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giovedì 16 giugno 2011

Consiglio di Stato "...Con il presente gravame il ricorrente impugna la sentenza del Tar Lecce con cui è stato respinto il suo gravame diretto: - all'annullamento di tutti gli atti del procedimento disciplinare, definito con la irrogazione della sanzione della destituzione; - all'accertamento ed alla declaratoria del diritto del ricorrente alla ricostruzione della carriera ed alla corresponsione delle differenze retributive tra quanto percepito e quanto dovuto in ragione della posizione di ruolo ricoperta di Assistente di Polizia penitenziaria a decorrere dall'11.10.2001 con conseguente condanna dell'Amministrazione al pagamento delle relative somme, maggiorate di rivalutazione monetaria ed interessi a decorrere dall'11.10.2001...."

CARCERI E SISTEMA PENITENZIARIO - IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-05-2011, n. 2643Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con il presente gravame il ricorrente impugna la sentenza del Tar Lecce con cui è stato respinto il suo gravame diretto:
- all'annullamento di tutti gli atti del procedimento disciplinare, definito con la irrogazione della sanzione della destituzione;
- all'accertamento ed alla declaratoria del diritto del ricorrente alla ricostruzione della carriera ed alla corresponsione delle differenze retributive tra quanto percepito e quanto dovuto in ragione della posizione di ruolo ricoperta di Assistente di Polizia penitenziaria a decorrere dall'11.10.2001 con conseguente condanna dell'Amministrazione al pagamento delle relative somme, maggiorate di rivalutazione monetaria ed interessi a decorrere dall'11.10.2001.
Il ricorrente, assistente di Polizia penitenziaria, in servizio presso la Casa Circondariale di Lecce era stato sospeso dal servizio ai sensi dell'art. 7, comma 1, del d.lgs. 449/1992, con decorrenza 11.10.2001, data del suo arresto per il reato di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 309/1990.
Successivamente, a seguito dell'annullamento in Cassazione di una prima condanna in appello, era stato assolto in deve di rinvio "per non avere commesso il fatto", sulla base della motivazione per cui né le osservazioni dei Carabinieri del ROS, né il contenuto delle conversazioni intercettate e né il viaggio in Calabria del 12/02/2000 con 20 milioni di lire in contanti, sarebbe rimasto un fatto isolato e non idoneo a provare la stabile compenetrazione del soggetto nel tessuto organizzativo del sodalizio criminoso finalizzato allo spaccio di stupefacenti.
Il ricorso è affidato alla denuncia di sei articolati di capi di doglianza e dall'ulteriore riproposizione degli stessi motivi presentati con il ricorso introduttivo e con i motivi aggiunti.
Si è costituito in giudizio il Ministero che, con  memoria cautelare per la Camera di Consiglio, ha sottolineato l'assenza  del "fumus boni juris" e concluso per il rigetto del ricorso.
Con memoria per la discussione l'appellante ha sintetizzato le proprie argomentazioni, insistendo per l'accoglimento del gravame.
Chiamata all'udienza pubblica la causa, uditi i patrocinatori delle parti, è stata ritenuta in decisioneMotivi della decisione
L'appello, che sostanzialmente ripropone le identiche doglianze del ricorso introduttivo, è infondato.
- 1.Par.. Con la prima rubrica l'appellante censura il capo della sentenza del Tar Lecce con cui sono stati respinti  il primo ed secondo motivo di ricorso relativo alla denuncia della violazione dell'art. 117 e dell'art. 103, comma 2, del d.P.R. n. 3/1957 nonché l'eccesso di potere per illogicità, erroneità dei presupposti, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta.
- 1.1. Erroneamente e contraddittoriamente il primo Giudice avrebbe sostenuto chela sospensione del 14.09.2007 del procedimento precedentemente avviato, avrebbe comunque assicurato la finalità delle citate norme che è quella di prevenire antinomie fra l'esito del procedimento penale e l'esito di quello disciplinare, nelle ipotesi limitate in cui il primo abbia efficacia vincolante per il secondo.
