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giovedì 4 luglio 2013

Paradisi fiscali, il 50% del commercio mondiale viaggia ancora nel sommerso


RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO FONTE FISCO EQUO

Paradisi fiscali, il 50% del commercio mondiale viaggia ancora nel sommerso

Sintesi dell'intervento del sostituto procuratore della Repubblica di Forlì Fabio Di Vizio al convegno ''Dal riciclaggio all'auto-riciclaggio, dal falso in bilancio all'evasione fiscale fino alle isole del tesoro''.
"Il paradiso fiscale può annidarsi in ogni ordinamento e in ogni realtà economica, anche quelle convenzionalmente considerate trasparenti e che esigono la collaborazione dagli altri". Questa frase ben sintetizza l'intervento del sostituto procuratore della Repubblica di Forlì Fabio Di Vizio dal titolo molto eloquente ''La scomparsa dei paradisi fiscali e altre favole belle'' tenuto al maxi-convegno svoltosi al Palacongressi a Rimini sui crimini economici. L'altalena di proposte per sciogliere gli enigmi delle "isole del tesoro e dei paradisi fiscali" non ha ancora portato a efficaci soluzioni. "Il 50 per cento del commercio mondiale è fatto transitare nei cosiddetti paradisi fiscali", ha denunciato Di Vizio che ha incitato le magistrature, ad ogni livello, a prendersi carico del fardello di una questione che è decisiva per ripristinare la credibilità degli Stati e il senso della giustizia.
Il modello Ocse. Chi avesse scorso, alla data del 3 aprile 2009, la lista dei paesi non collaborativi nella lotta all'evasione fiscale internazionale, quella redatta dall'OCSE solo il giorno prima, avrebbe tratto un'impressione fallace. Avrebbe pensato, ingenuamente, che, dopo la riunione del G20 di Londra, in terra, oramai, di paradisi fiscali non ce ne erano. E, forse, anche che non se ne volevano davvero più. Ad aprile del 2009 lo scambio di informazioni in materia fiscale ha trovato principale regolamentazione internazionale nell'articolo 26 del modello di convenzione dell'Ocse (Modello Ocse). Valido fino a qualche mese fa, prevedeva intese bilaterali in base a cui lo scambio avviene su richiesta dettagliata e circostanziata, per casi e contribuenti determinati con una regola fondamentale: il principio della prevedibile rilevanza. In sostanza, gli Stati contraenti non possono inoltrare richieste di informazioni, specie bancarie, generiche e non circostanziate, che possono invece essere avanzate solo in relazione alla posizione di un singolo contribuente o di interi gruppi o categorie di contribuenti nei confronti dei quali vi siano già fondati sospetti. In pratica non si può dimostrare che sia stato commesso un illecito finché non si ottengono le informazioni e non si possono ottenere le informazioni, finché non si dimostra che è stato commesso un illecito. Inoltre le convenzioni tra Stati funzionano, per lo più, come foglie di fico e che permettono ai paradisi fiscali di dichiararsi trasparenti, continuando ad operare, né più né meno, come prima.
Al Consiglio europeo del 22 maggio 2013, il Presidente della Commissione Europea, tornando a parlare di frode ed evasione fiscale quale "grande problema", ha mostrato un grafico molto efficace. Ritraeva il valore del mancato gettito fiscale annuo, pari ad oltre 800 miliardi di euro, e segnalava come fosse superiore alla spesa sanitaria totale degli Stati UE nel 2008, quasi doppio rispetto all'importo totale dei disavanzi di bilancio del complesso dei singoli Stati UE e più che quintuplo rispetto alla spesa per il bilancio della UE. Il presidente Barroso ha quindi proposto tre livelli di intervento urgente. A livello nazionale, il miglioramento del rispetto della normativa fiscale, la promozione di una maggiore efficienza delle amministrazioni fiscali e la lotta contro i paradisi fiscali e la cd. pianificazione fiscale aggressiva. Alivello comunitario, il potenziamento dello scambio automatico di informazioni esteso a tutte le tipologie di reddito, anche quelli non