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mercoledì 18 luglio 2018
N. 153 SENTENZA 20 giugno - 11 luglio 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Impiego pubblico - Amministrazione degli affari esteri - Determinazione del trattamento pensionistico del personale appartenente alla carriera diplomatica in servizio all'estero alla data del collocamento a riposo - Computo della retribuzione di posizione nella "misura minima prevista dalle disposizioni applicabili". - Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri), art. 170, primo comma. - (GU n.29 del 18-7-2018 )
N. 153 SENTENZA 20 giugno - 11 luglio 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Impiego pubblico - Amministrazione degli affari esteri -
Determinazione del trattamento pensionistico del personale
appartenente alla carriera diplomatica in servizio all'estero alla
data del collocamento a riposo - Computo della retribuzione di
posizione nella "misura minima prevista dalle disposizioni
applicabili".
- Decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18
(Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri), art. 170,
primo comma.
-
(GU n.29 del 18-7-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 170, primo
comma, del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n.
18 (Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri), promossi
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il
Lazio, giudice unico delle pensioni, con ordinanze del 10 maggio 2017
e del 3 maggio 2017, iscritte rispettivamente al n. 164 del registro
ordinanze 2017 e al n. 9 del registro ordinanze 2018 e pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie
speciale, dell'anno 2017 e n. 5, prima serie speciale, dell'anno
2018.
Visti gli atti di costituzione dell'Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS), di Giuseppe Magno e di Mario Fugazzola,
nonche' gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri e di Giovanni Ferrero;
udito nell'udienza pubblica del 20 giugno 2018 il Giudice
relatore Silvana Sciarra;
uditi l'avvocato Raffaella Chiummiento per Giovanni Ferrero,
l'avvocato Eugenio Picozza per Giuseppe Magno e Mario Fugazzola,
l'avvocato Luigi Caliulo per l'INPS e l'avvocato dello Stato
Gabriella Palmieri per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il
Lazio, giudice unico delle pensioni, con ordinanze iscritte al n. 164
del registro ordinanze 2017 e al n. 9 del registro ordinanze 2018, ha
sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, identica
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 170, primo comma,
del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18
(Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri), «nella parte
in cui prevede che, nei confronti del soggetto appartenente alla
carriera diplomatica il quale alla data di collocamento a riposo
risulti assegnato ad una sede di servizio all'estero, ai fini
pensionistici la retribuzione di posizione venga computata soltanto
nella "misura minima prevista dalle disposizioni applicabili"
anziche' in misura correlata al grado rivestito da quel medesimo
soggetto e alle funzioni a lui conferibili avuto riguardo al grado
stesso».
1.1.- Il giudice a quo espone di dover decidere sui ricorsi di un
consigliere di ambasciata (reg. ord. n. 164 del 2017) e di un
ministro plenipotenziario (reg. ord. n. 9 del 2018), collocati a
riposo quando erano in servizio presso una sede estera e percio'
beneficiari di una pensione di vecchiaia e di un'indennita' di
buonuscita notevolmente inferiori a quelle che avrebbero conseguito
se fossero stati in servizio a Roma nell'ultima parte della carriera.
I ricorrenti nei giudizi principali hanno chiesto di calcolare a
fini pensionistici l'indennita' di posizione in misura corrispondente
a quella spettante al personale di pari grado e funzioni in servizio
in Italia o, in subordine, in misura corrispondente alla posizione
funzionale di rango meno elevato che puo' essere attribuita a un
funzionario di pari rango, o, in via ulteriormente gradata, nella
misura percepita prima della partenza per l'estero.
I ricorrenti hanno eccepito l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 170, primo comma, del d.P.R. n. 18 del 1967, interpretato
nel senso che la misura minima dell'indennita' di posizione, sancita
per il periodo in cui il rapporto di impiego si svolge all'estero,
opera anche ai fini pensionistici.
