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giovedì 30 agosto 2018
N. 107 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2018 Ordinanza del 6 aprile 2018 del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria sul ricorso proposto da D.S. C. contro Ministero della giustizia e Ministero dell'interno . Impiego pubblico - Polizia giudiziaria - Procedimento disciplinare nei confronti degli ufficiali e agenti della polizia giudiziaria iniziato a seguito della pronuncia di una sentenza penale di condanna per i medesimi fatti oggetto di incolpazione - Applicabilita', per l'avvio e la conclusione del procedimento, dei termini stabiliti dall'art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 - Mancata previsione. - Decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), art. 17. (GU n.34 del 29-8-2018 )
N. 107 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2018
Ordinanza del 6 aprile 2018 del Tribunale amministrativo regionale
per la Liguria sul ricorso proposto da D.S. C. contro Ministero della
giustizia e Ministero dell'interno .
Impiego pubblico - Polizia giudiziaria - Procedimento disciplinare
nei confronti degli ufficiali e agenti della polizia giudiziaria
iniziato a seguito della pronuncia di una sentenza penale di
condanna per i medesimi fatti oggetto di incolpazione -
Applicabilita', per l'avvio e la conclusione del procedimento, dei
termini stabiliti dall'art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio
1990, n. 19 - Mancata previsione.
- Decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), art.
17.
(GU n.34 del 29-8-2018 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LIGURIA
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di
registro generale 25 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto
da:
C. D. S., rappresentato e difeso dagli avvocati Ardo Arzeni e
Antonella Canessa, con domicilio eletto presso lo studio dell'avv.
Ardo Arzeni in Genova, via Corsica, 8/7 (studio Vassallo);
Contro Ministero della giustizia e Ministero dell'interno,
entrambi rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di Genova, domiciliata in Genova, viale
Brigate Partigiane 2;
per l'annullamento della decisione della commissione di secondo
grado per i procedimenti disciplinari per gli ufficiali ed agenti di
polizia giudiziaria pronunciata il 27 ottobre 2014.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della
giustizia e del Ministero dell'interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2018 il
dott. Angelo Vitali e uditi per le parti i difensori, come
specificato nel verbale di udienza;
Con sentenza della Corte d'appello di Genova 18 maggio 2010, n.
2511 il dottor C. D. S., vice questore aggiunto della Polizia di
Stato, e' stato condannato alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione
per i reati di cui agli articoli 110, 61 n. 2, 479 codice penale
nonche' all'interdizione temporanea dai pubblici uffici per cinque
anni in relazione ai fatti verificatisi nella notte tra il 21 ed il
22 luglio 2001 presso l'istituto scolastico «Armando Diaz» in
occasione del vertice «G8» di Genova.
La condanna e' divenuta definitiva a seguito della sentenza della
Corte di cassazione n. 38085 del 5 luglio 2012, depositata il 2
ottobre 2012.
Pertanto, con atto d'incolpazione del 20-28 febbraio 2013,
notificato in data 16 maggio 2013, il Procuratore generale della
Repubblica presso la Corte d'appello di Genova - che era ricorrente
in Cassazione - ha avviato nei confronti del dottor D. S. il
procedimento disciplinare previsto per gli ufficiali ed agenti della
polizia giudiziaria dagli articoli 16-18 del decreto legislativo 28
luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione, di coordinamento e
transitorie del codice di procedura penale).
Con decisione 7 maggio 2014, depositata in data 13 giugno 2014,
la commissione di disciplina per gli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria costituita presso la Corte d'appello di Genova ha
condannato il dott. D. S. alla sanzione disciplinare della
sospensione dall'impiego per mesi quattro.
Tale condanna e' stata confermata dalla commissione disciplinare
di secondo grado con decisione del 27 ottobre 2014.
Avverso tali provvedimenti, con ricorso notificato in data 29
dicembre 2014, il dott. D. S. ha adito l'intestato Tribunale.
A sostegno del gravame il ricorrente ha dedotto otto motivi di
ricorso, lamentando tra l'altro, con il quinto ed il sesto motivo di
gravame, l'eccessiva durata del procedimento, nonche' la violazione
dei termini perentori per l'avvio, lo svolgimento e la conclusione
del procedimento disciplinare successivo alla sentenza penale di
condanna, previsti in generale dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19 per
tutti i dipendenti pubblici.
