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venerdì 27 dicembre 2019

N. 282 ORDINANZA 6 novembre - 20 dicembre 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Delitto di ingiuria - Abrogazione e trasformazione in illecito civile soggetto a sanzione pecuniaria - Denunciata lesione di diritti inviolabili inerenti al principio fondamentale della dignita' umana, lesione di obblighi internazionali e irragionevole disparita' di trattamento rispetto al reato di diffamazione - Manifesta inammissibilita' delle questioni. - Legge 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, comma 3; decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lettera c). - Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 117, primo comma; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 1; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, artt. 8 e 10. (GU n.52 del 27-12-2019 )



N. 282 ORDINANZA 6 novembre - 20 dicembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati e pene - Delitto di ingiuria - Abrogazione e trasformazione  in
  illecito civile soggetto a sanzione pecuniaria - Denunciata lesione
  di diritti inviolabili inerenti  al  principio  fondamentale  della
  dignita' umana, lesione di obblighi internazionali e  irragionevole
  disparita' di trattamento  rispetto  al  reato  di  diffamazione  -
  Manifesta inammissibilita' delle questioni.
- Legge 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, comma 3;  decreto  legislativo
  15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lettera c).
- Costituzione, artt. 2, 3, 10 e 117, primo comma; Carta dei  diritti
  fondamentali  dell'Unione  europea,  art.  1;  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  artt. 8 e 10.
(GU n.52 del 27-12-2019 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Aldo CAROSI;
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
 
