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venerdì 27 dicembre 2019

N. 278 SENTENZA 6 novembre - 20 dicembre 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Tolleranza abituale e favoreggiamento della prostituzione - Configurazione come illecito penale anche in caso di prostituzione "volontariamente e consapevolmente esercitata" - Denunciata violazione del principio di offensivita' e, limitatamente al favoreggiamento, di determinatezza e tassativita' della fattispecie incriminatrice - Non fondatezza delle questioni. - Legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, primo comma, numeri 3) e 8), prima parte. - Costituzione, artt. 13, 25 e 27. (GU n.52 del 27-12-2019 )



N. 278 SENTENZA 6 novembre - 20 dicembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati  e  pene  -  Tolleranza  abituale   e   favoreggiamento   della
  prostituzione - Configurazione come illecito penale anche  in  caso
  di prostituzione "volontariamente e consapevolmente  esercitata"  -
  Denunciata   violazione   del   principio   di   offensivita'    e,
  limitatamente al favoreggiamento, di determinatezza e  tassativita'
  della fattispecie incriminatrice - Non fondatezza delle questioni.
- Legge 20 febbraio 1958, n. 75, art. 3, primo comma, numeri 3) e 8),
  prima parte.
- Costituzione, artt. 13, 25 e 27.
(GU n.52 del 27-12-2019 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Aldo CAROSI;
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
 
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,  primo
comma, numeri 3) e 8), prima parte, della legge 20 febbraio 1958,  n.
75 (Abolizione della regolamentazione  della  prostituzione  e  lotta
contro lo sfruttamento  della  prostituzione  altrui),  promosso  dal
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale  ordinario  di  Reggio
Emilia nel procedimento penale  a  carico  di  G.  B.  e  D.  A.  con
ordinanza del 31  gennaio  2019,  iscritta  al  n.  83  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2019.
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 6 novembre  2019  il  Giudice
relatore Franco Modugno.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 31 gennaio 2019 (r. o. n. 83 del 2019),  il
Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale  ordinario  di  Reggio
Emilia ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale:
    a) dell'art. 3, primo comma, numeri 3) e 8), prima  parte,  della
legge 20 febbraio 1958,  n.  75  (Abolizione  della  regolamentazione
della  prostituzione   e   lotta   contro   lo   sfruttamento   della
prostituzione altrui) - che puniscono, rispettivamente, la tolleranza
abituale e il favoreggiamento della prostituzione - «nella  parte  in
cui  si  applicano  anche  alla   prostituzione   volontariamente   e
consapevolmente  esercitata»,  per  contrasto  con  il  principio  di
offensivita' ricavabile dagli artt. 13, 25 e 27 della Costituzione;
    b) del solo art. 3, primo comma, numero 8),  prima  parte,  della
legge n. 75 del 1958, per contrasto con il principio  di  precisione,
desumibile dall'art. 25 Cost.
    1.1.- Il giudice a quo premette di essere chiamato  a  giudicare,
nelle forme del giudizio abbreviato, due persone imputate  dei  reati
previsti dalle norme censurate, con l'aggravante di cui  all'art.  4,
numero 7, della legge n. 75 del 1958 (fatto commesso in danno di piu'
persone), per avere, in concorso  tra  loro  -  l'uno  quale  gestore
effettivo di due circoli privati,  l'altro  quale  suo  «factotum»  -
favorito e,  comunque  sia,  tollerato  abitualmente  l'attivita'  di
meretricio di ragazze che figuravano come socie dei  circoli  stessi,
mettendo loro a disposizione alcuni locali dietro compenso.
    Riferisce il rimettente che, dalle risultanze processuali, era in
effetti emerso che i due  circoli  privati,  ai  quali  gli  imputati
«davano il loro apporto» nelle qualita' dianzi indicate, fungevano da
luogo di  incontro  tra  giovani  donne  -  peraltro  «maggiorenni  e
"autonome"» - e uomini, per l'effettuazione di prestazioni sessuali a
pagamento. Di qui, dunque, la rilevanza delle questioni.
