N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 aprile 2018
Ordinanza del 12 aprile 2018 della Corte di cassazione nel
procedimento penale a carico di B. A. P..
Processo penale - Processo minorile - Sospensione del processo e
messa alla prova - Esito negativo della messa alla prova -
Possibilita' per il giudice di determinare la pena da eseguire
tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni
patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo
di sottoposizione alla messa alla prova - Mancata previsione.
- Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448
(Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di
imputati minorenni), art. 29; codice di procedura penale, art.
657-bis.
(GU n.34 del 29-8-2018 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
prima sezione penale
Composta da:
M. Stefania Di Tornassi - Presidente;
Domenico Fiordalisi;
Gaetano Di Giuro;
Raffaello Magi;
Carlo Renoldi - Relatore;
Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da B.
A. P., nato a Monza il ... avverso l'ordinanza del Tribunale per i
minorenni di Milano in data 6 marzo 2017;
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
Udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
Lette le conclusioni scritte del pubblico ministero, in persona
dei sostituto Procuratore generale, Stefano Tocci, che ha concluso
chiedendo l'annullamento, con rinvio dell'ordinanza impugnata.
Ritenuto in fatto
1. A seguito della richiesta di rinvio a giudizio davanti al
Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni
di Milano per rispondere del delitto di cui agli articoli 110 e 648
del codice penale, A. B. aveva beneficiato della sospensione del
processo con messa alla prova ai servizi minorili applicata, per un
periodo pari a un anno, con ordinanza dello stesso giudice in data 17
ottobre 2011.
Nel corso della misura, egli era stato sottoposto a un progetto
elaborato dal servizio sociale minorile che prevedeva interventi di
orientamento formativo e lavorativo, di sostegno per il conseguimento
del patentino per il ciclomotore, per il mantenimento della frequenza
di uno sport di squadra, per lo svolgimento di attivita' di utilita'
sociale, da individuarsi a carico dello stesso servizio sociale,
nonche' colloqui di monitoraggio con l'assistente sociale e di
sostegno psicologico dell'equipe penale. Dopo un iniziale periodo in
cui B. aveva aderito al progetto educativo, egli aveva
successivamente disatteso gli impegni assunti, interrompendo
bruscamente i contatti con gli operatori psico-sociali e
riallacciando strumentalmente i rapporti con i servizi soltanto in
prossimita' dell'udienza finale.
Per tale motivo, con sentenza in data 3 ottobre 2012 il Giudice
dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i' minorenni di
Milano aveva ritenuto che la messa alla prova si fosse conclusa con
esito negativo e aveva condannato l'imputato alla pena di sette mesi
e quattro giorni di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche
ed applicata la diminuente della minore eta'.
1.1. Successivamente, B. era stato nuovamente tratto a giudizio
davanti al Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i
minorenni di Milano per rispondere dei delitti di cui agli articoli
81, 609-octies, 609-bis e 609-ter del codice penale; e con ordinanza
in data 14 aprile 2014 era stato ammesso, una seconda volta, alla
sospensione del procedimento con messa alla prova al Servizio sociale
minorile per un periodo di un anno e sei mesi. Il progetto elaborato
dal servizio sociale prevedeva il mantenimento della frequenza
scolastica, con profitto e buon comportamento, colloqui di sostegno
psicologico, con cadenza quantomeno quindicinale, finalizzati anche
alla rielaborazione dei reati e dei sottesi stili di vita e
relazionali con i pari; lo svolgimento di attivita' socialmente utili
inizialmente presso un oratorio e successivamente presso altri
contesti al fine di incentivare «sentimenti di condivisione e di
empatia», di attivita' di servizio alla persona, con l'inserimento,
ove possibile, in gruppi rivolti alla presa in carico di minori
coinvolti in reati di stampo sessuale, nonche' colloqui di verifica e
di sostegno con l'assistente sociale, con il coinvolgimento dei
familiari.
