Translate

giovedì 30 agosto 2018

N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 aprile 2018 Ordinanza del 12 aprile 2018 della Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di B. A. P.. Processo penale - Processo minorile - Sospensione del processo e messa alla prova - Esito negativo della messa alla prova - Possibilita' per il giudice di determinare la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova - Mancata previsione. - Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), art. 29; codice di procedura penale, art. 657-bis. (GU n.34 del 29-8-2018 )

N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 aprile 2018

Ordinanza  del  12  aprile  2018  della  Corte  di   cassazione   nel
procedimento penale a carico di B. A. P..

Processo penale - Processo minorile  -  Sospensione  del  processo  e
  messa alla  prova  -  Esito  negativo  della  messa  alla  prova  -
  Possibilita' per il giudice di  determinare  la  pena  da  eseguire
  tenuto conto della consistenza e  della  durata  delle  limitazioni
  patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il  periodo
  di sottoposizione alla messa alla prova - Mancata previsione.
- Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988,  n.  448
  (Approvazione delle disposizioni sul processo penale  a  carico  di
  imputati minorenni), art. 29;  codice  di  procedura  penale,  art.
  657-bis.
(GU n.34 del 29-8-2018 )

                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        prima sezione penale

    Composta da:
        M. Stefania Di Tornassi - Presidente;
        Domenico Fiordalisi;
        Gaetano Di Giuro;
        Raffaello Magi;
        Carlo Renoldi - Relatore;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto  da  B.
A. P., nato a Monza il ... avverso l'ordinanza del  Tribunale  per  i
minorenni di Milano in data 6 marzo 2017;
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
    Udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
    Lette le conclusioni scritte del pubblico ministero,  in  persona
dei sostituto Procuratore generale, Stefano Tocci,  che  ha  concluso
chiedendo l'annullamento, con rinvio dell'ordinanza impugnata.