    1.2.- Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
ritiene che entrambe le figure criminose - la tolleranza  abituale  e
il favoreggiamento della prostituzione  -  violino  il  principio  di
necessaria offensivita' del reato, ricavabile dagli artt. 13, 25 e 27
Cost., in base al quale il  legislatore  puo'  punire  esclusivamente
fatti che ledano un bene giuridico.
    A sostegno della censura, il giudice a  quo  osserva  come  dalle
figure criminose in discorso esulino elementi  di  costrizione  o  di
inganno, i quali assumono rilievo solo ai fini della configurabilita'
dell'aggravante di cui all'art. 4, numero 1), della legge n.  75  del
1958: elementi non riscontrabili, peraltro, nella vicenda oggetto del
giudizio principale.
    Risulterebbe, poi, del tutto abbandonata l'idea  che  l'interesse
tutelato  possa  essere  identificato  nella  salute   pubblica,   in
relazione al pericolo di diffusione delle malattie veneree.
    La moralita' pubblica e il buon costume sarebbero, a loro  volta,
quasi scomparsi come beni giuridici, con il  progressivo  svuotamento
del Titolo XI del Libro II del codice penale. La  prima  sarebbe  «un
relitto del passato», per la sua  radicale  incompatibilita'  con  un
ordinamento  laico,  mentre  il  secondo  sopravviverebbe  solo  come
protezione della  sensibilita'  individuale  contro  l'esposizione  a
scene sessuali non gradite: ipotesi che, nella specie, non  viene  in
considerazione.
    Diverso sarebbe il discorso  con  riguardo  alla  dignita'  della
persona che si prostituisce.  Se  si  fa  riferimento  alla  dignita'
oggettiva, quale derivante dalle «norme di cultura»,  si  avrebbe  un
oggetto di tutela plausibile  e  verisimilmente  corrispondente  alle
intenzioni del legislatore, ma incompatibile  con  il  «principio  di
laicita'» e con la liberta' di autodeterminazione  di  ogni  soggetto
libero e capace, presupposta dall'art. 2 Cost. Se  ci  si  riferisce,
invece, alla dignita' soggettiva - quella conseguente «alle scelte di
ciascuno» - essa non potrebbe costituire il bene  protetto  da  norme
che  puniscono  chi  collabora  a  una  scelta  libera   di   persone
maggiorenni e capaci.
    Contrariamente   a   quanto    affermato    da    un    indirizzo
giurisprudenziale (e'  citata  Corte  di  cassazione,  sezione  terza
penale, sentenza 8  giugno-2  settembre  2004,  n.  35776),  il  bene
protetto dall'art. 3 della legge n. 75 del 1958 non  potrebbe  essere
individuato  neppure  nella  liberta'  di  autodeterminazione   della
persona  che  si  prostituisce.  Le  incriminazioni  in   esame   non
postulano, infatti,  alcuna  lesione  di  tale  liberta',  risultando
applicabili anche quando - come nel caso di specie - la prostituta si
conceda per scelta libera e consapevole.
    La tesi  che  identifica  il  bene  protetto  nella  liberta'  di
autodeterminazione, ove applicata con coerenza, dovrebbe portare,  in
effetti, a ritenere che, quando una lesione della  predetta  liberta'
non vi e', il fatto non e' tipico, perche' inoffensivo, o almeno  non
e' antigiuridico, perche' scriminato dal consenso dell'avente diritto
(art. 50 del codice penale); conclusione  alla  quale,  peraltro,  il
diritto vivente rifiuta fermamente di pervenire.
    In definitiva, quindi, le norme censurate,  punendo  i  fatti  in
esse indicati con la pena della reclusione da due a sei  anni  (oltre
alla  multa),  sacrificherebbero  il  bene  primario  della  liberta'
personale senza offrire protezione ad alcun bene riconoscibile.
    1.3.- La  sola  fattispecie  incriminatrice  del  favoreggiamento
della prostituzione, di cui all'art. 3, primo comma, numero 8), prima
parte, della  legge  n.  75  del  1958,  si  porrebbe,  altresi',  in
contrasto con il «principio di precisione», desumibile  dall'art.  25
Cost.