La misura, anche in questo frangente, non era stata gestita in
maniera adeguata, sicche' in sede di' relazione conclusiva, datata 16
settembre 2015, il servizio affidatario aveva sottolineato l'esito
negativo del percorso di' messa alla prova. Su tali basi, il Giudice
dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i minorenni di
Milano aveva valutato sfavorevolmente l'andamento della misura,
sottolineando come il giovane si fosse sottratto ad una presa in
carico psicologica, avesse interrotto e ripreso i rapporti con gli
operatori a proprio piacimento, si fosse mantenuto «emotivamente
distante rispetto alle relazioni di aiuto a lui offerte», avesse
autonomamente orientato la propria progettualita' lavorativa,
dimostrando una «totale mancanza di interesse al contesto penale»,
non avesse svolto «alcuna significativa riflessione sulle condotte di
reato», non palesando alcun «movimento trasformativo» sia sul piano
comportamentale che attitudinale. In questa prospettiva, il Giudice
dell'udienza preliminare presso il Tribunale per i' minorenni di
Milano, con sentenza in data 13 ottobre 2015, lo aveva condannato,
con la riduzione per il rito prescelto e con la diminuente dell'art.
98 del codice penale ritenuta prevalente sulle aggravanti contestate,
alla pena di due anni e sei mesi di reclusione.
1.3. Le due sentenze di condanna erano state, quindi, unificate
dal provvedimento di cumulo del Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale per i minorenni di Milano in data 23 agosto 2016, che
aveva determinato la pena espianda in tre anni, un mese e quattro
giorni di reclusione.
2. In data 6 ottobre 2016, A. P. B. aveva presentato, a mezzo del
difensore avv. Luigi Marinelli, richiesta di' applicazione dell'art.
657-bis del codice di procedura penale in relazione al periodo, pari
a complessivi due anni e sei mesi, nel quale il giovane era stato
ammesso alla prova in relazione alle condanne unificate dal
menzionato provvedimento di cumulo.
In data 10 ottobre 2016, il Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale per i minorenni di Milano aveva rigettato la richiesta,
sul presupposto della non applicabilita' al processo minorile
dell'art. 657-bis del codice di procedura penale previsto per i soli
imputati adulti, avuto riguardo alle sostanziali differenze, sia sul
piano strutturale che funzionale, tra le due ipotesi di sospensione
del processo con messa alla prova.
2.1. Per tale ragione, in data 12 ottobre 2016, A. P. B. aveva
personalmente formulato un incidente di esecuzione volto ad ottenere
il riconoscimento dello scomputo previsto dalla citata disposizione.
Tuttavia, con ordinanza in data 6 marzo 2017, il Tribunale per i
minorenni di Milano, pronunciandosi in qualita' di giudice
dell'esecuzione, aveva rigettato la predetta richiesta. Anche secondo
il giudice minorile, infatti, le due ipotesi di sospensione del
processo con messa alla prova avrebbero una sostanziale diversita',
sia sul piano strutturale che della ratio, con una spiccata vocazione
in senso educativo e non afflittivo dell'istituto previsto per il
processo minorile.
Tale circostanza, secondo il giudice dell'esecuzione, avrebbe
impedito l'estensione dell'art. 657-bis del codice penale al caso in
esame, atteso che il principio di sussidiarieta' previsto dall'art. 1
del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 dei 1988 avrebbe
consentito l'estensione al processo minorile delle norme del codice
di procedura penale soltanto ove si fosse in presenza di una
sostanziale lacuna nel sistema regolativo proprio del rito minorile;
lacuna nella specie non ravvisabile.
Sotto altro, ma connesso, profilo, essendosi in presenza di una
disposizione che si sarebbe inserita in uno specifico e autonomo
sistema di regole, non sarebbe stato, dunque, possibile configurare
alcuna violazione del principio di uguaglianza, essendo il diverso
regime giustificato dalle peculiarita' del processo minorile e del
relativo istituto della messa alla prova.
3. Avverso l'ordinanza del giudice dell'esecuzione ha proposto
ricorso per cassazione lo stesso B., a mezzo del difensore di
fiducia, avv. Luigi Marinelli, deducendo, con un unico articolato
motivo di impugnazione, inosservanza o erronea applicazione della
legge penale e processuale nonche' mancanza, contraddittorieta' e
manifesta illogicita' della motivazione, ai sensi dell'art. 606,
comma 1, lettere B), C) ed E) del codice di procedura penale.
Si opina, da parte del ricorrente, che l'art. 1 decreto del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 consenta la estensione,
anche al processo minorile, delle disposizioni del codice di
procedura penale previste per i maggiorenni; e, sotto altro profilo,
che la mancata applicazione della norma de qua sarebbe
ingiustificata, creerebbe un assetto sostanzialmente discriminatorio
e, dunque, sarebbe incostituzionale per contrasto con il principio di
eguaglianza.
