CARCERI E SISTEMA PENITENZIARIO - IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. IV, Sent., 03-05-2011, n. 2643Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con il presente gravame il ricorrente impugna la sentenza del Tar Lecce con cui
è stato respinto il suo gravame diretto:
- all'annullamento di tutti gli atti del procedimento disciplinare, definito con
la irrogazione della sanzione della destituzione;
- all'accertamento ed alla declaratoria del diritto del ricorrente alla
ricostruzione della carriera ed alla corresponsione delle differenze retributive
tra quanto percepito e quanto dovuto in ragione della posizione di ruolo
ricoperta di Assistente di Polizia penitenziaria a decorrere dall'11.10.2001 con
conseguente condanna dell'Amministrazione al pagamento delle relative somme,
maggiorate di rivalutazione monetaria ed interessi a decorrere dall'11.10.2001.
Il ricorrente, assistente di Polizia penitenziaria, in servizio presso la Casa
Circondariale di Lecce era stato sospeso dal servizio ai sensi dell'art. 7,
comma 1, del d.lgs. 449/1992, con decorrenza 11.10.2001, data del suo arresto
per il reato di cui all'art. 74 del d.P.R. n. 309/1990.
Successivamente, a seguito dell'annullamento in Cassazione di una prima condanna
in appello, era stato assolto in deve di rinvio "per non avere commesso il
fatto", sulla base della motivazione per cui né le osservazioni dei Carabinieri
del ROS, né il contenuto delle conversazioni intercettate e né il viaggio in
Calabria del 12/02/2000 con 20 milioni di lire in contanti, sarebbe rimasto un
fatto isolato e non idoneo a provare la stabile compenetrazione del soggetto nel
tessuto organizzativo del sodalizio criminoso finalizzato allo spaccio di
stupefacenti.
Il ricorso è affidato alla denuncia di sei articolati di capi di doglianza e
dall'ulteriore riproposizione degli stessi motivi presentati con il ricorso
introduttivo e con i motivi aggiunti.
Si è costituito in giudizio il Ministero che, con memoria cautelare per la
Camera di Consiglio, ha sottolineato l'assenza del "fumus boni juris" e
concluso per il rigetto del ricorso.
Con memoria per la discussione l'appellante ha sintetizzato le proprie
argomentazioni, insistendo per l'accoglimento del gravame.
Chiamata all'udienza pubblica la causa, uditi i patrocinatori delle parti, è
stata ritenuta in decisioneMotivi della decisione
L'appello, che sostanzialmente ripropone le identiche doglianze del ricorso
introduttivo, è infondato.
- 1.Par.. Con la prima rubrica l'appellante censura il capo della sentenza del
Tar Lecce con cui sono stati respinti il primo ed secondo motivo di ricorso
relativo alla denuncia della violazione dell'art. 117 e dell'art. 103, comma 2,
del d.P.R. n. 3/1957 nonché l'eccesso di potere per illogicità, erroneità dei
presupposti, contraddittorietà ed ingiustizia manifesta.
- 1.1. Erroneamente e contraddittoriamente il primo Giudice avrebbe sostenuto
chela sospensione del 14.09.2007 del procedimento precedentemente avviato,
avrebbe comunque assicurato la finalità delle citate norme che è quella di
prevenire antinomie fra l'esito del procedimento penale e l'esito di quello
disciplinare, nelle ipotesi limitate in cui il primo abbia efficacia vincolante
per il secondo.
Al contrario, per l'appellante quando l'impiegato è sottoposto, per gli stessi
fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale (vale a dire dal
momento in cui assume la qualità di imputato), il primo deve essere sospeso
fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato
a pena di legittimità del provvedimento disciplinare. Pertanto il ricorso alla
possibile ratio della norma non poteva superare il chiaro contenuto precettivo
della stessa. L'amministrazione pertanto non poteva iniziare il procedimento, e
poi sospenderlo.
L'assunto è infondato.
Deve infatti rilevarsi in linea generale che, una volta trascorso il termine
quinquennale previsto dall'art. 9 l. n. 19 del 1990, la P.A. ha comunque il
potere, ai sensi dell'art. 7 settimo comma del d.lg. n. 449/1992. di disporre la
sospensione facoltativa dal servizio, prevista dall'art. 92 t.u. n. 3 del 1957.