Nei giudizi principali si e' costituito il Ministero degli affari
esteri e della cooperazione internazionale (d'ora in avanti, anche:
MAECI) e ha eccepito la carenza di giurisdizione del giudice
contabile a favore del giudice amministrativo e la prescrizione delle
pretese.
Quanto al merito, il Ministero ha evidenziato che l'eventuale
computo dell'indennita' di posizione in misura superiore a quella
minima sarebbe sfornito di contribuzione previdenziale e che per i
ricorrenti sarebbe stata computata anche l'indennita' di servizio
all'estero, negata a chi presti servizio presso la sede centrale.
Nei giudizi a quibus si e' costituito l'Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS), che ha eccepito in linea preliminare la
carenza di giurisdizione del giudice contabile a favore del giudice
amministrativo, il difetto di legittimazione passiva e la
prescrizione delle pretese.
Nel merito, l'INPS ha ricordato che non sono efficaci statuizioni
in materia pensionistica che non siano precedute dalla condanna del
datore di lavoro al pagamento degli importi retributivi.
La Corte di cassazione, sezioni unite civili, adita con istanza
di regolamento di giurisdizione dalle parti ricorrenti nei giudizi
principali, ha dichiarato la giurisdizione del giudice contabile
(ordinanze 19 luglio 2016, n. 14795 e n. 14796) e, dinanzi a tale
giudice, le cause sono state tempestivamente riassunte nel termine di
tre mesi, con ricorsi notificati il 7 ottobre e depositati il 14
ottobre 2016.
Il rimettente osserva che e' stata acclarata la giurisdizione del
giudice contabile e che non sussiste alcuna necessita' di
pronunciarsi preliminarmente sul rapporto di impiego. Quanto
all'eccezione di prescrizione, non potrebbe elidere del tutto il
diritto dei ricorrenti alle differenze pensionistiche.
1.2.- In punto di rilevanza, il rimettente, dopo avere cosi'
sgombrato il campo dalle eccezioni pregiudiziali, argomenta che i
ricorrenti, in servizio all'estero, percepivano l'indennita' di
posizione nella misura minima e che l'ammontare della retribuzione di
posizione ha determinato una «sperequazione sul piano pensionistico»,
che si riflette anche sull'indennita' di buonuscita.
Il giudice a quo ricorda che la prassi del ministero e
l'orientamento della giurisprudenza contabile (in particolare, Corte
dei conti, sezione seconda giurisdizionale centrale d'appello,
sentenza 22 febbraio 2017, n. 112) hanno computato nella misura
minima - anche ai fini pensionistici - la retribuzione di posizione
di chi concluda all'estero la carriera.
Il rimettente, pertanto, reputa inevitabile, a fronte di un
orientamento giurisprudenziale, «enunciato oltretutto in grado
d'appello», sollevare questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 170, primo comma, del d.P.R. n. 18 del 1967.
1.3.- Il giudice a quo assume che la «rilevante sperequazione
(concettuale e quantitativa) tra un funzionario diplomatico che abbia
svolto a Roma l'ultima tranche del servizio presso il MAECI ed uno
che invece abbia lavorato in una sede estera quell'estremo segmento
temporale», pur legittima in costanza del rapporto di impiego, sia
irragionevole oltre la data del pensionamento, allorche' viene in
rilievo soltanto il grado rivestito nell'ambito di una carriera
diplomatica che e' ispirata al principio di unitarieta'.
Il rimettente denuncia l'irragionevolezza della scelta di
attribuire a due appartenenti all'unitaria carriera diplomatica
«trattamenti pensionistici quantitativamente assai diversi
semplicemente in relazione ad una circostanza di fatto non piu' in
essere».