4. In data 14 luglio 2017, il Procuratore generale presso questa
Corte ha depositato in cancelleria la propria requisitoria scritta,
con la quale ha chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza
impugnata. A parere del P.G., l'art. 657-bis del codice di procedura
penale sarebbe, infatti, applicabile anche al processo minorile in
virtu' della menzionata clausola di estensione contemplata dall'art.
1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988,
laddove l'opposta soluzione ricostruttiva contrasterebbe con i
principi posti dagli articoli 3 e 31 della Costituzione, su cui si
baserebbe l'intero diritto penale minorile.
Considerato in diritto
1. Ritiene il Collegio che la sollecitata applicazione estensiva
dell'657-bis del codice di procedura penale alla messa alla prova per
i minorenni, prevista dall'art. 28 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 448 del 1998, non sia, alla luce dei dati testuali e di
sistema, praticabile.
L'art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del
1998 stabilisce, al comma 1, che «il giudice, sentite le parti, puo'
disporre con ordinanza la sospensione del processo quando ritiene di
dover valutare la personalita' del minorenne all'esito della prova
disposta a norma del comma 2. Il processo e' sospeso per un periodo
non superiore a tre anni quando si procede per reati per i quali e'
prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel
massimo a dodici anni; negli altri casi, per un periodo non superiore
a un anno»; e, al comma 2, che «con l'ordinanza di sospensione il
giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell'amministrazione
della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i
servizi locali, delle opportune attivita' di osservazione,
trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice puo'
impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e
a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal
reato».
L'art. 27 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 272, recante
Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del decreto del
Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante
disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni,
prevede, al comma 2, che il progetto di intervento elaborato dai
servizi minorili dell'amministrazione della giustizia, in
collaborazione con i servizi socio-assistenziali degli enti locali,
sulla base del quale il giudice provvede a norma del citato art. 28,
deve prevedere tra l'altro:
a) le modalita' di coinvolgimento del minorenne, del suo
nucleo familiare e del suo ambiente di vita;
b) gli impegni specifici che il minorenne assume;
c) le modalita' di partecipazione al progetto degli operatori
della giustizia e dell'ente locale;
d) le modalita' di attuazione eventualmente dirette a
riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del
minorenne con la persona offesa.
Sul piano contenutistico le prescrizioni possono consistere in:
prescrizioni formali per le esigenze di' controllo sociale;
prescrizioni di tipo riparatorio;
prescrizioni di vario contenuto quali il trattamento
sanitario, la terapia disintossicante, il trattamento
psicologico/psichiatrico;
prescrizioni aventi un contenuto in positivo, quali ad
esempio l'obbligo di frequentare scuole professionali o di svolgere
determinate attivita' lavorative.
Ai sensi dell'art. 29 decreto del Presidente della Repubblica n.
448/1988, decorso il periodo di sospensione, il giudice fissa una
nuova udienza nella quale dichiara con sentenza estinto il reato se,
tenuto conto del comportamento del minorenne e della evoluzione della
sua personalita', ritiene che la prova abbia dato esito positivo.
Dunque, la valutazione circa l'esito della stessa viene compiuta alla
stregua degli effetti che la prova ha prodotto sulla personalita' del
minore, essendo l'istituto rivolto, secondo una autorevole dottrina,
al «completamento, al consolidamento della personalita' del minore».
Ne consegue che la prova possa, quindi, ritenersi fallita nel caso in
cui essa non abbia inciso positivamente sulla personalita' del
minore, quand'anche le sue prescrizioni siano state formalmente
rispettate. Ed in caso di esito negativo, il giudice dispone la
prosecuzione del procedimento e si pronuncia, nel merito, sui fatti
oggetto di imputazione.
2. Quanto, invece, all'istituto della sospensione del processo
per messa alla prova dell'imputato maggiorenne, introdotto dalla
legge 28 aprile 2014, n. 67, esso si configura come un procedimento
alternativo rispetto al rito ordinario, riconducibile, sul piano
sostanziale, alle cause estintive del reato; effetto che si produce
in caso di esito positivo della prova.
