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giovedì 30 agosto 2018

N. 107 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2018 Ordinanza del 6 aprile 2018 del Tribunale amministrativo regionale per la Liguria sul ricorso proposto da D.S. C. contro Ministero della giustizia e Ministero dell'interno . Impiego pubblico - Polizia giudiziaria - Procedimento disciplinare nei confronti degli ufficiali e agenti della polizia giudiziaria iniziato a seguito della pronuncia di una sentenza penale di condanna per i medesimi fatti oggetto di incolpazione - Applicabilita', per l'avvio e la conclusione del procedimento, dei termini stabiliti dall'art. 9, comma 2, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 - Mancata previsione. - Decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale), art. 17. (GU n.34 del 29-8-2018 )



N. 107 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2018

Ordinanza del 6 aprile 2018 del  Tribunale  amministrativo  regionale
per la Liguria sul ricorso proposto da D.S. C. contro Ministero della
giustizia e Ministero dell'interno .

Impiego pubblico - Polizia giudiziaria  -  Procedimento  disciplinare
  nei confronti degli ufficiali e agenti  della  polizia  giudiziaria
  iniziato a seguito  della  pronuncia  di  una  sentenza  penale  di
  condanna  per  i  medesimi  fatti   oggetto   di   incolpazione   -
  Applicabilita', per l'avvio e la conclusione del procedimento,  dei
  termini stabiliti dall'art. 9, comma  2,  della  legge  7  febbraio
  1990, n. 19 - Mancata previsione.
- Decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di attuazione, di
  coordinamento e transitorie del codice di procedura  penale),  art.
  17.
(GU n.34 del 29-8-2018 )

        IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LIGURIA
                          (Sezione Seconda)

    ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 25 del 2015, integrato da motivi aggiunti, proposto
da:
        C. D. S., rappresentato e difeso dagli avvocati Ardo Arzeni e
Antonella Canessa, con domicilio eletto presso  lo  studio  dell'avv.
Ardo Arzeni in Genova, via Corsica, 8/7 (studio Vassallo);
    Contro  Ministero  della  giustizia  e  Ministero   dell'interno,
entrambi   rappresentati   e   difesi   per   legge   dall'Avvocatura
distrettuale dello Stato di  Genova,  domiciliata  in  Genova,  viale
Brigate Partigiane 2;
    per l'annullamento della decisione della commissione  di  secondo
grado per i procedimenti disciplinari per gli ufficiali ed agenti  di
polizia giudiziaria pronunciata il 27 ottobre 2014.
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  del  Ministero  della
giustizia e del Ministero dell'interno;
    Viste le memorie difensive;
    Visti tutti gli atti della causa;
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  21  febbraio  2018  il
dott.  Angelo  Vitali  e  uditi  per  le  parti  i  difensori,   come
specificato nel verbale di udienza;
    Con sentenza della Corte d'appello di Genova 18 maggio  2010,  n.
2511 il dottor C. D. S., vice  questore  aggiunto  della  Polizia  di
Stato, e' stato condannato alla pena di anni 3 e mesi 8 di reclusione
per i reati di cui agli articoli 110, 61  n.  2,  479  codice  penale
nonche' all'interdizione temporanea dai pubblici  uffici  per  cinque
anni in relazione ai fatti verificatisi nella notte tra il 21  ed  il
22  luglio  2001  presso  l'istituto  scolastico  «Armando  Diaz»  in
occasione del vertice «G8» di Genova.
    La condanna e' divenuta definitiva a seguito della sentenza della
Corte di cassazione n. 38085 del  5  luglio  2012,  depositata  il  2
ottobre 2012.
    Pertanto,  con  atto  d'incolpazione  del  20-28  febbraio  2013,
notificato in data 16 maggio  2013,  il  Procuratore  generale  della
Repubblica presso la Corte d'appello di Genova - che  era  ricorrente
in Cassazione -  ha  avviato  nei  confronti  del  dottor  D.  S.  il
procedimento disciplinare previsto per gli ufficiali ed agenti  della
polizia giudiziaria dagli articoli 16-18 del decreto  legislativo  28
luglio  1989,  n.  271  (norme  di  attuazione,  di  coordinamento  e
transitorie del codice di procedura penale).
    Con decisione 7 maggio 2014, depositata in data 13  giugno  2014,
la commissione di disciplina per gli ufficiali ed agenti  di  polizia
giudiziaria  costituita  presso  la  Corte  d'appello  di  Genova  ha
condannato  il  dott.  D.  S.  alla   sanzione   disciplinare   della
sospensione dall'impiego per mesi quattro.
    Tale condanna e' stata confermata dalla commissione  disciplinare
di secondo grado con decisione del 27 ottobre 2014.
    Avverso tali provvedimenti, con ricorso  notificato  in  data  29
dicembre 2014, il dott. D. S. ha adito l'intestato Tribunale.
    A sostegno del gravame il ricorrente ha dedotto  otto  motivi  di
ricorso, lamentando tra l'altro, con il quinto ed il sesto motivo  di
gravame, l'eccessiva durata del procedimento, nonche'  la  violazione
dei termini perentori per l'avvio, lo svolgimento  e  la  conclusione
del procedimento disciplinare  successivo  alla  sentenza  penale  di
condanna, previsti in generale dalla legge 7 febbraio 1990, n. 19 per
tutti i dipendenti pubblici.
    Si sono costituiti in giudizio i Ministeri dell'interno  e  della
giustizia, controdeducendo ed instando per la reiezione del ricorso.
    Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2018 la causa e' passata in
decisione.
    Il collegio dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 17
del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (disp.  att.  c.p.p.),
nella parte in cui non prevede che, nel procedimento disciplinare nei
confronti  degli  ufficiali  ed  agenti  della  polizia   giudiziaria
iniziato a seguito della pronuncia di una sentenza penale di condanna
per i medesimi fatti oggetto di incolpazione, trovino applicazione  i
termini stabiliti dall'art. 9, comma 2 della legge 7  febbraio  1990,
n. 19 per l'avvio e la conclusione del  procedimento,  per  contrasto
con gli articoli 3 e 97 primo comma della Costituzione.
    L'art. 17 decreto legislativo n. 271/1989 disciplina le modalita'
di svolgimento del  procedimento  disciplinare  nei  confronti  degli
ufficiali e degli agenti di polizia giudiziaria.
    La disposizione e' cosi' formulata: «1. L'azione disciplinare  e'
promossa dal procuratore generale presso la corte di appello nel  cui
distretto  l'ufficiale  o  l'agente  presta   servizio.   Dell'inizio
dell'azione disciplinare e'  data  comunicazione  all'amministrazione
dalla quale dipende l'ufficiale o l'agente di polizia giudiziaria. 2.
L'addebito e' contestato all'incolpato per iscritto. La contestazione
indica succintamente il fatto  e  la  specifica  trasgressione  della
quale l'incolpato  e'  chiamato  a  rispondere.  Essa  e'  notificata
all'incolpato e contiene l'avviso che, fino  a  cinque  giorni  prima
dell'udienza, egli puo'  presentare  memorie,  produrre  documenti  e
richiedere l'audizione di testimoni. 3. Competente a giudicare e' una
commissione composta: a) da un presidente di sezione della  corte  di
appello che la presiede e da un  magistrato  di  tribunale,  nominati
