza che sia possibile verificare la
affidabilita' della catena indiziaria che ha portato all'emersione di
quella situazione di apparenza probatoria, la cui genuinita' dovra'
quindi essere assunta per atto di fede.
Pertanto, deve ritenersi, in via del tutto conseguente, che, a
fondamento della ricorrenza di un indizio di detenzione delle armi o
sostanze stupefacenti:
a) non possano essere utilizzate fonti anonime o
confidenziali, perche' queste non sono in alcun modo verificabili dal
giudice, che verrebbe cosi' privato di ogni effettivo potere di
controllo circa la legittimita' dell'azione della p.g. e circa
l'affidabilita' della catena indiziaria che porta alla perquisizione
ed all'acquisizione dei risultati di essa; si deve sottolineare che
cio' realizzerebbe una ingiustificata disparita' di trattamento, con
conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione, tra indagato
perquisito ed altri indagati, rispetto all'ordinario regime della
prova, posto che fonti confidenziali e fonti anonime sono in via
generale inutilizzabili (cfr. articoli 273, 195 comma 7, 203 comma 1
c.p.p., che in via generale prevedono l'inutilizzabilita' delle
deposizioni de relato fondate su fonti che non si intenda o non si'
possa indicare, risolvendosi queste in fonti anonime non utilizzabili
come. gia' previsto dall'art. 240 c.p.p. per il divieto di
utilizzazione dei documenti anonimi) e non sussumibili nella nozione
di indizio, che indica l'elemento di prova non univocamente
concludente ma utilizzabile, posto che per giurisprudenza pacifica ed
assolutamente condivisibile, l'art. 191 c.p.p. si applica anche agli
indizi;
b) l'A.G. dovra' poter conseguentemente verificare se
l'elemento posto a fondamento della «notizia» circa l'esistenza delle
armi nei locali da perquisire, abbia dignita' di indizio
utilizzabile; in caso contrario si avrebbe una violazione degli
articoli 111 e 117 Cost. (con riferimento all'art. 6 della
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo)
essendo solo apparente la possibilita' di godere dell'esame di un
giudice imparziale ed indipendente, laddove questo Giudice non abbia
un adeguato potere di verifica delle circostanze costituenti elementi
a carico dell'imputato.
Pertanto, in via del tutto conseguente, che, a fondamento della
ricorrenza di un indizio di detenzione di stupefacenti o armi, ai
sensi degli articoli 103 decreto del Presidente della Repubblica n.
309/90 e 41 TULPS:
c) non possano essere utilizzate fonti anonime o
confidenziali, perche' queste sono in via generale inutilizzabili e
non sussumibili nella nozione di' indizio, che indica l'elemento di
prova non univocamente concludente ma utilizzabile;
d) l'AG dovra' poter conseguentemente verificare se
l'elemento posto a fondamento della «notizia» o del «ragionevole
motivo di ritenere» circa l'esistenza delle armi o stupefacenti,
sulla persona o nei locali da perquisire, abbia dignita' di indizio
utilizzabile.
E' bene sottolineare che questo Giudice ha sottolineato i profili
di possibile incostituzionalita' di interpretazioni che ammettano, a
presupposto degli atti di perquisizione, elementi probatori
particolarmente deboli o inutilizzabili, al solo fine di far
risaltare l'importanza da riconoscersi alla tutela della liberta'
personale e dell'inviolabilita' del domicilio e come tali materie
siano uno dei punti qualificanti dell'effettivita' di uno Stato di
diritto, come disegnato dalla Costituzione e dalla Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali, in cui il riconoscimento di diritti fondamentali della
persona e' necessariamente accompagnato dalla previsione di un
Giudice non solo imparziale ed indipendente, ma anche dotato degli
strumenti di verifica e controllo atti ad assicurarne l'effettiva
tutela; peraltro, in uno Stato di diritto, lo Stato e di suoi organi
sono per primi vincolati al rispetto delle leggi di cui pur
pretendono l'osservanza da parte dei consociati, e cio' comporta non
solo l'impegno a non violare tali leggi, ma anche a garantire
l'effettivo rispetto dei diritti che tali leggi prevedono ed
attribuiscono.
La giurisprudenza della Cassazione non e' univocamente attestata
su posizioni come quella espressa dalla gia' menzionata C. cassazione
Sez. 3, sentenza n. 19365 del 17 febbraio 2016, essendo rinvenibili
nella giurisprudenza di legittimita' anche ben piu' condivisibili
pronunzie, quali ad es.:
Sez. 6, Sentenza n. 40952 del 15 giugno 2017, che ha statuito
che «E' configurabile l'esimente della reazione ad atti arbitrari del
pubblico ufficiale qualora il privato opponga resistenza ad un
pubblico ufficiale che pretende di eseguire presso il suo domicilio
una perquisizione finalizzata, ai sensi dell'art. 4 legge 22 marzo
1975, n. 152, alla ricerca di armi e munizioni fondata su meri
sospetti e non su dati oggettivi certi, anche solo a livello
indiziario, circa la presenza delle suddette cose nel luogo in cui
viene eseguito l'atto. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto
immune da vizi la mancata convalida dell'arresto per il reato
previsto dall'art. 337 codice penale all'imputato per essersi opposto
alla perquisizione disposta dopo la contestazione di una
contravvenzione al codice stradale, senza che fossero emersi indizi
significativi circa il possesso di armi o di oggetti atti ad
offendere);
Sez. 6, Sentenza n. 34450 del 22 aprile 2016, che ha statuito
che «Sulla base di una denuncia anonima non e' possibile procedere a
perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche, trattandosi
di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di
reita'. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce anonime
possono stimolare l'attivita' di iniziativa del pubblico ministero e
della polizia giudiziaria al fine di assumere dati conoscitivi,
diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi estremi utili
per l'individuazione di una «notitia criminis». (In applicazione di
tale principio, la Corte ha ritenuto legittimi l'attivita' di
perquisizione ed il sequestro di un telefono cellulare e di materiale
informatico eseguiti a seguito di un'attivita' investigativa, avviata
sulla base di una denuncia anonima, nel corso della quale era emersa
la pubblicazione in rete di numerosi post a contenuto diffamatorio
pubblicati mediante l'account creato sul social network facebook a
nome dell'imputato, indagato in relazione ai reati di cui agli
articoli 278, 291 e 214 codice penale);
Sez. 6, Sentenza n. 36003 del 21 settembre 2006, che ha
statuito che «Sulla base di una denuncia anonima non e' possibile
procedere a perquisizioni, sequestri e intercettazioni telefoniche,
trattandosi di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di
indizi di reita'. Tuttavia, gli elementi contenuti nelle denunce
anonime possono stimolare l'attivita' di iniziativa del pubblico
ministero e della polizia giudiziaria al fine di assumere dati
conoscitivi, diretti a verificare se dall'anonimo possano ricavarsi
estremi utili per l'individuazione di una "notitia criminis"». (In
applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto che la polizia
giudiziaria aveva legittimamente proceduto alla perquisizione di
un'autovettura e al conseguente sequestro di sostanza stupefacente,
dopo aver avviato, a seguito di una denuncia anonima, un'indagine sul
posto attraverso la quale aveva acquisito la notizia di reato);
Sez. 5, Ordinanza n. 37941 del 13 maggio 2004, che ha
statuito che: «Il decreto di perquisizione e sequestro emesso a
seguito di denuncia anonima, ed utilizzato come mezzo di acquisizione
di una "notitia criminis" e non come mezzo di ricerca della prova, e'
nullo. Infatti la denuncia confidenziale o anonima, che non e'
inseribile agli atti e non e' utilizzabile, non puo' essere
qualificata come una notizia di reato idonea a dare inizio alle
indagini preliminari, cosicche' l'accusa non puo' procedere a
perquisizioni, sequestri ed intercettazioni telefoniche, trattandosi
di atti che implicano e presuppongono l'esistenza di indizi di
reita'.».