Sul piano procedimentale, ai sensi degli articoli 168-bis, comma
1, del codice penale e 464-bis, comma 1, del codice di procedura
penale, il rito si instaura su esclusiva iniziativa dell'imputato, il
quale deve altresi' consentire all'esecuzione del programma di'
trattamento cui viene sottoposto a seguito della sospensione del
processo.
Nessun consenso deve essere espresso dal pubblico ministero,
salvo il caso di domanda di sospensione del procedimento presentata
nel corso delle indagini preliminari.
Il beneficio puo' essere chiesto unicamente dagli indagati o
dagli imputati di reati puniti con pena detentiva che, sola o
congiunta alla pena pecuniaria, non sia superiore nel massimo a
quattro anni e di quelli previsti all'art. 550, comma 2, del codice
di procedura penale. Inoltre, la sospensione e' preclusa per i
delinquenti e contravventori abituali o professionali e per i
delinquenti per tendenza; non puo' essere concessa nuovamente qualora
sia stata revocata o qualora la prova non abbia dato esito positivo,
e, in ogni caso, non puo' essere concessa piu' di una volta.
Ai sensi degli artt. 168-bis, commi 2 e 3, del codice penale e
464-bis, comma 4, del codice di procedura penale, la prova consiste
in una attivita', indefettibile, dal contenuto retributivo,
consistente nell'affidamento dell'imputato al servizio sociale,
secondo le modalita' definite nel programma di trattamento concordato
con l'U.E.P.E. e nello svolgimento del lavoro di pubblica utilita';
nonche', in una attivita', soltanto facoltativa, di natura
riparativa, diretta all'eliminazione delle conseguenze dannose o
pericolose derivanti dal reato, alle restituzioni, al risarcimento
del danno, ove possibile nonche' alla eventuale mediazione con la
persona offesa.
Nel dettaglio, nel programma di trattamento devono essere
indicate, se «necessario e possibile», «le modalita' di
coinvolgimento dell'imputato, nonche' del suo nucleo familiare e del
suo ambiente di vita nel processo di reinserimento sociale», «le
prescrizioni comportamentali» (relative ai rapporti con il servizio
sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla liberta' di
movimento, al divieto di frequentare determinati locali) e gli altri
impegni specifici che l'imputato assume anche al fine di elidere o di
attenuare le conseguenze del reato, quali le misure finalizzate alla
riparazione in favore della vittima e a vantaggio della
collettivita', consistenti nel lavoro di pubblica utilita' e in
attivita' di volontariato di rilievo sociale. Quanto, in particolare,
al lavoro di pubblica utilita', l'art. 168-bis, comma 3, del codice
penale stabilisce che esso consista in una prestazione non
retribuita, individuata sulla base della professionalita' e delle
attitudini lavorative del richiedente, da svolgersi presso lo Stato,
gli enti territoriali, le aziende sanitarie o presso enti o
organizzazioni di assistenza sociale sanitaria o di volontariato, da
svolgersi con modalita' che non pregiudichino le esigenze di lavoro,
di studio, di famiglia e di salute dell'imputato.
Ove non debba pronunciare sentenza di proscioglimento ex art. 129
del codice di procedura penale, il giudice, decidendo con ordinanza,
accoglie l'istanza allorquando, in base ai criteri di cui all'art.
133 del codice penale, compia un apprezzamento favorevole in
relazione alla gravita' del fatto, alla idoneita' del programma, alla
prognosi positiva in relazione alla futura astensione dal commettere
ulteriori reati. In tal caso, il giudice deve indicare la durata
della sospensione che, comunque, non puo' essere superiore a due anni
se si procede per un reato per il quale e' prevista la pena
detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria e ad un
anno per i reati per i quali e' prevista la sola pena pecuniaria.
Nella fase esecutiva, l'U.E.P.E. deve compiere le periodiche
verifiche sull'andamento della prova, su cui deve relazionare il
giudice, proponendo eventuali modifiche al programma di trattamento,
l'abbreviazione della durata della prova, ovvero la revoca
dell'ordinanza ammissiva nel caso in cui ricorra talune delle
condotte previste dall'art. 168-quater del codice penale (e, dunque,
la grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle
prescrizioni imposte; il rifiuto alla prestazione del lavoro di
pubblica utilita'; la commissione, durante il periodo di prova, di un
nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole rispetto
a quello per cui si procede).