Al contrario, per l'appellante quando l'impiegato  è sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale (vale a dire dal momento in cui assume la qualità di  imputato), il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato a pena di legittimità del provvedimento disciplinare. Pertanto il ricorso alla possibile ratio della norma non poteva superare il chiaro contenuto precettivo della stessa. L'amministrazione pertanto non poteva iniziare il procedimento, e poi sospenderlo.
L'assunto è infondato.
Deve infatti rilevarsi in linea generale che, una volta trascorso il termine quinquennale previsto dall'art. 9 l. n. 19 del 1990,  la P.A. ha comunque il potere, ai sensi dell'art. 7 settimo comma del d.lg. n. 449/1992. di disporre la sospensione facoltativa dal servizio, prevista dall'art. 92 t.u. n. 3 del 1957.
Tuttavia, in tale ipotesi, qualora il procedimento disciplinare non sia stato iniziato in precedenza, la P.A. deve necessariamente attivare l'iniziativa disciplinare, sia pure ai soli fini della pronuncia sulla sospensione cautelare. L'avvio del procedimento disciplinare, che in tale ipotesi è necessariamente finalizzato alla verifica dei presupposti per la sospensione cautelare, costituisce da un lato una procedura di cautela delle ragioni dell'amministrazione, dall'altro, una garanzia procedimentale dei diritti di difesa dell'incolpato.
Dunque esattamente il Tar afferma che nel caso il  procedimento ha rispettato le finalità dell'art. 9 d.lg. n. 449/1992, in quanto la sua sospensione aveva proprio la finalità di prevenire antinomie fra gli esiti del procedimento penale e di quello disciplinare  limitatamente alle ipotesi in cui il primo abbia efficacia vincolante per il secondo.
Il procedimento disciplinare in esame "a buon diritto" è stato avviato successivamente al decorso del quinquennio di scadenza della sospensione obbligatoria dal servizio di cui alla L. n.19/1990; e legittimamente in esito a tale iniziativa il Ministero, una  volta valutata la situazione, prima con decreto ministeriale del 2.07.2007 ha disposto la sospensione facoltativa dal servizio sino all'esito del procedimento disciplinare, ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 8 d.lgs. 449/'92 e all'art. 92 d.P.R. 10.1.1957 n. 3; poi il successivo 14.09.2007 ha sospeso il procedimento disciplinare.
- 1.2. Parimenti inconsistente appare il secondo profilo con cui si lamenta che erroneamente la sentenza avrebbe statuito  che: "non può ragionevolmente censurarsi l'illegittimità di una contestazione degli addebiti intervenuta solo nel 2007, dopo, cioè, un considerevole lasso di tempo dall'accertamento dei fatti (l'arresto dell'interessato risale, infatti, al 2001) in riconosciuta presenza dello specifico presupposto ostativo alla instaurazione e prosecuzione del procedimento disciplinare, sull'asettico presupposto dell'art. 103, comma 2".
Al riguardo infatti deve notarsi che, utilizzando  un'antica e sempre valida sistematica dottrinaria, la disposizione di cui all'art. 117 del T.U. n.3/1957, deve essere qualificata come "norma di azione" per la P.A., e non "norma di relazione" per cui la sua violazione può essere invocata dalla parte solo quando in concreto la sua violazione si sia concretamente risolta in una limitazione o in una pretermissione delle garanzie procedimentali.
Ma come sarà meglio evidente in seguito non è questo il caso di specie, in quanto qui il lasso di tempo è derivato proprio dal prolungarsi del procedimento penale e comunque, l'Amministrazione ha sempre tempestivamente fatto luogo ai prescritti adempimenti a suo carico.
- 2.Par.. Con la seconda doglianza il ricorrente impugna il capo della sentenza con cui sono stati respinti il suo terzo e  quarto motivo del ricorso introduttivo, che vanno tuttavia confutati in  ordine inverso.