     
    ha pronunciato la seguente

                              ORDINANZA

    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3,
della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in  materia  di
pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio.
Disposizioni in materia di sospensione  del  procedimento  con  messa
alla prova e nei confronti degli irreperibili) e dell'art.  1,  comma
1, lettera  c),  del  decreto  legislativo  15  gennaio  2016,  n.  7
(Disposizioni in materia di abrogazione di reati  e  introduzione  di
illeciti con sanzioni pecuniarie civili,  a  norma  dell'articolo  2,
comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), promosso dal Giudice  di
pace di Venezia nel procedimento  penale  a  carico  di  M.  B.,  con
ordinanza del 16  ottobre  2018,  iscritta  al  n.  11  del  registro
ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2019.
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 6 novembre  2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'.
    Ritenuto che il Giudice di pace di Venezia, con ordinanza del  16
ottobre 2018, ha sollevato - in riferimento agli artt.  2,  3,  10  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 1 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, e agli artt. 8 e 10 della Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge  4  agosto  1955,  n.  848  -  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 2, comma 3,  della  legge  28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene  detentive
non carcerarie e di riforma del sistema  sanzionatorio.  Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei
confronti degli irreperibili) e 1, comma 1, lettera c),  del  decreto
legislativo 15  gennaio  2016,  n.  7  (Disposizioni  in  materia  di
abrogazione  di  reati  e  introduzione  di  illeciti  con   sanzioni
pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della  legge  28
aprile 2014, n. 67), nella parte in cui dispongono l'abrogazione  del
reato di ingiuria di cui all'art. 594 del codice penale, trasformando
la relativa fattispecie in un illecito civile sottoposto  a  sanzioni
pecuniarie civili;
    che il giudice rimettente premette di essere chiamato a procedere
penalmente nei  confronti  di  un  soggetto  imputato  dei  reati  di
ingiuria e diffamazione, ai sensi degli artt. 594 e  595  cod.  pen.,
per aver  proferito  in  piu'  occasioni  una  serie  di  espressioni
offensive nei confronti di altro  soggetto,  e  per  aver  offeso  la
reputazione dello stesso mediante missiva inviata a mezzo fax;
    che il giudice a quo ha  ritenuto,  d'ufficio,  rilevanti  e  non
manifestamente infondate  le  questioni  di  costituzionalita'  degli
artt. 2, comma 3, della legge n. 67 del 2014, e 1, comma  1,  lettera
c), del d.lgs. n. 7 del 2016, come sopra formulate;
    che  la  rilevanza  delle  questioni  risiederebbe,  secondo   il
rimettente, nel fatto che, avendo il giudizio principale ad oggetto -
tra l'altro - un'imputazione  per  il  delitto  di  ingiuria  di  cui
all'art. 594 cod. pen., per effetto  dell'abrogazione  operata  dalle
norme censurate egli sarebbe «tenuto  a  dichiarare  di  non  doversi
procedere ex art. 129 codice procedura penale» in quanto il fatto non
e' piu' previsto dalla legge come  reato,  cosi'  che  dall'eventuale
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni
denunciate si realizzerebbe invece «la riespansione  della  rilevanza
penale  del  comportamento  oggetto  del  reato  di  ingiurie»,   con
conseguente possibilita'  di  proseguire  il  processo,  al  fine  di
verificare  in  dibattimento  la  sussistenza  del  reato  contestato
all'imputato;
    che, quanto alla non manifesta infondatezza delle  questioni,  il
rimettente  premette  che  «[l']onore  costituisce   uno   dei   beni
fondamentali  della  persona  umana  riconosciuto   tra   i   diritti
inviolabili dell'uomo di cui all'art.  2  della  Costituzione»,  come
riconosciuto da questa Corte (sono citate le sentenze n. 86 del  1974
e n. 38 del 1973);
    che, sempre ad avviso del rimettente, le  disposizioni  censurate
determinerebbero «la fuoriuscita del bene dell'onore e del decoro dal
sistema di tutela pubblicistica dei diritti fondamentali»;  cio'  nel
contesto  di  un  ordinamento  in  cui  non  vi  sarebbero   «diritti
inviolabili di cui  all'art.  2  della  Costituzione  che  non  siano
protetti anche dalle norme penali, proprio in  virtu'  della  massima
tutela che ad essi viene garantita»;
    che, per il  giudice  a  quo,  i  concetti  di  onore,  decoro  e
reputazione sarebbero ricompresi in quello  della  dignita'  di  ogni
essere umano, la quale «e' tutelata come diritto  fondamentale  nella
Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea», fonte  normativa
recepita - ad avviso del rimettente - «nella nostra  Costituzione  in
forza degli artt. 10 e 117»;
    che la stessa dignita', per il rimettente, troverebbe  «implicita
affermazione»  nel  riconoscimento  operato  dall'art.  2  Cost.  dei
diritti inviolabili dell'uomo,  diritti  i  quali  potrebbero  essere
tutelati soltanto attraverso norme penali, per essere queste  «poste,
ontologicamente, a difesa dei diritti inviolabili dell'essere umano»;
e cio' «sia per l'efficacia deterrente della sanzione penale, che per
l'inadeguatezza delle sanzioni amministrative o civili  che  appaiono
inconciliabili a prevenire, ricomporre o reprimere le condotte lesive
dei diritti fondamentali»;
    che per il  giudice  a  quo  la  depenalizzazione  operata  dalle
disposizioni censurate, degradando «il reato che tutela  un  bene  di
rilevanza costituzionale ad un illecito civile sottoposto  unicamente
al nuovo istituto della sanzione pecuniaria civile  (art.  4  del  D.
Lgs. n. 7/2016)», risulterebbe incompatibile sia con gli artt. 2 e  3
Cost., sia con «i principi costituzionali  espressi  nell'art.  10  e
nell'art.  117  della  Carta  costituzionale  poiche'   la   potesta'
legislativa e' stata esercitata dallo Stato con legge ordinaria senza
rispettare  i  vincoli  e  i  principi   derivanti   dagli   obblighi
internazionali e dalle norme di diritto  internazionale  generalmente
riconosciute, tanto da violare apertamente il principio  fondamentale
della dignita' umana espresso nell'art. 1  della  Carta  dei  Diritti
Fondamentali dell'Unione Europea e gli artt. 8 e 10 della Convenzione
Europea dei diritti dell'Uomo»;