Alla fine del periodo di prova, il giudice ne valuta l'esito
sulla base della relazione conclusiva dell'U.E.P.E., avuto riguardo
al comportamento tenuto dall'imputato e al rispetto delle
prescrizioni stabilite.
In caso di esito positivo, il giudice dichiara con sentenza che
il reato e' estinto; e, in caso contrario, dispone con ordinanza che
il processo riprenda il suo corso.
In caso di successiva condanna, l'art. 657-bis del codice di
procedura penale stabilisce che il pubblico ministero, nel
determinare la pena da eseguire, detrae un periodo corrispondente
alla prova comunque eseguita, computando un giorno di reclusione o di
arresto, oppure duecentocinquanta euro di multa o di ammenda, per
ogni tre giorni di prova.
3. Alla luce delle evidenziate caratteristiche dei due istituti,
deve rilevarsi che la sospensione del processo con messa alla prova
per gli imputati minorenni presenta significative differenze, sia sul
piano strutturale che funzionale, rispetto al corrispondente istituto
previsto per gli adulti.
Sotto il primo aspetto:
1) esso non ha limitazioni oggettive e soggettive;
2) comporta lo svolgimento di attivita' di osservazione
trattamento e sostegno e l'assoggettamento a disposizioni che
prescindono da richieste o dal consenso del minore;
3) ha ad oggetto, sul piano contenutistico, prescrizioni
variamente modulabili e almeno tendenzialmente connotate da una
minore afflittivita';
4) ha una durata diversa;
5) il suo esito e' strettamente correlato con la valutazione
della personalita' dell'imputato e, quindi, puo' essere negativo
anche nel caso in cui vengano rispettate le prescrizioni previste nel
progetto.
Sotto il profilo funzionale, mentre la presenza, nel caso della
messa alla prova per gli adulti, del lavoro di' pubblica utilita'
connota l'istituto in termini prettamente afflittivi, questa
caratterizzazione, nel caso dell'istituto minorile, assume un rilievo
eventuale e comunque meno pregnante, a favore delle istanze educative
che sono proprie del processo minorile.
Dalle evidenziate differenze tra i due istituti consegue, come
anticipato, ad avviso del Collegio la impossibilita' di estendere
l'art. 657-bis del codice di procedura penale anche al processo
minorile, in particolare per quanto concerne il rigido automatismo
previsto dalla norma, la quale, in ragione dei profili afflittivi
delle prescrizioni altrettanto rigidamente disciplinate per
l'istituto previsto dall'art. 168-bis del codice penale, contempla un
meccanismo di fungibilita' costruito alla stregua di un criterio
matematico: tre giorni di messa alla prova corrispondono a un giorno
di pena detentiva da detrarre (ovvero a 250 euro di pena pecuniaria),
che sembra non esportabile automaticamente in ogni caso di messa alla
prova del minorenne.
4. Pur in presenza delle evidenziate differenze tra i' due
istituti, attinenti sia al piano strutturale sia a quello funzionale,
anche l'istituto della messa alla prova per i minorenni puo'
presentare pero', in concreto e caso per caso, significativi profili
di afflittivita'.
Cio' e' evidente nelle situazioni in cui, tra le prescrizioni,
sia previsto l'inserimento comunitario obbligatorio con obbligo di
permanenza all'interno della struttura, attesa la consistente
limitazione della liberta' di movimento che esso implica. Ma ad
analoga valutazione deve pervenirsi anche nel caso in cui le
prescrizioni, lungi dal presentare un contenuto «debole», consistente
in una mera offerta trattamentale e di sostegno educativo,
consistano, come nella fattispecie in esame, in un obbligo di fare (o
di non fare), atteso che anche in tali ipotesi e' comunque
configurabile una limitazione della liberta' personale, il cui
contenuto presenta, ontologicamente, un carattere afflittivo, al di
la' della finalizzazione verso un obiettivo di natura prettamente
educativa.
Ne consegue che, in tale evenienza, l'esclusione di qualunque
rilevanza del percorso seguito durante la prova, pur segnato da un
epilogo sfavorevole, realizza un regime ingiustificatamente
differenziato rispetto all'assetto regolativo che caratterizza
l'omologo istituto per gli imputati maggiorenni, si' da confliggere
con il principio di uguaglianza posto dall'art. 3 della Costituzione.
