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venerdì 27 dicembre 2019

N. 284 SENTENZA 4 - 20 dicembre 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Oltraggio a pubblico ufficiale - Pena edittale della reclusione fino a tre anni - Denunciata disparita' di trattamento sanzionatorio rispetto al reato di oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario nonche' violazione del principio di proporzionalita' della pena - Non fondatezza delle questioni. - Codice penale, art. 341-bis, introdotto dall'art. 1, comma 8, della legge 15 luglio 2009, n. 94. - Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. (GU n.52 del 27-12-2019 )



N. 284 SENTENZA 4 - 20 dicembre 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.

Reati e pene - Oltraggio a pubblico ufficiale - Pena  edittale  della
  reclusione fino a tre anni - Denunciata disparita'  di  trattamento
  sanzionatorio rispetto al reato di oltraggio a un  Corpo  politico,
  amministrativo o giudiziario nonche' violazione  del  principio  di
  proporzionalita' della pena - Non fondatezza delle questioni.
- Codice penale, art. 341-bis, introdotto dall'art. 1, comma 8, della
  legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma.
(GU n.52 del 27-12-2019 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Aldo CAROSI;
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,  Giancarlo  CORAGGIO,
  Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,
  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio   PROSPERETTI,
  Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
 
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  341-bis,
del codice penale, introdotto dall'art. 1, comma 8,  della  legge  15
luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di  sicurezza  pubblica),
promosso dal Tribunale ordinario di Torino, sezione sesta penale, nel
procedimento penale a carico di D. L., con ordinanza del  29  gennaio
2019, iscritta al n. 98 del  registro  ordinanze  2019  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  26,  prima   serie
speciale, dell'anno 2019.
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri;
    udito nella camera di consiglio del 4 dicembre  2019  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Con ordinanza del 29 gennaio 2019, il Tribunale ordinario  di
Torino, sezione sesta penale, ha sollevato, in riferimento agli artt.
3 e 27, terzo comma, della Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  341-bis  del  codice  penale  (Oltraggio  a
pubblico ufficiale), introdotto dall'art. 1, comma 8, della legge  15
luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di  sicurezza  pubblica),
nella parte in cui punisce con la  reclusione  fino  a  tre  anni  la
condotta di chi, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza
di piu' persone, offende l'onore  ed  il  prestigio  di  un  pubblico
ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio
delle sue funzioni.
    1.1- Premette il rimettente di  essere  chiamato  a  pronunciarsi
sulla colpevolezza di un'imputata del delitto di cui all'art. 341-bis
cod. pen. per aver rivolto frasi ingiuriose  («vi  dovete  vergognare
siete delle bestie») all'indirizzo di agenti di polizia  in  servizio
di vigilanza dinanzi al Palazzo di giustizia di Torino, alla presenza
di piu' persone (gli altri manifestanti e i passanti).
    Su istanza formulata  dalla  difesa  dell'imputata  in  esito  al
dibattimento,  il  giudice  a  quo  ha  sollevato  le  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 341-bis cod. pen.  nei  termini
indicati.
    1.2.- In  punto  di  rilevanza  delle  questioni,  il  rimettente
osserva che, in caso di condanna, «l'unica pena che  potrebbe  essere
irrogata e' quella prevista dall'art. 341-bis  c.p.  che,  anche  nel
caso di un fatto di minima gravita', dovrebbe  essere  equivalente  a
quindici giorni di reclusione», cosi'  che  l'eventuale  accoglimento
delle  questioni  costituzionali  prospettate   potrebbe   certamente
influire sul processo celebrato dinanzi al  giudice  a  quo;  e  cio'
tanto piu' che l'imputata, pur se  allo  stato  incensurata,  avrebbe
dichiarato di essere sottoposta ad altri procedimenti penali, il  che
potrebbe impedirle  di  beneficiare,  in  futuro,  della  sospensione
condizionale della pena.
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
rimettente non contesta la meritevolezza di tutela  penale  dei  beni
giuridici protetti dall'art. 341-bis cod. pen., la cui ratio dovrebbe
essere identificata «nella esigenza, squisitamente pubblicistica,  di
garantire il regolare svolgimento dei compiti del pubblico ufficiale,
senza che  le  offese  dirette  alla  sua  persona  possano  turbarne
l'operato»;  e  non  nega,  conseguentemente,   l'«importanza   della
permanenza all'interno del codice penale [...] di una norma che vieti
e sanzioni  comportamenti  oltraggiosi  nei  confronti  del  pubblico
ufficiale». Il giudice a quo assume,  tuttavia,  l'esistenza  di  una
«iniqua sproporzione» tra il trattamento sanzionatorio  previsto  per
la fattispecie in esame e quello previsto dall'art. 342 cod. pen. per
l'oltraggio a un Corpo amministrativo, politico o giudiziario, per il
quale e' prevista una mera pena pecuniaria.