                          Ritenuto in fatto

    1. A seguito della richiesta di  rinvio  a  giudizio  davanti  al
Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i  minorenni
di Milano per rispondere del delitto di cui agli articoli 110  e  648
del codice penale, A. B.  aveva  beneficiato  della  sospensione  del
processo con messa alla prova ai servizi minorili applicata,  per  un
periodo pari a un anno, con ordinanza dello stesso giudice in data 17
ottobre 2011.
    Nel corso della misura, egli era stato sottoposto a  un  progetto
elaborato dal servizio sociale minorile che prevedeva  interventi  di
orientamento formativo e lavorativo, di sostegno per il conseguimento
del patentino per il ciclomotore, per il mantenimento della frequenza
di uno sport di squadra, per lo svolgimento di attivita' di  utilita'
sociale, da individuarsi a  carico  dello  stesso  servizio  sociale,
nonche' colloqui  di  monitoraggio  con  l'assistente  sociale  e  di
sostegno psicologico dell'equipe penale. Dopo un iniziale periodo  in
cui  B.   aveva   aderito   al   progetto   educativo,   egli   aveva
successivamente  disatteso   gli   impegni   assunti,   interrompendo
bruscamente  i   contatti   con   gli   operatori   psico-sociali   e
riallacciando strumentalmente i rapporti con i  servizi  soltanto  in
prossimita' dell'udienza finale.
    Per tale motivo, con sentenza in data 3 ottobre 2012  il  Giudice
dell'udienza preliminare presso il  Tribunale  per  i'  minorenni  di
Milano aveva ritenuto che la messa alla prova si fosse  conclusa  con
esito negativo e aveva condannato l'imputato alla pena di sette  mesi
e quattro giorni di reclusione, riconosciute le attenuanti  generiche
ed applicata la diminuente della minore eta'.
    1.1. Successivamente, B. era stato nuovamente tratto  a  giudizio
davanti al Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i
minorenni di Milano per rispondere dei delitti di cui  agli  articoli
81, 609-octies, 609-bis e 609-ter del codice penale; e con  ordinanza
in data 14 aprile 2014 era stato ammesso,  una  seconda  volta,  alla
sospensione del procedimento con messa alla prova al Servizio sociale
minorile per un periodo di un anno e sei mesi. Il progetto  elaborato
dal  servizio  sociale  prevedeva  il  mantenimento  della  frequenza
scolastica, con profitto e buon comportamento, colloqui  di  sostegno
psicologico, con cadenza quantomeno quindicinale,  finalizzati  anche
alla  rielaborazione  dei  reati  e  dei  sottesi  stili  di  vita  e
relazionali con i pari; lo svolgimento di attivita' socialmente utili
inizialmente  presso  un  oratorio  e  successivamente  presso  altri
contesti al fine di incentivare  «sentimenti  di  condivisione  e  di
empatia», di attivita' di servizio alla persona,  con  l'inserimento,
ove possibile, in gruppi rivolti  alla  presa  in  carico  di  minori
coinvolti in reati di stampo sessuale, nonche' colloqui di verifica e
di sostegno con  l'assistente  sociale,  con  il  coinvolgimento  dei
familiari.
    La misura, anche in questo frangente, non era  stata  gestita  in
maniera adeguata, sicche' in sede di' relazione conclusiva, datata 16
settembre 2015, il servizio affidatario  aveva  sottolineato  l'esito
negativo del percorso di' messa alla prova. Su tali basi, il  Giudice
dell'udienza preliminare presso  il  Tribunale  per  i  minorenni  di
Milano  aveva  valutato  sfavorevolmente  l'andamento  della  misura,
sottolineando come il giovane si fosse  sottratto  ad  una  presa  in
carico psicologica, avesse interrotto e ripreso i  rapporti  con  gli
operatori a proprio  piacimento,  si  fosse  mantenuto  «emotivamente
distante rispetto alle relazioni di  aiuto  a  lui  offerte»,  avesse
autonomamente  orientato  la   propria   progettualita'   lavorativa,
dimostrando una «totale mancanza di interesse  al  contesto  penale»,
non avesse svolto «alcuna significativa riflessione sulle condotte di
reato», non palesando alcun «movimento trasformativo» sia  sul  piano
comportamentale che attitudinale. In questa prospettiva,  il  Giudice
dell'udienza preliminare presso il  Tribunale  per  i'  minorenni  di
Milano, con sentenza in data 13 ottobre 2015,  lo  aveva  condannato,
con la riduzione per il rito prescelto e con la diminuente  dell'art.
98 del codice penale ritenuta prevalente sulle aggravanti contestate,
alla pena di due anni e sei mesi di reclusione.