E cio' tanto piu' ove si consideri lo specialissimo statuto, ispirato
a una prospettiva di deciso favor, che l'ordinamento penale
riconosce, sia sul piano sostanziale che processuale, agli imputati
minorenni, a sua volta radicato nella previsione dell'art. 31,
secondo comma della Costituzione secondo cui la Repubblica «protegge
la maternita', l'infanzia e la gioventu', favorendo gli istituti
necessari a tale scopo». Un principio, questo, che con specifico
riferimento alla Giustizia minorile e' stato declinato nel senso che
l'intervento giudiziario deve essere funzionale a preservare e
consolidare i processi educativi che riguardano il minore, soggetto
da tutelare in quanto tale, adattando gli istituti giuridici alle sue
peculiari esigenze (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 222 del
1983, secondo cui l'art. 31, secondo comma della Costituzione e' alla
base del principio secondo il quale il processo minorile deve essere
ispirato alla prevalente esigenza educativa del minore; sentenza n.
109 del 1997, secondo cui la protezione della gioventu' ex art. 31
della Costituzione si attua attraverso la «specifica
individualizzazione e flessibilita' del trattamento che
l'evolutivita' della personalita' del minore e la preminenza della
funzione rieducativa richiedono»). In questo modo, peraltro, si
configura un evidente collegamento con l'art. 27, terzo comma, della
Costituzione, il quale finalizza l'intervento penale al principio
rieducativo, secondo quanto riconosciuto dalla Consulta con la
sentenza n. 222 del 1983, la quale ha affermato che la funzione di'
recupero del minore, imposta dall'interesse superiore alla protezione
del medesimo espresso nel secondo comma dell'art. 31 della
Costituzione, deve essere perseguita mediante la richiesta di
interventi individualizzati da parte di organi giurisdizionali
specializzati, attraverso istituti processuali ad hoc e «mediante la
sua rieducazione e il suo reinserimento sociale, in armonia con la
meta additata al terzo comma 27 della Costituzione, nonche' dall'art.
14, paragrafo 4, del Patto internazionale relativo ai diritti civili
e politici (adottato a New York il 19 dicembre 1966 e la cui ratifica
ed esecuzione sono state disposte con legge 25 ottobre 1977, n. 881)»
oltre che dalle «Regole minime per l'amministrazione della giustizia
minorile» (dette anche «Regole di' Pechino»), approvate dal VI
Congresso dell'ONU nel 1985.
In questa prospettiva, la previsione di un regime giuridico
chiaramente sfavorevole per il minore, il quale, secondo la tesi
accolta dal giudice dell'esecuzione, non potrebbe in alcun modo o
misura scomputare dalla pena inflittagli il periodo trascorso in
messa alla prova, diversamente da quanto previsto per l'omologo
istituto applicabile agli adulti, sembra configurare una violazione
dei principi di tutela del minore e della finalita' educativa
dell'intervento penale posti dagli articoli 31, secondo comma, e 27,
terzo comma della Costituzione, e del principio di eguaglianza, non
apparendo il regime, che per il minorenne non prevede alcun computo
delle restrizioni eventualmente patite nella pena ancora da espiare,
giustificato in rapporto alla rilevanza costituzionale degli
interessi in gioco, riconducibili all'ambito della liberta'
personale, sottoposta a limitazioni di varia intensita' e cogenza nel
corso della prova.
In altri termini, attese le ragioni della gia' evidenziata
impraticabilita' di una automatica estensione dell'art. 657-bis del
codice di procedura penale alla messa alla prova minorile, il dubbio
sulla legittimita' costituzionale investe non la mancata
applicabilita', sic et simpliciter, della norma in questione al rito
minorile, quanto piuttosto l'impossibilita', per il giudice, di
tenere in alcun conto, per il minore condannato a seguito di esito
negativo della messa alla prova, del periodo trascorso in
assoggettamento a tale regime, valutando, all'esito del pur negativo
esperimento, le limitazioni della liberta' personale alle quali sia
stato comunque nelle more sottoposto: analogamente, a quanto e' ora
consentito in caso di revoca dell'affidamento in prova al servizio
sociale per comportamento incompatibile con la prosecuzione della
prova, ex art. 47, comma 11 (gia' comma 10), ordinanza pen. (legge n.