Tuttavia, in tale ipotesi, qualora il procedimento disciplinare non sia stato
iniziato in precedenza, la P.A. deve necessariamente attivare l'iniziativa
disciplinare, sia pure ai soli fini della pronuncia sulla sospensione cautelare.
L'avvio del procedimento disciplinare, che in tale ipotesi è necessariamente
finalizzato alla verifica dei presupposti per la sospensione cautelare,
costituisce da un lato una procedura di cautela delle ragioni
dell'amministrazione, dall'altro, una garanzia procedimentale dei diritti di
difesa dell'incolpato.
Dunque esattamente il Tar afferma che nel caso il procedimento ha rispettato le
finalità dell'art. 9 d.lg. n. 449/1992, in quanto la sua sospensione aveva
proprio la finalità di prevenire antinomie fra gli esiti del procedimento penale
e di quello disciplinare limitatamente alle ipotesi in cui il primo abbia
efficacia vincolante per il secondo.
Il procedimento disciplinare in esame "a buon diritto" è stato avviato
successivamente al decorso del quinquennio di scadenza della sospensione
obbligatoria dal servizio di cui alla L. n.19/1990; e legittimamente in esito a
tale iniziativa il Ministero, una volta valutata la situazione, prima con
decreto ministeriale del 2.07.2007 ha disposto la sospensione facoltativa dal
servizio sino all'esito del procedimento disciplinare, ai sensi del combinato
disposto di cui all'art. 8 d.lgs. 449/'92 e all'art. 92 d.P.R. 10.1.1957 n. 3;
poi il successivo 14.09.2007 ha sospeso il procedimento disciplinare.
- 1.2. Parimenti inconsistente appare il secondo profilo con cui si lamenta che
erroneamente la sentenza avrebbe statuito che: "non può ragionevolmente
censurarsi l'illegittimità di una contestazione degli addebiti intervenuta solo
nel 2007, dopo, cioè, un considerevole lasso di tempo dall'accertamento dei
fatti (l'arresto dell'interessato risale, infatti, al 2001) in riconosciuta
presenza dello specifico presupposto ostativo alla instaurazione e prosecuzione
del procedimento disciplinare, sull'asettico presupposto dell'art. 103, comma
2".
Al riguardo infatti deve notarsi che, utilizzando un'antica e sempre valida
sistematica dottrinaria, la disposizione di cui all'art. 117 del T.U. n.3/1957,
deve essere qualificata come "norma di azione" per la P.A., e non "norma di
relazione" per cui la sua violazione può essere invocata dalla parte solo quando
in concreto la sua violazione si sia concretamente risolta in una limitazione o
in una pretermissione delle garanzie procedimentali.
Ma come sarà meglio evidente in seguito non è questo il caso di specie, in
quanto qui il lasso di tempo è derivato proprio dal prolungarsi del procedimento
penale e comunque, l'Amministrazione ha sempre tempestivamente fatto luogo ai
prescritti adempimenti a suo carico.
- 2.Par.. Con la seconda doglianza il ricorrente impugna il capo della sentenza
con cui sono stati respinti il suo terzo e quarto motivo del ricorso
introduttivo, che vanno tuttavia confutati in ordine inverso.
- 2.2. Con il quarto motivo di primo grado qui riproposto, l'appellante lamenta
l'erroneità del rigetto del quarto motivo del ricorso introduttivo nella parte
in cui ha ritenuto che la nota n. 3401 del 16 marzo 2009 (di trasmissione
all'Ufficio della relazione conclusiva dell'inchiesta disciplinare) fosse utile
ad interrompere la prescrizione. Per l'appellante, al contrario, la costante
giurisprudenza del Tar Lazio e del Consiglio di Stato dal 1993 al 2002, avrebbe
sempre ritenuto la inutilizzabilità degli atti interni connessi a fasi
strumentali, quali la trasmissione di ricezione gli atti del procedimento ad
interrompere il termine perentorio di 90 giorni, in quanto gli aspetti
organizzativi dell'apparato burocratico non possono consentire dilazioni dei
tempi del procedimento.
Neppure avrebbe potuto avere effetto interruttivo la richiesta di proroga da
parte del funzionario istruttore della nota del 24 marzo 2009 con cui la
relazione era stata trasmessa al Consiglio di Disciplina.