- 2.2. Con il quarto motivo di primo grado qui riproposto, l'appellante lamenta l'erroneità del rigetto del quarto motivo del ricorso introduttivo nella parte in cui ha ritenuto che la nota n. 3401 del 16 marzo 2009 (di trasmissione all'Ufficio della relazione conclusiva dell'inchiesta disciplinare) fosse utile ad interrompere la prescrizione. Per l'appellante, al contrario, la costante giurisprudenza del Tar Lazio e del Consiglio di Stato dal 1993 al 2002, avrebbe sempre ritenuto la inutilizzabilità degli atti interni connessi a fasi strumentali, quali la trasmissione di ricezione gli atti  del procedimento ad interrompere il termine perentorio di 90 giorni, in  quanto gli aspetti organizzativi dell'apparato burocratico non possono consentire dilazioni dei tempi del procedimento.
Neppure avrebbe potuto avere effetto interruttivo  la richiesta di proroga da parte del funzionario istruttore della nota del 24 marzo 2009 con cui la relazione era stata trasmessa al Consiglio di Disciplina.
L'assunto è infondato.
Il termine estintivo del procedimento disciplinare, originariamente fissato dall'art. 120 comma 1, t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 in novanta giorni senza che nessun ulteriore atto sia stato adottato è applicabile anche al personale della Polizia penitenziaria ai sensi dell'art. 24 comma 5, d.lgs. 1992 n. 449. Tale termine si interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, sia adottato un atto proprio del procedimento, anche se di carattere interno, dal quale possa inequivocamente desumersi la volontà dell'Amministrazione di portare a conclusione il procedimento (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 26 febbraio 2009, n. 1137).
Deve quindi rilevarsi che qui, gli atti adottati dall'Amministrazione erano idonei ad interrompere il termine in quanto procedimentalmente necessitati e rispettosi del principio di non aggravamento del procedimento di cui all'art. 1 L.n.241/1990 e s.m.i.. La stretta sequenza degli atti dimostra come la P.A.: abbia sempre tempestivamente adottato i prescritti atti del procedimento ad intervalli minori dei 90 giorni. Al riguardo si ricorda che:
- il 22.12.2002 è pervenuta alla P.A. la sentenza  emessa il 16.4.2008 dalla Corte d'Appello di Lecce con cui l'interessato veniva assolto dal reato di associazione a delinquere finalizzata allo spaccio del procedimento per non aver commesso il fatto;
- l' 8.1.2009, con ministeriale n. 0004622/2009, il procedimento disciplinare -- avviato in data 4.7.2007 e sospeso il 14.9.2007 -- è stato riassunto, per la valutazione dei fatti mediante nuova contestazione ed integrazione degli addebiti alla luce delle risultanze della sentenza penale;
- il 24.1.2009 con la notifica di un nuovo atto, è  stata addebitata l'ipotesi di cui all'art. 6 comma 2 lett. a) e d) del D. Lgs. 449/92;
- in data 3.3.2009, il Funzionario Istruttore (F.I.) richiedeva una proroga per la conclusione dell'inchiesta essendo stato trasferito ad una sede a notevole distanza; -- tale richiesta veniva accordata con ministeriale del 4.3.2009;
- il 16.3.2009 il F.I. ha trasmesso gli atti conclusivi:
- con nota del 24.3.2009 il fascicolo è stato trasmesso al Consiglio Centrale di Disciplina;
- il 14.5.2009 il Consiglio Centrale di Disciplina, dopo aver ottemperato a quanto richiesto dall'art. 16, co. 1 del d.lgs. 449/92, ha nominato il relatore ed ha fissato la data della trattazione orale per il 10.6.2009;
- il Consiglio Centrale di Disciplina, con verbale n. 2116 del 10.6.2009, ha deliberato di proporre la destituzione dal servizio;
- il 15.7.2009, è stato disposto il provvedimento impugnato.
Come è evidente,tutti gli atti adottati erano carattere non dilatorio, ma costituivano momenti procedimentalmente necessitati, proprio dalla peculiarità della vicenda, e comunque erano tutti ontologicamente idonei ad interrompere il termine dei 90 gg..