Peraltro, basterebbe rientrare in Italia anche solo per poche
settimane prima del collocamento a riposo per godere di un
trattamento pensionistico commisurato all'indennita' di posizione
nell'ammontare piu' alto. Vi sarebbe, dunque, anche un'ingiustificata
disparita' di trattamento «tra due diplomatici gia' in servizio
all'estero, qualora uno di essi venisse richiamato presso
l'Amministrazione centrale poco tempo prima del collocamento a riposo
[...] e l'altro invece rimanesse a lavorare all'estero».
L'irragionevolezza della disciplina pensionistica applicabile
alla retribuzione di posizione emergerebbe anche dal raffronto con il
trattamento riservato all'indennita' integrativa speciale. Tale voce,
pur negata in costanza del rapporto di lavoro a chi presti servizio
all'estero (art. 1-bis, comma 1, lettera a, del decreto-legge 13
agosto 2011, n. 138, recante «Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo», convertito, con
modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148), sarebbe
computata nel trattamento di quiescenza e tornerebbe dunque «ad
espandersi alla misura normale».
La disparita' di trattamento non potrebbe dirsi giustificata sul
presupposto che l'eventuale computo dell'indennita' di posizione in
misura eccedente quella minima non sia coperto da contribuzione
previdenziale. Il ricorrente, ove fosse rientrato in servizio a Roma
un mese prima del collocamento a riposo, avrebbe goduto
dell'indennita' di posizione nella misura piu' favorevole, a
prescindere da ogni valutazione sulla contribuzione eventualmente
versata.
L'indennita' di servizio all'estero, sprovvista di natura
retributiva, non avrebbe alcuna rilevanza ai fini pensionistici e non
potrebbe pertanto bilanciare la denunciata sperequazione.
2.- Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 164 del 2017 si e'
costituito Giuseppe Magno, con atto depositato l'11 dicembre 2017, e
ha chiesto di accogliere la questione di legittimita' costituzionale
sollevata dalla Corte dei conti. Nel giudizio iscritto al reg. ord.
n. 9 del 2018, si e' costituito Mario Fugazzola, con atto depositato
il 16 febbraio 2018, e ha rassegnato le medesime conclusioni.
Le parti costituite hanno evidenziato che la disposizione
censurata prescrive di corrispondere l'indennita' di posizione al
minimo durante il periodo di servizio all'estero e non riguarda il
trattamento previdenziale, poiche' disciplina soltanto il trattamento
retributivo.
La sperequazione, prodotta dall'interpretazione prevalente della
disposizione in esame, sarebbe ancora piu' irragionevole alla luce
del fatto che la permanenza all'estero o il richiamo in Italia non
derivano da una libera scelta dell'interessato, ma da provvedimenti
unilaterali del ministero, che decide discrezionalmente anche il
momento del rientro in Italia.
La carriera diplomatica si caratterizzerebbe per la sua
unitarieta' e per l'obbligo di alternare, ai fini del normale
progresso in carriera, periodi di permanenza all'estero con periodi
di permanenza in Italia. In questo quadro, sarebbero prive di
giustificazione differenze di trattamento previdenziale cosi'
marcate, legate al dato accidentale del luogo in cui si conclude il
servizio attivo.
L'irragionevolezza della disciplina sarebbe avvalorata anche dal
raffronto con l'indennita' integrativa speciale. Tale voce, pur
sospesa durante il periodo di servizio all'estero, sarebbe computata
ai fini del trattamento pensionistico. Alle stesse conclusioni si
dovrebbe giungere per la retribuzione di posizione.
Non rivestirebbe una valenza compensativa l'erogazione di altri
emolumenti, come l'indennita' di servizio all'estero, in quanto essi
sarebbero privi di natura retributiva e non entrerebbero a comporre,
pertanto, il trattamento pensionistico.
Non rileverebbe l'argomento che, per giustificare il trattamento
deteriore riservato ai diplomatici che concludono il servizio
all'estero, fa leva sui contributi versati. Sarebbe sufficiente
considerare, a tale riguardo, che basta il rientro anticipato anche
di pochi giorni per giovarsi, a fini pensionistici, della
retribuzione di posizione nella misura piena, corrispondente al
grado. E' dunque ininfluente, in tale ipotesi, che i contributi siano
stati pagati solo sulla retribuzione di posizione corrisposta nella
misura minima.