L'assunto è infondato.
Il termine estintivo del procedimento disciplinare, originariamente fissato
dall'art. 120 comma 1, t.u. 10 gennaio 1957 n. 3 in novanta giorni senza che
nessun ulteriore atto sia stato adottato è applicabile anche al personale della
Polizia penitenziaria ai sensi dell'art. 24 comma 5, d.lgs. 1992 n. 449. Tale
termine si interrompe ogniqualvolta, prima della sua scadenza, sia adottato un
atto proprio del procedimento, anche se di carattere interno, dal quale possa
inequivocamente desumersi la volontà dell'Amministrazione di portare a
conclusione il procedimento (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 26 febbraio 2009, n.
1137).
Deve quindi rilevarsi che qui, gli atti adottati dall'Amministrazione erano
idonei ad interrompere il termine in quanto procedimentalmente necessitati e
rispettosi del principio di non aggravamento del procedimento di cui all'art. 1
L.n.241/1990 e s.m.i.. La stretta sequenza degli atti dimostra come la P.A.:
abbia sempre tempestivamente adottato i prescritti atti del procedimento ad
intervalli minori dei 90 giorni. Al riguardo si ricorda che:
- il 22.12.2002 è pervenuta alla P.A. la sentenza emessa il 16.4.2008 dalla
Corte d'Appello di Lecce con cui l'interessato veniva assolto dal reato di
associazione a delinquere finalizzata allo spaccio del procedimento per non aver
commesso il fatto;
- l' 8.1.2009, con ministeriale n. 0004622/2009, il procedimento disciplinare --
avviato in data 4.7.2007 e sospeso il 14.9.2007 -- è stato riassunto, per la
valutazione dei fatti mediante nuova contestazione ed integrazione degli
addebiti alla luce delle risultanze della sentenza penale;
- il 24.1.2009 con la notifica di un nuovo atto, è stata addebitata l'ipotesi
di cui all'art. 6 comma 2 lett. a) e d) del D. Lgs. 449/92;
- in data 3.3.2009, il Funzionario Istruttore (F.I.) richiedeva una proroga per
la conclusione dell'inchiesta essendo stato trasferito ad una sede a notevole
distanza; -- tale richiesta veniva accordata con ministeriale del 4.3.2009;
- il 16.3.2009 il F.I. ha trasmesso gli atti conclusivi:
- con nota del 24.3.2009 il fascicolo è stato trasmesso al Consiglio Centrale di
Disciplina;
- il 14.5.2009 il Consiglio Centrale di Disciplina, dopo aver ottemperato a
quanto richiesto dall'art. 16, co. 1 del d.lgs. 449/92, ha nominato il relatore
ed ha fissato la data della trattazione orale per il 10.6.2009;
- il Consiglio Centrale di Disciplina, con verbale n. 2116 del 10.6.2009, ha
deliberato di proporre la destituzione dal servizio;
- il 15.7.2009, è stato disposto il provvedimento impugnato.
Come è evidente,tutti gli atti adottati erano carattere non dilatorio, ma
costituivano momenti procedimentalmente necessitati, proprio dalla peculiarità
della vicenda, e comunque erano tutti ontologicamente idonei ad interrompere il
termine dei 90 gg..
- 2.2. Per il medesimo ordine di ragioni, per l'appellante, va respinta la
censura per cui si sarebbe dovuto applicare l'articolo 9 della legge n. 19/1990,
il cui contenuto sarebbe stato trasfuso integralmente dall'articolo 6, IV° comma
del decreto legislativo n. 449/1992, e non nel VI° comma della medesima norma
che invece concerne il caso di "sospensione cautelare in pendenza di
procedimento penale" e non riguarda il termine di conclusione del procedimento
disciplinare. Per tale ragione avrebbe dovuto applicarsi il termine di 90 giorni
per la conclusione del procedimento disciplinare. Pertanto, il procedimento
disciplinare non sarebbe stato concluso nel tempo prescritto di 270 giorni (180
+ 90) nel quale evidentemente risulterebbe compresso anche il più ridotto
termine di 210 giorni nell'ipotesi interpretativa del Tar (terzo motivo di
primo grado);
L'assunto va disatteso.