    1.3. Le due sentenze di condanna erano state,  quindi,  unificate
dal provvedimento di cumulo del Procuratore della  Repubblica  presso
il Tribunale per i minorenni di Milano in data 23  agosto  2016,  che
aveva determinato la pena espianda in tre anni,  un  mese  e  quattro
giorni di reclusione.
    2. In data 6 ottobre 2016, A. P. B. aveva presentato, a mezzo del
difensore avv. Luigi Marinelli, richiesta di' applicazione  dell'art.
657-bis del codice di procedura penale in relazione al periodo,  pari
a complessivi due anni e sei mesi, nel quale  il  giovane  era  stato
ammesso  alla  prova  in  relazione  alle  condanne   unificate   dal
menzionato provvedimento di cumulo.
    In data 10 ottobre 2016, il Procuratore della  Repubblica  presso
il Tribunale per i minorenni di Milano aveva rigettato la  richiesta,
sul  presupposto  della  non  applicabilita'  al  processo   minorile
dell'art. 657-bis del codice di procedura penale previsto per i  soli
imputati adulti, avuto riguardo alle sostanziali differenze, sia  sul
piano strutturale che funzionale, tra le due ipotesi  di  sospensione
del processo con messa alla prova.
    2.1. Per tale ragione, in data 12 ottobre 2016, A.  P.  B.  aveva
personalmente formulato un incidente di esecuzione volto ad  ottenere
il riconoscimento dello scomputo previsto dalla citata disposizione.
    Tuttavia, con ordinanza in data 6 marzo 2017, il Tribunale per  i
minorenni  di  Milano,  pronunciandosi   in   qualita'   di   giudice
dell'esecuzione, aveva rigettato la predetta richiesta. Anche secondo
il giudice minorile, infatti,  le  due  ipotesi  di  sospensione  del
processo con messa alla prova avrebbero una  sostanziale  diversita',
sia sul piano strutturale che della ratio, con una spiccata vocazione
in senso educativo e non afflittivo  dell'istituto  previsto  per  il
processo minorile.
    Tale circostanza, secondo  il  giudice  dell'esecuzione,  avrebbe
impedito l'estensione dell'art. 657-bis del codice penale al caso  in
esame, atteso che il principio di sussidiarieta' previsto dall'art. 1
del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 dei  1988  avrebbe
consentito l'estensione al processo minorile delle norme  del  codice
di procedura  penale  soltanto  ove  si  fosse  in  presenza  di  una
sostanziale lacuna nel sistema regolativo proprio del rito  minorile;
lacuna nella specie non ravvisabile.
    Sotto altro, ma connesso, profilo, essendosi in presenza  di  una
disposizione che si sarebbe inserita  in  uno  specifico  e  autonomo
sistema di regole, non sarebbe stato, dunque,  possibile  configurare
alcuna violazione del principio di uguaglianza,  essendo  il  diverso
regime giustificato dalle peculiarita' del processo  minorile  e  del
relativo istituto della messa alla prova.
    3. Avverso l'ordinanza del giudice  dell'esecuzione  ha  proposto
ricorso per cassazione  lo  stesso  B.,  a  mezzo  del  difensore  di
fiducia, avv. Luigi Marinelli, deducendo,  con  un  unico  articolato
motivo di impugnazione, inosservanza  o  erronea  applicazione  della
legge penale e processuale  nonche'  mancanza,  contraddittorieta'  e
manifesta illogicita' della  motivazione,  ai  sensi  dell'art.  606,
comma 1, lettere B), C) ed E) del codice di procedura penale.
    Si opina, da parte del  ricorrente,  che  l'art.  1  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 consenta  la  estensione,
anche  al  processo  minorile,  delle  disposizioni  del  codice   di
procedura penale previste per i maggiorenni; e, sotto altro  profilo,
che  la   mancata   applicazione   della   norma   de   qua   sarebbe
ingiustificata, creerebbe un assetto sostanzialmente  discriminatorio
e, dunque, sarebbe incostituzionale per contrasto con il principio di
eguaglianza.
    4. In data 14 luglio 2017, il Procuratore generale presso  questa
Corte ha depositato in cancelleria la propria  requisitoria  scritta,
con la quale ha  chiesto  l'annullamento  con  rinvio  dell'ordinanza
impugnata. A parere del P.G., l'art. 657-bis del codice di  procedura
penale sarebbe, infatti, applicabile anche al  processo  minorile  in
virtu' della menzionata clausola di estensione contemplata  dall'art.
1 del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  448  del  1988,
laddove  l'opposta  soluzione  ricostruttiva  contrasterebbe  con   i
principi posti dagli articoli 3 e 31 della Costituzione,  su  cui  si
baserebbe l'intero diritto penale minorile.