3.- In entrambi i giudizi si e' costituito l'INPS, con atti
depositati il 12 dicembre 2017 e il 16 febbraio 2018, e ha chiesto di
dichiarare inammissibile o comunque manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla Corte dei
conti.
L'ente previdenziale individua un profilo di inammissibilita' nel
fatto che il rimettente si prefigga di ottenere un avallo
dell'interpretazione prescelta, che si discosta dall'orientamento
espresso dal giudice del gravame.
La questione sollevata sarebbe inammissibile anche perche' il
giudice a quo non avrebbe individuato correttamente la disposizione
applicabile alla fattispecie controversa. Nel caso di specie,
difatti, non verrebbe in rilievo l'art. 170 del d.P.R. n. 18 del
1967, che si limita a regolamentare il trattamento retributivo, ma,
in primo luogo, l'art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica
29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme
sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello
Stato).
Quanto al merito, l'INPS osserva che, in virtu' di tale ultima
disposizione, la base pensionabile utile ai fini della determinazione
del trattamento previdenziale e' costituita dall'ultimo stipendio e
dagli emolumenti tassativamente indicati dalla legge ed
effettivamente percepiti, cosi' da garantire all'ente che eroga la
pensione l'acquisizione dei contributi assicurativi necessari per
finanziarla.
Peraltro, lo stesso rimettente reputerebbe legittima una
disciplina retributiva differenziata dei dipendenti che prestano
servizio in Italia rispetto ai dipendenti che prestano servizio
all'estero. Il diverso trattamento pensionistico non sarebbe che la
conseguenza ineludibile di «quei diversi assetti retributivi». Da
tali considerazioni discenderebbe l'infondatezza dei dubbi di
legittimita' costituzionale.
4.- In entrambi i giudizi e' intervenuto, con atti depositati il
12 dicembre 2017 e il 13 febbraio 2018, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, e ha chiesto di dichiarare inammissibile e comunque infondata
la questione di legittimita' costituzionale.
La questione sarebbe inammissibile, poiche' coinvolgerebbe scelte
rimesse all'apprezzamento discrezionale del legislatore.
Nel merito, la questione non sarebbe fondata.
Non potrebbero essere poste a raffronto la prestazione del
servizio presso l'amministrazione centrale a Roma e la prestazione
del servizio all'estero. L'unitarieta' di ruolo della carriera
diplomatica non cancellerebbe la peculiarita' della prestazione del
servizio all'estero, idonea a giustificare una disciplina
previdenziale differente, che tenga conto delle diverse funzioni
esercitate e del diverso contesto di riferimento.
Nel periodo di servizio all'estero il personale diplomatico
percepirebbe, in aggiunta allo stipendio e all'indennita' di
posizione, l'indennita' di servizio all'estero, che ha natura
onnicomprensiva e carattere esclusivo e include una quota
dell'indennita' di base computata anche a fini previdenziali.
Peraltro, secondo la difesa dell'interveniente, anche per la
dirigenza contrattualizzata e per la dirigenza scolastica, la
retribuzione di posizione e' corrisposta a chi svolga le funzioni
all'estero soltanto nella parte fissa, non anche nella parte
variabile.
5.- Nel giudizio iscritto al reg. ord. n. 164 del 2017, con atto
depositato il 12 dicembre 2017, ha spiegato intervento Giovanni
Ferrero, cessato dal servizio il 24 giugno 2005 come ambasciatore a
Santiago del Cile, con il grado di ministro plenipotenziario.
La parte interveniente ha dedotto di vantare un interesse
qualificato alla declaratoria di illegittimita' costituzionale della
disposizione censurata e ha concluso per l'accoglimento della
questione sollevata dalla Corte dei conti.