    La  giurisprudenza  di  legittimita'  ha  qualificato  la  figura
delittuosa in questione come reato a forma libera. Tale categoria  di
reati, che pure occupa un posto centrale nel sistema, presenta  pero'
una caratteristica: e' composta, cioe', in  linea  di  principio,  da
reati di evento. E', infatti, grazie a quest'ultimo e ai nessi che lo
legano alla condotta che la descrizione del fatto assume connotati di
sufficiente determinatezza.
    Il reato in esame, per contro, e' di pura condotta: e un reato di
pura condotta a forma libera costituirebbe «la  negazione  conclamata
di ogni determinatezza».
    Le conclusioni non  muterebbero  neppure  laddove,  nell'economia
della fattispecie,  si  sostituisca  l'evento  con  la  prostituzione
altrui. Quello di «favoreggiamento»  sarebbe,  infatti,  un  concetto
intrinsecamente  vago   e   dai   «confini   esterni   indefiniti   e
indefinibili», con la  conseguenza  che  molteplici  casi  potrebbero
esservi ricompresi,  o  no,  secondo  le  personali  convinzioni  del
singolo  giudice.  Ne  costituirebbero  eloquente  testimonianza   le
oscillazioni  della  giurisprudenza  riguardo   al   trattamento   da
riservare  a  fattispecie  simili:  quali,  ad  esempio,  quella  del
cameriere o dell'addetto ai servizi accessori (che viene  in  rilievo
nel giudizio a quo), o le altre  del  soggetto  che  pubblicizza  sui
giornali l'attivita' della prostituta o del tassista che la trasporta
sul luogo di lavoro.
    1.4.- Pur assumendo che non spetterebbe  a  esso  giudice  a  quo
suggerire alla Corte costituzionale in qual modo rimuovere i  vulnera
denunciati,  il  Giudice  dell'udienza  preliminare   del   Tribunale
rimettente - «come miglior puntualizzazione  del  petitum»  -  rileva
che,  per  armonizzare  col  principio  di  offensivita'   tanto   la
fattispecie   della   tolleranza   abituale,   quanto   quella    del
favoreggiamento, basterebbe dichiararle illegittime  nella  parte  in
cui  si  applicano  anche  alla   prostituzione   volontariamente   e
consapevolmente esercitata. Di contro, il contrasto con il  principio
di precisione imporrebbe l'integrale ablazione della fattispecie  del
favoreggiamento.
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate  inammissibili   o
infondate.
    Ad avviso della difesa dell'interveniente, le questioni sarebbero
inammissibili  per  difetto  di  motivazione  sulla   non   manifesta
infondatezza. Il rimettente avrebbe, infatti,  affermato  il  dedotto
contrasto  con  i  parametri   costituzionali   in   modo   puramente
assiomatico.
    Nel merito, le questioni sarebbero, in ogni caso, infondate.
    Gli argomenti addotti per sostenere  l'incostituzionalita'  delle
norme censurate sarebbero, infatti, i medesimi  gia'  vagliati  dalla
Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  141  del  2019,  che   ha
dichiarato non fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 3, primo comma, numeri 4), prima parte, e 8),  della  legge
n. 75 del 1958.

                       Considerato in diritto

    1.- Il Giudice dell'udienza preliminare del  Tribunale  ordinario
di  Reggio  Emilia  dubita,  sotto  due   distinti   profili,   della
legittimita' costituzionale dell'art. 3, primo comma, numeri 3) e 8),
prima parte, della legge 20 febbraio 1958, n.  75  (Abolizione  della
regolamentazione della prostituzione e lotta contro  lo  sfruttamento
della  prostituzione  altrui),  che  puniscono,  rispettivamente,  la
tolleranza abituale e il favoreggiamento della prostituzione.
    Il rimettente assume che entrambe le norme incriminatrici, «nella
parte in cui si applicano anche alla prostituzione volontariamente  e
consapevolmente esercitata», violerebbero gli artt. 13, 25 e 27 della
Costituzione,  per  contrasto  con   il   principio   di   necessaria
offensivita' del reato, sacrificando il bene primario della  liberta'
personale senza offrire protezione ad alcun bene riconoscibile.