Si rinvengono quindi una serie di pronunzie della suprema Corte,
che a parere di questo giudicante rispondono pienamente ai principi
costituzionali e convenzionali nella individuazione del minimum
probatorio necessario a rendere legittima una perquisizione; di
talche' non puo' ritenersi la ricorrenza di un diritto vivente che
imponga di denunziare l'illegittimita' costituzionale delle opposte
interpretazioni, pur non assenti nella giurisprudenza di
legittimita'.
Cio' che invece appare deficitario sotto il profilo dei principi
costituzionali, nella giurisprudenza di legittimita', e' il rilievo
da assegnarsi all'illiceita' della perquisizione, sul piano della
valenza probatoria dei suoi esiti: valenza probatoria che comunemente
si ritiene permanga intatta, anche nel caso di una perquisizione
eseguita in assenza di ogni presupposto di legittimita'.
Riprendendo le fila del discorso, poiche' all'atto della
perquisizione cui venne sottoposto l'imputato non risultava gia'
evincibile una situazione di flagranza, ne' nel verbale di
perquisizione e' specificato in cosa consistessero gli elementi atti
a definire l'imputato come soggetto dedito allo spaccio, o comunque
atti a qualificare come un atto di acquisto di stupefacenti la
dazione del danaro che il fratello gli aveva appena consegnato,
quella compiuta dalla p.g. si manifesta come una perquisizione
personale abusiva perche' assolutamente ingiustificata - in base al
giudizio ex ante che deve presiedere ad ogni valutazione circa la
legittimita' dell'operato della p.g. in tutti gli atti che
interferiscono con l'esercizio di liberta' costituzionalmente
tutelate - e compiuta al di fuori di una situazione di flagranza.
Tale abusivita' non puo' non riflettere i propri effetti anche
sulla successiva perquisizione domiciliare, specie laddove si - come
questo giudicante ritiene dovrebbe essere in base ai principi
costituzionali - si dovesse ritenere l'inutilizzabilita' degli esiti
della perquisizione personale.
Tali attivita' di perquisizione ed ispezione, inoltre, sono state
convalidate dal pubblico ministero con un provvedimento assolutamente
immotivato, consistente nella sola formula «v°, si convalida», e che
pertanto non permette di rilevare (e valutare) in base a quali
ragioni il pubblico ministero abbia ritenuto legittimamente
esercitato il potere che l'art. 13 Cost. vuole limitato ai casi
tassativamente previsti dalla legge e del tutto eccezionale e, in
quanto limitativo della liberta' personale (come gia' si e' notato
l'art. 13 Cost. assegna tale natura agli atti di ispezione e
perquisizione personali) sottoposto a convalida dell'A.G., sotto
espressa pena di inefficacia assoluta degli effetti dell'atto
illegittimo (cfr. art. 13, comma 3 Cost.).
Non ricorrendo le ipotesi della flagranza o le altre ipotesi
previste da leggi speciali che a tanto facultizzino le forze di
polizia, deve ritenersi che gli atti di perquisizione, ispezione e
sequestro da queste eseguiti siano stati compiuti in violazione di un
divieto, derivante dalla generale riserva di tali atti alla sola
Autorita' giudiziaria; la conseguenza, in base a quanto previsto
dall'art. 191 c.p.p., che sancisce la inutilizzabilita' delle prove
vietate dalla legge, dovrebbe quindi essere la inutilizzabilita'
degli esiti di detta perquisizione; ma la giurisprudenza della
suprema Corte, come meglio oltre si dira', e' assolutamente di segno
contrario, nonostante la sanzione dell'inutilizzabilita' sembri
emergere gia' direttamente a livello di previsione costituzionale.
Come si e' detto, gli articoli 13 e 14 Cost. (che infatti
richiama le garanzie dell'art. 13 Cost.) prevedono che «in casi
eccezionali di necessita' ed urgenza, indicati tassativamente dalla
legge, l'autorita' di pubblica sicurezza puo' adottare provvedimenti
provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore
all'autorita' giudiziaria se questa non li convalida nelle successive
quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni
efficacia»; cio' comporta, a parere di questo Giudice, che gli atti
di ispezione, perquisizione e sequestro abusivamente compiuti dalla
p.g. o non motivatamente convalidati dall'A.G. rimangano senza
effetto anche sul piano probatorio; la legge ordinaria ha quindi dato
attuazione alla previsione costituzionale, prevedendo casi tassativi
per l'esercizio dei poteri di arresto, fermo, perquisizione,
ispezione e sequestro da parte delle forze di polizia, ed ha
introdotto in via generale, con l'art. 191 c.p.p., la previsione
della inutilizzabilita' delle prove acquisite in violazione di un
divieto di legge; come pero' si vedra', il diritto vivente quale
discendente dalla monolitica interpretazione delle norme di legge (in
particolare, proprio dell'art. 191 c.p.p.) dettate a sanzione di
inutilizzabilita' dell'assunzione di prove vietate dalla legge, non
assegna conseguenze di inutilizzabilita' agli esiti delle
perquisizioni ed ispezioni compiute dalle forze di polizia fuori dei
casi in cui la legge glielo consente; con il prevedere
l'utilizzabilita' probatoria del corpo di reato e delle cose
pertinenti al reato acquisite grazie a tali perquisizioni ed
ispezioni, anche se avvenute in violazione di un divieto, la
giurisprudenza della suprema Corte (vero e proprio diritto vivente,
stante la sua monoliticita'), a parere di questo Giudice, vanifica le
garanzie costituzionali, dando luogo ad un diritto vivente che si
pone in contrasto con esse, come meglio oltre si dira'.
A prescindersi poi dalla gia' chiara lettera dell'art. 13, comma
3 Cost., gia' le ordinarie disposizioni processuali dovrebbero
condurre al risultato interpretativo della inutilizzabilita' degli
esiti della perquisizione illegittima, in presenza di una norma, come
l'art. 191 c.p.p., che sanziona con l'inutilizzabilita' le prove
acquisite in violazione di un divieto di legge.