- 2.2. Per il medesimo ordine di ragioni, per l'appellante, va respinta la censura per cui si sarebbe dovuto applicare l'articolo 9 della legge n. 19/1990, il cui contenuto sarebbe stato trasfuso integralmente dall'articolo 6, IV° comma del decreto legislativo n. 449/1992,  e non nel VI° comma della medesima norma che invece concerne il caso di  "sospensione cautelare in pendenza di procedimento penale" e non riguarda il termine di conclusione del procedimento disciplinare. Per tale ragione avrebbe dovuto applicarsi il termine di 90 giorni per la conclusione del procedimento disciplinare. Pertanto, il procedimento disciplinare non sarebbe stato concluso nel tempo prescritto di 270 giorni (180 + 90) nel quale evidentemente risulterebbe compresso anche il più ridotto termine di 210 giorni nell'ipotesi interpretativa del Tar  (terzo motivo di primo grado);
L'assunto va disatteso.
Oltre a quanto si diceva al punto che precede, si  deve rilevare che il termine di 270 giorni, previsto dall'art. 6 comma 4, d.lg. 30 ottobre 1992 n. 449 per l'esercizio del potere disciplinare nei confronti degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria non è, in linea di principio, applicabile nel caso in cui il processo penale  si sia concluso con una sentenza assolutoria. In analogia a quanto avviene nei casi di sentenza penale patteggiata è stato affermato che, in tali casi, il procedimento disciplinare si connota per una maggiore complessità dell'istruttoria (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 27 dicembre  2006, n. 7923).
- 3.Par.. Nella medesima ottica delle precedenti considerazioni, si rivela del tutto inconsistente la terza rubrica d'appello, con cui si deduce l'erroneità del capo della sentenza con cui  il giudice di prime cure ha ritenuto che lo spazio temporale previsto dalla legge per garantire il termine a difesa dell'incolpato sarebbero stati garantiti, senza alcuna riduzione, respingendo in conseguenza il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso. La sentenza non avrebbe tenuto conto che l'articolo 24, comma V° del decreto legislativo n. 449/1992 faceva un richiamo diretto, per quanto non previsto, alle norme del testo unico di cui al d.p.r. 10 gennaio 1957 n.3.
Per contro, si concorda con il TAR che:
) lo sviluppo complessivo del procedimento dimostra che l'incolpato ha comunque avuto i 10 giorni per poter presentare le proprie giustificazioni;
) è esatta la precisa, coerente e coordinata interpretazione posta a base del provvedimento, dell'impianto normativo di cui al decreto legislativo n. 449/1992 e dei riferimenti alle disposizioni del T.U. n. 3/1957, in quanto l'articolo 24, comma V° del cit. 449, costituisce norma "di chiusura" del sistema, le cui disposizioni generali, sono necessariamente recessive rispetto alle specifiche norme per il personale della Polizia Penitenziaria.
- 4.Par. Con la quarta rubrica si lamenta che, erroneamente, non sarebbe stato accolta la denuncia della violazione dell'articolo 15, comma cinque, del decreto legislativo n. 449/1992 formulata con i motivi aggiunti.
.- 4.1. Erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che il termine dovesse decorrere dal momento in cui la documentazione era giunta a conoscenza del Funzionario Istruttore e non invece dalla data dell'incarico formale al predetto F.I., in quanto la documentazione sarebbe già stata dalla sua disponibilità fin dal 8 agosto 2007, ovvero dalla data della prima contestazione degli atti in occasione della quale  il funzionario istruttore aveva esaminato la documentazione. E se l'amministrazione contesta tale circostanza non vi sarebbe, per contro, nessuna prova dell'effettiva conoscibilità degli atti solo alla data del  21 gennaio 2009, data in cui aveva firmato la contestazione degli addebiti, come invece ritenuto dal giudice di primo grado, contraddicendo con questo le sue stesse affermazioni, per cui la documentazione sarebbe stata di grande "complessità e quantità".
Il motivo è inconferente.
La pretesa conoscenza degli atti del 2007 infatti  è irrilevante in quanto precedente la definitiva conclusione del processo penale, vale a dire dal momento in cui poteva essere legittimamente ripreso il procedimento.