Oltre a quanto si diceva al punto che precede, si deve rilevare che il termine
di 270 giorni, previsto dall'art. 6 comma 4, d.lg. 30 ottobre 1992 n. 449 per
l'esercizio del potere disciplinare nei confronti degli appartenenti al Corpo di
polizia penitenziaria non è, in linea di principio, applicabile nel caso in cui
il processo penale si sia concluso con una sentenza assolutoria. In analogia a
quanto avviene nei casi di sentenza penale patteggiata è stato affermato che, in
tali casi, il procedimento disciplinare si connota per una maggiore complessità
dell'istruttoria (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 27 dicembre 2006, n. 7923).
- 3.Par.. Nella medesima ottica delle precedenti considerazioni, si rivela del
tutto inconsistente la terza rubrica d'appello, con cui si deduce l'erroneità
del capo della sentenza con cui il giudice di prime cure ha ritenuto che lo
spazio temporale previsto dalla legge per garantire il termine a difesa
dell'incolpato sarebbero stati garantiti, senza alcuna riduzione, respingendo in
conseguenza il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso. La sentenza non
avrebbe tenuto conto che l'articolo 24, comma V° del decreto legislativo n.
449/1992 faceva un richiamo diretto, per quanto non previsto, alle norme del
testo unico di cui al d.p.r. 10 gennaio 1957 n.3.
Per contro, si concorda con il TAR che:
) lo sviluppo complessivo del procedimento dimostra che l'incolpato ha comunque
avuto i 10 giorni per poter presentare le proprie giustificazioni;
) è esatta la precisa, coerente e coordinata interpretazione posta a base del
provvedimento, dell'impianto normativo di cui al decreto legislativo n. 449/1992
e dei riferimenti alle disposizioni del T.U. n. 3/1957, in quanto l'articolo 24,
comma V° del cit. 449, costituisce norma "di chiusura" del sistema, le cui
disposizioni generali, sono necessariamente recessive rispetto alle specifiche
norme per il personale della Polizia Penitenziaria.
- 4.Par. Con la quarta rubrica si lamenta che, erroneamente, non sarebbe stato
accolta la denuncia della violazione dell'articolo 15, comma cinque, del decreto
legislativo n. 449/1992 formulata con i motivi aggiunti.
.- 4.1. Erroneamente il Tar avrebbe ritenuto che il termine dovesse decorrere
dal momento in cui la documentazione era giunta a conoscenza del Funzionario
Istruttore e non invece dalla data dell'incarico formale al predetto F.I., in
quanto la documentazione sarebbe già stata dalla sua disponibilità fin dal 8
agosto 2007, ovvero dalla data della prima contestazione degli atti in occasione
della quale il funzionario istruttore aveva esaminato la documentazione. E se
l'amministrazione contesta tale circostanza non vi sarebbe, per contro, nessuna
prova dell'effettiva conoscibilità degli atti solo alla data del 21 gennaio
2009, data in cui aveva firmato la contestazione degli addebiti, come invece
ritenuto dal giudice di primo grado, contraddicendo con questo le sue stesse
affermazioni, per cui la documentazione sarebbe stata di grande "complessità e
quantità".
Il motivo è inconferente.
La pretesa conoscenza degli atti del 2007 infatti è irrilevante in quanto
precedente la definitiva conclusione del processo penale, vale a dire dal
momento in cui poteva essere legittimamente ripreso il procedimento.
In secondo luogo, i solleciti tempi sopra ricordati escludono comunque la
rilevanza, in concreto, del momento della conoscenza della documentazione,
essendo i singoli atti del procedimento stati adottati molto prima dei 90 gg.,
per cui non si è mai verificata alcuna decadenza del procedimento disciplinare.
- 4.2. In coerenza con quest'ultimo rilievo deve essere disatteso il secondo
profilo della medesima doglianza con cui si contesta l'erroneità della sentenza
che aveva ritenuto legittima e motivata, ai sensi dell'articolo 15, comma V° del
D. Lgs. n. 449/1992, la proroga concessa per la conclusione del procedimento
disciplinare.
