REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco - Presidente
Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - rel. Consigliere
Dott. D'ALESSANDRO Paolo - Consigliere
Dott. SCARANO Luigi Alessandro - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 11913-2009 proposto da:
COMUNE TERLIZZI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore ing. D.T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell'avvocato -
- ricorrente -
contro
-
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 282/2008 della CORTE D'APPELLO di BARI, Terza
Sezione civile, emessa il 13/02/2008, depositata il 18/03/2008;
R.G.N. 575/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D'ALESSANDRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per rigetto.
COMUNE TERLIZZI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore ing. D.T.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NIZZA 53, presso lo studio dell'avvocato -
- ricorrente -
contro
-
- controricorrenti -
avverso la sentenza n. 282/2008 della CORTE D'APPELLO di BARI, Terza
Sezione civile, emessa il 13/02/2008, depositata il 18/03/2008;
R.G.N. 575/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/05/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D'ALESSANDRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino che ha concluso per rigetto.
Fatto
Il Comune di Terlizzi propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Bari che, in parziale riforma della sentenza di primo grado, lo ha condannato, in solido con il MIUR, al pagamento della somma di Euro 310.000,00, oltre rivalutazione ed interessi, in favore di D.L.V., D.L. S. e D.L.C., a titolo di risarcimento del danno per la morte di D.P.M., coniuge di D.L.V. e madre di D.L.C. e S., insegnante di ruolo di scuola materna, avvenuta il 22/1/91 per arresto cardiaco in corso di servizio.
Resistono con controricorso tanto D.L.V., D.L.C. e D.L.S. quanto il MIUR.
Diritto
1.- Con il primo motivo, sotto il profilo della violazione di legge (art 360 c.p.c., n. 3), il ricorrente lamenta il vizio di ultrapetizione, assumendo che gli attori non avrebbero mai formulato una domanda di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale nei suoi confronti.
1.1.- Il primo motivo è infondato, per l'assorbente considerazione che il giudice - che nella specie ha configurato una azione di responsabilità extracontrattuale - ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire al rapporto dedotto in giudizio un nomen juris eventualmente diverso da quello indicato dalle parti, purchè non sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio tra le parti (Cass. 17 luglio 1997, n. 15925).
2.- Con il secondo motivo il ricorrente, sotto il profilo della violazione di legge, chiede, nel quesito di diritto ex art. 366-bis, se esso Comune "può essere condannato (e quindi considerato legittimato passivo) al risarcimento di danni patrimoniali e non patrimoniali per il decesso di una insegnante dipendente MIUR in base ad una domanda di natura contrattuale, fondata sull'art. 2087 c.c.; ed in subordine, qualora fosse qualificata come extracontrattuale la domanda, se può rinvenirsi il fatto colposo nella violazione della L. n. 444 del 1968, art. 7".
2.1.- Il secondo motivo è infondato.
Premessa la ammissibilità, in tema di protezione dell'integrità psico-fisica del lavoratore, del concorso tra la azione ex art. 2087 cod. civ. e l'azione ex art. 2043 (Cass. 24 febbraio 2006, n. 4184), va considerato che il Comune è obbligato, dalla L. 18 marzo 1968, n. 444, art. 7 a curare la manutenzione degli edifici adibiti a scuola materna e che tale obbligo, di natura pubblicistica, incide sul diritto primario alla salute (art. 32 Cost.) di coloro che l'immobile sono tenuti a frequentare come docenti, discenti o personale comunque dipendente dal MIUR. Ne discende la responsabilità del Comune per la violazione di tale diritto in conseguenza del proprio inadempimento, una volta che in fatto sia stato accertato il nesso causale tra detto inadempimento ed il fatto dannoso.
3.- Con il terzo motivo il Comune ricorrente, sotto il
profilo della violazione dell'art. 2697 cod. civ., lamenta il difetto di prova
riguardo al nesso di causaiità tra le condizioni ambientali di espletamento
dell'attività lavorativa e l'evento morte.
3.1.- Il terzo motivo è inammissibile, in quanto il vizio lamentato, sostanziandosi in un difetto di motivazione, avrebbe dovuto semmai farsi valere con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5.
4.- Con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione
degli artt. 40 e 41 cod. pen., chiedendo nel quesito di diritto se il giudice
"possa attribuire nella produzione dell'evento esclusiva efficienza causale alla
insalubrità dei locali ove si è svolta l'attività lavorativa, anche in presenza
di una conclamata grave patologia cardiaca (idonea anche da sola a produrre la
stessa causa di morte)".