    La  sola   norma   incriminatrice   del   favoreggiamento   della
prostituzione violerebbe, altresi', l'art. 25  Cost.,  per  contrasto
con il principio di precisione, delineando un reato di mera  condotta
a forma libera, imperniato su  un  concetto  -  quello,  appunto,  di
«favoreggiamento» - dai contorni vaghi e indefiniti.
    2.- Va preliminarmente disattesa l'eccezione di  inammissibilita'
delle questioni  per  difetto  di  motivazione  sulla  non  manifesta
infondatezza, formulata dall'Avvocatura generale dello Stato.
    Il giudice a quo ha, infatti, esposto in modo ampio,  compiuto  e
chiaro  le  ragioni  che  lo  inducono  a  porre  in  discussione  la
legittimita' costituzionale delle norme censurate.
    3.- Nel merito, tuttavia, le questioni non sono fondate.
    3.1.- Con la sentenza n. 141 del 2019,  successiva  all'ordinanza
di rimessione, questa Corte ha gia' dichiarato non fondate  questioni
analoghe,  sollevate  in  rapporto   alle   ipotesi   criminose   del
reclutamento  e  del  favoreggiamento  della  prostituzione,  di  cui
all'art. 3, primo comma, numeri 4), prima parte, e 8),  prima  parte,
della  legge  n.   75   del   1958   (disposizioni   che   puniscono,
rispettivamente, «chiunque recluti  una  persona  al  fine  di  farle
esercitare la prostituzione» e «chiunque in qualsiasi modo  favorisca
[...] la prostituzione altrui»).
    Questa  Corte   ha   rilevato   come   tali   figure   delittuose
costituiscano espressione  della  generale  strategia  di  intervento
adottata in materia dalla legge n. 75 del  1958:  quella,  cioe',  di
configurare la prostituzione come attivita' in se' lecita,  vietando,
pero', nel contempo, sotto minaccia  di  sanzione  penale,  qualsiasi
interazione di terzi con essa, sia sul piano materiale (in termini di
promozione, agevolazione o sfruttamento), sia sul  piano  morale  (in
termini di induzione). Cio', nella prospettiva di non consentire alla
prostituzione stessa «di svilupparsi e di proliferare».
    In simile cornice, le  fattispecie  criminose  in  discussione  -
anche nella parte in  cui  risultano  riferibili  alla  prostituzione
volontariamente esercitata - sono state ritenute,  da  questa  Corte,
compatibili con il principio di offensivita',  inteso  come  precetto
che impone al legislatore di limitare la repressione penale  a  fatti
che, nella loro  configurazione  astratta,  presentino  un  contenuto
offensivo di beni o interessi meritevoli  di  protezione  (cosiddetta
offensivita' "in astratto"): precetto che non esclude il  ricorso  al
modello del reato di pericolo  (sentenza  n.  225  del  2008),  anche
presunto (sentenze n. 133 del 1992, n. 333  del  1991  e  n.  62  del
1986), a condizione che la valutazione legislativa  di  pericolosita'
del fatto non risulti irrazionale o arbitraria (sentenza n.  109  del
2016).
    Di  la'  dalle  oscillazioni  della  giurisprudenza   in   ordine
all'individuazione del bene protetto dalle norme penali  della  legge
n. 75 del  1958  -  cui  accenna  anche  l'odierno  rimettente  -  le
previsioni punitive in discorso sono apparse  rispettose  dei  canoni
dianzi indicati, ove riguardate  «nell'ottica  della  protezione  dei
diritti fondamentali dei soggetti vulnerabili e delle stesse  persone
che esercitano la prostituzione per scelta».
    Anche nell'attuale momento storico, infatti, «quando pure non  si
sia al cospetto di vere e proprie forme di prostituzione forzata,  la
scelta di "vendere sesso" trova alla sua  radice,  nella  larghissima
maggioranza dei casi, fattori che condizionano e limitano la liberta'
di    autodeterminazione    dell'individuo,     riducendo,     talora
drasticamente, il ventaglio delle sue opzioni esistenziali»:  fattori
non solo di ordine economico, ma legati anche a situazioni di disagio
sul piano affettivo o delle relazioni familiari e  sociali  (sentenza
n. 141 del 2019).