                       Considerato in diritto

    1. Ritiene il Collegio che la sollecitata applicazione  estensiva
dell'657-bis del codice di procedura penale alla messa alla prova per
i minorenni, prevista dall'art. 28 del decreto del  Presidente  della
Repubblica n. 448 del 1998, non sia, alla luce dei dati testuali e di
sistema, praticabile.
    L'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448  del
1998 stabilisce, al comma 1, che «il giudice, sentite le parti,  puo'
disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene  di
dover valutare la personalita' del minorenne  all'esito  della  prova
disposta a norma del comma 2. Il processo e' sospeso per  un  periodo
non superiore a tre anni quando si procede per reati per i  quali  e'
prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore  nel
massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore
a un anno»; e, al comma 2, che «con  l'ordinanza  di  sospensione  il
giudice affida il minorenne ai servizi minorili  dell'amministrazione
della giustizia per lo svolgimento, anche  in  collaborazione  con  i
servizi  locali,   delle   opportune   attivita'   di   osservazione,
trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice puo'
impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato  e
a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal
reato».
    L'art. 27 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, recante
Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del  decreto  del
Presidente della  Repubblica  22  settembre  1988,  n.  448,  recante
disposizioni sul processo penale  a  carico  di  imputati  minorenni,
prevede, al comma 2, che il  progetto  di  intervento  elaborato  dai
servizi   minorili   dell'amministrazione   della    giustizia,    in
collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli  enti  locali,
sulla base del quale il giudice provvede a norma del citato art.  28,
deve prevedere tra l'altro:
        a) le modalita' di  coinvolgimento  del  minorenne,  del  suo
nucleo familiare e del suo ambiente di vita;
        b) gli impegni specifici che il minorenne assume;
        c) le modalita' di partecipazione al progetto degli operatori
della giustizia e dell'ente locale;
        d)  le  modalita'  di  attuazione  eventualmente  dirette   a
riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del
minorenne con la persona offesa.
    Sul piano contenutistico le prescrizioni possono consistere in:
        prescrizioni formali per le esigenze di' controllo sociale;
        prescrizioni di tipo riparatorio;
        prescrizioni  di  vario  contenuto   quali   il   trattamento
sanitario,    la    terapia    disintossicante,    il     trattamento
psicologico/psichiatrico;
        prescrizioni  aventi  un  contenuto  in  positivo,  quali  ad
esempio l'obbligo di frequentare scuole professionali o  di  svolgere
determinate attivita' lavorative.
    Ai sensi dell'art. 29 decreto del Presidente della Repubblica  n.
448/1988, decorso il periodo di sospensione,  il  giudice  fissa  una
nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato  se,
tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della
sua personalita', ritiene che la prova  abbia  dato  esito  positivo.
Dunque, la valutazione circa l'esito della stessa viene compiuta alla
stregua degli effetti che la prova ha prodotto sulla personalita' del
minore, essendo l'istituto rivolto, secondo una autorevole  dottrina,
al «completamento, al consolidamento della personalita' del  minore».
Ne consegue che la prova possa, quindi, ritenersi fallita nel caso in
cui essa  non  abbia  inciso  positivamente  sulla  personalita'  del
minore, quand'anche  le  sue  prescrizioni  siano  state  formalmente
rispettate. Ed in caso di  esito  negativo,  il  giudice  dispone  la
prosecuzione del procedimento e si pronuncia, nel merito,  sui  fatti
oggetto di imputazione.
    2. Quanto, invece, all'istituto della  sospensione  del  processo
per messa alla  prova  dell'imputato  maggiorenne,  introdotto  dalla
legge 28 aprile 2014, n. 67, esso si configura come  un  procedimento
alternativo rispetto al  rito  ordinario,  riconducibile,  sul  piano
sostanziale, alle cause estintive del reato; effetto che  si  produce
in caso di esito positivo della prova.
    Sul piano procedimentale, ai sensi degli articoli 168-bis,  comma
1, del codice penale e 464-bis, comma  1,  del  codice  di  procedura
penale, il rito si instaura su esclusiva iniziativa dell'imputato, il
quale deve  altresi'  consentire  all'esecuzione  del  programma  di'