da risparmio, e l'intensificazione della cooperazione tra le amministrazioni fiscali. A livello mondiale (in sede di G8, G20 e OCSE), la promozione dei principi di trasparenza, buongoverno fiscale e leale concorrenza fiscale e l'introduzione anche a questo livello dello scambio automatico multilaterale d'informazioni, quale nuova norma internazionale basata sull'approccio seguito nell'UE. Norma che dovrebbe costituire la base per la rinegoziazione da parte della Commissione, su mandato dei Ministri delle Finanze dei 27 Stati membri dell'UE (ECOFIN), delle intese fiscali in materia di tassazione dei risparmi con Svizzera, Liechtestein, Monaco, Andorra e San Marino.
Alcuni dati. Più della metà del commercio mondiale passa, almeno sulla carta, attraverso i paradisi fiscali. Oltre la metà di tutti gli attivi bancari ed un terzo dell'investimento diretto estero effettuato dalle imprese multinazionali vengono dirottati offshore. Nel 2010 il Fmi ha stimato che i soli bilanci dei piccoli centri finanziari insulari ammontavano complessivamente a 18.000 miliardi di dollari, circa un terzo del Pil mondiale. Secondo altre fonti (Tax Justice Network), sin dal 2005 i capitali detenuti offshore da individui facoltosi dovrebbero ammontare ad 11.500 miliardi di dollari, un quarto di tutta la ricchezza mondiale. Secondo alcune rilevazioni, nel 2009 nelle banche elvetiche, intestati a non residenti, erano depositati 2100 miliardi di dollari, la metà dei quali di provenienza europea. E ancora. Le isole Cayman sono il quinto maggior centro finanziario a livello mondiale. Qui, a fronte di una popolazione di poco più di 40.000 isolani, hanno sede 800.000 società, oltre tre quarti dei fondi speculativi (hedge fund ) di tutto il mondo e sono raccolti depositi per oltre 1900 miliardi di dollari. Secondo una recente ricerca del Sole 24 ore, inoltre, nel nostro Paese mancano all'appello del fisco circa 8 milioni di contribuenti, mentre secondo l'Istat il sommerso ammonta a non meno di 220 miliardi di €.
Che cos'è un paradiso fiscale? Venendo a definizioni meno istituzionali, appare di particolare interesse quella ampia, coniata in un libro di recente pubblicazione dal giornalista inglese Nicholas Shaxon. Per l'autore i paradisi fiscali sono tutti i luoghi che cercano "di attrarre imprese offrendo strutture politicamente stabili per aiutare le persone fisiche o giuridiche ad aggirare le norme, le leggi ed i regolamenti di altri giurisdizioni". Ma chi sono davvero i paradisi fiscali se si utilizza la definizione in parola, che, pure non mitizzabile, non pare così lontana dal vero? Quanti sanno che sino al 2005 le banche statunitensi potevano accettare liberamente i proventi di una lunga serie di crimini, inclusi il traffico di esseri umani, l'associazione a delinquere, la schiavitù e quasi tutte le forme di evasione fiscale, purché l'attività criminale fosse stata commessa all'estero? E che tuttora una banca statunitense può consapevolmente accettare i proventi di un ampio spettro di reati, come la ricettazione, purché perpetrati all'estero, "fuori del paese". Da un passo del libro di Shaxson: "il sistema offshore non è costituito da un gruppo di stati indipendenti che esercitano il proprio diritto sovrano di emanare le leggi e creare i sistemi fiscali che ritengono più appropriati; è piuttosto un insieme di reti di influenza controllate dalle maggiori superpotenze mondiali, in particolare la Gran Bretagna e gli Stati Uniti: ciascuna rete è profondamente interconnessa a tutte le altre.
Il ruolo della magistratura. Fondamentale per combattere questo stato di cose è il comportamento della magistratura che consiste nello svolgere le indagini correttamente, utilizzare in maniera accorta le banche dati delle diverse amministrazioni, saper leggere con capacità un bilancio e le voci in cui si annida spesso l'illecito e infine conoscere profondamente i principi fiscali e la revisione contabile.

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