    Tale disparita' di trattamento sanzionatorio  darebbe  luogo,  ad
avviso del rimettente, a una violazione dell'art. 3 Cost.
    Entrambi i  reati  sarebbero  infatti  lesivi  dell'onore  e  del
prestigio  di  soggetti  che  rivestono  la  qualifica  di   pubblici
ufficiali,  e  tutelerebbero  interessi  «sostanzialmente  identici»,
dovendo l'offesa essere rivolta,  nel  caso  dell'art.  341-bis  cod.
pen., contro un singolo pubblico ufficiale,  e  contro  «due  o  piu'
pubblici ufficiali che operano in sinergia  tra  di  loro»  nel  caso
dell'art. 342 cod. pen., valendo poi per entrambe le  fattispecie  la
condizione che l'offesa venga  proferita  in  presenza  dei  soggetti
passivi del reato.
    D'altra parte, ad avviso del  rimettente  i  lavori  parlamentari
relativi all'art. 1 della legge n. 94 del  2009,  con  cui  e'  stata
reintrodotta la fattispecie di oltraggio a pubblico  ufficiale,  dopo
la sua abrogazione avvenuta per opera della legge 25 giugno 1999,  n.
205 (Delega del Governo per la depenalizzazione dei  reati  minori  e
modifiche al sistema penale e  tributario),  non  fornirebbero  alcun
ausilio alla comprensione dei motivi per  cui  tale  fattispecie  sia
punita «in  modo  cosi'  differente  (e  piu'  grave)  rispetto  alla
fattispecie, sostanzialmente uguale,  [...]  dell'oltraggio  a  Corpo
politico amministrativo o giudiziario».
    1.4.- Secondo il  giudice  a  quo,  la  norma  censurata  sarebbe
inoltre contraria all'art. 27, terzo comma, Cost.,  «nella  parte  in
cui prevede una pena detentiva con un massimo edittale di tre anni di
reclusione».
    Risulterebbe infatti  evidente  il  contrasto  con  la  finalita'
rieducativa della pena di «una sanzione  inadeguata  nella  specie  e
nella quantita', non in armonia con l'attuale contesto storico [...],
nel  quale  risulta  gia'  da  tempo  avviato  un  processo  volto  a
depenalizzare  gli  illeciti  meno   gravi».   Da   tale   disarmonia
deriverebbe «un senso di generale sfiducia nella  Giustizia  e  nelle
Istituzioni»,  capace  di  «incidere   negativamente   sul   percorso
rieducativo del reo».
    Il  principio  di  proporzionalita'  delle  pene  sarebbe  stato,
d'altra parte, recentemente valorizzato da  questa  Corte  attraverso
una serie di decisioni ispirate ai principi che delineano  il  «volto
costituzionale del sistema penale», principi rintracciabili non  solo
nelle  disposizioni  costituzionali,  ma  anche  nel   principio   di
proporzionalita' delle pene sancito dall'art. 49, terzo comma,  della
Carta  dei  diritti   fondamentali   dell'Unione   europea   (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, nonche' dalla giurisprudenza della Corte  europea  dei
diritti dell'uomo, che avrebbe  piu'  volte  ritenuto  «contraria  al
principio  di  proporzionalita'  l'applicazione  o  anche   solo   la
previsione  di  pene  detentive  per  reati  commessi  attraverso  la
manifestazione del pensiero» (e'  citata  la  sentenza  24  settembre
2013, Belpietro contro Italia).
    1.5.- Richiamando le sentenze n. 179 del 2017 e n. 236 del  2016,
il giudice a quo evidenzia infine come questa  Corte  abbia  ritenuto
possibile  porre  rimedio  ai  vizi  di  legittimita'  costituzionale
relativi alle cornici sanzionatorie in materia penale  attraverso  il
ricorso a grandezze  gia'  rinvenibili  nell'ordinamento,  che  nella
specie sarebbero fornite dal trattamento sanzionatorio  previsto  per
il delitto di cui all'art. 342 cod. pen.
    2.- E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo il rigetto delle questioni.
    Sarebbe anzitutto errato l'assunto del giudice a quo, secondo cui
gli artt. 341-bis e  342  cod.  pen.  tutelerebbero  lo  stesso  bene
giuridico, posto che, mentre per questa  seconda  fattispecie  «viene
esclusivamente in rilievo l'esigenza di tutela  del  prestigio  della
funzione  esercitata  dall'organo  pubblico  collegiale,   la   ratio
dell'incriminazione ex art. 341 bis  c.p.  e'  quella  di  apprestare
tutela non solo al prestigio del ruolo pubblico e del buon  andamento
della Pubblica Amministrazione ma anche all'onore ed al decoro  della
persona che riveste la qualita' di pubblico ufficiale».