ogni due anni dal  consiglio  giudiziario;  b)  da  un  ufficiale  di
polizia   giudiziaria,   scelto,    a    seconda    dell'appartenenza
dell'incolpato, fra tre ufficiali  di  polizia  giudiziaria  nominati
ogni due anni rispettivamente dal questore, dal comandante di legione
dei carabinieri e dal comandante di zona della guardia di finanza. Se
l'incolpato non appartiene alla polizia di Stato,  ai  carabinieri  o
alla guardia di finanza, a comporre la commissione e' invece chiamato
un  ufficiale  di  polizia  giudiziaria  appartenente   alla   stessa
amministrazione dell'incolpato e nominato ogni due anni dagli  organi
che la rappresentano. 4. Nel procedimento disciplinare si  osservano,
in quanto applicabili, le  disposizioni  dell'art.  127  del  codice.
L'accusa e' esercitata  dal  procuratore  generale  che  ha  promosso
l'azione disciplinare o da un suo sostituto. L'incolpato ha  facolta'
di nominare un difensore scelto tra  gli  appartenenti  alla  propria
amministrazione ovvero tra gli  avvocati  e  i  procuratori  iscritti
negli albi professionali. In mancanza di tale nomina,  il  presidente
della commissione designa un difensore di ufficio individuato secondo
le modalita' previste dall'art. 97  del  codice.  5.  Il  procuratore
generale  presso  la  corte  di  appello  comunica  i   provvedimenti
all'amministrazione  di  appartenenza  dell'ufficiale  o  agente   di
polizia giudiziaria nei cui  confronti  e'  stata  promossa  l'azione
disciplinare».
    La questione e' innanzitutto rilevante.
    La rilevanza della questione di costituzionalita' per il giudizio
in  corso  discende  dal  fatto  che   il   ricorrente   ha   dedotto
l'illegittimita' degli atti impugnati sotto il  duplice  profilo  del
grave ritardo con il quale e' stato avviato il procedimento a seguito
della conoscenza, da parte del Procuratore generale presso  la  Corte
d'appello di Genova, della sentenza penale  definitiva  di  condanna,
nonche' dell'eccessiva durata del relativo procedimento disciplinare.
    Difatti,  la  sentenza  della  Corte  di  cassazione   e'   stata
pubblicata mediante lettura del dispositivo in data  5  luglio  2012,
sicche', secondo il ricorrente, e' a quella data che  il  Procuratore
generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Genova  -  che
era parte ricorrente - ne avrebbe avuto notizia, o, al piu' tardi, in
data 2 ottobre 2012,  all'atto  del  deposito  della  motivazione  in
cancelleria, mentre il procedimento disciplinare a carico  del  dott.
D. S. e' stato avviato con atto di incolpazione in data  28  febbraio
2013, notificato in data 16 maggio 2013: sarebbero dunque inutilmente
trascorsi  piu'  di  sette  mesi  tra  la  notizia   della   sentenza
irrevocabile  di   condanna   e   la   notificazione   dell'atto   di
incolpazione.
    Inoltre, il procedimento si e' concluso con  la  decisione  della
commissione di disciplina per gli  ufficiali  ed  agenti  di  polizia
giudiziaria costituita presso la Corte d'appello di Genova assunta in
data 7 maggio 2014 e depositata in data 13 giugno  2014:  dunque,  in
ogni  caso,  anche  a  voler  considerare  la   data   dell'atto   di
incolpazione (28  febbraio  2013)  come  quella  in  cui  l'autorita'
procedente ha avuto notizia della sentenza irrevocabile di  condanna,
il procedimento disciplinare avrebbe avuto una  durata  di  oltre  un
anno, superiore al termine massimo di duecentosettanta giorni (180  +
90) complessivamente a disposizione  dell'amministrazione  procedente
(cfr. Cons. di St., Ad. Plen., 14 gennaio 2004, n. 1),  da  ritenersi
senz'altro abnorme ed irragionevole anche alla luce  del  fatto  che,
facendo seguito ad un accertamento penale di  condanna,  non  vi  era
alcuna necessita' di ulteriori autonomi accertamenti istruttori.
    Poiche'   peraltro   ne'   la    disposizione    sospettata    di
incostituzionalita', che deve  necessariamente  trovare  applicazione
alla fattispecie, ne' l'art. 127 codice di procedura penale cui  essa
fa rinvio,  contemplano  termini  perentori  per  l'avvio  e  per  la
conclusione del procedimento disciplinare a seguito di  una  sentenza
penale irrevocabile di condanna, ne consegue che il giudizio non puo'
essere definito indipendentemente dalla  risoluzione  della  relativa
questione di legittimita' costituzionale.
    Ne'  risulta   possibile   a   questo   giudice   addivenire   ad
un'interpretazione costituzionalmente orientata della norma, giacche'
l'univocita' del relativo  tenore  letterale  e  la  specialita'  del
procedimento  disciplinare  ex  articoli  16  e  17  disposizioni  di
attuazione del codice di procedura penale, che non contempla  neppure
la sanzione della destituzione, comporta che una qualsiasi  soluzione
ermeneutica, mediante l'applicazione analogica  dei  termini  di  cui
all'art. 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19 - che  si  indica  come
tertium comparationis - si tradurrebbe in un'inammissibile operazione
additiva del dettato legislativo, sicche' il tentativo interpretativo
deve  senz'altro  cedere  il  passo  al  sindacato  di   legittimita'
costituzionale.
    Ma  la  questione  pare  al  collegio  anche  non  manifestamente
infondata.
    Posta  la  natura  amministrativa  e  non   giurisdizionale   del
procedimento  disciplinare  ex  articoli  16  ss.   disposizioni   di