6.- In prossimita' dell'udienza, hanno depositato memorie
illustrative l'INPS, il 29 maggio 2018, e, il 30 maggio 2018,
Giuseppe Magno, Mario Fugazzola e Giovanni Ferrero.
6.1.- L'INPS ha ribadito le conclusioni rassegnate nella memoria
di costituzione e ha richiamato, in particolare, la sentenza n. 304
del 2013, che ha analizzato la peculiarita' del trattamento economico
e funzionale del personale diplomatico, che non e' uguale per tutti i
dipendenti appartenenti al medesimo grado. Nell'ordinamento della
carriera diplomatica non si riscontrerebbe un'obbligatoria
corrispondenza tra grado e funzioni e tra grado e trattamento
economico correlato all'esercizio delle funzioni.
Anche tali elementi, oltre alla specificita' e all'eterogeneita'
delle rispettive situazioni di lavoro, confermerebbero
l'impossibilita' di istituire un raffronto tra il personale della
carriera diplomatica che opera in Italia e il personale che svolge le
funzioni all'estero.
Quanto ai ricorrenti nei giudizi principali, titolari di una
retribuzione di posizione nella misura minima, avrebbero gia' goduto
dell'indennita' di servizio all'estero, che non spetta a chi operi
presso l'amministrazione centrale ed e' valorizzata ai fini
pensionistici nella misura del 50 per cento della quota base.
6.2.- Giuseppe Magno e Mario Fugazzola hanno chiesto, in via
istruttoria, di acquisire, per il periodo dal 1° gennaio 2000 al 31
maggio 2018, l'elenco dei funzionari diplomatici in missione
all'estero richiamati anticipatamente presso la sede italiana almeno
tre mesi prima rispetto al collocamento a riposo e hanno chiesto, nel
merito, di rigettare le eccezioni pregiudiziali di inammissibilita',
di accogliere la questione di legittimita' costituzionale e, in
subordine, di dichiararla infondata alla luce di un'interpretazione
costituzionalmente orientata dell'art. 170, primo comma, del d.P.R.
n. 18 del 1967.
Le parti costituite negano che il rimettente intenda ottenere
dalla Corte costituzionale l'avallo dell'interpretazione prescelta e
affermano che l'incidente di costituzionalita', a fronte di
un'interpretazione accreditata dalle sezioni centrali di appello
della Corte dei conti, risponde all'esigenza di «assicurare
effettivita' alla tutela giurisdizionale», oltre che «al superiore
principio di equita'».
Non sarebbe fondata neppure l'eccezione di aberratio ictus, in
quanto la questione di legittimita' costituzionale verte proprio
sulla disposizione censurata e sulla disciplina della retribuzione di
posizione. Non verrebbe in rilievo, nel caso di specie, la normativa
generale dell'art. 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, che riguarda in
generale dipendenti pubblici che prestano il servizio interamente in
Italia e non gia' diplomatici che alternino obbligatoriamente periodi
di servizio in Italia e all'estero.
Questa Corte potrebbe, con una sentenza interpretativa di
rigetto, optare per un'interpretazione adeguatrice della disposizione
censurata, che eviti «la meccanica trasposizione» della disciplina
retributiva dell'indennita' di posizione al trattamento
previdenziale.
Ove non si reputasse praticabile tale interpretazione
costituzionalmente orientata, si dovrebbe giungere all'accoglimento
della questione, alla luce dell'unicita' strutturale e funzionale
della carriera e del ruolo del personale diplomatico. In tal senso
militerebbe anche l'esigenza di impedire che una disposizione,
preordinata a favorire il trattamento retributivo di chi presti
servizio all'estero, si risolva in ultima analisi in un pregiudizio
da un punto di vista previdenziale.
L'irragionevolezza della disciplina sarebbe ancora piu' evidente,
poiche' la permanenza in Italia o all'estero non sarebbe
riconducibile a una libera scelta dell'interessato.