trattamento cui viene sottoposto  a  seguito  della  sospensione  del
processo.
    Nessun consenso deve  essere  espresso  dal  pubblico  ministero,
salvo il caso di domanda di sospensione del  procedimento  presentata
nel corso delle indagini preliminari.
    Il beneficio puo' essere  chiesto  unicamente  dagli  indagati  o
dagli imputati di  reati  puniti  con  pena  detentiva  che,  sola  o
congiunta alla pena pecuniaria,  non  sia  superiore  nel  massimo  a
quattro anni e di quelli previsti all'art. 550, comma 2,  del  codice
di procedura penale.  Inoltre,  la  sospensione  e'  preclusa  per  i
delinquenti  e  contravventori  abituali  o  professionali  e  per  i
delinquenti per tendenza; non puo' essere concessa nuovamente qualora
sia stata revocata o qualora la prova non abbia dato esito  positivo,
e, in ogni caso, non puo' essere concessa piu' di una volta.
    Ai sensi degli artt. 168-bis, commi 2 e 3, del  codice  penale  e
464-bis, comma 4, del codice di procedura penale, la  prova  consiste
in  una  attivita',   indefettibile,   dal   contenuto   retributivo,
consistente  nell'affidamento  dell'imputato  al  servizio   sociale,
secondo le modalita' definite nel programma di trattamento concordato
con l'U.E.P.E. e nello svolgimento del lavoro di  pubblica  utilita';
nonche',  in  una  attivita',   soltanto   facoltativa,   di   natura
riparativa, diretta  all'eliminazione  delle  conseguenze  dannose  o
pericolose derivanti dal reato, alle  restituzioni,  al  risarcimento
del danno, ove possibile nonche' alla  eventuale  mediazione  con  la
persona offesa.
    Nel  dettaglio,  nel  programma  di  trattamento  devono   essere
indicate,   se   «necessario   e   possibile»,   «le   modalita'   di
coinvolgimento dell'imputato, nonche' del suo nucleo familiare e  del
suo ambiente di vita nel  processo  di  reinserimento  sociale»,  «le
prescrizioni comportamentali» (relative ai rapporti con  il  servizio
sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla liberta'  di
movimento, al divieto di frequentare determinati locali) e gli  altri
impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di
attenuare le conseguenze del reato, quali le misure finalizzate  alla
riparazione  in  favore   della   vittima   e   a   vantaggio   della
collettivita', consistenti nel  lavoro  di  pubblica  utilita'  e  in
attivita' di volontariato di rilievo sociale. Quanto, in particolare,
al lavoro di pubblica utilita', l'art. 168-bis, comma 3,  del  codice
penale  stabilisce  che  esso  consista  in   una   prestazione   non
retribuita, individuata sulla base  della  professionalita'  e  delle
attitudini lavorative del richiedente, da svolgersi presso lo  Stato,
gli  enti  territoriali,  le  aziende  sanitarie  o  presso  enti   o
organizzazioni di assistenza sociale sanitaria o di volontariato,  da
svolgersi con modalita' che non pregiudichino le esigenze di  lavoro,
di studio, di famiglia e di salute dell'imputato.
    Ove non debba pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129
del codice di procedura penale, il giudice, decidendo con  ordinanza,
accoglie l'istanza allorquando, in base ai criteri  di  cui  all'art.
133  del  codice  penale,  compia  un  apprezzamento  favorevole   in
relazione alla gravita' del fatto, alla idoneita' del programma, alla
prognosi positiva in relazione alla futura astensione dal  commettere
ulteriori reati. In tal caso, il  giudice  deve  indicare  la  durata
della sospensione che, comunque, non puo' essere superiore a due anni
se si procede  per  un  reato  per  il  quale  e'  prevista  la  pena
detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria e ad un
anno per i reati per i quali e' prevista la sola pena pecuniaria.
    Nella fase esecutiva,  l'U.E.P.E.  deve  compiere  le  periodiche
verifiche sull'andamento della prova,  su  cui  deve  relazionare  il
giudice, proponendo eventuali modifiche al programma di  trattamento,
l'abbreviazione  della  durata  della   prova,   ovvero   la   revoca
dell'ordinanza  ammissiva  nel  caso  in  cui  ricorra  talune  delle
condotte previste dall'art. 168-quater del codice penale (e,  dunque,
la grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle
prescrizioni imposte; il  rifiuto  alla  prestazione  del  lavoro  di
pubblica utilita'; la commissione, durante il periodo di prova, di un
nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole  rispetto
a quello per cui si procede).
    Alla fine del periodo di prova,  il  giudice  ne  valuta  l'esito
sulla base della relazione conclusiva dell'U.E.P.E.,  avuto  riguardo
