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sabato 7 dicembre 2013

Atto Camera Mozione 1-00270 presentato da MARAZZITI Mario testo di Lunedì 2 dicembre 2013, seduta n. 129..l'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero..


Atto Camera

Mozione 1-00270
presentato da
MARAZZITI Mario
testo di
Lunedì 2 dicembre 2013, seduta n. 129
  La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, così come modificato dall'articolo 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, ha introdotto nel nostro ordinamento il «reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato»;
    istituiti dalla legge Turco-Napolitano (legge 6 marzo 1998, n. 40) e previsti dall'articolo 14 del Testo unico sull'immigrazione del 1998, come modificato dall'artico1o 13 della legge Bossi-Fini (legge 30 luglio 2002, n. 189), i Cie, anteriormente denominati centri di permanenza temporanea e assistenza (Cpta) o più brevemente (Cpt), si distinguono dalle strutture adibite all'accoglienza e al trattenimento degli immigrati per la loro finalità, in quanto sono stati creati per trattenere gli stranieri senza titolo di soggiorno e in attesa di espulsione, nei casi in cui non sia possibile l'esecuzione immediata della misura;
    l'articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, così come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, cosiddetta legge «Bossi-Fini», prevede che «quando non sia possibile eseguire con immediatezza l'espulsione mediante accompagnamento», «il questore dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso» il Cie e che quindi tali strutture siano destinate al trattenimento, convalidato dal giudice di pace, dei cittadini stranieri extracomunitari irregolari e destinati all'espulsione;
    dall'8 agosto 2009, con l'entrata in vigore della legge 15 luglio 2009, n. 94 (cosiddetto pacchetto sicurezza), il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri è passato da 60 giorni a 180 giorni complessivi; viene rafforzata così la loro natura di luoghi di permanenza obbligatoria, nonché di detenzione;
    secondo i dati forniti dalla Polizia di Stato, nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti in tutti i Cie operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54 per cento. Rispetto al 2010, il rapporto tra i migranti rimpatriati rispetto al totale dei trattenuti nei Cie è incrementato di appena il 2,3 per cento, mentre rispetto al 2011, l'incremento del tasso di efficacia nei rimpatri è risultato addirittura irrilevante (+0,3 per cento): si conferma dunque la sostanziale inutilità dell'estensione della durata massima del trattenimento ai fini di un miglioramento nell'efficacia delle espulsioni;
    l'articolo 21 del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 specifica che le modalità del trattamento nei Centri di identificazione e di espulsione «devono garantire, nel rispetto del regolare svolgimento della vita in comune, la libertà di colloquio all'interno del centro e con visitatore proveniente dall'esterno, in particolare con il difensore che assiste lo straniero, e con i Ministri di culto, la libertà di corrispondenza, anche telefonica, ed i diritti fondamentali della persona» e che in tali centri devono essere presenti «i servizi sanitari essenziali, gli interventi di socializzazione e la libertà di culto» e i «servizi predisposti per le esigenze fondamentali di cura, assistenza, promozione umana e sociale»;
    come risulta dall'indagine «arcipelago Cie» realizzata tra febbraio 2012 e febbraio 2013 da Medici per i diritti umani (MEDU) e pubblicata a maggio 2013, la struttura dei Centri di identificazione e di espulsione è simile a quella dei centri di internamento. «L'inattività forzosa per prolungati periodi di tempo, in spazi angusti ed inadeguati, insieme all'incertezza sulla durata e l'esito del trattenimento, rendono il disagio psichico dei migranti uno degli aspetti più preoccupanti e di più difficile gestione all'interno dei centri»;
    da un punto di vista prettamente sanitario, le indagini MEDU evidenziano che «in generale all'interno dei Cie non è previsto personale medico specialistico anche laddove sarebbe certamente necessario». I servizi sanitari, erogati in tutti i centri direttamente dagli enti gestori, non sembrano garantire in modo adeguato il diritto alla salute: permangono ostacoli rilevanti nell'accesso alle cure specialistiche e agli approfondimenti diagnostici, dovuti essenzialmente alle caratteristiche di strutture chiuse al mondo esterno dei Cie;
    oltre all'assistenza sanitaria, gli enti gestori sono tenuti a fornire i servizi di mediazione linguistico – culturale, l'orientamento legale e il supporto socio-psicologico. Gli standard di erogazione di tali servizi sono apparsi non omogenei tra i vari centri e nel complesso insoddisfacenti;
    l'assenza di un regolamento «comune» per tutti i Cie presenti in Italia, e la presenza di soli regolamenti adottati dalle prefetture di competenza, determina un diverso grado di flessibilità nei diritti concessi, anche sulla base della diversa interpretazione delle «ragioni di sicurezza»;