In via istruttoria, viene chiesto a questa Corte di acquisire la
documentazione inerente al richiamo anticipato dei diplomatici in
servizio all'estero, poco prima della maturazione del termine del
collocamento in quiescenza. Solo per quindici diplomatici, tale
prassi sarebbe stata disattesa.
6.3.- La parte interveniente ha chiesto di accogliere la
questione di legittimita' costituzionale, lamentando
l'irragionevolezza della disposizione censurata.
7.- All'udienza del 20 giugno 2018, le parti hanno ribadito le
conclusioni formulate negli scritti difensivi.
Considerato in diritto
1.- La Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il
Lazio, giudice unico delle pensioni, con le ordinanze iscritte al n.
164 del registro ordinanze 2017 e al n. 9 del registro ordinanze
2018, dubita, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della
legittimita' costituzionale dell'art. 170, primo comma, del decreto
del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento
dell'Amministrazione degli affari esteri), nella parte in cui
prevede, ai fini pensionistici, che l'indennita' o la retribuzione di
posizione del «personale dell'Amministrazione degli affari esteri»
sia computata «nella misura minima prevista dalle disposizioni
applicabili» e non gia' nella misura intera attribuita a chi lavori
in Italia.
Tale previsione condurrebbe a riconoscere al personale collocato
a riposo quando e' in servizio all'estero una pensione di vecchiaia
notevolmente inferiore rispetto a quella proporzionata all'indennita'
o alla retribuzione di posizione calcolate nella misura piena.
Una tale disparita' di trattamento si porrebbe in contrasto con
il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), poiche' sarebbe priva di
ogni giustificazione apprezzabile.
L'unitarieta' di ruolo della carriera diplomatica, sancita
dall'art. 101, primo comma, del d.P.R. n. 18 del 1967, confermerebbe
«la totale irragionevolezza insita nell'attribuire a due appartenenti
alla carriera diplomatica trattamenti pensionistici quantitativamente
assai diversi semplicemente in relazione ad una circostanza di fatto
non piu' in essere», ovvero la permanenza all'estero al tempo del
collocamento a riposo. Con il pensionamento, difatti, cesserebbero le
differenze legate allo svolgimento delle funzioni in Italia o
all'estero e verrebbe in rilievo soltanto il grado rivestito.
L'irragionevolezza della disciplina in esame emergerebbe anche in
una diversa prospettiva.
Il rimettente argomenta che basterebbe «rientrare in Italia
finanche poche settimane prima del collocamento a riposo» per
beneficiare di un trattamento pensionistico ancorato alla misura
massima dell'indennita' di posizione. Si riscontrerebbe, pertanto,
una sperequazione tra due diplomatici gia' in servizio all'estero,
qualora uno di essi venisse richiamato presso l'Amministrazione
centrale poco tempo prima del collocamento a riposo [...] e l'altro
invece rimanesse a lavorare all'estero».
La violazione del principio di eguaglianza si apprezzerebbe anche
sulla scorta del raffronto con la disciplina pensionistica
applicabile all'indennita' integrativa speciale. Tale voce, pur
negata a chi presti servizio all'estero, concorrerebbe, nondimeno, a
determinare il trattamento di quiescenza.
Alla disparita' di trattamento denunciata non porrebbe rimedio
l'attribuzione dell'indennita' di servizio all'estero, che «non viene
minimamente conservata nel trattamento di quiescenza», in quanto
sarebbe sfornita di natura retributiva.
2.- I giudizi vertono sulla medesima disposizione ed evocano, in
termini coincidenti, la violazione del medesimo parametro (art. 3
Cost.). E' quindi opportuno che siano riuniti e congiuntamente
decisi.