In secondo luogo, i solleciti tempi sopra ricordati escludono comunque la rilevanza, in concreto, del momento della conoscenza della documentazione, essendo i singoli atti del procedimento stati adottati molto prima dei 90 gg., per cui non si è mai  verificata alcuna decadenza del procedimento disciplinare.
- 4.2. In coerenza con quest'ultimo rilievo deve essere disatteso il secondo profilo della medesima doglianza con cui si contesta l'erroneità della sentenza che aveva ritenuto legittima e motivata, ai sensi dell'articolo 15, comma V° del D. Lgs. n. 449/1992, la proroga concessa per la conclusione del procedimento disciplinare.
In tale prospettiva, appare significativo il fatto che, non si rinvengono atteggiamenti negligenti o dilatori nella conduzione del procedimento disciplinare da parte dell'amministrazione. Pertanto il trasferimento di sede del funzionario istruttore -se è vero come afferma il ricorrente che costituiva una vicenda interna all'amministrazione -- appare comunque oggettivamente idoneo per legittimare la proroga, e quindi per determinare interruzione dei termini prescritti. Proprio l'avvenuto annullamento della sentenza di appello e lo svolgimento di un nuovo processo di secondo grado, rendevano la valutazione del funzionario istruttore, estremamente più complessa sul piano giuridico e fattuale, in quanto doveva comprendere l'analisi dei complicati profili pubblici e privati alla luce dell'ultima laconica sentenza di assoluzione su rinvio, della Corte di Appello di Lecce del 2008, e
nell'ottica delle secca affermazione della Cassazione di annullamento, nei soli riguardi del ricorrente, del primo processo di Appello.
- 5.Par. Deve essere parimenti disatteso il quinto capo di doglianza con cui il ricorrente invoca il precetto dell'articolo 653, primo comma del codice penale.
L'accertamento irrevocabile operato in sede penale, avrebbe impedito la configurazione stessa dell'azione disciplinare, in quanto il ricorrente era stato assolto con formula piena per non aver commesso il fatto. In conseguenza non avendo partecipato al sodalizio criminoso, il suo comportamento non avrebbe posto in essere alcuna attività illecita. Di qui l'inammissibilità di una nuova azione disciplinare che costituirebbe un "bis in idem" rispetto alla sentenza del giudice penale, che avrebbe escluso ulteriori  contatti con soggetti della malavita. L'assoluzione avrebbe dunque imposto all'Amministrazione un giudizio conforme alle decisioni del Giudice penale.
L'assunto è infondato.
Deve in primo luogo rilevarsi che il c.p.p. del 1988, innovando rispetto al passato non ha riprodotto l'art.3, c.p.p. del 1930, in tema di pregiudiziale penale per cui, in linea di principio, il giudizio penale e il giudizio disciplinare devono essere considerati autonomi tra loro.
La conseguenza, sul piano dei rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare, è che l'assoluzione per  non aver commesso il fatto non preclude, in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti, così come oggettivamente accertati dal giudice penale, essendo ontologicamente diversi i presupposti delle rispettive responsabilità.
L'area dell'illecito penale è infatti notoriamente più ristretta rispetto a quella dell'illecito disciplinare,  per cui uno stesso fatto può essere giudicato lecito dal punto di vista  penale ed illecito sotto il profilo disciplinare (al riguardo basta ricordare l'esempio di scuola, relativo alle ingiurie ed alle diffamazioni ad un superiore).
Deve naturalmente restare fermo il solo limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità operato in sede penale cosicché, se è inibito ricostruire l'episodio posto a fondamento dell'incolpazione in modo diverso da quello storicamente risultante dalla sentenza penale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà per la P.A. di valutare i medesimi accadimenti nell'ottica dell'illecito disciplinare.
In definitiva, argomentando ex art. 97 t.u. n. 3 del 1957 ed ex art. 7 d.lg. n. 449/1992, ove dalla sentenza di assoluzione discenda che il fatto non costituisce reato, deve ritenersi l'Amministrazione conserva il suo potere di autonoma valutazione dell'illecito nell'ambito del procedimento disciplinare, in quanto l'illiceità penale e quella disciplinare orbitano su piani assolutamente  differenti (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 07 luglio 2009, n. 4359).