Nel caso in oggetto non rileva la questione circa la
inadeguatezza costituzionale della norma, nella parte in cui prevede
la idoneita' della autorizzazione telefonica orale senza
espressamente prevedere la necessita' di una sua documentazione
successiva con motivazione che soddisfi i requisiti di forma
richiesti dall'art. 13 Cost.; ed invero, nel caso in oggetto e'
presente una convalida scritta, apposta in calce al p.v. di
perquisizione, che si risolve unicamente e semplicemente nella
formula «si convalida» seguita da data e firma e priva di ogni
motivazione.
Compiuta tale preliminare ricognizione delle norme,
costituzionali e di legge ordinaria, che disciplinano la materia
delle perquisizioni personali e domiciliari, deve quindi ribadirsi
che le prove a carico dell'imputato consistono di quanto rinvenutogli
indosso a seguito di una perquisizione personale eseguita al di fuori
dei casi e modi previsti dalla legge, atteso che ne' ricorreva una
percepibile situazione di' flagranza del reato, ne', come gia' detto,
risulta ricorressero i presupposti di cui all'art. 103 decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/90; illegittima la perquisizione
personale, deve poi ritenersi la sua inidoneita' a fungere da
legittimo presupposto della successiva perquisizione domiciliare; ed
anche a volersi ritenere diversamente, la questione mantiene la sua
rilevanza, atteso che la pena da irrogarsi e' in funzione della
gravita' del fatto (art. 133 c.p.), e questa discende anche dalla
quantita' di sostanza stupefacente detenuta; sicche' la possibilita'
di computare, o meno, nel calcolo di cio' che e' ascrivibile
all'imputato, anche quanto rinvenuto sulla sua persona, rende in ogni
caso rilevante la questione che qui si affronta.
Invero, se quanto operato dalla p.g. a limitazione della liberta'
personale e' sottoposto, per previsione costituzionale, a verifica e
controllo da parte dell'Autorita' giudiziaria, che per convalidarne
l'operato deve emettere provvedimento motivato, cio' implica
necessariamente che la p.g. debba dare atto degli specifici elementi
valutati e che l'hanno indotta a ravvisare un «fondato motivo di
ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti o
psicotrope»; qualsiasi diversa interpretazione che legittimasse
l'operato della p.g. sulla base di elementi da essa indicati in via
del tutto generica ed astratta, si da impedirne una concreta
valutazione, sarebbe necessariamente da ritenersi incostituzionale.
Cio' detto, in forza di quanto previsto dall'art. 13 Cost., cio'
dovrebbe condurre all'inutilizzabilita' della perquisizione e del
sequestro, in quanto, essendo stata la perquisizione e l'ispezione
eseguite fuori dei casi e modi tassativamente previsti dalla legge e
non convalidate con provvedimento motivato dell'A.G., detti atti «si
intendono revocati e restano privi di ogni efficacia»: con linguaggio
la cui chiarezza non e' stata finora adeguatamente apprezzata, il
Legislatore costituzionale aveva cioe' chiaramente introdotto la
sanzione dell'inutilizzabilita' degli esiti degli atti di p.g.
illegittimamente invadenti la sfera della liberta' personale.
Ed invero, la sanzione delle «revoca e perdita di ogni efficacia»
e' dalla norma costituzionale assegnata non solo alla illegittima
esecuzione di atti di arresto o di fermo, ma genericamente e
complessivamente al caso dell'adozione dei «provvedimenti» di
polizia, in materia di liberta' personale, fuori dei casi previsti
dalla legge; e - a meno di voler affermare che il legislatore
costituzionale abbia impiegato con imprecisione e scarsa padronanza
la lingua italiana - i provvedimenti in questione non possono non
essere che tutti quelli contemplati dalla norma stessa, e quindi
anche le ispezioni e le perquisizioni personali, che l'art. 13 Cost.
tutti ricomprende nell'ambito degli atti che limitano la liberta'
personale. Non appare quindi corretta l'interpretazione che voglia
limitare la previsione costituzionale della «perdita di efficacia» ai
soli provvedimenti soppressivi della liberta' personale, quali
l'arresto ed il fermo, atteso che l'art. 13 Cost. utilizza una
formula omnicomprensiva (i «provvedimenti provvisori» adottabili
dalla p.g.) che a tutti i provvedimenti da detta norma contemplati
risulta riferirsi, come evincibile anche dalla disciplina adottata
dall'art. 14 Cost., che espressamente li richiama «nominatim»
(«ispezioni, perquisizioni o sequestri») prevendone l'adattabilita'
da parte della p.g. «secondo le garanzie prescritte per la tutela
della liberta' personale».
Cio' precisato, va osservato che l'unica efficacia perdurante nel
tempo (e di cui la norma costituzionale si e' preoccupata di
prevedere la cessazione), che puo' ipotizzarsi rispetto ad atti di
perquisizione o ispezione che siano gia' stati compiuti e terminati
nella loro esecuzione (come e' necessariamente, dato che ne e'
prevista la convalida entro 96 ore al massimo dalla loro esecuzione),
e' solo quella che attiene alla loro capacita' probatoria; la
sanzione di perdita dell'efficacia equivale quindi a quella, nel
linguaggio del codice di procedura repubblicano, quarant'anni dopo
l'approvazione della Costituzione, dell'inutilizzabilita' introdotta
dall'art. 191 c.p.p. per le prove assunte in violazione di un divieto
di legge.
E' bene precisare che l'art. 13 Cost. riconnette la conseguenza
delle perdita di efficacia degli atti di polizia, alla circostanza
che essi non vengano convalidati dall'A.G. in un termine dato; ma la
ratio della norma costituzionale sarebbe senz'altro frustrata se la
convalida si risolvesse in una pura forma non esprimente un effettivo
controllo circa la legalita' dell'atto di p.g.; di qui la
prescrizione (a parere di questo Giudice evincibile dal comma 2
dell'art. 13 Cost., come si e' gia' osservato) che l'atto di
convalida debba essere motivato, poiche' e' solo con un atto avente
tali caratteristiche che l'art. 13 Cost. consente che l'A.G. incida
sulla liberta' personale: e non avrebbe senso prevedere la necessita'
dell'atto motivato allorche' l'A.G., titolare in via ordinaria di
tale potere, proceda di sua iniziativa, e non gia' allorche' debba
verificare che la p.g. non abbia esorbitato dai (od addirittura
abusato dei) casi del tutto eccezionali in cui la legge le concede di
intervenire in materia di liberta' personale.