    In ogni caso,  anche  ove  si  ammettesse  l'identita'  del  bene
giuridico tutelato, l'Avvocatura generale dello Stato ritiene che  la
scelta della sanzione applicabile a un illecito penale rientri  nella
sfera di esclusiva discrezionalita' del legislatore,  costituendo  il
«risultato di una serie di  elementi,  ulteriori  rispetto  a  quello
costituito dal bene giuridico  tutelato  (grado  di  offesa  al  bene
giuridico, struttura  del  reato  sotto  il  profilo  della  condotta
offensiva o dell'intensita' dell'elemento oggettivo)».
    3. - L'imputata non si e' costituita in giudizio.

                       Considerato in diritto

    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale  ordinario
di Torino, sezione sesta penale, ha sollevato,  in  riferimento  agli
artt.  3  e  27,  terzo  comma,  della  Costituzione,  questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  341-bis  del  codice  penale
(Oltraggio a pubblico ufficiale), introdotto dall'art.  1,  comma  8,
della legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica), nella parte in cui  punisce  con  la  reclusione
fino a tre anni la condotta di chi, in luogo  pubblico  o  aperto  al
pubblico e in  presenza  di  piu'  persone,  offende  l'onore  ed  il
prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed
a causa o nell'esercizio delle sue funzioni.
    Il rimettente si  duole,  in  particolare,  della  disparita'  di
trattamento, a suo avviso non giustificabile  al  metro  dell'art.  3
Cost., tra il delitto di oltraggio a pubblico  ufficiale  di  cui  al
censurato art. 341-bis cod. pen., punito con la reclusione fino a tre
anni (e dunque con la pena minima di quindici giorni  di  reclusione,
giusta  il  disposto  dell'art.  23  cod.  pen.),  e  il  delitto  di
«oltraggio a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario» di  cui
all'art. 342 cod. pen.: fattispecie, quest'ultima, assunta a  tertium
comparationis, e punita con una mera pena  pecuniaria  (la  multa  da
1.000 a 5.000 euro).
    La pena massima edittale  di  tre  anni  di  reclusione  prevista
dall'art. 341-bis cod. pen. si porrebbe inoltre in contrasto  con  il
principio di proporzionalita'  della  pena,  sancito  ad  avviso  del
rimettente dall'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  da  leggersi  anche
attraverso il prisma dell'art.  49,  paragrafo  3,  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il  12  dicembre  2007,  e
della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
    A tali vizi di legittimita' costituzionale questa Corte  potrebbe
porre rimedio, secondo  il  rimettente,  attraverso  la  sostituzione
della cornice edittale  prevista  per  il  delitto  di  cui  all'art.
341-bis cod. pen. con quella stabilita per il delitto di cui all'art.
342 cod. pen., cornice quest'ultima che costituirebbe una  «grandezza
gia' rinvenibil[e] nell'ordinamento» cui  attingere  per  colmare  la
lacuna che si creerebbe in  seguito  alla  sollecitata  pronuncia  di
illegittimita' costituzionale.
    2.- Ai fini della valutazione della  fondatezza  delle  questioni
prospettate,   appare   preliminarmente   opportuna   una   sintetica
ricostruzione del quadro normativo in  cui  le  questioni  stesse  si
iscrivono.
    2.1.- Nel disegno originario  del  codice  Rocco,  l'oltraggio  a
pubblico ufficiale era previsto dall'art. 341, primo comma, cod. pen.
come il fatto di «chiunque offende  l'onore  o  il  prestigio  di  un
pubblico ufficiale, in presenza di lui e  a  causa  o  nell'esercizio
delle sue funzioni». La pena prevista per  la  fattispecie  base  era
quella della reclusione da sei mesi a due anni.
    Il delitto di «oltraggio a un Corpo  politico,  amministrativo  o
giudiziario» era invece - ed e' tuttora  -  previsto  dall'art.  342,
primo comma, cod. pen. come il fatto di «chiunque offende  l'onore  o
il prestigio di un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o di
una rappresentanza di esso, o di una pubblica Autorita' costituita in
collegio,  al  cospetto  del  Corpo,  della  rappresentanza   o   del
collegio»; condotta cui il secondo  comma  equipara  quella  commessa
mediante comunicazione telegrafica ovvero scritti o  disegni  diretti
ai medesimi destinatari. La  pena  originariamente  prevista  per  le
fattispecie base di cui al primo e al secondo comma era la reclusione
da sei mesi a tre anni: ed era  dunque  piu'  elevata,  nel  massimo,
rispetto a quella stabilita per il delitto di  oltraggio  a  pubblico
ufficiale,  da  cio'  desumendosi  la  maggiore  gravita'   -   nella
valutazione dei compilatori - del delitto di cui  all'art.  342  cod.
pen.
    2.2.- Con  sentenza  n.  341  del  1994  questa  Corte  dichiaro'
l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  341,  primo  comma,  cod.
pen., nella parte in cui prevedeva la pena  minima  di  sei  mesi  di
reclusione, in ragione  del  contrasto  di  tale  previsione  con  il
principio di proporzionalita' della pena, desunto dagli artt. 3 e 27,
terzo comma, Cost.,  anche  in  rapporto  all'assai  piu'  favorevole
minimo edittale previsto per il delitto di ingiuria  (art.  594  cod.
pen.). Per effetto di tale pronuncia, il minimo edittale  applicabile
al delitto di  oltraggio  a  pubblico  ufficiale  divenne  quello  di
quindici giorni di reclusione, stabilito in via generale dall'art. 23
cod. pen. con disposizione destinata  ad  applicarsi  in  difetto  di
determinazione di una pena minima da parte delle singole disposizioni
incriminatrici.
    La di poco successiva sentenza n. 313 del 1995 rigetto',  invece,
un'analoga questione di legittimita' costituzionale avente ad oggetto
il minimo di sei mesi di reclusione stabilito per il delitto  di  cui
all'art. 342  cod.  pen.,  rilevando  come  l'oltraggio  a  un  corpo
politico,  amministrativo  o   giudiziario   non   potesse   «affatto
ricondursi, sul  piano  della  lesivita',  ad  una  mera  ipotesi  di
oltraggio "plurimo", giacche' nella fattispecie  descritta  dall'art.
342 del codice penale e' la specifica qualita'  dell'organo  e  delle
attribuzioni  che  esso  esprime  a  rappresentare  la   connotazione
tipizzante e, dunque, un valore da tutelare adeguatamente anche sotto
il profilo dell'onore e  del  prestigio,  per  i  naturali  riverberi
negativi che l'offesa puo' in se' determinare sul corretto  e  sereno
svolgimento delle funzioni che il corpo o il collegio e'  chiamato  a
esercitare».
    2.3.- La legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega del Governo per  la
depenalizzazione dei reati minori e modifiche  al  sistema  penale  e
tributario) abrogo' poi il delitto di oltraggio di cui  all'art.  341
cod. pen., e modifico' la cornice edittale dell'art. 342  cod.  pen.,
prevedendo per tale figura criminosa - rimasta  inalterata  nei  suoi
elementi costitutivi - la pena della reclusione «fino  a  tre  anni»,
con conseguente abbassamento del minimo edittale alla soglia generale
di quindici giorni di cui all'art. 23 cod. pen.
    2.4.- Il trattamento sanzionatorio del  delitto  di  oltraggio  a
corpo politico, amministrativo o giudiziario di cui all'art. 342 cod.
pen. fu poi oggetto di un ulteriore intervento ad opera  della  legge
24 febbraio 2006, n. 85 (Modifiche al codice  penale  in  materia  di
reati di  opinione),  che  sostitui'  alla  pena  detentiva  la  pena
pecuniaria attualmente in vigore (multa da 1.000 a 5.000 euro).
    2.5.- Tre anni piu' tardi, la legge n. 94 del 2009 ripristino' il
delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, collocandolo pero'  in  un
nuovo art. 341-bis cod. pen. e modificandone in maniera non marginale
gli  elementi  costitutivi   rispetto   all'originaria   formulazione
dell'abrogato art. 341 cod. pen.
    Il nuovo art. 341-bis, primo comma, cod. pen.  incrimina  infatti
«chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e  in  presenza  di
piu'  persone,  offende  l'onore  ed  il  prestigio  di  un  pubblico
ufficiale mentre compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio
delle sue funzioni». Rispetto alla formulazione  previgente,  debbono
dunque ricorrere - accanto a un fatto offensivo  dell'onore  «e»  del
prestigio (in luogo dell'onore  «o»  del  prestigio,  come  richiesto
dalla vecchia formulazione) occasionato dall'esercizio delle funzioni
da parte del pubblico ufficiale - gli  ulteriori  requisiti,  assenti
nell'abrogato art. 341 cod. pen.: a) della commissione del  fatto  in
luogo pubblico o aperto al pubblico, b) in presenza di piu'  persone,
c) «mentre» il pubblico ufficiale compie un  atto  del  suo  ufficio,
escludendosi dunque la rilevanza del  fatto  a  titolo  di  oltraggio
allorche' l'offesa sia proferita in ragione  di  un  precedente  atto
d'ufficio del pubblico ufficiale,  in  diverso  contesto  spaziale  e
temporale.
    La cornice edittale prevista dal  legislatore  del  2009  per  la
fattispecie base del "nuovo" delitto di  oltraggio  di  cui  all'art.
341-bis cod. pen., la  cui  legittimita'  costituzionale  costituisce
oggetto del presente giudizio, e' quella della reclusione «fino a tre
anni», e dunque con un minimo edittale di quindici  giorni  ai  sensi
del piu' volte menzionato art. 23 cod. pen.
    2.6.- La cornice edittale dell'art. 341-bis cod. pen.  e'  stata,
peraltro,  nel  frattempo  nuovamente  modificata,  per  effetto  del
decreto-legge 14 giugno 2019, n. 53 (Disposizioni urgenti in  materia
di ordine e sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, nella
legge 8 agosto 2019, n. 77, che ha reintrodotto  per  la  fattispecie
base l'originario minimo di sei mesi  di  reclusione,  mantenendo  il
massimo di tre anni.
    Tale   modifica   normativa,   sopravvenuta   all'ordinanza    di
rimessione, non e' tuttavia idonea a spiegare  alcuna  incidenza  nel
giudizio a quo, stante il  suo  carattere  deteriore  per  l'imputato
rispetto alla disciplina vigente al  momento  del  fatto,  e  la  sua
conseguente inapplicabilita' al caso  concreto,  giusta  il  disposto
dell'art. 2, quarto comma, cod. pen.
    3.- Tutto cio' premesso, la censura formulata dal  rimettente  in
relazione all'art. 3 Cost. non e' fondata.
    3.1- Il giudice a quo assume, anzitutto, la  sussistenza  di  una
irragionevole disparita'  di  trattamento  tra  la  cornice  edittale
(reclusione da quindici giorni a tre anni) prevista per il delitto di
cui all'art. 341-bis, primo comma, cod.  pen.,  riferita  al  momento
della commissione del fatto oggetto del giudizio principale, e quella
(multa da 1.000 a  5.000  euro)  stabilita  per  il  delitto  di  cui
all'art. 342 cod. pen., assunto quale tertium comparationis.
    L'argomento si basa sull'asserita similitudine di  disvalore  tra
le due fattispecie assunte a raffronto, che sarebbe  attestata  dalla
sostanziale identita' dei beni giuridici tutelati;  similitudine  che
renderebbe irragionevole la disparita' nel trattamento  sanzionatorio
previsto per ciascuna di esse.
    3.2.- In effetti, nel disegno  originario  del  codice  Rocco  la
fattispecie  di  oltraggio  a  corpo   politico,   amministrativo   o
giudiziario era connotata da maggior gravita' rispetto  all'oltraggio
al  singolo  pubblico  ufficiale,  come  era  reso   evidente   dalla
previsione - a parita'  di  minimo  -  di  un  piu'  elevato  massimo
edittale (tre anni di reclusione per il delitto di cui  all'art.  342
cod. pen. contro i due stabiliti dall'art. 341 cod. pen.).
    La valutazione del piu' elevato disvalore dell'oltraggio al corpo
politico, amministrativo o giudiziario costitui', del resto, la ratio
decidendi della menzionata sentenza n. 313  del  1995  (supra,  punto
2.2.), con la quale questa Corte rifiuto' di estendere  all'art.  342
cod. pen. la declaratoria di illegittimita' costituzionale del minimo
edittale di sei  mesi  di  reclusione  che  l'anno  precedente  aveva
colpito l'art. 341 cod. pen.
    Tale rapporto di gravita'  scalare  tra  i  due  delitti  qui  in
considerazione fu poi confermato dalle novelle legislative del 1999 e
del 2006 poc'anzi rammentate, con le  quali  si  procedette  dapprima
all'abrogazione  dell'art.  341  cod.  pen.  -   mantenendosi   pero'
l'incriminazione  di  cui  all'art.  342  cod.   pen.,   in   ragione
evidentemente della sua ritenuta maggiore  gravita'  -;  e  poi  alla
sostituzione  della  pena  detentiva  originariamente   prevista   da
quest'ultima norma  con  una  pena  meramente  pecuniaria,  la  quale
assicurava pero' il  contestuale  inquadramento  come  delitto  della
fattispecie ivi prevista,  a  fronte  dell'avvenuta  depenalizzazione
dell'oltraggio "individuale".
    3.3.- Il rapporto tra i rispettivi quadri edittali previsti per i
due  delitti  si  inverte  soltanto  in  seguito  alla   scelta   del
legislatore  del  2009  di  criminalizzare   nuovamente   l'oltraggio
"individuale", attraverso l'introduzione dell'art. 341-bis cod.  pen.
oggetto delle odierne censure di illegittimita' costituzionale. Ferma
la punibilita' con la mera  sanzione  della  multa  dell'oltraggio  a
corpo politico, amministrativo o giudiziario in seguito alla  riforma
del 2006, l'oltraggio a  pubblico  ufficiale  viene  a  questo  punto
sanzionato con la reclusione fino a tre anni (e dunque, con  la  pena
minima di quindici  giorni  di  reclusione);  il  che  determina  per
l'appunto la disparita' di trattamento sanzionatorio di cui si  duole
il rimettente.
    3.4.- Ritiene  tuttavia  questa  Corte  che  tale  disparita'  di
trattamento sia sorretta da sufficienti ragioni giustificative, e non
violi pertanto l'art. 3 Cost., in ragione delle modifiche strutturali
subite dalla  "rinata"  fattispecie  di  oltraggio  di  cui  all'art.
341-bis cod. pen. rispetto al paradigma disegnato dall'abrogato  art.
341 cod. pen.
    Tra tali modifiche, poc'anzi ricapitolate  (supra,  punto  2.5.),
merita di essere qui segnalata  l'introduzione  di  un  requisito  di
stretta contestualita' tra la condotta del reo e il compimento di uno
specifico atto dell'ufficio da parte del pubblico ufficiale, espresso
dalla locuzione «mentre compie un atto d'ufficio» - il  medesimo  che
compare anche nella fattispecie di resistenza a pubblico ufficiale di
cui all'art. 337  cod.  pen.  Il  requisito  in  parola  da  un  lato
restringe l'ambito applicativo della  nuova  fattispecie  rispetto  a
quella  previgente;  e  dall'altro  ne  arricchisce   la   dimensione
offensiva, affiancando alla duplice  lesione  dell'onore  individuale
del pubblico ufficiale che subisce l'offesa,  nonche'  del  prestigio
dell'amministrazione d'appartenenza - beni,  l'uno  e  l'altro,  gia'
tutelati dalla norma incriminatrice abrogata -, una nuova  dimensione
di pericolo per la concreta attuazione dello specifico atto d'ufficio
che la condotta del reo mira evidentemente ad  ostacolare,  e  dunque
per il regolare esercizio della pubblica funzione svolta in  concreto
dal pubblico ufficiale. Esercizio che, vale la pena rammentarlo, deve
essere legittimo  e  non  arbitrario,  configurandosi  altrimenti  in
favore del privato la scriminante di cui all'art. 393-bis cod. pen.
    Conforta questa ricostruzione anche la mancata riproposizione, da
parte  del  legislatore  del  2009,  della   circostanza   aggravante
dell'essere stato il fatto commesso con violenza o minaccia, prevista
dal quarto comma dell'abrogato art. 341 cod. pen.: previsione che  si
giustificava  proprio  in  relazione   alla   possibilita'   che   la
commissione del fatto non fosse in concreto connessa allo svolgimento
attuale di  uno  specifico  atto  d'ufficio  da  parte  del  pubblico
ufficiale. Avendo ora il legislatore richiesto, invece,  un  rapporto
di stretta contestualita' tra la condotta e il  compimento  dell'atto
d'ufficio da parte  del  pubblico  ufficiale,  l'uso  di  violenza  o
minaccia  da  parte  dell'agente  sara'  normalmente  funzionale   ad
ostacolare  il  compimento  dell'atto  d'ufficio,   con   conseguente
configurabilita' della piu' grave ipotesi delittuosa di cui  all'art.
337 cod. pen.
    Nella  nuova  fisionomia  risultante  dalla  riforma  del   2009,
l'oltraggio si configura dunque come delitto offensivo anche del buon
andamento della pubblica  amministrazione,  sub  specie  di  concreto
svolgimento della (legittima) attivita' del pubblico  ufficiale,  non
diversamente da quanto accade - per l'appunto - per il delitto di cui
all'art. 337 cod. pen.: delitto,  quest'ultimo,  che  viene  cosi'  a
collocarsi in rapporto di possibile progressione  criminosa  rispetto
all'oltraggio, in relazione al non remoto pericolo  che  la  reazione
verbale  contro   il   pubblico   ufficiale   possa   trasmodare   in
un'aggressione minacciosa o addirittura violenta nei suoi  confronti,
ad opera dello stesso autore del reato o dei terzi  che,  secondo  la
nuova  formulazione,  debbono  necessariamente  essere  presenti   al
momento del fatto. Pericolo particolarmente acuto  nelle  ipotesi  in
cui il fatto sia commesso in occasione di  manifestazioni  pubbliche,
come e' accaduto proprio nel caso oggetto del processo a quo.
    Tale specifica dimensione offensiva non e' invece presente  -  se
non in termini del tutto  sfumati  ed  eventuali  -  nel  delitto  di
oltraggio a corpo politico,  amministrativo  o  giudiziario,  che  si
limita a richiedere che l'espressione offensiva  sia  profferita  «al
cospetto» del corpo, della sua rappresentanza o del collegio,  ovvero
addirittura mediante comunicazione offensiva "a distanza" diretta  ai
destinatari, senza esigere alcun  nesso  con  il  compimento  di  uno
specifico atto dell'ufficio da parte dell'istituzione offesa.
    A fronte di tale arricchita dimensione offensiva  -  e  a  fronte
della riduzione, rispetto al passato, dell'ambito  applicativo  della
fattispecie  -  non  puo'  ritenersi  irragionevole  la  scelta   del
legislatore di stabilire  per  l'oltraggio  "individuale"  un  quadro
edittale piu' severo di quello previsto per il delitto di oltraggio a
corpo politico, amministrativo o giudiziario.
    4.- Nemmeno puo'  ritenersi  fondata  la  censura  formulata  con
riferimento al principio di proporzionalita' della pena: principio la
cui base giuridica e' individuata dal rimettente nel  solo  art.  27,
terzo comma, Cost., ma che la giurisprudenza di questa Corte  ritiene
fondato sul combinato disposto di tale norma e dell'art. 3 Cost.  (ex
multis, tra le piu' recenti, sentenze n. 40  del  2019,  n.  222  del
2018, n. 236 del 2016, n. 68 del 2012, nonche' la stessa sentenza  n.
341 del 1994, piu' volte citata), in un orizzonte normativo che tiene
conto anche delle corrispondenti garanzie  riconosciute  dalla  CDFUE
(art. 49, paragrafo 3) e dalla giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell'uomo (sentenza  26  aprile  2016,  Murray  contro  Paesi
Bassi, par. 99; sentenza 9 luglio 2013, Vinter e altri  contro  Regno
Unito, par.  102)  relativa  all'art.  3  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848.
    4.1.- Non erra, in verita', il giudice a quo nel sottolineare che
la  giurisprudenza  costituzionale  piu'  recente   ha   gradatamente
affrancato il sindacato di conformita' al  principio  di  proporzione
della pena edittale  dalle  strettoie  segnate  dalla  necessita'  di
individuare un  preciso  tertium  comparationis  da  cui  mutuare  la
cornice sanzionatoria destinata a  sostituirsi  a  quella  dichiarata
incostituzionale; e ha spesso privilegiato (almeno  a  partire  dalla
sentenza  n.  343  del  1993)   un   modello   di   sindacato   sulla
proporzionalita'  "intrinseca"  della  pena,  che  -  ferma  restando
l'ampia  discrezionalita'  di   cui   il   legislatore   gode   nella
determinazione delle cornici edittali (ex multis, sentenze n.  233  e
n. 222 del 2018,  n.  179  del  2017,  n.  148  del  2016)  -  valuta
direttamente se la pena comminata debba  considerarsi  manifestamente
eccessiva rispetto al fatto sanzionato, ricercando  poi  nel  sistema
punti di riferimento gia' esistenti per ricostruire in via interinale
un nuovo quadro  sanzionatorio  in  luogo  di  quello  colpito  dalla
declaratoria  di  incostituzionalita',  nelle  more  di   un   sempre
possibile intervento legislativo  volto  a  rideterminare  la  misura
della pena, nel rispetto dei principi costituzionali (per una recente
giustapposizione tra i due modelli di sindacato, sentenza n. 112  del
2019, Considerato in diritto, rispettivamente punti 8.1.2. e 8.1.3.).
    Il rimettente incentra pero' apparentemente  la  propria  censura
sull'asserita sproporzione  del  massimo  edittale  di  tre  anni  di
reclusione previsto per il delitto di oltraggio.
    Ora, tutte le questioni sinora accolte da  questa  Corte  con  le
quali si sollecitava un sindacato sulla proporzionalita' "intrinseca"
della pena hanno avuto a oggetto il minimo edittale (cosi' le  citate
sentenze n. 40 del 2019 e n. 236 del  2016),  ovvero  il  divieto  di
prevalenza o equivalenza  di  circostanze  attenuanti  rispetto  alle
circostanze aggravanti (sentenze n. 207 del 2017, n. 106 e n. 105 del
2014, n. 251 del 2012), o ancora pene fisse  nel  loro  ammontare,  e
pertanto foriere di risultati sanzionatori  manifestamente  eccessivi
in relazione a  taluni  almeno  dei  fatti  abbracciati  dalla  norma
incriminatrice (sentenza n. 222 del 2018, nonche' - mutatis  mutandis
- sentenza n. 112 del 2019, in materia di  sanzioni  amministrative).
In tutti questi casi sono venuti dunque in esame  altrettanti  limiti
normativi alla  discrezionalita'  del  giudice  nella  commisurazione
della  pena,  che  lo  vincolavano   a   infliggere   pene   ritenute
manifestamente eccessive rispetto a  classi  di  ipotesi  situate  ai
gradini piu' bassi della scala di  disvalore  idealmente  tracciabile
all'interno del perimetro disegnato dalla fattispecie astratta.
    Una  doglianza  di  manifesta  sproporzione  della  pena  appare,
invece, gia' in astratto  poco  plausibile  in  rapporto  al  massimo
edittale, essendo normalmente possibile per il giudice  utilizzare  i
propri poteri discrezionali ex art. 133 cod. pen. per  commisurare  -
all'interno  della   cornice   edittale   -   una   pena   inferiore,
proporzionata al disvalore del fatto concreto.
    Laddove, dunque, il giudice a quo  avesse  effettivamente  inteso
dolersi del massimo edittale di tre anni di reclusione previsto dalla
disposizione in esame, la sua censura sarebbe risultata inammissibile
per irrilevanza, in difetto di  ogni  motivazione  sul  perche'  egli
abbia ritenuto di non poter infliggere  all'imputata  una  pena  piu'
contenuta e in concreto proporzionata al disvalore del fatto, purche'
non inferiore al minimo legale di quindici giorni  di  reclusione,  e
tale comunque da poter essere - come di solito accade in questi  casi
- condizionalmente sospesa, ovvero convertita in pena  pecuniaria  ai
sensi dell'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al
sistema penale).
    E' plausibile tuttavia ritenere che il  rimettente  abbia  invece
inteso denunciare - mediante il riferimento testuale alla  previsione
di una «pena detentiva con massimo edittale di tre anni» - il difetto
di proporzionalita'  "intrinseca"  del  complessivo  quadro  edittale
previsto dalla disposizione in  esame,  e  dunque  anche  del  minimo
legale di quindici giorni di reclusione.
    Una tale censura non  puo'  comunque  trovare  accoglimento,  dal
momento che la sostituzione automatica dell'originaria pena minima di
sei mesi di reclusione con quella - risultante dall'art. 23 cod. pen.
- di quindici giorni di reclusione per il  delitto  di  oltraggio  e'
gia' stata implicitamente ritenuta compatibile con gli artt. 3 e  27,
terzo comma, Cost. dalla sentenza n. 341 del 1994, in relazione a una
fattispecie   astratta   caratterizzata,   come   si   e'    poc'anzi
sottolineato, da minor pregnanza offensiva rispetto a quella che  ora
caratterizza il delitto di cui all'art. 341-bis cod. pen.
    4.2.- Tale conclusione non muta nemmeno al cospetto dei parametri
sovranazionali, richiamati dal rimettente come criteri interpretativi
delle norme costituzionali interne, ma rispetto ai quali non  vengono
fornite indicazioni giurisprudenziali da cui  desumere  il  carattere
sproporzionato  del  ricorso  a  sanzioni  detentive  nei   confronti
dell'autore di un oltraggio.
    Al di la' del generico richiamo al principio di  proporzionalita'
della  pena  di  cui  all'art.  49,  paragrafo  3,   CDFUE,   affatto
inconferenti appaiono, in particolare, i richiami del giudice  a  quo
alla sentenza della Corte EDU, 24 settembre  2013,  Belpietro  contro
Italia, che concerne la tematica dei limiti di liceita'  del  ricorso
alla  sanzione  penale,  soprattutto  se  di  natura  detentiva,  per
sanzionare   fatti    lesivi    dell'onore    individuale    commessi
nell'esercizio dell'attivita' giornalistica - attivita' cui la  Corte
europea riconosce il  cruciale  ruolo  di  "cane  da  guardia"  della
democrazia (ex multis, Corte EDU, sentenze 17 dicembre 2004,  Cumpănă
e Mazăre contro Romania, paragrafo  93,  e  27  marzo  1993,  Goodwin
contro Regno Unito, paragrafo 39) - in  relazione  alle  esigenze  di
tutela della  liberta'  di  espressione  di  cui  all'art.  10  CEDU:
tematica che, all'evidenza, nulla ha a che vedere con la questione se
sia  legittimo  comminare  sanzioni  detentive  a  chi  pubblicamente
insulti un pubblico ufficiale mentre compie uno specifico e legittimo
atto del proprio ufficio.
     
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 341-bis del codice penale, introdotto dall'art. 1, comma 8,
della legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica), sollevate, in riferimento agli  artt.  3  e  27,
terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario  di  Torino,
sezione sesta penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2019.

                                F.to:
                       Aldo CAROSI, Presidente
                    Francesco VIGANO', Redattore
                     Roberto MILANA, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2019.

                   Il Direttore della Cancelleria
                        F.to: Roberto MILANA 

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