Di qui la piena ammissibilità, sotto tale profilo, del procedimento disciplinare in questione.
- 6.Par. Con il sesto capo di doglianza si lamenta in generale l'erroneità del rigetto del nono, decimo ed undicesimo motivo di ricorso con cui l'appellante aveva lamentato la violazione dell'art. 6, comma 2, dell'art. 11, comma 1 e 2, e dell'art. 1, comma 2, del d.lgs n. 449/92 per la mancata valutazione delle giustificazioni dell'interessato, e per la violazione del principio di graduazione delle sanzioni.
- 6.1. L'appellante afferma che i provvedimenti disciplinari devono comunque essere informati al principio di legalità per cui la motivazione della sua destinazione avrebbe dovuto essere proporzionata: -) alla non gravità dei fatti; -) alla sussistenza di tutte le circostanze attenuanti; -) alla qualità del suo pregresso servizio; -) alle sue qualità morali e di carattere, ai sensi dell'art. 11, comma 1 del d.lgs n. 449/92; -) ed infine all'assenza di precedenti disciplinari.
L'assunto non ha pregio.
Nel caso, sia il provvedimento definitivo che i presupposti atti istruttori, appaiono infatti del tutto logicamente e coerentemente affidati ad un ampia e completa valutazione di tutti i comportamenti del dipendente, i quali ben potevano rilevare negativamente sotto il profilo disciplinare, ancorchè fossero stati ritenuti non punibili sul piano della legge penale.
Infatti, a prescindere dalla circostanza che, nello stato di servizio sono trascritti anche altri precedenti disciplinari più volte riportati nel foglio matricolare, nel caso in esame si condivide il richiamo ai principi generali in materia quali per  cui:
- la valutazione dei fatti e della loro gravità(così come la misura delle relative sanzioni) rientrano in una valutazione di merito ampiamente discrezionale che è sindacabile sul piano della legittimità unicamente nell'ipotesi di macroscopici vizi logici, travisamenti dei fatti;
- la punibilità di un comportamento disciplinarmente rilevante è finalizzata alla migliore tutela dell'interesse pubblico alla legalità, all'imparzialità e al buon andamento degli uffici pubblici, secondo i principi sanciti dall'art. 97 Cost..
In conseguenza, in relazione alla natura e rilevanza, sul piano funzionale e relazionale dei comportamenti del ricorrente, il provvedimento di destituzione appare del tutto logico e coerente con le sue premesse e con le ricordate finalità generali di tutela degli interessi pubblici in materia di stabilimenti di pena.
- 6.2. Per l'appellante, in contrasto con le conclusioni della Corte di Appello, il Tar Lecce avrebbe ritenuto che vi  sarebbero state ulteriori frequentazioni con malavitosi e quindi avrebbe sostenuto la sufficienza e congruità della motivazione e della sanzione. L'assoluzione avrebbe invece reso leciti tutti i comportamenti  anche sotto il profilo disciplinare. In ogni caso il viaggio in Calabria sarebbe stato un isolato ed occasionale atto di cortesia verso un amico malato di tumore. In conseguenza la frequentazione di luoghi, persone e compagnie sconvenienti non avrebbero giustificato la destituzione,  ma al limite la deplorazione o a tutto voler concedere la sospensione dal servizio ai sensi degli artt. 4, 3 e5 del d.lgs. n.. 449/1992. Erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che in assenza di fatti penalmente rilevanti, si sarebbe verificata una situazione di incompatibilità con la
prosecuzione del rapporto lavorativo.
La censura non convince.
Fermo restando quanto si diceva sub n. 5 che precede (circa il fatto che il giudizio disciplinare non è vincolato alle valutazioni contenute nella sentenza penale, la quale concerne finalità del tutto distinte rispetto a quelle del giudizio disciplinare)  deve rilevarsi che sotto i profili della logica e della razionalità il provvedimento impugnato in primo grado è esente da un qualunque sintomatico vizio di illogicità o di irragionevolezza.