E' quindi ovvio che, nel sistema delineato dall'art. 13 Cost., la
convalida operi in quanto espressione di un effettivo potere di
verifica in ordine alla concreta ricorrenza dei presupposti legali di
esecuzione della perquisizione personale (non e' un caso, ad es., che
lo stesso art. 103 decreto del Presidente della Repubblica n. 309/90
prevede, come peraltro e' ovvio, che l'A.G. convalidera' la
perquisizione «ove ne ricorrano i presupposti»), e non sia
sufficiente un mero provvedimento di convalida assolutamente
immotivato e non riconducibile ad una situazione di concreta
ravvisabilita' della situazione legittimante la perquisizione
personale: situazione che, nel vigente sistema, e' data
fondamentalmente dalla ricorrenza della flagranza del reato o dalla
ricorrenza di fondate ragioni che inducano a ritenere che sia in
corso l'esecuzione di un delitto in materia di stupefacenti o armi
(con riferimento alle due norme - gli articoli 103 decreto del
Presidente della Repubblica n. 309/90 e 41 TULPS - legittimanti la
perquisizione fuori dei casi di flagranza, di maggiore rilevanza
statistica).
Peraltro, non solo le norme nazionali, costituzionali e di legge
ordinaria, impongono che la polizia giudiziaria proceda a
perquisizioni solo nei casi tassativamente stabiliti dalla legge, e
che il loro operato sia sottoposto ad un effettivo controllo da parte
dell'Autorita' giudiziaria.
Infatti, a proposito della necessita' di una valutazione concreta
e condivisibile da parte dell'A.G., circa la ricorrenza di ragioni
adeguatamente giustificatrici dell'esercizio del potere di
perquisizione, va anche richiamata, per l'assoluta importanza della
fonte, che assegna alla decisione rilievo costituzionale ex art. 117
Cost., la sentenza 16 marzo 2017, Modestou c. Grecia, con la quale la
Corte europea dei diritti dell'uomo (d'ora in poi per brevita' CEDU)
ha ritenuto essersi verificata violazione dell'art. 8 Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali, in un caso in cui era stata eseguita perquisizione
presso il domicilio personale e professionale del ricorrente senza
alcun controllo giurisdizionale ex ante e sulla scorta di un mandato
di perquisizione generico; ne' era stato previsto un immediato
controllo giurisdizionale ex post, considerato che la Corte
d'appello, adita dal ricorrente, aveva respinto la doglianza non solo
piu' di due anni dopo la perquisizione in questione, ma nemmeno
indicando neppure i motivi «rilevanti e sufficienti» giustificativi
della perquisizione: sentenza dalla quale si trae quindi conferma che
l'A.G. debba operare una illustrazione motivata (e condivisibile)
delle ragioni della perquisizione, al fine di rendere verificabile la
legittimita' dell'esercizio del relativo potere; statuizione che, se
vale per le perquisizioni autorizzate dall'A.G., deve a maggior
ragione valere per quelle operate direttamente dalla P.G. e
successivamente convalidate dalla A.G.
Poiche' quindi e' ad un provvedimento adeguatamente motivato che
l'art. 13 Cost. ricollega la salvezza degli effetti dell'operato
della p.g., ne consegue che, sebbene le nullita' degli atti per
difetto di motivazione siano generalmente rilevabili ad eccezione di
parte, in questo caso debba invece ritenersi che la ricorrenza di un
atto di convalida adeguatamente motivato, nella sua funzione
costituzionale di salvezza degli effetti dell'atto di p.g., sia un
elemento della fattispecie «sanante» la cui ricorrenza debba essere
verificata d'ufficio; cosi' come dovra' verificarsi che, a
prescindere da quanto eventualmente affermato col provvedimento di
convalida (si pensi ad es. al caso di una motivazione non aderente ai
dati fattuali emergenti dagli atti; o che da questi tragga
conclusioni assolutamente illogiche o non giustificate), ricorressero
effettivamente i presupposti perche' la p.g. esercitasse i suoi
poteri previsti in via del tutto eccezionale (sul punto, relativo
alla portata dell'art. 191 c.p.p., si dira' meglio oltre).
Tanto premesso, va peraltro preso atto che tali esiti
epistemologici sono estranei alla interpretazione accolta dalla
giurisprudenza assolutamente dominante che, a far data
dall'insegnamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di
cassazione con la sentenza n. 5021 del 27 marzo 1996, ha ritenuto la
piena utilizzabilita' probatoria degli esiti delle perquisizioni e
sequestri eseguiti dalla p.g. al di fuori dei casi previsti dalla
legge, pur prendendo le mosse da statuizioni di principio di segno
apparentemente opposto alle conclusioni finali.
In realta', con la suddetta sentenza, le Sezioni Unite della
suprema Corte di cassazione hanno in primo luogo affermato a chiare
lettere che la conseguenza di un'attivita' di illecita acquisizione
della prova, nello specifico una perquisizione illegittima, non puo'
limitarsi a mere sanzioni amministrative, disciplinari o penali nei
confronti dell'autore dell'illecito, ma deve comportare
l'inutilizzabilita' della prova stessa, statuendo che: «non e'
certamente difficile riconoscere che allorquando una perquisizione
sia stata effettuata senza l'autorizzazione del magistrato e non nei
"casi" e nei "modi" stabiliti dalla legge, cosi' come disposto
dall'art. 13 della Costituzione, si e' in presenza di un mezzo di
ricerca della prova che non e' piu' compatibile con la tutela del
diritto di liberta' del cittadino, estrinsecabile attraverso il
riconoscimento dell'inviolabilita' del domicilio. L'illegittimita'
della ricerca di una prova, pur quando non assuma le dimensioni
dell'illiceita' penale (Cfr. art. 609 c.p.), non puo' esaurirsi nella
mera ricognizione positiva dell'avvenuta lesione del diritto
soggettivo, come presupposto per l'eventuale applicazione di sanzioni
amministrative o penali per colui o per coloro che ne sono stati gli
autori. La perquisizione, oltre ad essere un atto di' investigazione
diretta, e' il mezzo piu' idoneo per la ricerca di una prova
preesistente e, quindi, diviene partecipe del complesso procedimento
acquisitivo della prova, a causa del rapporto strumentale che si pone
tra la ricerca e la scoperta di cio' che puo' essere necessario o
utile ai fini della indagine: nessuna prova, diversa da quelle che
possono formarsi soltanto nel corso del procedimento, potrebbe essere
acquisita al processo se una sua ricerca non sia stata compiuta e
questa non abbia avuto esito positivo.
Se e' vero che una perquisizione, quale mezzo di ricerca di una
prova, non puo' essere a quest'ultima assimilata e, quindi, e' di per
se' stessa sottratta alla materiale possibilita' di essere
suscettibile di una diretta utilizzazione nel processo penale, e'
altrettanto vero che il rapporto funzionale che avvince la ricerca
alla scoperta non puo' essere fondatamente escluso.
Ne consegue che il rapporto tra perquisizione e sequestro non e'
esauribile nell'area riduttiva di una mera consequenzialita'
cronologica, come si era affermato in numerose pronunce di questa
Corte prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura
penale, e com'e' stato, anche in epoca successiva, qualche volta,
ribadito (cfr. Sez. I - 17 febbraio 1976 ric. Cavicchia; Sez. VI - 23
gennaio 1973 ric. Ferraro; Sez. V - 24 novembre 1977 ric. Manussardi;
Sez. I -15 marzo 1984 ric. Zoccoli; Sez. VI - 24 aprile 1991 ric.