3.- Si deve considerare, preliminarmente, che nel giudizio di
legittimita' costituzionale originato dall'ordinanza di rimessione
iscritta al n. 164 del registro ordinanze 2017 e' intervenuto ad
adiuvandum Giovanni Ferrero, aderendo alle argomentazioni
dell'ordinanza di rimessione e chiedendo l'accoglimento della
questione di legittimita' costituzionale.
Deve essere ribadita l'inammissibilita' di tale intervento, per
le ragioni esposte nell'ordinanza emessa all'udienza del 20 giugno
2018.
Per costante giurisprudenza di questa Corte, la partecipazione al
giudizio incidentale di legittimita' costituzionale e' circoscritta,
di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del
Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente
della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i
giudizi davanti alla Corte costituzionale).
A tale disciplina e' possibile derogare - senza contraddire il
carattere incidentale del giudizio di costituzionalita' - «soltanto a
favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto
in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro,
dalla norma o dalle norme oggetto di censura» (fra le molte, sentenza
n. 77 del 2018, punto 4. del Considerato in diritto).
Nel caso di specie, Giovanni Ferrero, che si limita ad affermare,
senza altre specificazioni, la sussistenza di un interesse
qualificato all'intervento, e' titolare di una situazione soggettiva
regolata dalla norma oggetto di censura, al pari delle situazioni
soggettive dei ricorrenti nei giudizi a quibus. Da tali elementi,
tuttavia, non e' possibile desumere un interesse direttamente
riconducibile all'oggetto dei giudizi principali e allo specifico
rapporto sostanziale in essi dedotto.
4.- L'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ha
eccepito, in linea preliminare, l'inammissibilita' della questione
per inesatta individuazione della disciplina applicabile.
4.1.- Le censure, in particolare, si indirizzerebbero contro la
disposizione che regolamenta il trattamento retributivo del personale
diplomatico in servizio all'estero. Nel caso di specie, tuttavia,
verrebbe in rilievo la disciplina del trattamento pensionistico,
dettata dall'art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29
dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione del testo unico delle norme sul
trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello
Stato) e, nella successiva evoluzione, dall'art. 13 del decreto
legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del
sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma
dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) e dall'art. 2
della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico
obbligatorio e complementare).
4.2.- Nelle memorie illustrative depositate in vista dell'udienza
i ricorrenti nei giudizi a quibus replicano che l'art. 43 del d.P.R.
n. 1092 del 1973 e' norma generale, «pensata per dipendenti pubblici
che prestano il loro servizio interamente in Italia» e non per la
peculiare posizione dei diplomatici, e soggiungono che la previsione
richiamata comunque non preclude una piu' favorevole valutazione
previdenziale della retribuzione di posizione per i diplomatici che
conseguano all'estero il diritto alla pensione.
5.- L'eccezione e' fondata.
5.1.- La vicenda sottoposta al vaglio del rimettente investe il
trattamento previdenziale del personale diplomatico che conclude la
carriera all'estero, sotto il peculiare profilo della rilevanza ai
fini pensionistici della retribuzione di posizione.
Il giudice a quo censura l'art. 170, primo comma, del d.P.R. n.
18 del 1967, che per il personale in servizio all'estero dispone
l'attribuzione dell'indennita' o retribuzione di posizione «nella
misura minima prevista dalle disposizioni applicabili» e assume che
tale disciplina sia foriera di una considerevole sperequazione sul
versante previdenziale.
Lo stesso rimettente, con argomentazioni riprese anche dai
ricorrenti nei giudizi principali, da' conto della puntuale portata
precettiva della previsione censurata, che concerne il trattamento
retributivo e «ha soltanto l'effetto di limitare alla misura minima
il quantum della retribuzione di posizione fintantoche' il
funzionario diplomatico presti servizio all'estero» (punto 13. delle
ordinanze di rimessione).