al  comportamento  tenuto   dall'imputato   e   al   rispetto   delle
prescrizioni stabilite.
    In caso di esito positivo, il giudice dichiara con  sentenza  che
il reato e' estinto; e, in caso contrario, dispone con ordinanza  che
il processo riprenda il suo corso.
    In caso di successiva condanna,  l'art.  657-bis  del  codice  di
procedura  penale  stabilisce  che   il   pubblico   ministero,   nel
determinare la pena da eseguire,  detrae  un  periodo  corrispondente
alla prova comunque eseguita, computando un giorno di reclusione o di
arresto, oppure duecentocinquanta euro di multa  o  di  ammenda,  per
ogni tre giorni di prova.
    3. Alla luce delle evidenziate caratteristiche dei due  istituti,
deve rilevarsi che la sospensione del processo con messa  alla  prova
per gli imputati minorenni presenta significative differenze, sia sul
piano strutturale che funzionale, rispetto al corrispondente istituto
previsto per gli adulti.
    Sotto il primo aspetto:
        1) esso non ha limitazioni oggettive e soggettive;
        2) comporta  lo  svolgimento  di  attivita'  di  osservazione
trattamento  e  sostegno  e  l'assoggettamento  a  disposizioni   che
prescindono da richieste o dal consenso del minore;
        3) ha ad  oggetto,  sul  piano  contenutistico,  prescrizioni
variamente modulabili  e  almeno  tendenzialmente  connotate  da  una
minore afflittivita';
        4) ha una durata diversa;
        5) il suo esito e' strettamente correlato con la  valutazione
della personalita' dell'imputato  e,  quindi,  puo'  essere  negativo
anche nel caso in cui vengano rispettate le prescrizioni previste nel
progetto.
    Sotto il profilo funzionale, mentre la presenza, nel  caso  della
messa alla prova per gli adulti, del  lavoro  di'  pubblica  utilita'
connota  l'istituto  in  termini   prettamente   afflittivi,   questa
caratterizzazione, nel caso dell'istituto minorile, assume un rilievo
eventuale e comunque meno pregnante, a favore delle istanze educative
che sono proprie del processo minorile.
    Dalle evidenziate differenze tra i due  istituti  consegue,  come
anticipato, ad avviso del Collegio  la  impossibilita'  di  estendere
l'art. 657-bis del codice  di  procedura  penale  anche  al  processo
minorile, in particolare per quanto concerne  il  rigido  automatismo
previsto dalla norma, la quale, in  ragione  dei  profili  afflittivi
delle   prescrizioni   altrettanto   rigidamente   disciplinate   per
l'istituto previsto dall'art. 168-bis del codice penale, contempla un
meccanismo di fungibilita' costruito  alla  stregua  di  un  criterio
matematico: tre giorni di messa alla prova corrispondono a un  giorno
di pena detentiva da detrarre (ovvero a 250 euro di pena pecuniaria),
che sembra non esportabile automaticamente in ogni caso di messa alla
prova del minorenne.
    4. Pur in  presenza  delle  evidenziate  differenze  tra  i'  due
istituti, attinenti sia al piano strutturale sia a quello funzionale,
anche  l'istituto  della  messa  alla  prova  per  i  minorenni  puo'
presentare pero', in concreto e caso per caso, significativi  profili
di afflittivita'.
    Cio' e' evidente nelle situazioni in cui,  tra  le  prescrizioni,
sia previsto l'inserimento comunitario obbligatorio  con  obbligo  di
permanenza  all'interno  della  struttura,  attesa   la   consistente
limitazione della liberta' di  movimento  che  esso  implica.  Ma  ad
analoga  valutazione  deve  pervenirsi  anche  nel  caso  in  cui  le
prescrizioni, lungi dal presentare un contenuto «debole», consistente
in  una  mera  offerta  trattamentale  e   di   sostegno   educativo,
consistano, come nella fattispecie in esame, in un obbligo di fare (o
di  non  fare),  atteso  che  anche  in  tali  ipotesi  e'   comunque
configurabile  una  limitazione  della  liberta'  personale,  il  cui
contenuto presenta, ontologicamente, un carattere afflittivo,  al  di
la' della finalizzazione verso un  obiettivo  di  natura  prettamente
educativa.
    Ne consegue che, in tale  evenienza,  l'esclusione  di  qualunque
rilevanza del percorso seguito durante la prova, pur  segnato  da  un
epilogo   sfavorevole,   realizza   un   regime   ingiustificatamente
differenziato  rispetto  all'assetto  regolativo   che   caratterizza
l'omologo istituto per gli imputati maggiorenni, si'  da  confliggere
con il principio di uguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione.
E cio' tanto piu' ove si consideri lo specialissimo statuto, ispirato
a  una  prospettiva  di  deciso  favor,  che   l'ordinamento   penale