Lione; Sez. V - 12 gennaio 1994 ric. Vetralla, etc): la perquisizione
non e' soltanto l'antecedente cronologico del sequestro, ma
rappresenta lo strumento giuridico che rende possibile il ricorso al
sequestro.».
Proseguiva inoltre la Corte osservando che, pur vero che esista
una distinzione concettuale tra la perquisizione, quale mezzo di
ricerca della prova, ed il sequestro quale strumento di acquisizione
della prova, cio' non ha alcuna rilevanza ai fini della
inutilizzabilita' della prova acquista a seguito di una perquisizione
illegittima, atteso che:
«la stessa utilizzabilita' della prova e' pur sempre
subordinata alla esecuzione di un legittimo procedimento acquisitivo
che si sottragga, in ogni sua fase, a quei vizi che, incidendo
negativamente sull'esercizio di diritti soggettivi irrinunciabili,
non possono non diffondere i loro effetti sul risultato che,
attraverso quel procedimento, sia stato conseguito. Del resto, non
puo' neppure ignorarsi che e' lo stesso ordinamento processuale ad
aver riconosciuto il rapporto funzionale esistente tra perquisizione
e sequestro: l'art. 252 codice di procedura penale impone il
sequestro delle «cose rinvenute a seguito della perquisizione» e
l'art. 103 comma VII dello stesso codice espressamente sancisce
l'inutilizzabilita' dei risultati delle perquisizioni allorquando
queste sono state eseguite in violazione delle particolari garanzie
di cui debbono fruire i difensori per poter esercitare congruamente
il diritto di difesa. E non si vede perche' a diverse ed opposte
conclusioni dovrebbe pervenirsi quando una perquisizione sia stata
comunque eseguita in violazione di particolari disposizioni normative
che assicurano, in concreto, l'attuazione di quella ineludibile
garanzia costituzionale, nei limiti in cui essa e' stata riconosciuta
dall'art. 13, secondo comma della Costituzione: si tratta pur sempre
di un procedimento acquisitivo della prova che reca l'impronta
ineludibile della subita lesione ad un diritto soggettivo, diritto
che, per la sua rilevanza costituzionale, reclama e giustifica la
piu' radicale sanzione di cui l'ordinamento processuale dispone, e
cioe' l'inutilizzabilita' della prova cosi acquisita in ogni fase del
procedimento.».
Il prosieguo della statuizione della suprema Corte si risolveva
peraltro nella vanificazione della portata pratica di tali principi
appena enunciati; continuava infatti detta sentenza affermando
comunque valido il sequestro, perche' atto dovuto, allorche' avesse
ad oggetto il corpo del reato o cose pertinenti al reato; di fatto,
l'unico sequestro che sarebbe stato inutilizzabile a fini probatori,
sarebbe stato quello gia' di per se' inutile e che non avrebbe quindi
comunque dovuto essere disposto, perche' non relativo ne' al corpo
del reato, ne' a cose pertinenti al reato; affermava infatti la
suprema Corte a SSUU:
«Orbene, se e' vero che l'illegittimita' della ricerca della
prova del commesso reato, allorquando assume le dimensioni
conseguenti ad una palese violazione delle norme poste a tutela dei
diritti soggettivi oggetto di specifica tutela da parte della
Costituzione, non puo', in linea generale, non diffondere i suoi
effetti invalidanti sui risultati che quella ricerca ha consentito di
acquisire, e' altrettanto vero che allorquando quella ricerca,
comunque effettuata, si sia conclusa con il rinvenimento ed il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, e' lo
stesso ordinamento processuale a considerare del tutto irrilevante il
modo con il quale a quel sequestro si sia pervenuti: in questa
specifica ipotesi, e ancorche' nel contesto di una situazione non
legittimamente creata, il sequestro rappresenta un "atto dovuto", la
cui omissione esporrebbe gli autori a specifiche responsabilita'
penali, quali che siano state, in concreto, le modalita'
propedeutiche e funzionali che hanno consentito l'esito positivo
della ricerca compiuta.
Con cio' non si intende affatto affermare che l'oggetto del
sequestro, a causa della sua intrinseca illiceita', ovvero per il
rapporto strumentale che esso puo' esprimere in relazione al reato
commesso, possa, per cio' solo, dissolvere quella connessione
funzionale che lega la perquisizione alla scoperta ed
all'acquisizione di cio' che si cercava, ma si vuole soltanto
precisare che allorquando ricorrono le condizioni previste dall'art.
253, primo comma codice di procedura penale, gli aspetti strumentali
della ricerca, pur rimanendo partecipi del procedimento acquisitivo
della prova, non possono mai paralizzare l'adempimento di un obbligo
giuridico che trova la sua fonte di legittimazione nello stesso
ordinamento processuale ed ha una sua razionale ed appagante
giustificazione nell'esigenza che l'ufficiale di polizia giudiziaria
non si sottragga all'adempimento dei doveri indefettibilmente legati
al suo "status", qualunque sia la situazione - legittima o no - in
cui egli si trovi ad operare».
Concludevano quindi le SS.UU. osservando che gli agenti di p.g.
avrebbero poi potuto testimoniare sugli esiti della perquisizione,
ferma restano l'inutilizzabilita' di essa in quanti tale (e cioe',
par di capire, del verbale che ne documenta modalita', tempo, luoghi
e risultato).
Da tale arresto delle Sezioni Unite ha tratto origine e sviluppo
una giurisprudenza che si e' ancorata unicamente alle statuizioni
circa la legittimita' ed utilizzabilita' a fini probatori del
sequestro, rimanendo apparentemente dimentica dell'insegnamento e dei
principi affermati dalle stesse SS.UU. nella prima parte della
propria statuizione, e che probabilmente avrebbero meritato una
riflessione e sviluppo ulteriori: come, ad es., quella che volesse
limitare l'utilizzabilita' probatoria del sequestro alla res in
quanto tale, cioe' nella sua materiale idoneita' a provare la
sussistenza del fatto (si pensi al rinvenimento di un'arma o di
sostanza stupefacenti, idonei a provare i reati di detenzione
illecita di tali oggetti) ed a fungere da eventuale supporto di
tracce di reato (impronte digitali, materiale biologico suscettibile
di comparazione del DNA) aventi carattere individualizzante:
interpretazione, questa, sostenuta da questo Giudice in precedenti
procedimenti, ma non condivisa dai Giudici competenti per i
successivi gradi, che si sono sempre rimessi alla giurisprudenza che
si e' richiamata e che delle citate SS.UU. coglieva, sostanzialmente,
solo quanto risultante dal dispositivo e dalla massima.