    la popolazione ristretta nei Cie – ampiamente eterogenea per status giuridico e percorsi migratori – presenta un complesso di bisogni a cui tali centri non sono assolutamente in grado di rispondere in termini di strutture e servizi. Oltre a un cospicuo numero di migranti provenienti dal carcere, l'indagine ha rilevato la presenza delle seguenti tipologie di persone: migranti appena giunti in Italia; richiedenti asilo; cittadini comunitari; stranieri presenti da molti anni in Italia, spesso con famiglia, ma senza un contratto di lavoro regolare; immigrati con il permesso di soggiorno scaduto;
    in particolare, ha destato preoccupazione la presenza nei Centri di identificazione e di espulsione di un elevato numero di ex detenuti che, dopo aver scontato pene anche di diversi anni, vengono trattenuti per ulteriori lunghi periodi di tempo all'interno degli stessi, nonostante la direttiva interministeriale del 30 luglio 2007, dei Ministri pro tempore Amato e Mastella, stabilisca che, in linea con le indicazioni del rapporto «de Mistura», l'identificazione per detenuti debba avvenire in carcere, e non più negli allora Centri di permanenza temporanea, da considerarsi come luoghi destinati più utilmente al riconoscimento di altri soggetti; riconoscimento che si presenta problematico e che richiede un considerevole impiego di Forze dell'ordine, sia per gli impegnativi compiti di sorveglianza che per quelli di accompagnamento presso i tribunali competenti;
    altro aspetto su cui il rapporto si sofferma molto è la necessità di prevenire e contenere gli atti di ribellione, isolando in appositi spazi i rivoltosi e addirittura i «potenziali» rivoltosi, prevedendo celle speciali in carceri speciali: la grave carenza di spazi e attività ricreative all'interno dei Cie costituisce uno degli elementi che provoca maggior malessere tra i trattenuti. I drastici tagli nei bilanci a disposizione degli enti gestori, insieme al prolungamento dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi, hanno contribuito ad accrescere la tensione nei centri e a peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei trattenuti nel corso dell'ultimo anno;
    a questo proposito, appaiono quanto mai appropriate e attuali le considerazioni – risalenti al 2008 – contenute nel XVIII dossier statistico immigrazione di Caritas/Migrantes: «Proprio la prevista dilatazione della restrizione della libertà di movimento (estensione dei tempi massimi di trattenimento a 18 mesi, n.d.a.), tuttavia, forse rivela il vero intento della norma: introdurre una lunga carcerazione preventiva per pochi malcapitati, in modo che serva come monito e deterrente per altri. In realtà, e non solo in Italia, il contrasto dell'immigrazione irregolare ormai entrata sul territorio nazionale si muove secondo logiche casuali e crudeli [...]. In definitiva, gli immigrati effettivamente espulsi sono modeste percentuali, e non sono necessariamente i più pericolosi o parassitari»;
    la sentenza n. 1410 del 12 dicembre 2012 del tribunale di Crotone, ha stabilito che i protagonisti della rivolta nel Cie di Crotone – i quali, saliti sul tetto della struttura, hanno lanciato alcuni oggetti contundenti contro le Forze dell'ordine – non sono colpevoli di danneggiamento e offesa a pubblico ufficiale in quanto agirono per «legittima difesa» e la reazione degli stranieri alle «offese ingiuste» è da considerarsi proporzionata. Il giudice ha infatti scritto che, nel caso dei Cie, si tratta di «strutture – nel loro complesso – al limite della decenza, intendendo tale ultimo termine nella sua precisa etimologia, ossia di conveniente alla loro destinazione: che è quella di accogliere essere umani. E, si badi, esseri umani in quanto tali, e non in quanto stranieri irregolarmente soggiornanti sul territorio nazionale; per cui lo standard qualitativo delle condizioni di alloggio non deve essere rapportato al cittadino straniero irregolare medio (magari abituato a condizioni abitative precarie), ma al cittadino medio, senza distinzione di condizione o di nazionalità o di razza»;
    precedentemente, la stessa Corte costituzionale, nella sentenza 105 del 2001, ha rilevato che «Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia dell'immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani»;
    anche il relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti dei migranti, in un rapporto del 2010 denuncia in numerosi Stati l'uso sproporzionato della detenzione nella gestione dell'immigrazione, sottolineando come essa dovrebbe essere utilizzata solo come misura di ultima istanza;
    da ultimo, il caso Alma Shalabayeva ha mostrato come, secondo quanto dichiarato dal presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, in un articolo pubblicato su L'Unità del 17 luglio 2013, «accade che la politica dei respingimenti venga praticata con brutale efficienza nei confronti di migliaia di anonimi immigrati e richiedenti asilo» e come, dunque, tale caso istituzionale «potrebbe rappresentare l'occasione per ripensare a fondo la materia e per interrogarsi, in particolare, sulla legittimità di queste forme di rimpatrio,