Si sono costituiti in giudizio i Ministeri dell'interno e della
giustizia, controdeducendo ed instando per la reiezione del ricorso.
Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2018 la causa e' passata in
decisione.
Il collegio dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 17
del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (disp. att. c.p.p.),
nella parte in cui non prevede che, nel procedimento disciplinare nei
confronti degli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria
iniziato a seguito della pronuncia di una sentenza penale di condanna
per i medesimi fatti oggetto di incolpazione, trovino applicazione i
termini stabiliti dall'art. 9, comma 2 della legge 7 febbraio 1990,
n. 19 per l'avvio e la conclusione del procedimento, per contrasto
con gli articoli 3 e 97 primo comma della Costituzione.
L'art. 17 decreto legislativo n. 271/1989 disciplina le modalita'
di svolgimento del procedimento disciplinare nei confronti degli
ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria.
La disposizione e' cosi' formulata: «1. L'azione disciplinare e'
promossa dal procuratore generale presso la corte di appello nel cui
distretto l'ufficiale o l'agente presta servizio. Dell'inizio
dell'azione disciplinare e' data comunicazione all'amministrazione
dalla quale dipende l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria. 2.
L'addebito e' contestato all'incolpato per iscritto. La contestazione
indica succintamente il fatto e la specifica trasgressione della
quale l'incolpato e' chiamato a rispondere. Essa e' notificata
all'incolpato e contiene l'avviso che, fino a cinque giorni prima
dell'udienza, egli puo' presentare memorie, produrre documenti e
richiedere l'audizione di testimoni. 3. Competente a giudicare e' una
commissione composta: a) da un presidente di sezione della corte di
appello che la presiede e da un magistrato di tribunale, nominati
ogni due anni dal consiglio giudiziario; b) da un ufficiale di
polizia giudiziaria, scelto, a seconda dell'appartenenza
dell'incolpato, fra tre ufficiali di polizia giudiziaria nominati
ogni due anni rispettivamente dal questore, dal comandante di legione
dei carabinieri e dal comandante di zona della guardia di finanza. Se
l'incolpato non appartiene alla polizia di Stato, ai carabinieri o
alla guardia di finanza, a comporre la commissione e' invece chiamato
un ufficiale di polizia giudiziaria appartenente alla stessa
amministrazione dell'incolpato e nominato ogni due anni dagli organi
che la rappresentano. 4. Nel procedimento disciplinare si osservano,
in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 127 del codice.
L'accusa e' esercitata dal procuratore generale che ha promosso
l'azione disciplinare o da un suo sostituto. L'incolpato ha facolta'
di nominare un difensore scelto tra gli appartenenti alla propria
amministrazione ovvero tra gli avvocati e i procuratori iscritti
negli albi professionali. In mancanza di tale nomina, il presidente
della commissione designa un difensore di ufficio individuato secondo
le modalita' previste dall'art. 97 del codice. 5. Il procuratore
generale presso la corte di appello comunica i provvedimenti
all'amministrazione di appartenenza dell'ufficiale o agente di
polizia giudiziaria nei cui confronti e' stata promossa l'azione
disciplinare».
La questione e' innanzitutto rilevante.
La rilevanza della questione di costituzionalita' per il giudizio
in corso discende dal fatto che il ricorrente ha dedotto
l'illegittimita' degli atti impugnati sotto il duplice profilo del
grave ritardo con il quale e' stato avviato il procedimento a seguito
della conoscenza, da parte del Procuratore generale presso la Corte
d'appello di Genova, della sentenza penale definitiva di condanna,
nonche' dell'eccessiva durata del relativo procedimento disciplinare.
Difatti, la sentenza della Corte di cassazione e' stata
pubblicata mediante lettura del dispositivo in data 5 luglio 2012,
sicche', secondo il ricorrente, e' a quella data che il Procuratore
generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Genova - che
era parte ricorrente - ne avrebbe avuto notizia, o, al piu' tardi, in
data 2 ottobre 2012, all'atto del deposito della motivazione in
cancelleria, mentre il procedimento disciplinare a carico del dott.
D. S. e' stato avviato con atto di incolpazione in data 28 febbraio
2013, notificato in data 16 maggio 2013: sarebbero dunque inutilmente
trascorsi piu' di sette mesi tra la notizia della sentenza
irrevocabile di condanna e la notificazione dell'atto di
incolpazione.