Come si e' detto, la successiva giurisprudenza di legittimita' di
e' monoliticamente assestata su tali esiti interpretativi,
confermando reiteratamente la legittimita' del sequestro conseguente
ad una perquisizione illegittima, e la sua piena utilizzabilita'
probatoria; si citano, ad es., ed in assenza di pronunzie di segno
contrario, che lo scrivente magistrato non e' riuscito a rinvenire:
Sez. 3, Ordinanza n. 3879 del 14 novembre 1997; Sez. l,
Sentenza n. 2791 del 27 gennaio 1998, Sez. 5, Sentenza n. 6712 del 7
dicembre 1998, Sez. 3, Sentenza n. 1228 del 17 marzo 2000, Sez. 4,
Sentenza n. 8052 del 2 giugno 2000, Sez. 6, Sentenza n. 3048 del 3
luglio 2000, Sez. 2, Sentenza n. 12393 del 10 agosto 2000, Sez. 1,
Sentenza n. 45487 del 28 settembre 2001, Sez. 1, Sentenza n. 41449
del 2 ottobre 2001, Sez. 1, Sentenza n. 497 del 5 dicembre 2002, Sez.
5, Sentenza n. 1276 del 17 dicembre 2002, Sez. 2, Sentenza n. 26685
del 14 maggio 2003, Sez. 2, Sentenza n. 26683 del 14 maggio 2003,
Sez. 1, Sentenza n. 18438 del 28 aprile 2006, Sez. 2, Sentenza n.
40833 del 10 ottobre 2007, Sez. 6, Sentenza n. 37800 del 23 giugno
2010, Sez. 1, Sentenza n. 42010 del 28 ottobre 2010, Sez. 2, Sentenza
n. 31225 del 25 giugno 2014, Sez. 3, Sentenza n. 19365 del 17
febbraio 2016, Sez. 2, Sentenza n. 15784 del 23 dicembre 2016.
Alla luce di richiamati principi espressi dagli articoli 13 e 14
Cost., questo giudicante dubita che le norme vigenti, per come
interpretate dalla giurisprudenza assolutamente prevalente (e tale da
dar luogo ad un vero e proprio diritto vivente), siano rispettose del
dettato costituzionale, ed in particolare degli articoli 3, 13, 14 e
117 (con riferimento all'art. 8 della Convenzione EDU) della
Costituzione, nella parte in cui le norme di diritto ordinario
consentono l'utilizzabilita' processuale - mediante deposizione
testimoniale o lettura o altra - forma di utilizzazione del verbale
di quanto risultante dalla perquisizione e dal sequestro - della
valenza probatoria degli esiti di una perquisizione o ispezione e di
quanto eventualmente sequestrato in occasione dell'esecuzione di tali
atti, allorche' essi siano eseguiti dalla p.g. fuori dei casi in cui
la legge costituzionale e quella ordinaria le attribuiscono il
relativo potere.
L'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza della
illegittimita' della perquisizione sulla utilizzabilita' dei suoi
esiti si risolverebbe quindi, del tutto paradossalmente, nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali, ma efficacissimi gli atti di p.g. compiuti
in violazione dei diritti costituzionali del cittadino.
Tale giurisprudenza, invero:
a) sembra operare una confusione di piani tra il sequestro
inutilizzabile ed il sequestro inutile probatoriamente, posto che, di
fatto, e data l'estensione concettuale della nozione di cose
pertinenti al reato, finisce con escludere la validita' - in caso di
perquisizione illegittima - solo del sequestro inutile: il che e'
assolutamente inconferente rispetto alle tematiche e problematiche
poste dall'art. 191 c.p.p.;
b) non considera che il sequestro non e' una prova, ma il
mezzo che serve ad assicurare al processo la res che puo' essere
fonte di prova;
c) non considera che la valenza probatoria di una determinata
res e' generalmente data non dalla sola cosa in se' (la quale puo'
generalmente provare la sussistenza del fatto ma non necessariamente
chi lo abbia commesso, se non nel caso in cui sulla res siano
rinvenibili tracce biologiche, papillari o di altro genere che ne
permettano la riconducibilita' ad un determinato soggetto), ma anche
dalle circostanze del suo rinvenimento, specie allorche' si tratti
appunto del corpo del reato, essendo il suo possesso (svelato dalla
perquisizione) ad essere indizio grave di commissione del reato
stesso;
d) non osserva che, pertanto, cio' che sommamente rileva non
e' tanto la legittimita' del sequestro, quanto quella della
perquisizione tramite la quale si e' rinvenuta la res (con suo
successivo sequestro), atteso che e' la perquisizione che
generalmente comprova quella relazione personale tra la cosa
indiziante di delitto e l'autore dello stesso;
e) non avverte che la ratio della norma di cui all'art. 191
c.p.p., che prevede l'inutilizzabilita' delle prove acquisite in
violazione di un divieto di legge, e' quella di offrire un valido
presidio ai diritti costituzionalmente garantiti, disincentivandone
le violazioni finalizzate all'acquisizione della prova, rendendone
inutilizzabili gli esiti probatori (si veda ad es. la disciplina
della inutilizzabilita' delle intercettazioni illegittime ex art. 271
c.p.p.; si pensi all'inutilizzabilita' ex art. 188 c.p.p. di una
confessione assunta sotto tortura o sotto l'effetto di metodi che
possano influire sulle capacita' di autodeterminazione della persona
dichiarante; si considerino le conseguenze di un'acquisizione di
tabulati del traffico telefonico eseguita dalla p.g. in assenza di
provvedimento motivato dell'A.G.);
f) non assegna adeguato valore alla circostanza che una
perquisizione domiciliare o personale, eseguita da chi non ne ha il
potere, e' un caso tipico di prova vietata dalla legge ed in
violazione di diritti costituzionali della persona (cfr. articoli 13
e 14 Cost.; art. 8 CEDU), e la conseguenza deve necessariamente
essere la inutilizzabilita' dei suoi risultati (come previsto
dall'art. 13, comma 3 Cost.), conformemente a quella che e' la ratio
dell'art. 191 c.p.p. che, inibendo l'utilizzabilita' degli esiti
delle prove vietate perche' assunte in violazione di diritti
costituzionali, intende appunto scoraggiare la violazione di quei
diritti costituzionali;
g) non considera che ritenere altrimenti, lasciando aperta la
possibilita' di una sorta di «sanatoria» ex post, legata agli esiti
della perquisizione, equivale a negare la tutela del cittadino dai
possibili abusi della p.g.: tutela assicurata in via generale ed
astratta dagli articoli 13 e 14 Cost., ma che verrebbe vanificata
dall'incentivazione agli abusi per mancanza di conseguenze
processuali relative alla inutilizzabilita' dei loro risultati; ed i
drammatici fatti di Genova e di Bolzaneto appaiono esserne storica
conferma e dimostrazione.
