Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 23/05/2023) 08-06-2023, n. 16270
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo - Presidente -
Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
Dott. IANNELLO Emilio - Consigliere -
Dott. GORGONI Marilena - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9098/2020 R.G. proposto da:
x
- intimati -
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Catania n. 2063/2019 depositata il 24/09/2019;
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 23/05/2023 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.
Svolgimento del processo
che:
x conveniva il Comune di Catania, innanzi al Tribunale di Catania, perchè fosse condannato a risarcirgli i danni che sosteneva di aver subito a seguito di un infortunio accaduto in data (Omissis), allorchè, alla guida della sua moto Cagiva, intento a percorrere la strada (Omissis) in direzione della (Omissis), a causa di dossi e deformazioni del manto stradale non segnalati, cadeva, riportando danni alla moto per Euro 3.229,03 e danni fisici quantificati in Euro 52.000,00;
il Comune contestava la fondatezza della domanda ed eccepiva che la strada ove era accaduto il sinistro rientrava tra le aree cedute al Consorzio x, il quale veniva chiamato in giudizio;
il Tribunale, con sentenza n. 2500/13, accertato che la strada, teatro della caduta, era stata realizzata ed era di proprietà del Consorziox, riconosceva il concorso di responsabilità dell'attore nella misura del 50% e poneva il restante 50% a carico del Consorzio x, il quale veniva condannato al pagamento di Euro 4.390,26;
il Consorzio x impugnava detta sentenza dinanzi alla Corte d'Appello di Catania, la quale, con la decisione n. 2063/2019, resa pubblica in data 24 settembre 2019, accoglieva parzialmente l'appello e condannava il Comune di Catania e il Consorzio x, in solido tra loro, al pagamento di Euro 4.390,26, cioè la stessa somma liquidata a A.A. dal Tribunale;
il Comune di Catania ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi;
x non hanno svolto attività difensiva in questa sede;
la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c.;
il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
Motivi della decisione
che:
1) con il primo motivo, rubricato "Violazione e/o errata interpretazione dell'art. 2051 c.c., con riferimento all'art. 360 c.p.c., punto 3: Violazione dell'art. 14 C.d.S., con riferimento all'art. 360 c.p.c., punto 3", il ricorrente lamenta che la Corte d'Appello - dopo aver correttamente accertato che la strada ove si era verificato l'incidente era di proprietà del Consorzio x, cui spettava, quindi, anche l'obbligo di custodia - abbia posto, contraddicendosi, a suo carico l'obbligo di verificare che la manutenzione dell'area e dei relativi manufatti fosse stata eseguita e, conseguentemente, l'obbligo di provvedervi;
precisa che la Corte d'Appello sarebbe giunta a tale conclusione solo in ragione del fatto che aveva consentito che sulla strada si svolgesse il pubblico transito e sulla scorta di un indirizzo giurisprudenziale inconferente, perchè relativo ad una strada privata asservita al pubblico passaggio;
2) con il secondo motivo il Comune lamenta la violazione e/o errata interpretazione o applicazione dell'art. 2051 c.c.;
sostiene, specificamente, che la Corte territoriale non avrebbe considerato che la strada (Omissis) era di proprietà esclusiva del Consorzio x, ente pubblico creato per la realizzazione e la gestione delle aree industriali, che detta strada, come tutte quelle realizzate all'interno dell'area industriale, era sì aperta al pubblico transito, ma non per asservimento all'uso pubblico da parte del Comune, atteso che il Consorzio era obbligato a permettere il pubblico transito nella qualità di proprietario ed esclusivo custode dell'area e delle strade realizzate nella zona industriale;
3) con il terzo motivo il Comune di Catania imputa alla sentenza gravata la violazione dell'art. 14 C.d.S. (a mente del quale i proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e fluidità della circolazione provvedono alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade e relative pertinenze e arredo nonchè al controllo tecnico dell'efficienza delle strade e relative pertinenze ed all'apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta), in quanto sarebbe stato ritenuto corresponsabile, insieme con il Consorzio, sulla scorta di pronunce di questa Corte relative a strade private asservite all'uso pubblico; la Corte d'Appello sarebbe incorsa, altresì, nella violazione dell'art. 2043 c.c., avendogli attribuito una responsabilità che avrebbe potuto ascriverglisi solo se fosse stato il proprietario della strada;
4) con il quarto motivo il Comune censura la violazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 192, nonchè l'omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
la tesi del ricorrente è che, non essendo proprietario della strada, non gli sarebbe stato possibile esercitare l'attività di manutenzione, tantomeno avrebbe potuto intervenire per manutenere la strada al posto del Consorzio, per poi agire in rivalsa nei suoi confronti, perchè, per farlo, avrebbe dovuto distrarre risorse economiche destinate ad altri fini istituzionali;
5) i primi tre motivi sottopongono al Collegio la stessa quaestio iuris e cioè se il Comune di Catania possa essere considerato custode e tenuto alla manutenzione di una strada privata, appartenente al Consorzio c, aperta al pubblico transito e, quindi, possono essere fatti oggetto di un esame congiunto;
6) va ribadito che il Comune è custode della strada, a prescindere dal fatto che sia di proprietà privata, ove essa sia - come nella specie - adibita a pubblico transito; questa Corte, con un orientamento costante da cui non emergono ragioni per discostarsi, premesso che, ai fini della definizione stessa di "strada", è rilevante, ai sensi dell'art. 2 C.d.S., comma 1, la destinazione di una determinata superficie ad uso pubblico, e non la titolarità pubblica o privata della proprietà, ritiene che sia "l'uso pubblico a giustificare, per evidenti ragioni di ordine e sicurezza collettiva, la soggezione delle aree alle norme del C.d.S. e la legittimazione passiva del Comune, fondata sugli obblighi di custodia correlati al controllo del territorio e alla tutela della sicurezza ed incolumità dei fruitori delle strade di uso pubblico, in relazione agli eventuali danni riportati dagli utenti della strada. Ciò è confermato dall'ultimo inciso dell'art. 2, comma 6, ai sensi del quale anche le strade "vicinali" sono assimilate alle strade comunali, nonostante la strada vicinale sia per definizione (art. 3, comma 1, n. 52, stesso codice) di proprietà privata, anche in caso di destinazione ad uso pubblico": da ultimo, in tal senso, cfr. Cass. 29/03/2023, n. 8879;
la quaestio iuris in ordine al se l'obbligo di custodia dell'amministrazione comunale si estenda alle strade di proprietà privata, come quella per cui è causa, va risolta nel senso che la natura privata della strada non è sufficiente per escludere la responsabilità dell'amministrazione comunale, ai sensi dell'art. 2051 c.c. (Cass. n. 8879/2023, cit.) nè per esonerarlo dall'obbligo di provvedere alla sua manutenzione;
è appena il caso di aggiungere che la legittimazione passiva del Comune può non essere esclusiva e concorrere, come in questo caso, con quella del Consorzio, tenuto, a sua volta, all'obbligo di custodia e di manutenzione, in quanto proprietario della strada;
4) il quarto motivo, in tutte le sue articolazioni - anche quella in cui, deducendo che non avrebbe potuto distrarre risorse pubbliche destinate istituzionalmente ad altri fini per provvedere alla manutenzione di una strada privata, sottopone all'attenzione del Collegio una questione nuova che non risulta sia stata oggetto del giudizio di merito - è assorbito dal rigetto dei primi tre motivi di ricorso;
5) il ricorso va, dunque, rigettato;
6) non deve provvedersi alla liquidazione delle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede;
7) si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per porre a carico del ricorrente l'obbligo di pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio dalla Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 23 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2023
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