    In questa materia,  d'altra  parte,  «la  linea  di  confine  tra
decisioni autenticamente libere  e  decisioni  che  non  lo  sono  si
presenta fluida gia' sul piano teorico [...] e, correlativamente,  di
problematica verifica sul piano processuale, tramite un  accertamento
ex post affidato alla giurisdizione penale». A  cio'  si  affiancano,
peraltro, anche preoccupazioni di tutela delle stesse persone che  si
prostituiscono per effetto di una scelta (almeno inizialmente) libera
e consapevole. «Cio' in  considerazione  dei  pericoli  cui  esse  si
espongono nell'esercizio della loro attivita': pericoli  connessi  al
loro ingresso in un circuito dal quale  sara'  poi  difficile  uscire
volontariamente, stante la facilita' con la  quale  possono  divenire
oggetto di indebite  pressioni  e  ricatti,  nonche'  ai  rischi  per
l'integrita' fisica e  la  salute,  cui  esse  inevitabilmente  vanno
incontro nel momento in cui si trovano  isolate  a  contatto  con  il
cliente (pericoli di violenza  fisica,  di  coazioni  a  subire  atti
sessuali indesiderati, di contagio conseguente  a  rapporti  sessuali
non protetti e via dicendo)» (sentenza n. 141 del 2019).
    In tale prospettiva, l'incriminazione delle cosiddette  "condotte
parallele" alla  prostituzione,  senza  rappresentare  una  soluzione
costituzionalmente imposta (potendo il legislatore fronteggiare anche
in altro modo i pericoli insiti nel fenomeno  considerato),  rientra,
pero', «nel ventaglio delle possibili opzioni di politica  criminale,
non contrastanti con la Costituzione».
    Resta ferma, in ogni caso, con riguardo alla disciplina  vigente,
l'operativita' del principio di  offensivita'  nella  sua  proiezione
concreta e, dunque, il potere-dovere del giudice comune di  escludere
la configurabilita'  del  reato  in  presenza  di  condotte  che,  in
rapporto alle specifiche circostanze, si rivelino concretamente prive
di ogni potenzialita' lesiva (sentenza n. 141 del 2019).
    3.2.- Le considerazioni ora ricordate risultano estensibili anche
alla  fattispecie  della  tolleranza  abituale  dell'esercizio  della
prostituzione, che l'odierno rimettente coinvolge nella  verifica  di
compatibilita' con il principio di offensivita' unitamente  a  quella
del favoreggiamento, gia' in precedenza scrutinata da questa Corte.
    A mente dell'art. 3, primo comma, numero 3), della  legge  n.  75
del 1958, risponde di tale  reato  «chiunque,  essendo  proprietario,
gerente o preposto a un albergo, casa mobiliata, pensione, spaccio di
bevande, circolo, locale da ballo, o  luogo  di  spettacolo,  o  loro
annessi e  dipendenze  o  qualunque  locale  aperto  al  pubblico  od
utilizzato dal pubblico, vi tollera abitualmente la presenza di una o
piu' persone che,  all'interno  del  locale  stesso,  si  danno  alla
prostituzione».
    La previsione  punitiva  si  colloca  specificamente  nell'ambito
della terna di figure criminose  poste  a  presidio  del  divieto  di
esercizio delle case di  prostituzione.  Il  numero  1)  dell'art.  3
punisce la costituzione di case di prostituzione; il  numero  2),  la
cessione di un locale a tale scopo; il numero 3) - oggi in esame - il
consentire,  per  acquiescenza  abituale   dell'esercente,   che   la
prostituzione si svolga all'interno di un pubblico esercizio.
    La  norma   incriminatrice   censurata   costituisce,   pertanto,
anch'essa espressione della strategia d'intervento, dianzi  indicata,
che ispira  la  legge  n.  75  del  1958:  strategia  alla  quale  e'
globalmente riferibile la valutazione gia' operata da  questa  Corte,
in  punto  di  esclusione  del  contrasto   con   il   principio   di
offensivita'.