354 del 1975), dopo che Corte costituzionale n. 343 del 1987, sulla
scorta di principi analoghi a quelli affermati gia' da Corte
costituzionale sentenze numeri 185 del 1985 e 312 del 1985, ha
dichiarato l'illegittimita' costituzionale di tale normativa nella
parte in cui non consente al Tribunale di sorveglianza di determinare
la residua pena detentiva da espiare, tenuto conto della durata delle
limitazioni patite dal condannato e del suo comportamento durante il
trascorso periodo di affidamento in prova.
Il dubbio di legittimita' costituzionale delle disposizioni di
cui agli articoli 657-bis del codice di procedura penale e 29 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1988, nella parte
in cui non prevedono che, in caso di revoca o di esito negativo della
messa alla prova di soggetto minorenne, il giudice determina la pena
da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle
limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante
il periodo di sottoposizione alla messa alla prova, con riferimento
agli articoli 3, 31, secondo comma, e 27, terzo comma della
Costituzione non puo' ritenersi, per conseguenza, manifestamente
infondato.
5. Nella fattispecie concreta, la questione appare, quindi,
sicuramente rilevante.
Durante i due distinti periodi di messa alla prova ai quali e'
stato sottoposto, in entrambi i casi dichiarati anticipatamente
conclusi con esito negativo, al ricorrente e' stato prescritto, tra
l'altro, lo svolgimento di attivita' socialmente utili, la cui
consistenza e afflittivita', unitamente a quella delle altre
attivita' e prestazioni indicate nei progetti, che stando agli atti
risulterebbero almeno in parte realizzati e di cui si e' fatto
resoconto in sintesi nella parte in «fatto», non e' stata menomamente
valutata dai giudici del merito.
L'incidenza della relativa decisione sul presente giudizio e'
resa manifesta dal fatto che, da un lato, la non valutabilita' delle
restrizioni connesse al periodo di messa alla prova costituisce
proprio l'oggetto del ricorso; dall'altro lato, solo la invocata, ma
oggi non prevista, possibilita' di valutare tali afflizioni
consentirebbe un annullamento del provvedimento impugnato con rinvio
al Tribunale di sorveglianza perche' proceda ad esame del sostanziale
aggravamento del trattamento sanzionatorio subito dal condannato in
ragione della sua sottoposizione alla messa alla prova.
6. Alla stregua delle considerazioni che precedono, deve in
conclusione ritenersi rilevante e non manifestamente infondata, con
riferimento agli articoli 3, 27 e 31 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale degli articoli 29 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 e 657-bis del codice di
procedura penale, nella parte in cui non prevedono che, in caso di'
revoca o di esito negativo della messa alla prova di soggetto
minorenne, il giudice possa determinare la pena da eseguire tenuto
conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del
comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di
sottoposizione alla messa alla prova.
Va per l'effetto disposta l'immediata trasmissione degli atti
alla Corte costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere
sospeso.
A cura della cancelleria la presente ordinanza sara' notificata
ai ricorrenti e alle parti civili, al Procuratore generale presso la
Corte di cassazione, al Presidente del Consiglio dei ministri e sara'
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
P. Q. M.
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, con
riferimento agli articoli 3, 31 e 27 della Costituzione, la questione
di legittimita' costituzionale degli articoli 29 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 448 del 1988 e 657-bis del codice di
procedura penale nella parte in cui non prevedono che, in caso di
esito negativo della messa alla prova di soggetto minorenne, il
giudice determina la pena da eseguire tenuto conto della consistenza
e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto
dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla
prova.
Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale e sospende il giudizio in corso.
Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
notificata al ricorrente, al Procuratore generale presso la Corte di
cassazione, al Presidente del Consiglio dei ministri e sia comunicata
ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Cosi' deciso il 5 dicembre 2017
Il Presidente: Di Tomassi
Il consigliere estensore: Renoldi
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giovedì 30 agosto 2018
N. 106 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 aprile 2018 Ordinanza del 12 aprile 2018 della Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di B. A. P.. Processo penale - Processo minorile - Sospensione del processo e messa alla prova - Esito negativo della messa alla prova - Possibilita' per il giudice di determinare la pena da eseguire tenuto conto della consistenza e della durata delle limitazioni patite e del comportamento tenuto dal minorenne durante il periodo di sottoposizione alla messa alla prova - Mancata previsione. - Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), art. 29; codice di procedura penale, art. 657-bis. (GU n.34 del 29-8-2018 )
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