4.1.- Anche il quarto motivo è inammissibile, in quanto il
vizio lamentato, sostanziandosi in un vizio dì motivazione, avrebbe dovuto
semmai farsi valere con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5.
5.- Il Comune ricorrente, con il quinto motivo, lamenta il
vizio di ultrapetizione in relazione alla liquidazione del danno morale.
5.1.- Il quinto motivo è infondato.
Come riportato in sentenza, gli appellanti incidentali hanno reiterato in sede di gravame tutte le richieste risarcitorie che si ricollegano a "responsabilità extracontrattuale dei convenuti, da cui consegue il diritto al risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti dalla defunta D.P. e dagli istanti come ontologicamente specificati in citazione, e riformulati in sede di conclusioni". Non sussiste, dunque, alcuna ultrapetizione da parte del giudice di appello.
6.- Il Comune ricorrente, sotto i profili della violazione di
legge e del vizio di motivazione, censura con il sesto motivo la sentenza
impugnata quanto al riconoscimento de danno biologico iure hereditatis e del
danno patrimoniale.
6.1.- Quanto al danno biologico iure hereditatis il mezzo è
infondato, in quanto il rigetto dell'appello del Comune sul punto è motivato con
la circostanza (non contestata) che "la sig.ra D. P. non decedette all'istante
senza maturare il diritto al risarcimento da trasferire agli eredi, ma subì un
progressivo deterioramento delle sue condizioni di salute e, dunque, tale danno
va collegato alla lunga durata della malattia e alta progressiva sofferenza sino
alla morte per un apprezzabile lasso di tempo".
Il sesto motivo è peraltro infondato anche quanto al danno patrimoniale.
Il ricorrente sostiene che gli attori non avrebbero provato il contributo economico della loro congiunta al patrimonio familiare.
Al riguardo va considerato che la valutazione equitativa del danno (quale quella compiuta nella specie dal giudice di merito), in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1529).
Nella specie il giudice di merito, considerando che un terzo del reddito della D.P. sarebbe stato destinato ai bisogni della famiglia, non si è discostato da dati di comune esperienza, tenuto conto - come si legge in sentenza - "delle esigenze personali del percettore dei reddito in relazione al tenore di vita, all'educazione, all'istruzione, alla posizione sociale ed all'età al momento del decesso". Nè, d'altro canto, compete al giudice di legittimità (trattandosi di questione di merito) valutare se fosse congrua, in relazione alle condizioni di salute della D.P., una previsione di attività lavorativa di dieci anni.
Il sesto motivo è peraltro infondato anche quanto al danno patrimoniale.
Il ricorrente sostiene che gli attori non avrebbero provato il contributo economico della loro congiunta al patrimonio familiare.
Al riguardo va considerato che la valutazione equitativa del danno (quale quella compiuta nella specie dal giudice di merito), in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, o macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1529).
Nella specie il giudice di merito, considerando che un terzo del reddito della D.P. sarebbe stato destinato ai bisogni della famiglia, non si è discostato da dati di comune esperienza, tenuto conto - come si legge in sentenza - "delle esigenze personali del percettore dei reddito in relazione al tenore di vita, all'educazione, all'istruzione, alla posizione sociale ed all'età al momento del decesso". Nè, d'altro canto, compete al giudice di legittimità (trattandosi di questione di merito) valutare se fosse congrua, in relazione alle condizioni di salute della D.P., una previsione di attività lavorativa di dieci anni.
7.- Con il settimo motivo il Comune lamenta il vizio di
ultrapetizione in relazione alla condanna (che si assume non richiesta) alla
rifusione delle spese di CTU, svolta in primo grado.
7.1.- Il mezzo è infondato. La parziale riforma della
sentenza di primo grado, in senso favorevole agli attori, giustifica infatti una
modifica, anche d'ufficio, del regolamento delle spese del grado, anche riguardo
alla CTU.
8.- Conclusivamente, il ricorso va rigettato, con la condanna
dei ricorrente al pagamento delle spese quanto ai D.L., liquidate in Euro 6.200,
di cui Euro 6.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge,
apparendo invece equo disporre la compensazione nei confronti del MIUR.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese nei confronti dei D.L., liquidate in Euro 6.200, di cui Euro 6.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge; spese compensate nei confronti del MIUR.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile, il 19 maggio 2011.
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