attuazione del codice di procedura penale  (cfr.  la  sentenza  Corte
costituzionale, 4 dicembre 1998,  n.  394),  la  normativa  in  esame
produce un'ingiustificata disparita'  di  trattamento  rispetto  alle
disposizioni vigenti in materia per  la  generalita'  dei  dipendenti
delle amministrazioni pubbliche in regime di diritto pubblico ex art.
3 decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165  e  -  segnatamente  -
rispetto all'art. 9 della legge  7  febbraio  1990,  n.  19  (recante
modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena
e destituzione dei pubblici dipendenti), ai sensi del  quale  «1.  Il
pubblico dipendente non puo' essere destituito di diritto  a  seguito
di condanna penale. E' abrogata ogni contraria disposizione di legge.
2.  La  destituzione  puo'  sempre  essere  inflitta  all'esito   del
procedimento disciplinare che deve essere proseguito o promosso entro
centottanta giorni dalla  data  in  cui  l'amministrazione  ha  avuto
notizia della  sentenza  irrevocabile  di  condanna  e  concluso  nei
successivi novanta giorni. [...]».
    E' appena il caso di osservare come  la  rilevata  disparita'  di
trattamento sussista in realta' anche rispetto alla normativa -  cfr.
l'art. 55-ter, comma 4 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.  165
- dettata in materia di dipendenti delle amministrazioni pubbliche in
regime di diritto privato, normativa che pero' non puo'  assumersi  a
tertium comparationis, stante l'elemento  differenziatore  costituito
dalla natura privatistica del relativo statuto giuridico (articoli  2
e 5 comma 2 del decreto legislativo n. 165/2001).
    Orbene, la giurisprudenza costituzionale in materia si e' evoluta
«in uno sviluppo coerente e dall'iniziale affermazione  che  esigenze
di civilta'  giuridica  richiedono  che  l'azione  disciplinare  deve
essere promossa senza ritardi  ingiustificati,  o  peggio  arbitrari,
rispetto al momento della  conoscenza  dei  fatti  cui  si  riferisce
(sent.  n.  145  del   1976),   e'   approdata   a   piu'   pregnanti
puntualizzazioni allorche' ha ritenuto che la sperimentabilita'  sine
die del procedimento disciplinare costituisce di certo un eccesso  di
tutela del prestigio, nella specie, della istituzione  universitaria,
cedevole a fronte delle garanzie dovute al singolo (sent. n. 1128 del
1988); tali garanzie - ha ulteriormente  precisato  la  Corte  (nella
sentenza n. 264 del 1990) - costituiscono espressione di un principio
generale ricollegabile all'esigenza che i  procedimenti  disciplinari
abbiano svolgimento e termine in un arco di tempo  ragionevole,  onde
evitare che il pubblico dipendente rimanga indefinitivamente  esposto
alla irrogazione di sanzioni disciplinari».
    Cosi' si e' espressa la sentenza della  Corte  costituzionale  11
marzo 1991, n. 104, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale
del combinato disposto degli articoli 20, 64, 65, 72 e 74 della legge
31 luglio 1954, n. 599, nella parte in  cui  non  prevedono  che  nel
procedimento disciplinare nei confronti di sottufficiali delle  Forze
armate, promosso successivamente a sentenza penale di proscioglimento
o di assoluzione  passata  in  giudicato  per  motivi  diversi  dalle
formule «perche' il fatto non sussiste» o «perche' l'imputato non  lo
ha commesso», trovino applicazione i termini stabiliti  nell'art.  97
del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio  1957,  n.  3,
terzo comma, prima parte, nell'art. 111, ultimo  comma,  del  decreto
del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957,  n.  3  e  nell'art.
120, primo comma, del decreto  del  Presidente  della  Repubblica  10
gennaio 1957, n. 3.
    La citata sentenza Corte costituzionale n. 104/1991 ha  censurato
la lesione del canone di uguaglianza e ragionevolezza da parte di una
normativa che, per i dipendenti pubblici militari -  e  a  differenza
dei dipendenti pubblici civili (la cui normativa, in allora contenuta
nel decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  3/1957,  e'  stata
assunta a tertium comparationis) - non  prevedeva  termini  perentori
per l'avvio e lo svolgimento del procedimento  disciplinare  promosso
successivamente a sentenza penale di proscioglimento o di assoluzione
passata in giudicato.
    Giova osservare come, nel caso del giudizio a quo  (la  questione
di legittimita' costituzionale, sollevata  con  ordinanza  di  questo
Tribunale amministrativo  regionale  5  luglio  1990,  concerneva  un
ricorso notificato in  data  23  aprile  1988  avverso  una  sanzione
disciplinare irrogata con decreto ministeriale 17 febbraio 1988), non
fosse invocabile  come  tertium  comparationis  la  normativa  recata
dall'art. 9, comma 2 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, vuoi perche'
successiva alla fattispecie concreta, vuoi  perche'  il  procedimento
disciplinare  conseguiva  -  in  quel  caso  -  ad  una  sentenza  di
proscioglimento per intervenuta prescrizione, piuttosto  che  -  come
nel caso  di  specie  -  di  condanna  (come  espressamente  previsto
dall'art. 9, comma 2, legge n. 19/1990 citato).
    Dunque, per le medesime argomentazioni contenute  nella  sentenza
Corte costituzionale n.  104/1991,  deve  ritenersi  che  la  mancata
previsione, ad opera dell'art.  17  disposizioni  di  attuazione  del