riconosce, sia sul piano sostanziale che processuale,  agli  imputati
minorenni, a  sua  volta  radicato  nella  previsione  dell'art.  31,
secondo comma della Costituzione secondo cui la Repubblica  «protegge
la maternita', l'infanzia e  la  gioventu',  favorendo  gli  istituti
necessari a tale scopo». Un  principio,  questo,  che  con  specifico
riferimento alla Giustizia minorile e' stato declinato nel senso  che
l'intervento  giudiziario  deve  essere  funzionale  a  preservare  e
consolidare i processi educativi che riguardano il  minore,  soggetto
da tutelare in quanto tale, adattando gli istituti giuridici alle sue
peculiari esigenze (cfr. Corte costituzionale, sentenza  n.  222  del
1983, secondo cui l'art. 31, secondo comma della Costituzione e' alla
base del principio secondo il quale il processo minorile deve  essere
ispirato alla prevalente esigenza educativa del minore;  sentenza  n.
109 del 1997, secondo cui la protezione della gioventu'  ex  art.  31
della   Costituzione    si    attua    attraverso    la    «specifica
individualizzazione   e    flessibilita'    del    trattamento    che
l'evolutivita' della personalita' del minore e  la  preminenza  della
funzione rieducativa  richiedono»).  In  questo  modo,  peraltro,  si
configura un evidente collegamento con l'art. 27, terzo comma,  della
Costituzione, il quale finalizza  l'intervento  penale  al  principio
rieducativo,  secondo  quanto  riconosciuto  dalla  Consulta  con  la
sentenza n. 222 del 1983, la quale ha affermato che la  funzione  di'
recupero del minore, imposta dall'interesse superiore alla protezione
del  medesimo  espresso  nel  secondo  comma   dell'art.   31   della
Costituzione,  deve  essere  perseguita  mediante  la  richiesta   di
interventi  individualizzati  da  parte  di  organi   giurisdizionali
specializzati, attraverso istituti processuali ad hoc e «mediante  la
sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, in  armonia  con  la
meta additata al terzo comma 27 della Costituzione, nonche' dall'art.
14, paragrafo 4, del Patto internazionale relativo ai diritti  civili
e politici (adottato a New York il 19 dicembre 1966 e la cui ratifica
ed esecuzione sono state disposte con legge 25 ottobre 1977, n. 881)»
oltre che dalle «Regole minime per l'amministrazione della  giustizia
minorile» (dette  anche  «Regole  di'  Pechino»),  approvate  dal  VI
Congresso dell'ONU nel 1985.
    In questa prospettiva,  la  previsione  di  un  regime  giuridico
chiaramente sfavorevole per il minore,  il  quale,  secondo  la  tesi
accolta dal giudice dell'esecuzione, non potrebbe  in  alcun  modo  o
misura scomputare dalla pena  inflittagli  il  periodo  trascorso  in
messa alla prova,  diversamente  da  quanto  previsto  per  l'omologo
istituto applicabile agli adulti, sembra configurare  una  violazione
dei principi  di  tutela  del  minore  e  della  finalita'  educativa
dell'intervento penale posti dagli articoli 31, secondo comma, e  27,
terzo comma della Costituzione, e del principio di  eguaglianza,  non
apparendo il regime, che per il minorenne non prevede  alcun  computo
delle restrizioni eventualmente patite nella pena ancora da  espiare,
giustificato  in  rapporto  alla   rilevanza   costituzionale   degli
interessi  in  gioco,   riconducibili   all'ambito   della   liberta'
personale, sottoposta a limitazioni di varia intensita' e cogenza nel
corso della prova.
    In altri  termini,  attese  le  ragioni  della  gia'  evidenziata
impraticabilita' di una automatica estensione dell'art.  657-bis  del
codice di procedura penale alla messa alla prova minorile, il  dubbio
sulla   legittimita'   costituzionale   investe   non   la    mancata
applicabilita', sic et simpliciter, della norma in questione al  rito
minorile, quanto  piuttosto  l'impossibilita',  per  il  giudice,  di
tenere in alcun conto, per il minore condannato a  seguito  di  esito
negativo  della  messa  alla  prova,   del   periodo   trascorso   in
assoggettamento a tale regime, valutando, all'esito del pur  negativo
esperimento, le limitazioni della liberta' personale alle  quali  sia
stato comunque nelle more sottoposto: analogamente, a quanto  e'  ora
consentito in caso di revoca dell'affidamento in  prova  al  servizio
sociale per comportamento incompatibile  con  la  prosecuzione  della
prova, ex art. 47, comma 11 (gia' comma 10), ordinanza pen. (legge n.
354 del 1975), dopo che Corte costituzionale n. 343 del  1987,  sulla
scorta  di  principi  analoghi  a  quelli  affermati  gia'  da  Corte