In tale prospettiva, appare significativo il fatto che, non si rinvengono
atteggiamenti negligenti o dilatori nella conduzione del procedimento
disciplinare da parte dell'amministrazione. Pertanto il trasferimento di sede
del funzionario istruttore -se è vero come afferma il ricorrente che costituiva
una vicenda interna all'amministrazione -- appare comunque oggettivamente idoneo
per legittimare la proroga, e quindi per determinare interruzione dei termini
prescritti. Proprio l'avvenuto annullamento della sentenza di appello e lo
svolgimento di un nuovo processo di secondo grado, rendevano la valutazione del
funzionario istruttore, estremamente più complessa sul piano giuridico e
fattuale, in quanto doveva comprendere l'analisi dei complicati profili pubblici
e privati alla luce dell'ultima laconica sentenza di assoluzione su rinvio,
della Corte di Appello di Lecce del 2008, e
nell'ottica delle secca affermazione della Cassazione di annullamento, nei soli
riguardi del ricorrente, del primo processo di Appello.
- 5.Par. Deve essere parimenti disatteso il quinto capo di doglianza con cui il
ricorrente invoca il precetto dell'articolo 653, primo comma del codice penale.
L'accertamento irrevocabile operato in sede penale, avrebbe impedito la
configurazione stessa dell'azione disciplinare, in quanto il ricorrente era
stato assolto con formula piena per non aver commesso il fatto. In conseguenza
non avendo partecipato al sodalizio criminoso, il suo comportamento non avrebbe
posto in essere alcuna attività illecita. Di qui l'inammissibilità di una nuova
azione disciplinare che costituirebbe un "bis in idem" rispetto alla sentenza
del giudice penale, che avrebbe escluso ulteriori contatti con soggetti della
malavita. L'assoluzione avrebbe dunque imposto all'Amministrazione un giudizio
conforme alle decisioni del Giudice penale.
L'assunto è infondato.
Deve in primo luogo rilevarsi che il c.p.p. del 1988, innovando rispetto al
passato non ha riprodotto l'art.3, c.p.p. del 1930, in tema di pregiudiziale
penale per cui, in linea di principio, il giudizio penale e il giudizio
disciplinare devono essere considerati autonomi tra loro.
La conseguenza, sul piano dei rapporti fra procedimento penale e procedimento
disciplinare, è che l'assoluzione per non aver commesso il fatto non preclude,
in sede disciplinare, una rinnovata valutazione dei fatti, così come
oggettivamente accertati dal giudice penale, essendo ontologicamente diversi i
presupposti delle rispettive responsabilità.
L'area dell'illecito penale è infatti notoriamente più ristretta rispetto a
quella dell'illecito disciplinare, per cui uno stesso fatto può essere
giudicato lecito dal punto di vista penale ed illecito sotto il profilo
disciplinare (al riguardo basta ricordare l'esempio di scuola, relativo alle
ingiurie ed alle diffamazioni ad un superiore).
Deve naturalmente restare fermo il solo limite dell'immutabilità
dell'accertamento dei fatti nella loro materialità operato in sede penale
cosicché, se è inibito ricostruire l'episodio posto a fondamento dell'incolpazione
in modo diverso da quello storicamente risultante dalla sentenza penale passata
in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà per la P.A. di valutare i medesimi
accadimenti nell'ottica dell'illecito disciplinare.
In definitiva, argomentando ex art. 97 t.u. n. 3 del 1957 ed ex art. 7 d.lg. n.
449/1992, ove dalla sentenza di assoluzione discenda che il fatto non
costituisce reato, deve ritenersi l'Amministrazione conserva il suo potere di
autonoma valutazione dell'illecito nell'ambito del procedimento disciplinare, in
quanto l'illiceità penale e quella disciplinare orbitano su piani assolutamente
differenti (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 07 luglio 2009, n. 4359).
Di qui la piena ammissibilità, sotto tale profilo, del procedimento disciplinare
in questione.
- 6.Par. Con il sesto capo di doglianza si lamenta in generale l'erroneità del
rigetto del nono, decimo ed undicesimo motivo di ricorso con cui l'appellante
aveva lamentato la violazione dell'art. 6, comma 2, dell'art. 11, comma 1 e 2, e
dell'art. 1, comma 2, del d.lgs n. 449/92 per la mancata valutazione delle
giustificazioni dell'interessato, e per la violazione del principio di
graduazione delle sanzioni.