Inoltre, il procedimento si e' concluso con la decisione della
commissione di disciplina per gli ufficiali ed agenti di polizia
giudiziaria costituita presso la Corte d'appello di Genova assunta in
data 7 maggio 2014 e depositata in data 13 giugno 2014: dunque, in
ogni caso, anche a voler considerare la data dell'atto di
incolpazione (28 febbraio 2013) come quella in cui l'autorita'
procedente ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di condanna,
il procedimento disciplinare avrebbe avuto una durata di oltre un
anno, superiore al termine massimo di duecentosettanta giorni (180 +
90) complessivamente a disposizione dell'amministrazione procedente
(cfr. Cons. di St., Ad. Plen., 14 gennaio 2004, n. 1), da ritenersi
senz'altro abnorme ed irragionevole anche alla luce del fatto che,
facendo seguito ad un accertamento penale di condanna, non vi era
alcuna necessita' di ulteriori autonomi accertamenti istruttori.
Poiche' peraltro ne' la disposizione sospettata di
incostituzionalita', che deve necessariamente trovare applicazione
alla fattispecie, ne' l'art. 127 codice di procedura penale cui essa
fa rinvio, contemplano termini perentori per l'avvio e per la
conclusione del procedimento disciplinare a seguito di una sentenza
penale irrevocabile di condanna, ne consegue che il giudizio non puo'
essere definito indipendentemente dalla risoluzione della relativa
questione di legittimita' costituzionale.
Ne' risulta possibile a questo giudice addivenire ad
un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, giacche'
l'univocita' del relativo tenore letterale e la specialita' del
procedimento disciplinare ex articoli 16 e 17 disposizioni di
attuazione del codice di procedura penale, che non contempla neppure
la sanzione della destituzione, comporta che una qualsiasi soluzione
ermeneutica, mediante l'applicazione analogica dei termini di cui
all'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 - che si indica come
tertium comparationis - si tradurrebbe in un'inammissibile operazione
additiva del dettato legislativo, sicche' il tentativo interpretativo
deve senz'altro cedere il passo al sindacato di legittimita'
costituzionale.
Ma la questione pare al collegio anche non manifestamente
infondata.
Posta la natura amministrativa e non giurisdizionale del
procedimento disciplinare ex articoli 16 ss. disposizioni di
attuazione del codice di procedura penale (cfr. la sentenza Corte
costituzionale, 4 dicembre 1998, n. 394), la normativa in esame
produce un'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alle
disposizioni vigenti in materia per la generalita' dei dipendenti
delle amministrazioni pubbliche in regime di diritto pubblico ex art.
3 decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e - segnatamente -
rispetto all'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 (recante
modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena
e destituzione dei pubblici dipendenti), ai sensi del quale «1. Il
pubblico dipendente non puo' essere destituito di diritto a seguito
di condanna penale. E' abrogata ogni contraria disposizione di legge.
2. La destituzione puo' sempre essere inflitta all'esito del
procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro
centottanta giorni dalla data in cui l'amministrazione ha avuto
notizia della sentenza irrevocabile di condanna e concluso nei
successivi novanta giorni. [...]».
E' appena il caso di osservare come la rilevata disparita' di
trattamento sussista in realta' anche rispetto alla normativa - cfr.
l'art. 55-ter, comma 4 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
- dettata in materia di dipendenti delle amministrazioni pubbliche in
regime di diritto privato, normativa che pero' non puo' assumersi a
tertium comparationis, stante l'elemento differenziatore costituito
dalla natura privatistica del relativo statuto giuridico (articoli 2
e 5 comma 2 del decreto legislativo n. 165/2001).
Orbene, la giurisprudenza costituzionale in materia si e' evoluta
«in uno sviluppo coerente e dall'iniziale affermazione che esigenze
di civilta' giuridica richiedono che l'azione disciplinare deve
essere promossa senza ritardi ingiustificati, o peggio arbitrari,
rispetto al momento della conoscenza dei fatti cui si riferisce
(sent. n. 145 del 1976), e' approdata a piu' pregnanti
puntualizzazioni allorche' ha ritenuto che la sperimentabilita' sine
die del procedimento disciplinare costituisce di certo un eccesso di
tutela del prestigio, nella specie, della istituzione universitaria,
cedevole a fronte delle garanzie dovute al singolo (sent. n. 1128 del
1988); tali garanzie - ha ulteriormente precisato la Corte (nella
sentenza n. 264 del 1990) - costituiscono espressione di un principio
generale ricollegabile all'esigenza che i procedimenti disciplinari
abbiano svolgimento e termine in un arco di tempo ragionevole, onde
evitare che il pubblico dipendente rimanga indefinitivamente esposto
alla irrogazione di sanzioni disciplinari».