codice di procedura penale, di termini perentori, a pena di decadenza
dal potere disciplinare, sia per l'avvio che per la  conclusione  del
procedimento disciplinare  nei  confronti  degli  ufficiali  e  degli
agenti di polizia  giudiziaria  a  seguito  di  una  sentenza  penale
irrevocabile di condanna  concreti  un'ingiustificata  disparita'  di
trattamento rispetto allo  statuto  di  tutti  gli  altri  dipendenti
pubblici, come espresso dall'art. 9, comma 2 della legge n.  19/1990,
in contrasto con  i  principi  di  eguaglianza  e  di  ragionevolezza
sanciti dall'art. 3 della Costituzione.
    Ne' d'altra parte tale disparita' di trattamento  trova  adeguata
giustificazione nelle peculiarita' proprie dello status di agente  od
ufficiale di polizia giudiziaria, che opera alle dipendenze  e  sotto
la direzione dell'autorita' giudiziaria, posto che si tratta  di  una
dipendenza meramente funzionale e non organica  (cfr.  gli  art.  109
Cost. e 56-59  c.p.p.),  e  che  neppure  la  massima  subordinazione
gerarchica, rinvenibile nello status di militare delle Forze  armate,
esonera l'ordinamento giuridico dal rispetto di termini perentori per
l'avvio e la conclusione del procedimento disciplinare che  abbia  ad
oggetto fatti in relazione ai quali  si  e'  pronunciata  l'autorita'
giudiziaria con sentenza irrevocabile (cfr. l'art. 1393, comma 4  del
decreto  legislativo  15  marzo  2010,  n.  106,  recante  il  codice
dell'ordinamento militare, nonche' la sentenza  Corte  costituzionale
n. 104/1991, § 4).
    Inoltre, l'art. 17, decreto legislativo n.  271/1989  non  appare
conforme nemmeno all'art. 97 della Costituzione, nella parte  in  cui
sancisce   il   principio   del   buon   andamento   della   pubblica
amministrazione.
    Il principio in esame rappresenta la summa di molteplici  criteri
che reggono l'attivita' amministrativa, tra i quali  l'art.  1  della
legge generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n.  241
annovera espressamente l'economicita', che si  traduce  nell'esigenza
di non aggravare il procedimento se non per straordinarie e  motivate
esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria (art. 1, comma 2,
legge 7 agosto 1990, n. 241).
    La speditezza  dell'azione  amministrativa  e  la  rilevanza  del
fattore temporale nell'ambito del  procedimento  amministrativo  sono
infatti  espressamente  riconosciuti  dal  legislatore  come   valori
meritevoli di tutela, proprio in quanto  declinazioni  del  principio
costituzionale di buon andamento, tanto cio' e'  vero  che  la  legge
generale sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990, n. 241 da  un
lato impone la fissazione generalizzata di termini massimi di  durata
del procedimento amministrativo (art. 2), dall'altro, sulla falsariga
della  legge  24  marzo  2001,  n.  89  sull'equa   riparazione   per
l'irragionevole  durata  del  processo,  prevede  l'obbligo  per   le
pubbliche amministrazioni di  risarcire  il  danno  ingiusto  causato
dall'inosservanza, dolosa o colposa, dei termini di  conclusione  del
procedimento (art. 2-bis).
    A cio' si aggiunga che, se il procedimento amministrativo  e'  la
sede  naturale  nell'ambito  della  quale   deve   avere   luogo   il
bilanciamento e la comparazione degli interessi contrapposti,  allora
deve trovare ivi adeguata considerazione, mediante la  fissazione  di
termini  perentori  ad  opera  del  legislatore,   anche   l'esigenza
dell'incolpato  ad  un  tempestivo  e   sollecito   svolgimento   del
procedimento disciplinare,  onde  non  rimanere  a  tempo  indefinito
esposto all'irrogazione delle relative  sanzioni  (cfr.,  sul  punto,
Corte costituzionale, n. 104/1991 cit.).
    Esigenza che - a ben vedere - coincide con  l'interesse  pubblico
dell'amministrazione alla tutela della propria immagine e del proprio
prestigio, che possono restare offuscati dal mancato o anche soltanto
dal ritardato esercizio del potere  disciplinare  nei  confronti  del
dipendente riconosciuto responsabile di  fatti  penalmente  rilevanti
con sentenza irrevocabile.
    Orbene, l'omessa previsione di un termine massimo di avvio  e  di
conclusione del procedimento disciplinare in esito a condanna  penale
passata in giudicato  pare  contrastare  con  il  principio  di  buon
andamento della  pubblica  amministrazione,  sotto  i  profili  della
economicita' e della speditezza dell'azione amministrativa.
    In conclusione il collegio, per le ragioni sopra esposte, ritiene
rilevante  e   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
costituzionalita' dell'art. 17  del  decreto  legislativo  28  luglio
1989, n. 271 (disp. att. c.p.p.), nella parte in cui non prevede che,
nel procedimento disciplinare nei confronti degli ufficiali ed agenti
della polizia giudiziaria iniziato a seguito della pronuncia  di  una
sentenza  penale  di  condanna  per  i  medesimi  fatti  oggetto   di
incolpazione, trovino applicazione i termini stabiliti  dall'art.  9,
comma 2 della  legge  7  febbraio  1990,  n.  19  per  l'avvio  e  la
conclusione del procedimento, per contrasto con gli articoli 3  e  97
primo comma della Costituzione.
    Resta sospesa ogni decisione sul ricorso in epigrafe, dovendo  la
questione essere demandata al giudizio della Corte costituzionale.