- 6.1. L'appellante afferma che i provvedimenti disciplinari devono comunque
essere informati al principio di legalità per cui la motivazione della sua
destinazione avrebbe dovuto essere proporzionata: -) alla non gravità dei fatti;
-) alla sussistenza di tutte le circostanze attenuanti; -) alla qualità del suo
pregresso servizio; -) alle sue qualità morali e di carattere, ai sensi
dell'art. 11, comma 1 del d.lgs n. 449/92; -) ed infine all'assenza di
precedenti disciplinari.
L'assunto non ha pregio.
Nel caso, sia il provvedimento definitivo che i presupposti atti istruttori,
appaiono infatti del tutto logicamente e coerentemente affidati ad un ampia e
completa valutazione di tutti i comportamenti del dipendente, i quali ben
potevano rilevare negativamente sotto il profilo disciplinare, ancorchè fossero
stati ritenuti non punibili sul piano della legge penale.
Infatti, a prescindere dalla circostanza che, nello stato di servizio sono
trascritti anche altri precedenti disciplinari più volte riportati nel foglio
matricolare, nel caso in esame si condivide il richiamo ai principi generali in
materia quali per cui:
- la valutazione dei fatti e della loro gravità(così come la misura delle
relative sanzioni) rientrano in una valutazione di merito ampiamente
discrezionale che è sindacabile sul piano della legittimità unicamente
nell'ipotesi di macroscopici vizi logici, travisamenti dei fatti;
- la punibilità di un comportamento disciplinarmente rilevante è finalizzata
alla migliore tutela dell'interesse pubblico alla legalità, all'imparzialità e
al buon andamento degli uffici pubblici, secondo i principi sanciti dall'art. 97
Cost..
In conseguenza, in relazione alla natura e rilevanza, sul piano funzionale e
relazionale dei comportamenti del ricorrente, il provvedimento di destituzione
appare del tutto logico e coerente con le sue premesse e con le ricordate
finalità generali di tutela degli interessi pubblici in materia di stabilimenti
di pena.
- 6.2. Per l'appellante, in contrasto con le conclusioni della Corte di Appello,
il Tar Lecce avrebbe ritenuto che vi sarebbero state ulteriori frequentazioni
con malavitosi e quindi avrebbe sostenuto la sufficienza e congruità della
motivazione e della sanzione. L'assoluzione avrebbe invece reso leciti tutti i
comportamenti anche sotto il profilo disciplinare. In ogni caso il viaggio in
Calabria sarebbe stato un isolato ed occasionale atto di cortesia verso un amico
malato di tumore. In conseguenza la frequentazione di luoghi, persone e
compagnie sconvenienti non avrebbero giustificato la destituzione, ma al limite
la deplorazione o a tutto voler concedere la sospensione dal servizio ai sensi
degli artt. 4, 3 e5 del d.lgs. n.. 449/1992. Erroneamente il Tar avrebbe
ritenuto che in assenza di fatti penalmente rilevanti, si sarebbe verificata una
situazione di incompatibilità con la
prosecuzione del rapporto lavorativo.
La censura non convince.
Fermo restando quanto si diceva sub n. 5 che precede (circa il fatto che il
giudizio disciplinare non è vincolato alle valutazioni contenute nella sentenza
penale, la quale concerne finalità del tutto distinte rispetto a quelle del
giudizio disciplinare) deve rilevarsi che sotto i profili della logica e della
razionalità il provvedimento impugnato in primo grado è esente da un qualunque
sintomatico vizio di illogicità o di irragionevolezza.
In tale direzione, la stessa sentenza della Cassazione sul caso, favorevole al
ricorrente sotto il solo profilo probatorio, per il resto ha sostanzialmente
confermato la complessiva vicenda (respingendo gli appelli degli altri soggetti
condannati dalla Corte d'appello di Lecce e, per un imputato, dichiarandolo
inammissibile).