In tale direzione, la stessa sentenza della Cassazione sul caso, favorevole al ricorrente sotto il solo profilo probatorio, per il resto ha sostanzialmente confermato la complessiva vicenda (respingendo gli appelli degli altri soggetti condannati dalla Corte d'appello di Lecce e, per un imputato, dichiarandolo inammissibile).
Anche a tal proposito ha dunque ragione il primo Giudice quando conclude che, esattamente erano stati valutati i comportamenti e gli episodi che, nelle stesse sentenze penali di legittimità e di merito, -- se non decisivi sul piano della prova della stabile partecipazione dell'interessato al sodalizio criminale -- risultavano comunque incontestabilmente accertati nella loro storica materialità tra cui in particolare:
- la presenza dell'appellante ad una cena tenutasi in data 8.02.2000 insieme a personaggi pregiudicati al fine di comprare stupefacenti dalle cosche calabresi;
- l'ordine telefonico documentato dalle intercettazioni telefoniche, di un soggetto (poi definitivamente condannato) al ricorrente di "portare i piccioli";
- la partecipazione dell'appellante, il 12.02.2000, ad un viaggio in Calabria con la sua auto assieme ad un pregiudicato, per l'acquisto (peraltro poi non riuscito) di un quantitativo di droga;
- la detenzione durante il viaggio dei Lire 20 milioni da parte dell'appellante il quale, all'atto del controllo delle Forze dell'Ordine, al ritorno a Lecce dalla Calabria "cercava inutilmente di disfarsi" dei soldi (pag. 6 sentenza definitiva d'appello  n. 630/2008).
In conclusione sul punto si tratta di comportamenti che, sotto il profilo disciplinare appaiono connotati dal requisito della notevole gravità, ed appaiono sintomatici indizi della mancanza di quel senso dell'onore e di quel senso morale che sono qualità professionali indispensabili per un agente della Polizia Penitenziaria.
Del tutto legittimamente si è dunque ritenuto che  apparire essi fossero ostativi alla prosecuzione del rapporto di servizio in quanto manifestamente incompatibili con i fini istituzionali  perseguiti dall'Amministrazione penitenziaria.
- 7.Par.. Infine, deve essere respinto l'ultimo capo dell'appello, con cui si lamenta che il TAR avrebbe omesso ogni motivazione circa la censura per cui l'amministrazione non avrebbe speso  alcuna specifica motivazione sulle sue giustificazioni, che sarebbero state del tutto ignorate.
Il motivo è infondato sotto un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo deve rilevarsi l'assoluta genericità della doglianza così come dedotta sia in primo grado che in questa sede. La censura si limita al piano formalistico non specifica esattamente quali profili e quali elementi di tali giustificazioni sarebbero stati ignorati ed in conseguenza in che misura la mancata osservazione avrebbe concretamente influito sul provvedimento finale.
In secondo luogo si rileva come, nella Relazione conclusiva del Funzionario Istruttore fatta sostanzialmente propria sia dal Consiglio Centrale di Disciplina che dal provvedimento impugnato, si  sottolinea puntualmente e si confutano le sue giustificazioni, respingendole perché tutte ancorate al solo aspetto penale.
La doglianza è comunque sostanzialmente inconferente in quanto le giustificazione ripetevano comunque i rilievi già esaminati in precedenza dal TAR e, peraltro più volte riproposti anche in questa sede.
- 8.Par. Infine come ulteriori motivi della sentenza gravata, l'appellante ripropone integralmente tutti i motivi di  primo grado, che in conseguenza delle considerazioni che precedono, devono essere respinti concernendo gli identici profili sostanziali.
- 9.Par. Sulla base delle sovraesposte considerazioni, l'appello è infondato e deve essere respinto con tutte le connesse domande restitutorie di status e risarcitorie.
Le spese di giudizio ai sensi dell'art. 26 del c.p.a. secondo le regole generali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivoP.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:
- 1.respinge l'appello, come in epigrafe proposto e tutte le connesse comande;
- 2. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di entrambe le fasi del giudizio che vengono liquidate in Euro 5.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



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