                               P.Q.M.

    Il Tribunale amministrativo regionale  per  la  Liguria  (Sezione
Seconda),
    Visti gli articoli 1 della legge costituzionale 9 febbraio  1948,
n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Ritenuta rilevante ai fini della decisione e  non  manifestamente
infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 17 del  decreto
legislativo  28  luglio  1989,  n.  271  (norme  di  attuazione,   di
coordinamento e transitorie del codice di  procedura  penale),  nella
parte in cui in cui non prevede che,  nel  procedimento  disciplinare
nei confronti degli ufficiali ed  agenti  della  polizia  giudiziaria
iniziato a seguito della pronuncia di una sentenza penale di condanna
per i medesimi fatti oggetto di incolpazione, trovino applicazione  i
termini stabiliti dall'art. 9, comma 2 della legge 7  febbraio  1990,
n. 19 per l'avvio e la conclusione del  procedimento,  per  contrasto
con gli articoli 3 e 97 primo comma della Costituzione;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale;
    Ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, e sia comunicata al presidente del Senato della  Repubblica
ed al presidente della Camera dei deputati.
    Cosi' deciso in Genova nella Camera di consiglio  del  giorno  21
febbraio 2018 con l'intervento dei magistrati:
        Roberto Pupilella, Presidente;
        Luca Morbelli, consigliere;
        Angelo Vitali, consigliere, estensore.

                      Il Presidente: Pupilella


                                                  L'estensore: Vitali

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