Anche a tal proposito ha dunque ragione il primo Giudice quando conclude che,
esattamente erano stati valutati i comportamenti e gli episodi che, nelle stesse
sentenze penali di legittimità e di merito, -- se non decisivi sul piano della
prova della stabile partecipazione dell'interessato al sodalizio criminale --
risultavano comunque incontestabilmente accertati nella loro storica materialità
tra cui in particolare:
- la presenza dell'appellante ad una cena tenutasi in data 8.02.2000 insieme a
personaggi pregiudicati al fine di comprare stupefacenti dalle cosche calabresi;
- l'ordine telefonico documentato dalle intercettazioni telefoniche, di un
soggetto (poi definitivamente condannato) al ricorrente di "portare i piccioli";
- la partecipazione dell'appellante, il 12.02.2000, ad un viaggio in Calabria
con la sua auto assieme ad un pregiudicato, per l'acquisto (peraltro poi non
riuscito) di un quantitativo di droga;
- la detenzione durante il viaggio dei Lire 20 milioni da parte dell'appellante
il quale, all'atto del controllo delle Forze dell'Ordine, al ritorno a Lecce
dalla Calabria "cercava inutilmente di disfarsi" dei soldi (pag. 6 sentenza
definitiva d'appello n. 630/2008).
In conclusione sul punto si tratta di comportamenti che, sotto il profilo
disciplinare appaiono connotati dal requisito della notevole gravità, ed
appaiono sintomatici indizi della mancanza di quel senso dell'onore e di quel
senso morale che sono qualità professionali indispensabili per un agente della
Polizia Penitenziaria.
Del tutto legittimamente si è dunque ritenuto che apparire essi fossero
ostativi alla prosecuzione del rapporto di servizio in quanto manifestamente
incompatibili con i fini istituzionali perseguiti dall'Amministrazione
penitenziaria.
- 7.Par.. Infine, deve essere respinto l'ultimo capo dell'appello, con cui si
lamenta che il TAR avrebbe omesso ogni motivazione circa la censura per cui
l'amministrazione non avrebbe speso alcuna specifica motivazione sulle sue
giustificazioni, che sarebbero state del tutto ignorate.
Il motivo è infondato sotto un duplice ordine di considerazioni.
In primo luogo deve rilevarsi l'assoluta genericità della doglianza così come
dedotta sia in primo grado che in questa sede. La censura si limita al piano
formalistico non specifica esattamente quali profili e quali elementi di tali
giustificazioni sarebbero stati ignorati ed in conseguenza in che misura la
mancata osservazione avrebbe concretamente influito sul provvedimento finale.
In secondo luogo si rileva come, nella Relazione conclusiva del Funzionario
Istruttore fatta sostanzialmente propria sia dal Consiglio Centrale di
Disciplina che dal provvedimento impugnato, si sottolinea puntualmente e si
confutano le sue giustificazioni, respingendole perché tutte ancorate al solo
aspetto penale.
La doglianza è comunque sostanzialmente inconferente in quanto le
giustificazione ripetevano comunque i rilievi già esaminati in precedenza dal
TAR e, peraltro più volte riproposti anche in questa sede.
- 8.Par. Infine come ulteriori motivi della sentenza gravata, l'appellante
ripropone integralmente tutti i motivi di primo grado, che in conseguenza delle
considerazioni che precedono, devono essere respinti concernendo gli identici
profili sostanziali.
- 9.Par. Sulla base delle sovraesposte considerazioni, l'appello è infondato e
deve essere respinto con tutte le connesse domande restitutorie di status e
risarcitorie.
Le spese di giudizio ai sensi dell'art. 26 del c.p.a. secondo le regole generali
seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivoP.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente
pronunciando:
- 1.respinge l'appello, come in epigrafe proposto e tutte le connesse comande;
- 2. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di entrambe le fasi del
giudizio che vengono liquidate in Euro 5.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
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giovedì 16 giugno 2011
Consiglio di Stato "...Con il presente gravame il ricorrente impugna la sentenza del Tar Lecce con cui è stato respinto il suo gravame diretto: - all'annullamento di tutti gli atti del procedimento disciplinare, definito con la irrogazione della sanzione della destituzione; - all'accertamento ed alla declaratoria del diritto del ricorrente alla ricostruzione della carriera ed alla corresponsione delle differenze retributive tra quanto percepito e quanto dovuto in ragione della posizione di ruolo ricoperta di Assistente di Polizia penitenziaria a decorrere dall'11.10.2001 con conseguente condanna dell'Amministrazione al pagamento delle relative somme, maggiorate di rivalutazione monetaria ed interessi a decorrere dall'11.10.2001...."
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