Cosi' si e' espressa la sentenza della Corte costituzionale 11
marzo 1991, n. 104, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
del combinato disposto degli articoli 20, 64, 65, 72 e 74 della legge
31 luglio 1954, n. 599, nella parte in cui non prevedono che nel
procedimento disciplinare nei confronti di sottufficiali delle Forze
armate, promosso successivamente a sentenza penale di proscioglimento
o di assoluzione passata in giudicato per motivi diversi dalle
formule «perche' il fatto non sussiste» o «perche' l'imputato non lo
ha commesso», trovino applicazione i termini stabiliti nell'art. 97
del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3,
terzo comma, prima parte, nell'art. 111, ultimo comma, del decreto
del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3 e nell'art.
120, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 10
gennaio 1957, n. 3.
La citata sentenza Corte costituzionale n. 104/1991 ha censurato
la lesione del canone di uguaglianza e ragionevolezza da parte di una
normativa che, per i dipendenti pubblici militari - e a differenza
dei dipendenti pubblici civili (la cui normativa, in allora contenuta
nel decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, e' stata
assunta a tertium comparationis) - non prevedeva termini perentori
per l'avvio e lo svolgimento del procedimento disciplinare promosso
successivamente a sentenza penale di proscioglimento o di assoluzione
passata in giudicato.
Giova osservare come, nel caso del giudizio a quo (la questione
di legittimita' costituzionale, sollevata con ordinanza di questo
Tribunale amministrativo regionale 5 luglio 1990, concerneva un
ricorso notificato in data 23 aprile 1988 avverso una sanzione
disciplinare irrogata con decreto ministeriale 17 febbraio 1988), non
fosse invocabile come tertium comparationis la normativa recata
dall'art. 9, comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, vuoi perche'
successiva alla fattispecie concreta, vuoi perche' il procedimento
disciplinare conseguiva - in quel caso - ad una sentenza di
proscioglimento per intervenuta prescrizione, piuttosto che - come
nel caso di specie - di condanna (come espressamente previsto
dall'art. 9, comma 2, legge n. 19/1990 citato).
Dunque, per le medesime argomentazioni contenute nella sentenza
Corte costituzionale n. 104/1991, deve ritenersi che la mancata
previsione, ad opera dell'art. 17 disposizioni di attuazione del
codice di procedura penale, di termini perentori, a pena di decadenza
dal potere disciplinare, sia per l'avvio che per la conclusione del
procedimento disciplinare nei confronti degli ufficiali e degli
agenti di polizia giudiziaria a seguito di una sentenza penale
irrevocabile di condanna concreti un'ingiustificata disparita' di
trattamento rispetto allo statuto di tutti gli altri dipendenti
pubblici, come espresso dall'art. 9, comma 2 della legge n. 19/1990,
in contrasto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza
sanciti dall'art. 3 della Costituzione.
Ne' d'altra parte tale disparita' di trattamento trova adeguata
giustificazione nelle peculiarita' proprie dello status di agente od
ufficiale di polizia giudiziaria, che opera alle dipendenze e sotto
la direzione dell'autorita' giudiziaria, posto che si tratta di una
dipendenza meramente funzionale e non organica (cfr. gli art. 109
Cost. e 56-59 c.p.p.), e che neppure la massima subordinazione
gerarchica, rinvenibile nello status di militare delle Forze armate,
esonera l'ordinamento giuridico dal rispetto di termini perentori per
l'avvio e la conclusione del procedimento disciplinare che abbia ad
oggetto fatti in relazione ai quali si e' pronunciata l'autorita'
giudiziaria con sentenza irrevocabile (cfr. l'art. 1393, comma 4 del
decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 106, recante il codice
dell'ordinamento militare, nonche' la sentenza Corte costituzionale
n. 104/1991, § 4).
Inoltre, l'art. 17, decreto legislativo n. 271/1989 non appare
conforme nemmeno all'art. 97 della Costituzione, nella parte in cui
sancisce il principio del buon andamento della pubblica
amministrazione.