Il giudice a quo, peraltro, nel ripercorrere l'interpretazione
propugnata dalla Corte dei conti in fase di gravame (Corte dei conti,
sezione seconda giurisdizionale centrale d'appello, sentenza 22
febbraio 2017, n. 112), si premura di specificare che e' stata
proprio l'applicazione della disciplina previdenziale e, in
particolare, dell'art. 43 del d.P.R. n. 1092 del 1973, a condurre al
rigetto delle pretese pensionistiche del personale diplomatico
collocato a riposo mentre era in servizio all'estero (punto 14. delle
ordinanze di rimessione).
5.2.- Nella prospettiva del rimettente, sarebbe dunque la
disciplina previdenziale, in correlazione con la disciplina delle
diverse voci del trattamento retributivo, a recare il vulnus
denunciato.
In una controversia che attiene al trattamento pensionistico il
giudice a quo, per contro, censura le sole previsioni in tema di
trattamento retributivo, senza coglierne le implicazioni sulla
disciplina previdenziale ratione temporis applicabile, anche alla
luce dell'evoluzione del quadro normativo e delle deduzioni svolte a
tale riguardo dalle parti.
Gli argomenti addotti dai ricorrenti nei giudizi a quibus,
incentrati sulla specificita' del regime pensionistico del personale
diplomatico e sul ruolo cruciale della normativa sulla retribuzione
di posizione, avvalorano la necessita' di individuare e censurare la
disciplina previdenziale, in connessione con la disciplina
retributiva che ne costituisce il necessario presupposto.
5.3.- L'erronea individuazione della disciplina censurata ha
portata dirimente e implica l'inammissibilita' della questione, nei
termini in cui e' stata prospettata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 170, primo comma, del decreto del Presidente
della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18 (Ordinamento
dell'Amministrazione degli affari esteri), sollevata, in riferimento
all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale regionale per il Lazio, giudice unico delle pensioni,
con le ordinanze indicate in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Silvana SCIARRA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
Allegato:
Ordinanza letta all'udienza del 20 giugno 2018
ORDINANZA
Visti gli atti relativi al giudizio di legittimita'
costituzionale promosso dalla Corte dei conti, sezione
giurisdizionale regionale per il Lazio, con ordinanza del 10 maggio
2017 (reg. ord. n. 164 del 2017), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 47, prima serie speciale. del 22 novembre 2017.
Rilevato che nel giudizio e' intervenuto ad adiuvandum Giovanni
Ferrero, con atto depositato il 12 dicembre 2017;
che l'interveniente ha dedotto di essere stato collocato a riposo
- con il grado di ministro plenipotenziario - allorche' era assegnato
a una sede estera e di percepire, pertanto, al pari del ricorrente
nel giudizio a quo, un trattamento previdenziale proporzionato alla
misura minima dell'indennita' di posizione, corrisposta al personale
della carriera diplomatica che lavori all'estero;
che l'interveniente fonda l'ammissibilita' dell'intervento sul
presupposto di «un interesse qualificato a che la norma oggetto di
censura venga dichiarata incostituzionale».
Considerato che, secondo il costante orientamento di questa Corte
(fra le molte, sentenza n. 77 del 2018, punto 4. del Considerato in
diritto), «la partecipazione al giudizio incidentale di legittimita'
costituzionale e' circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a
quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso
di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4
delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale)» e che a tale disciplina e' possibile derogare, senza
contraddire il carattere incidentale del giudizio di
costituzionalita', «soltanto a favore di soggetti terzi che siano
titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al
rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente
regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di
censura»;
che l'interveniente e' titolare di una situazione soggettiva
regolata dalla norma oggetto di censura e non vanta, tuttavia, un
interesse direttamente riconducibile all'oggetto del giudizio
principale e allo specifico rapporto sostanziale che vi e' dedotto;
che l'intervento spiegato in giudizio da Giovanni Ferrero deve
essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile l'intervento di Giovanni Ferrero nel
giudizio di legittimita' costituzionale di cui al reg. ord. n. 164
del 2017.
F.to: Giorgio Lattanzi, Presidente
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