    3.3.- Con la medesima sentenza n. 141 del 2019, questa  Corte  ha
ritenuto,  altresi',   infondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale della sola figura del  favoreggiamento,  per  asserito
contrasto con il principio di  determinatezza  e  tassativita'  della
fattispecie incriminatrice: questione  che  il  Giudice  dell'udienza
preliminare del Tribunale ordinario di Reggio Emilia  oggi  ripropone
evocando, con significato equivalente, il «principio di precisione».
    Questa Corte ha  ricordato,  in  specie,  come  l'impiego,  nella
formula descrittiva dell'illecito, di espressioni sommarie,  clausole
generali o concetti "elastici" non comporti di per se' un vulnus  del
parametro costituzionale evocato, «"quando la descrizione complessiva
del fatto incriminato consenta comunque al giudice -  avuto  riguardo
alle  finalita'  perseguite  dall'incriminazione  ed  al  piu'  ampio
contesto ordinamentale in cui essa  si  colloca  -  di  stabilire  il
significato di tale elemento  mediante  un'operazione  interpretativa
non esorbitante dall'ordinario compito a lui affidato:  quando  cioe'
quella   descrizione   consenta   di   esprimere   un   giudizio   di
corrispondenza della fattispecie concreta alla fattispecie  astratta,
sorretto   da   un   fondamento   ermeneutico    controllabile;    e,
correlativamente, permetta al destinatario della norma di  avere  una
percezione sufficientemente chiara ed immediata del  relativo  valore
precettivo" (sentenza n. 25 del 2019; nello stesso senso, sentenze n.
172 del 2014, n. 282 del 2010, n. 21 del 2009, n. 327 del 2008 e n. 5
del 2004)» (sentenza n. 141 del 2019).
    Nella specie, la scarna  descrizione  del  fatto  incriminato  fa
perno, comunque sia, su un concetto, quale quello di favoreggiamento,
di ampio e sperimentato uso  nell'ambito  del  diritto  penale.  «Per
questo verso, la disposizione  incriminatrice  non  e'  affatto  piu'
indeterminata di quanto lo sia la generale disposizione sul  concorso
di persone nel reato (art. 110 cod. pen.), costruita  anch'essa  come
clausola sintetica ("[q]uando piu' persone  concorrono  nel  medesimo
reato"). Il favoreggiamento, del resto, non e' altro che una forma di
concorso  materiale  nella   prostituzione   altrui   (pur   con   la
particolarita'  che  [...]   nell'occasione   e'   punito   solo   il
compartecipe e non l'autore del fatto)» (sentenza n. 141 del 2019).
    Nessun argomento a sostegno della tesi dell'indeterminatezza  del
precetto  puo'  essere,  d'altra   parte,   ricavato   dall'indirizzo
giurisprudenziale  -  cui  si  fa  riferimento   anche   dall'odierno
rimettente - secondo il quale, ai fini della punibilita', la condotta
di  favoreggiamento  deve  essersi   risolta   in   un   aiuto   alla
prostituzione,  e   non   gia'   alla   persona   dedita   ad   essa.
«L'affermazione e', infatti, sintonica al testo della norma censurata
- il quale esige che la condotta incriminata favorisca l'attivita', e
non la persona che la esercita - e mira proprio ad  evitare  indebite
dilatazioni della sfera applicativa della figura criminosa» (sentenza
n. 141 del 2019).
    Le  deduzioni  del  giudice  a  quo  non  aggiungono  sostanziali
elementi di novita' rispetto agli argomenti gia' vagliati  da  questa
Corte.
    4.- Le questioni vanno dichiarate, di conseguenza, non fondate.
     
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 3, primo comma, numeri 3) e 8), prima parte, della legge 20
febbraio  1958,  n.  75  (Abolizione  della  regolamentazione   della
prostituzione e lotta  contro  lo  sfruttamento  della  prostituzione
altrui), sollevate, in riferimento agli  artt.  13,  25  e  27  della
Costituzione, dal  Giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale
ordinario di Reggio Emilia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2019.

                                F.to:
                       Aldo CAROSI, Presidente
                      Franco MODUGNO, Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2019.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA 

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