La scarsa tenuta logica di una simile interpretazione - vera e
propria mina di irrazionalita', che si presta ad introdurre
trattamenti irrispettosi del principio di eguaglianza delle
situazioni processuali equiparabili: si pensi alla gia' richiamata
giurisprudenza che riconosce la non utilizzabilita' di altre prove
vietate, quali gli anonimi e le fonti confidenziali, nemmeno ai fini
della legittimazione di una perquisizione - deve invece condurre a
ritenere che una perquisizione eseguita in forza di elementi non
utilizzabili, e senza che ricorresse gia' una preesistente situazione
di flagranza, sia non solo illegittima, ma anche improduttiva di
elementi utilizzabili ai fini della prova in danno dell'imputato,
atteso che cio' non solo e' imposto dagli articoli 13 e 14 Cost., ma
anche da una piana lettura dell'art. 191 c.p.p. rispettosa dei
principi costituzionali, ma allo stato negata dal diritto vivente.
Nei casi considerati ricorrerebbero infatti, a parere di questo
Giudice, i presupposti di applicabilita' della conseguenza della
inutilizzabilita' processuale ai sensi dell'art. 191 c.p.p., in base
ad una piana lettura della norma ed alla ratio della stessa, come
colta al punto f) che precede; ed infatti, appare evidente che la
p.g., allorche' proceda ad un atto di perquisizione fuori dei casi a
lei consentiti, compia un atto che le e' vietato - e non
semplicemente un atto irrituale o nullo, come pure talora si e'
sostenuto in talune pronunzie della Corte di cassazione - atteso che
sia la legge ordinaria che quella costituzionale prevedono (oltre
alla riserva di legge dettata dagli articoli 13 e 14 Cost.) una
riserva del potere di perquisizione all'Autorita' giudiziaria, nella
delineazione di una serie di garanzie a tutela della effettivita'
dello Stato di diritto (e delle liberta' individuali che questo deve
garantire), in cui i poteri della polizia e degli organi
amministrativi sono sottoposti al principio di legalita',
prevedendosi addirittura una riserva di potere dell'Autorita'
giudiziaria, nei casi che coinvolgono l'esercizio di diritti
costituzionali fondamentali dei privati (quali la liberta' personale
e quella domiciliare, che ex art. 14 comma 2 Cost. e' «aggredibile»
solo «negli stessi casi e modi stabiliti dalla legge secondo le
garanzie prescritte per la tutela della liberta' personale»).
L'interpretazione dominante che comunque consente di «recuperare»
ed utilizzare gli esiti delle perquisizioni illegittime, negando
l'applicabilita' dell'art. 191 c.p.p. al sequestro del corpo del
reato o di cosa pertinente al reato, appare pertanto negare concreta
attuazione a quanto previsto dagli articoli 13 e 14 Cost. in ordine
alla perdita di efficacia della perquisizione e delle ispezioni e dei
sequestri ad esse conseguenti, allorche' eseguiti in violazione dei
divieti; l'art. 191 c.p.p., come esistente nel diritto vivente,
appare quindi in contrasto con i predetti articoli 13 e 14 della
Costituzione.
Non e' peraltro fuori luogo osservare, come peraltro da tempo
rilevato non solo dalla dottrina, ma anche dalla suprema Corte, che
la ragione d'essere della disciplina delle inutilizzabilita'
stabilita dall'art. 191 c.p.p. non e' tanto di ordine etico (e cioe',
il rifiuto del legislatore di riconoscere valore probatorio ad atti
illeciti), quanto di ordine politico costituzionale, essendosi
rilevato che l'effettivita' della tutela dei valori costituzionali
che piu' facilmente vengono lesi in caso di assunzione di prova in
violazione di un divieto, riposa nel negare ogni utilizzabilita' a
quanto cosi' venga acquisito: atteso che, grazie a tale divieto di
utilizzabilita', si scoraggeranno e disincentiveranno quelle pratiche
di acquisizione della prova con modalita' illegali (e talora
francamente illecite), che violano i diritti costituzionali a cui
presidio sono appunto posti i divieti rinvenibili nel codice di rito
e nelle norme speciali.
La giurisprudenza formatasi sulla scorta della citata C.
cassazione SS.UU. 5021/1996 realizza, pertanto, anche una violazione
dell'art. 3 Cost., in quanto del tutto irragionevolmente ed a fronte
di una palese identita' di ratio, nega la conseguenza
dell'inutilizzabilita' di cui all'art. 191 c.p.p. a casi del tutto
sovrapponibili ad altri (per certi versi addirittura meno gravi) per
i quali la legge espressamente la prevede: basti pensare, ad es., non
solo alle ipotesi di intercettazioni eseguite d'iniziativa dalla p.g.
e quindi in assenza di decreto motivato dell'A.G. (caso sanzionato di
inutilizzabilita' dall'art. 271 c.p.p., avente la medesima ratio
dell'art. 191 c.p.p.), ma anche al caso dell'acquisizione dei
tabulati del traffico telefonico eseguito senza provvedimento
motivato del pubblico ministero, ipotesi che le stesse SS.UU. della
suprema Corte di cassazione hanno ritenuto dar luogo ad un'ipotesi di
inutilizzabilita' della prova perche' acquista in violazione di un
divieto di legge (cfr. Sez. U. Sentenza n. 21 del 13 luglio 1998).
L'interpretazione stabilizzatasi dell'art. 191 c.p.p., in tema di
conseguenza di una perquisizione illegittima e di legittimita', per
contro, del conseguente sequestro, si risolve quindi nell'operare
anche una ingiustificata disparita' di trattamento tra indagati in
situazioni del tutto analoghe, con conseguente violazione dell'art. 3
Cost.
Sempre in tema di violazione dell'art. 3 Cost., appare necessario
rilevare come tale norma si atteggi a scrigno in cui e' racchiuso in
germe e riassunto il principio di' necessaria razionalita'
dell'ordinamento dello Stato di diritto disegnato dalla Costituzione;
razionalita' che risulta gravemente violata dalla corrente
interpretazione circa la utilizzabilita' degli esiti delle
perquisizioni illegittime; e cio' in quanto che:
a) l'interpretazione maggioritaria circa l'irrilevanza della
illegittimita' della perquisizione sulla utilizzabilita' dei suoi
esiti si risolve attualmente, in maniera del tutto paradossale, nella
teorizzazione di un sistema giuridico che vuole inefficaci ab origine
le leggi incostituzionali (argomenta ex art. 30, comma 3 e 4, legge
n. 87/1953), e la loro efficacia sospendibile dal giudice ordinario
che ne ravvisi un possibile contrasto con le norme costituzionali, ma
efficacissimi, anche sotto il profilo probatorio, gli atti di p.g. -
e non disapplicabili ne' discutibili dal Giudice - compiuti in
violazione dei diritti costituzionali del cittadino;
b) la suddetta interpretazione appare realizzare una
negazione radicale dei principi dello Stato di diritto quale
tratteggiato dalla Costituzione, racchiuso in germe nell'art. 3 Cost.