costituzionale sentenze numeri 185  del  1985  e  312  del  1985,  ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di  tale  normativa  nella
parte in cui non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare
la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle
limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante  il
trascorso periodo di affidamento in prova.
    Il dubbio di legittimita' costituzionale  delle  disposizioni  di
cui agli articoli 657-bis del codice di procedura  penale  e  29  del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, nella  parte
in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della
messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la  pena
da eseguire tenuto conto  della  consistenza  e  della  durata  delle
limitazioni patite e del comportamento tenuto dal  minorenne  durante
il periodo di sottoposizione alla messa alla prova,  con  riferimento
agli  articoli  3,  31,  secondo  comma,  e  27,  terzo  comma  della
Costituzione non  puo'  ritenersi,  per  conseguenza,  manifestamente
infondato.
    5. Nella  fattispecie  concreta,  la  questione  appare,  quindi,
sicuramente rilevante.
    Durante i due distinti periodi di messa alla prova  ai  quali  e'
stato sottoposto,  in  entrambi  i  casi  dichiarati  anticipatamente
conclusi con esito negativo, al ricorrente e' stato  prescritto,  tra
l'altro, lo  svolgimento  di  attivita'  socialmente  utili,  la  cui
consistenza  e  afflittivita',  unitamente  a  quella   delle   altre
attivita' e prestazioni indicate nei progetti, che stando  agli  atti
risulterebbero almeno in parte  realizzati  e  di  cui  si  e'  fatto
resoconto in sintesi nella parte in «fatto», non e' stata menomamente
valutata dai giudici del merito.
    L'incidenza della relativa decisione  sul  presente  giudizio  e'
resa manifesta dal fatto che, da un lato, la non valutabilita'  delle
restrizioni connesse al  periodo  di  messa  alla  prova  costituisce
proprio l'oggetto del ricorso; dall'altro lato, solo la invocata,  ma
oggi  non  prevista,  possibilita'  di   valutare   tali   afflizioni
consentirebbe un annullamento del provvedimento impugnato con  rinvio
al Tribunale di sorveglianza perche' proceda ad esame del sostanziale
aggravamento del trattamento sanzionatorio subito dal  condannato  in
ragione della sua sottoposizione alla messa alla prova.
    6. Alla stregua  delle  considerazioni  che  precedono,  deve  in
conclusione ritenersi rilevante e non manifestamente  infondata,  con
riferimento agli articoli 3, 27 e 31 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale degli  articoli  29  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 e 657-bis del  codice  di
procedura penale, nella parte in cui non prevedono che, in  caso  di'
revoca o di  esito  negativo  della  messa  alla  prova  di  soggetto
minorenne, il giudice possa determinare la pena  da  eseguire  tenuto
conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del
comportamento  tenuto   dal   minorenne   durante   il   periodo   di
sottoposizione alla messa alla prova.
    Va per l'effetto disposta  l'immediata  trasmissione  degli  atti
alla Corte costituzionale, mentre il giudizio in  corso  deve  essere
sospeso.
    A cura della cancelleria la presente ordinanza  sara'  notificata
ai ricorrenti e alle parti civili, al Procuratore generale presso  la
Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei ministri e sara'
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

                               P. Q. M.

    Dichiara  rilevante   e   non   manifestamente   infondata,   con
riferimento agli articoli 3, 31 e 27 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale degli  articoli  29  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 e 657-bis del  codice  di
procedura penale nella parte in cui non prevedono  che,  in  caso  di
esito negativo della messa  alla  prova  di  soggetto  minorenne,  il
giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della  consistenza
e della durata delle limitazioni patite e  del  comportamento  tenuto
dal minorenne durante il periodo di sottoposizione  alla  messa  alla
prova.
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso.
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata al ricorrente, al Procuratore generale presso la Corte  di
cassazione, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
        Cosi' deciso il 5 dicembre 2017

                      Il Presidente: Di Tomassi


                                    Il consigliere estensore: Renoldi

Nessun commento: