N. 66 ORDINANZA 10 marzo - 10 aprile 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati e pene - Procedimento per decreto - Irrogazione di una pena
pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva - Criteri di
ragguaglio - Denunciata disparita' di trattamento rispetto a quelli
previsti in caso di sostituzione di pene detentive brevi e
contrasto con la funzione rieducativa della pena - Manifesta
infondatezza delle questioni.
- Codice di procedura penale, art. 459, comma 1-bis, introdotto
dall'art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017, n. 103.
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma.
(GU n.16 del 15-4-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma
1-bis, del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma
53, della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale,
al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario),
promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
ordinario di Macerata con ordinanza del 20 settembre 2017, iscritta
al n. 110 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno
2019.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 10 marzo 2020 il Giudice
relatore Francesco Vigano';
deliberato nella camera di consiglio del 10 marzo 2020.
Ritenuto che, con ordinanza del 20 settembre 2017, il Giudice per
le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha
sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione -
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1-bis,
del codice di procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 53,
della legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al
codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario), «nella
parte in cui prevede che il valore giornaliero di conversione della
pena detentiva in pecuniaria sia pari ad euro 75 e fino a tre volte
tale ammontare tenuto conto della condizione economica complessiva
dell'imputato e del suo nucleo familiare»;
che l'ordinanza di rimessione e' stata pronunciata nel
procedimento a carico di R. C., imputata del reato di cui all'art.
186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.
285 (Nuovo codice della strada), in relazione al quale il pubblico
ministero ha chiesto l'emissione di decreto penale di condanna,
indicando la pena da irrogare in 775 euro di ammenda;
che tale importo e' stato calcolato a partire da una pena base di
dieci giorni di arresto e 800 euro di ammenda, sulla quale e' stata
operata la diminuzione prevista dall'art. 459, comma 2, cod. proc.
pen. in ragione della specialita' del rito, pervenendosi cosi' a una
pena di 5 giorni di arresto (convertita a sua volta in ammenda in
ragione di 75 euro pro die) e 400 euro di ammenda;
che, secondo il giudice a quo, le questioni sarebbero rilevanti,
attesa l'insussistenza di presupposti per rigettare la richiesta del
pubblico ministero di emissione del decreto;
che la norma censurata sarebbe lesiva dell'art. 3 Cost.,
introducendo, per il solo procedimento per decreto, un trattamento
sanzionatorio irragionevolmente differenziato rispetto a quello
applicabile nell'ambito del rito ordinario, atteso che nel primo caso
la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria avverrebbe a
un tasso giornaliero compreso tra 75 e 225 euro, tenuto conto della
condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo
familiare, laddove nel secondo caso il tasso di ragguaglio sarebbe
compreso tra 250 e 2500 euro pro die, in base al combinato disposto
degli artt. 135 del codice penale e 53 della legge 24 novembre 1981,
n. 689 (Modifiche al sistema penale), «con differenza che non trova
origine nella diversa natura dei fatti oggetto di giudizio» e che
dipenderebbe solo dalla scelta discrezionale del pubblico ministero
di procedere o meno con richiesta di decreto penale di condanna;
che, con specifico riferimento al giudizio a quo, la pena da
irrogare a R. C., ai sensi dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc.
pen. sarebbe pari a 775 euro, laddove, in caso di opposizione al
decreto penale di condanna e di celebrazione del dibattimento, la
pena applicabile ammonterebbe a non meno di 3.300 euro; risultato -
questo - incompatibile con il criterio di eguaglianza e
ragionevolezza, poiche' non razionalmente correlabile alla mera non
opposizione dell'imputata al decreto penale;
che un effetto premiale della portata di quello previsto
dall'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. non sarebbe stabilito per
nessun altro rito alternativo, incluso il patteggiamento, ove
l'imputato «di fatto rinunzia a difendersi», a fronte di uno sconto
di pena, peraltro inferiore a quello conseguibile nel procedimento
per decreto;
che non eliderebbe i denunciati profili di incostituzionalita'
della norma censurata la possibilita', per il giudice, di sindacare
la congruita' della pena da irrogare nel procedimento per decreto,
atteso che detta valutazione riguarderebbe la pena originariamente
determinata dal pubblico ministero e la compatibilita' della
conversione con le finalita' deterrenti e rieducative, laddove il
tasso di ragguaglio e la necessita' di tenere in considerazione le
condizioni economiche dell'imputato e del suo nucleo familiare
sarebbero elementi prefissati dall'art. 459, comma 1-bis, cod. proc.
pen.;
che la natura discriminatoria e l'irragionevolezza di
quest'ultima disposizione non sarebbero d'altra parte superate dalla
possibilita', per il giudice, di commisurare la pena all'interno di
una forbice compresa tra 75 e 225 euro e di applicare le circostanze
attenuanti generiche, poiche' tali profili, propri sia del rito
speciale per decreto, sia del rito ordinario, non scalfirebbero il
quadro di «totale eterogeneita'» dell'esito sanzionatorio
conseguibile rispettivamente nell'ambito di ciascun procedimento;
che il rimettente dubita infine della conformita' della
disposizione censurata all'art. 27 Cost., ritenendo incompatibile con
il fine rieducativo della pena «la irrogazione di una pena pari anche
a meno di 1/20 di quella irroganda all'esito di giudizio ordinario»;
che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo dichiararsi l'infondatezza delle questioni
sollevate;
che, ad avviso dell'interveniente, il procedimento per decreto
penale di condanna e la sostituzione delle pene detentive brevi
disciplinata dall'art. 53 della legge n. 689 del 1981 sarebbero
istituti assolutamente eterogenei, l'uno di carattere processuale,
l'altro di natura sostanziale, sicche' il secondo non potrebbe
fungere da tertium comparationis rispetto alla norma censurata;
che, ancora, il procedimento per decreto non avrebbe natura di
rito premiale in senso stretto, a differenza del giudizio abbreviato
e del patteggiamento, sicche' non sarebbe possibile operare una utile
comparazione tra istituti;
che sarebbe altresi' ingiustificato porre a confronto il
risultato sanzionatorio conseguibile all'esito del procedimento per
decreto rispetto a quello riconducibile al rito ordinario, avuto
riguardo alle finalita' acceleratorie e deflattive che connotano il
primo procedimento;
che, infine, questioni identiche a quelle sollevate dal giudice a
quo sarebbero state dichiarate da questa Corte infondate con la
sentenza n. 155 del 2019.
Considerato che il Tribunale ordinario di Macerata dubita - in
riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione - della legittimita'
costituzionale dell'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura
penale, introdotto dall'art. 1, comma 53, della legge 23 giugno 2017,
n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e
all'ordinamento penitenziario), «nella parte in cui prevede che il
valore giornaliero di conversione della pena detentiva in pecuniaria
sia pari ad euro 75 e fino a tre volte tale ammontare tenuto conto
della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo
familiare»;
che questioni identiche a quelle sollevate dal rimettente sono
gia' state esaminate da questa Corte e ritenute infondate con la
sentenza n. 155 del 2019;
che in detta pronuncia questa Corte ha ritenuto insussistente la
lamentata lesione dell'art. 3 Cost., in relazione alla disparita' di
trattamento tra gli imputati giudicati con il procedimento per
decreto penale da un lato, e gli imputati giudicati con il
procedimento ordinario o con altri riti speciali dall'altro lato,
avuto riguardo alla finalita' di incentivazione della scelta del
procedimento per decreto perseguita dal legislatore, il quale non ha
dunque travalicato l'ampia discrezionalita' di cui gode in materia di
determinazione dei trattamenti sanzionatori (ex plurimis, sentenze n.
40 del 2019, n. 222 del 2018 e n. 236 del 2016) cosi' come di
disciplina degli istituti processualpenalistici (ex multis, sentenza
n. 236 del 2018);
che, sempre nella sentenza n. 155 del 2019, questa Corte ha
respinto una censura, analoga a quella oggi formulata, di
contrarieta' dell'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. all'art. 27
Cost., evidenziando come la denunciata eccessiva tenuita' del
trattamento sanzionatorio introdotto dalla disposizione censurata sia
insuscettibile di risolversi in un vulnus alla funzione rieducativa
della pena, atteso che tale finalita' risulta costantemente evocata,
nella giurisprudenza costituzionale, in relazione alla necessita' che
la pena non sia sproporzionata per eccesso rispetto alla gravita' del
fatto di reato (ex multis, sentenze n. 40 del 2019, n. 233 e n. 222
del 2018), e non certo a sostegno di pronunce il cui effetto sia
quello di inasprire il trattamento sanzionatorio previsto
discrezionalmente dal legislatore;
che il rimettente non prospetta argomentazioni diverse da quelle
gia' esaminate e disattese da questa Corte nella sentenza n. 155 del
2019, sicche' le odierne questioni debbono essere dichiarate
manifestamente infondate.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 459, comma 1-bis, del codice di
procedura penale, introdotto dall'art. 1, comma 53, della legge 23
giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di
procedura penale e all'ordinamento penitenziario), sollevate, in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, dal
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di
Macerata con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 marzo 2020.
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Francesco VIGANO', Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 aprile 2020.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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