    che,  secondo  il  rimettente,  le  norme   censurate   sarebbero
contrarie anche all'art. 3 Cost., in quanto la  depenalizzazione  del
reato di ingiuria avrebbe determinato una irragionevole disparita' di
trattamento rispetto al reato di diffamazione  di  cui  all'art.  595
cod. pen., delitto riconducibile «alla stessa medesima ratio  e  allo
stesso  diritto  fondamentale»,  distinguendosi  solamente   per   la
presenza o  meno  dell'offeso  al  momento  della  condotta,  il  che
risulterebbe con evidenza in riferimento all'abrogazione dell'ipotesi
aggravata di cui all'art. 594, quarto comma, cod. pen., che disponeva
un aumento di pena qualora l'offesa fosse commessa  «in  presenza  di
piu' persone», risultando del tutto  irragionevole  «[l]a  scelta  di
perseguire  un  fatto  "comunicando  con  piu'  persone"  in  assenza
dell'offeso  (diffamazione)  e  di  non  punire  il  medesimo   fatto
"commesso in presenza di piu' persone" quindi in presenza dell'offeso
(ingiuria)»;
    che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  concludendo   per   l'inammissibilita'   o,   comunque,   per
l'infondatezza delle questioni sollevate;
    che, ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, le questioni
sarebbero inammissibili, posto che rientrerebbero in una materia  che
«attiene all'esercizio della discrezionalita' legislativa,  sottratta
al sindacato della Corte costituzionale», senza che i  precedenti  di
questa Corte su norme penali di favore  o,  comunque,  abrogative  di
fattispecie penali (sono citate le sentenze n. 215 del 2017, n. 81  e
n. 5 del 2014, n. 394 del 2006, nonche' l'ordinanza n. 175 del  2001)
possano ritenersi pertinenti  rispetto  alle  censure  sollevate  nel
giudizio a quo;
    che,  sempre   secondo   l'Avvocatura   generale   dello   Stato,
l'intervenuta  depenalizzazione  non  sarebbe  ne'  arbitraria,   ne'
manifestamente  irragionevole,  «perseguendo  anzi  chiari  fini   di
deflazione del sistema penale, in funzione  della  sua  efficienza  e
della ragionevole durata del processo, costituenti  altrettanti  beni
tutelati dalla Costituzione, secondo  un  ragionevole  equilibrio  di
interessi»,  non  potendosi  condividere  l'assunto  del   rimettente
secondo cui «l'offesa a beni giuridici "costituzionalmente rilevanti"
debba necessariamente avere tutela penale»;
    che, infine, le censure sollevate in riferimento agli artt. 2, 10
e 117 Cost.  sarebbero,  ad  avviso  dell'Avvocatura  generale  dello
Stato, del  tutto  immotivate,  posto  che  «la  circostanza  che  la
dignita'  dell'uomo  assurga  a  bene  costituzionale  non   comporta
necessariamente  che  l'ingiuria  debba  essere   punita   penalmente
piuttosto che  con  sanzione  pecuniaria»,  neppure  per  il  diritto
europeo, e che la «contrarieta' delle norme impugnate  agli  obblighi
internazionali e' meramente postulata»,  senza  alcuna  illustrazione
dei  motivi,  con  conseguente  inammissibilita'  delle  censure  per
«assoluta genericita' ed indeterminatezza».
    Considerato  che  l'ordinanza  del  giudice  rimettente   solleva
plurime censure miranti a ripristinare il delitto di ingiuria di  cui
all'art. 594 del codice penale, abrogato  per  effetto  dell'art.  1,
comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 gennaio  2016,  n.  7
(Disposizioni in materia di abrogazione di reati  e  introduzione  di
illeciti con sanzioni pecuniarie civili,  a  norma  dell'articolo  2,
comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67), fondate sull'assunto che
dalla natura inviolabile dei diritti presidiati  dalla  norma  penale
abrogata  deriverebbero  obblighi  di   incriminazione,   oltre   che
sull'asserita  irragionevole  disparita'  di   trattamento   tra   la
fattispecie  dell'ingiuria  e  quella  della  diffamazione,  di   cui
all'art. 595 cod. pen.;
    che le censure proposte in riferimento agli artt.  2  e  3  della
Costituzione e quelle proposte in riferimento agli artt.  10  e  117,
primo comma, Cost. in relazione all'art. 1 della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a  Strasburgo  il  12  dicembre  2007,  sono
sostanzialmente identiche a quelle sollevate dallo stesso  rimettente
con precedenti plurime ordinanze e incorrono nelle  medesime  ragioni
di inammissibilita' - basate sulla  richiesta  di  un  intervento  in
malam  partem  in  materia  penale,  al  di  fuori  dalle   eccezioni
desumibili  dal  sistema   -   e,   rispettivamente,   di   manifesta
inammissibilita' - per radicale assenza di motivazione sulla loro non
manifesta infondatezza - rilevate rispetto ad esse dalla sentenza  n.
37 del 2019;
    che l'ulteriore  profilo  di  censura  formulato  dal  rimettente
nell'odierna ordinanza, in riferimento  all'art.  117,  primo  comma,
Cost. in relazione agli  artt.  8  e  10  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, e' sfornito  di  qualsiasi
sviluppo argomentativo, cio' che rende  manifestamente  inammissibile
anche tale censura.
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.
     
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2,  comma  3,  della  legge  28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di  pene  detentive
non carcerarie e di riforma del sistema  sanzionatorio.  Disposizioni
in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei
confronti degli irreperibili) e dell'art. 1, comma 1, lettera c), del
decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 7 (Disposizioni in materia di
abrogazione  di  reati  e  introduzione  di  illeciti  con   sanzioni
pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della  legge  28
aprile 2014, n. 67), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 10  e
117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
all'art. 1 della Carta dei diritti fondamentali  dell'Unione  europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, e agli artt. 8 e 10 della Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata  e
resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Giudice  di  pace
di Venezia con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 6 novembre 2019.

                                F.to:
                       Aldo CAROSI, Presidente
                    Francesco VIGANO', Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2019.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA 

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