Il principio in esame rappresenta la summa di molteplici criteri
che reggono l'attivita' amministrativa, tra i quali l'art. 1 della
legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241
annovera espressamente l'economicita', che si traduce nell'esigenza
di non aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate
esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria (art. 1, comma 2,
legge 7 agosto 1990, n. 241).
La speditezza dell'azione amministrativa e la rilevanza del
fattore temporale nell'ambito del procedimento amministrativo sono
infatti espressamente riconosciuti dal legislatore come valori
meritevoli di tutela, proprio in quanto declinazioni del principio
costituzionale di buon andamento, tanto cio' e' vero che la legge
generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241 da un
lato impone la fissazione generalizzata di termini massimi di durata
del procedimento amministrativo (art. 2), dall'altro, sulla falsariga
della legge 24 marzo 2001, n. 89 sull'equa riparazione per
l'irragionevole durata del processo, prevede l'obbligo per le
pubbliche amministrazioni di risarcire il danno ingiusto causato
dall'inosservanza, dolosa o colposa, dei termini di conclusione del
procedimento (art. 2-bis).
A cio' si aggiunga che, se il procedimento amministrativo e' la
sede naturale nell'ambito della quale deve avere luogo il
bilanciamento e la comparazione degli interessi contrapposti, allora
deve trovare ivi adeguata considerazione, mediante la fissazione di
termini perentori ad opera del legislatore, anche l'esigenza
dell'incolpato ad un tempestivo e sollecito svolgimento del
procedimento disciplinare, onde non rimanere a tempo indefinito
esposto all'irrogazione delle relative sanzioni (cfr., sul punto,
Corte costituzionale, n. 104/1991 cit.).
Esigenza che - a ben vedere - coincide con l'interesse pubblico
dell'amministrazione alla tutela della propria immagine e del proprio
prestigio, che possono restare offuscati dal mancato o anche soltanto
dal ritardato esercizio del potere disciplinare nei confronti del
dipendente riconosciuto responsabile di fatti penalmente rilevanti
con sentenza irrevocabile.
Orbene, l'omessa previsione di un termine massimo di avvio e di
conclusione del procedimento disciplinare in esito a condanna penale
passata in giudicato pare contrastare con il principio di buon
andamento della pubblica amministrazione, sotto i profili della
economicita' e della speditezza dell'azione amministrativa.
In conclusione il collegio, per le ragioni sopra esposte, ritiene
rilevante e non manifestamente infondata la questione di
costituzionalita' dell'art. 17 del decreto legislativo 28 luglio
1989, n. 271 (disp. att. c.p.p.), nella parte in cui non prevede che,
nel procedimento disciplinare nei confronti degli ufficiali ed agenti
della polizia giudiziaria iniziato a seguito della pronuncia di una
sentenza penale di condanna per i medesimi fatti oggetto di
incolpazione, trovino applicazione i termini stabiliti dall'art. 9,
comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 per l'avvio e la
conclusione del procedimento, per contrasto con gli articoli 3 e 97
primo comma della Costituzione.
Resta sospesa ogni decisione sul ricorso in epigrafe, dovendo la
questione essere demandata al giudizio della Corte costituzionale.
P.Q.M.
Il Tribunale amministrativo regionale per la Liguria (Sezione
Seconda),
Visti gli articoli 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948,
n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
Ritenuta rilevante ai fini della decisione e non manifestamente
infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 17 del decreto
legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (norme di attuazione, di
coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), nella
parte in cui in cui non prevede che, nel procedimento disciplinare
nei confronti degli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria
iniziato a seguito della pronuncia di una sentenza penale di condanna
per i medesimi fatti oggetto di incolpazione, trovino applicazione i
termini stabiliti dall'art. 9, comma 2 della legge 7 febbraio 1990,
n. 19 per l'avvio e la conclusione del procedimento, per contrasto
con gli articoli 3 e 97 primo comma della Costituzione;
Sospende il giudizio in corso;
Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte
costituzionale;
Ordina che, a cura della segreteria, la presente ordinanza sia
notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei
ministri, e sia comunicata al presidente del Senato della Repubblica
ed al presidente della Camera dei deputati.
Cosi' deciso in Genova nella Camera di consiglio del giorno 21
febbraio 2018 con l'intervento dei magistrati:
Roberto Pupilella, Presidente;
Luca Morbelli, consigliere;
Angelo Vitali, consigliere, estensore.
Il Presidente: Pupilella
L'estensore: Vitali
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