impegna il Governo:

   a ripensare radicalmente gli attuali strumenti di gestione dell'immigrazione irregolare che risultano inefficaci (per quanto attiene all'effettività dei provvedimenti di espulsione), inutilmente costosi ed altamente lesivi dei diritti umani fondamentali;
   ad assumere iniziative per riformare l'intera disciplina dell'ingresso, del soggiorno e dell'allontanamento dei cittadini stranieri, riducendo a misura eccezionale, o comunque del tutto residuale, il trattenimento dello straniero ai fini del suo rimpatrio;
   ad assumere iniziative normative per abrogare, in particolare, le norme del Testo unico sull'immigrazione (decreto legislativo n. 286 del 1998) che penalizzano l'ingresso e il soggiorno irregolare, vale a dire il cosiddetto «reato di clandestinità», fermo restando il diritto del Paese, secondo le norme vigenti, all'espulsione come sanzione amministrativa quando non esistano i requisiti per il soggiorno regolare o l'accoglimento dell'istanza di protezione internazionale;
   ad ampliare i canali di ingresso regolare, a tutelare l'ingresso per ricerca di lavoro, anche al fine di contrastare il grave fenomeno della tratta degli esseri umani, nonché a introdurre meccanismi di regolarizzazione ordinaria;
   ad introdurre politiche migratorie atte a garantite effettive possibilità di inserimento sociale dei migranti;
   a garantire ai profughi un'adeguata ospitalità presso centri appositi in cui sia garantita l'assistenza psicologica e legale;
   ad assumere iniziative per eliminare ogni restrizione e difficoltà al normale ingresso di associazioni umanitarie e organizzazioni non governative all'interno dei centri, al fine di umanizzare le condizioni di vita, sostenere un clima di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, individuare e sciogliere eventuali problemi sociali non identificabili al momento dell'ingresso, favorite, laddove possibile, il reinserimento sociale, nonché prevenire tensioni.
(1-00270) «Marazziti, Santerini, Schirò».
(Mozione non iscritta all'ordine del giorno ma vertente su materia analoga)

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