(come gia' si e' osservato), e piu' in particolare sviluppato
dall'art. 2 Cost., in quanto finisce per risolversi nell'assenza di
effettive garanzie contro violazioni dei diritti inviolabili
dell'uomo, tra i quali appare senz'altro rientrare quello alla
liberta' personale, laddove invece il suddetto art. 2 Cost. impone
alla Repubblica non solo di riconoscere tali diritti, ma di
garantirli: il che implica la necessaria adozione di tutte le cautele
necessarie non solo a reprimere, ma prima di tutto a scoraggiare la
violazione di tali diritti; e la sanzione dell'inutilizzabilita'
probatoria che discenderebbe dall'art. 191 c.p.p. (nella lettura che
risulterebbe dall'operazione di ortopedia costituzionale che questo
Giudicante ritiene necessaria), nel deprivare di effetti processuali
il risultato «probatorio» di tali violazioni, costituisce la prima e
piu' efficace forma di garanzia che uno Stato di diritto possa
assicurare ai diritti della persona;
c) l'interpretazione che si avversa, inoltre, nega lo Stato
di diritto quale configurato dall'art. 97, comma 3 Cost., che vuole -
con norma generale che appare applicabile anche alle definizione dei
poteri degli organi di polizia - l'azione dei pubblici poteri
sottomessa al principio di legalita'; se, come gia' si e' osservato,
in uno Stato di diritto, lo Stato ed i suoi organi sono per primi
vincolati al rispetto delle leggi di cui pur pretendono l'osservanza
da parte dei consociati, e se cio' comporta non solo l'impegno a non
violare tali leggi, ma anche a garantire l'effettivo rispetto dei
diritti che tali leggi prevedono ed attribuiscono, appare innegabile
che ammettere l'efficacia - e per di piu' nel processo penale ed in
aggressione ai diritti di liberta' - degli atti compiuti dai pubblici
poteri in violazione di un divieto, appare negare anche il principio
di cui all'art. 97 Cost., oltre ad attribuire all'azione illegale
degli organi statuali una prevalenza sui diritti costituzionali dei
consociati, che appare realizzare, sotto questo profilo, una
ulteriore palese violazione dell'art. 3 Cost., in un ordinamento che
vuole centrali i diritti inviolabili della persona - e quindi quanto
meno gli stessi sullo stesso piano di quelli della collettivita' e
dello Stato - ma finisce invece per violare tale condizione di pari
importanza per assegnare prevalenza all'interesse alla repressione
dei reati;
d) l'interpretazione di cui si contesta la costituzionalita',
inoltre, viola l'art. 3 Cost. anche perche', del tutto
irrazionalmente, convive con quella che riconosce l'inutilizzabilita'
di prove vietate dalla legge solo in virtu' della loro non
verificabilita' (scritti anonimi, fonti confidenziali), mentre la
nega a prove acquisite in diretta violazione di un divieto scaturente
dalla legge (anche costituzionale) e che, comunque, si caratterizzano
anch'esse per una ridotta verificabilita': si pensi appunto a come
l'insondabilita' degli elementi che hanno spinto la p.g. alla
perquisizione non consenta di verificare la genuinita' della «catena
indiziaria» e di escludere che possano essere stati proprio i terzi
autori della propalazione confidenziale o anonima (ma in ipotesi non
risultante neppure dal p.v. di perquisizione), o addirittura - come
talora e' purtroppo accaduto - le stesse forze di polizia, ad
introdurre nell'abitazione la «res illicita» costituente supposta
prova del reato; cosi' evidenziandosi, sotto tale profilo, anche un
contrasto con l'art. 24 della Costituzione, per l'evidente limite che
la tesi dell'utilizzabilita' pone all'esplicazione del diritto di
difesa, introducendo nell'ambito delle prove utilizzabili elementi di
cui sia di fatto impossibile verificare approfonditamente la
genuinita'.
L'interpretazione consolidatasi si pone infine in contrasto con
l'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, e quindi in
contrasto con l'art. 117 Cost. che impone allo Stato italiano il
rispetto delle Convenzioni internazionali, in quanto si risolve nel
non adottare efficaci disincentivi agli abusi delle forze di polizia,
e di qualsiasi organo dello Stato in genere, che, limitando la
liberta' della persona, si risolvano in indebite interferenze nella
sua vita privata o nel suo domicilio, non giustificate da oggettive
esigenze di prevenzione o repressione dei reati.
A parere di questo giudicante, la conseguenza della dedotta
incostituzionalita' e' anche il divieto di testimonianza, per gli
operatori di p.g., in ordine al risultato delle attivita' di
ispezione, perquisizione e sequestro indebitamente eseguite; tale
divieto, invero, appare conseguire alla perdita di ogni efficacia di
tali attivita'; ammettere tali deposizioni, peraltro, equivarrebbe a
vanificare tale divieto e la ratio sottostante ai divieti di
utilizzabilita' di cui all'art. 191 c.p.p..
Ne consegue che la questione e' rilevante nel presente giudizio
abbreviato anche laddove si volesse ipotizzare, per ovviare alla
inutilizzabilita' che dovrebbero essere ravvisate nelle
perquisizioni, l'assoluta necessita' di procedere, ex art. 441, comma
5 c.p.p. di procedere all'ascolto dei verbalizzanti in ordine a
quanto rinvenuto sulla persona e nel bagaglio dell'imputato: ed
invero, come osservato, la sanzione dell'inutilizzabilita' dovrebbe
investire, in un'interpretazione corretta dell'art. 191 c.p.p., anche
l'eventuale deposizione in ordine agli esiti della perquisizione
illegittima.
P.Q.M.
Visti gli articoli 1 legge cost. n. 1/48, e 23 della legge n.
87/53;
Dichiara d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la
questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 191 c.p.p., per
contrasto con gli articoli 2, 3, 13, 14, 24, 97 comma 3 e 117 Cost.
(quanto a quest'ultima norma, con riferimento ai principi di cui
all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo), nella
parte in cui non prevede che la sanzione dell'inutilizzabilita' ai
fini della prova riguardi anche gli esiti probatori, ivi compreso il
sequestro del corpo del reato o delle cose pertinenti al reato, degli
atti di perquisizione ed ispezione compiuti dalla p.g. fuori dei casi
tassativamente previsti dalla legge o comunque non convalidati
dall'A.G. con provvedimento motivato, nonche' la deposizione
testimoniale in ordine a tali attivita';
Ordina la notificazione della presente ordinanza, al difensore
dell'imputato, all'imputato, al pubblico ministero, ed al Presidente
del Consiglio dei ministri, e la sua comunicazione ai Presidenti dei
due rami del Parlamento;
Dispone la successiva trasmissione della presente ordinanza e
degli atti del procedimento, unitamente alla prova dell'esecuzione
delle notificazioni e delle comunicazioni previste dalla legge, alla
Corte costituzionale per la decisione della questione di
costituzionalita' cosi' sollevata;
Sospende il procedimento sino alla decisione della Corte
costituzionale.
Lecce, 12 dicembre 2017
Il Giudice: Sernia
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