Corte dei Conti:
Trattamento di quiescenza dei pubblici dipendenti -
Esclusione dal
beneficio della maggiorazione del 18% della quota
parte di
stipendio di importo pari all'ex voce retributiva
indennita'
integrativa speciale.
N. 115 ORDINANZA
(Atto di promovimento) 17 marzo 2016
Ordinanza del 17
marzo 2016 della Corte dei conti - Sezione
Giurisdizionale
regionale per le Marche nel giudizio pensionistico
proposto da xxx xxx
contro INPS.
Previdenza -
Trattamento di quiescenza dei pubblici dipendenti -
Esclusione dal
beneficio della maggiorazione del 18% della quota
parte di
stipendio di importo pari all'ex voce retributiva
indennita'
integrativa speciale.
- Decreto del
Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092
(Approvazione del
testo unico delle norme sul trattamento di
quiescenza dei
dipendenti civili e militari dello Stato), art. 220,
come modificato
dall'art. 22 della legge 29 aprile 1976, n. 177
(Collegamento
delle pensioni del settore pubblico alla dinamica
delle
retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del
personale statale
e degli iscritti alle casse pensioni degli
istituti di
previdenza).
(GU n.24 del
15-6-2016 )
LA CORTE DEI CONTI
Sezione
giurisdizionale regionale per le Marche
Nella persona
del Giudice unico nella materia pensionistica Cons.
Giuseppe De Rosa ha
pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso
iscritto al n.
21796/PC del registro di Segreteria presentato il 17
aprile 2015 dal sig.
xxx xxx, nato a Valle Castellana
(TE) il 29 settembre
1949 e residente ad Ascoli Piceno (AP) in via
delle Zinnie n.
19/B, nei confronti dell'INPS, per il riconoscimento
di un piu'
favorevole trattamento pensionistico;
Udito, nella
pubblica udienza del 29 gennaio 2016, l'avvocato
Italo Pierdominici,
per l'INPS; presente il ricorrente;
Visti gli altri
atti e documenti tutti di causa.
Fatto
Con il ricorso
all'esame, il ricorrente - ex dirigente di
Trenitalia S.p.a.
cessato dal servizio il 25 febbraio 2011 con
diritto a
trattamento pensionistico erogato dalla specifica gestione
- censurava che nel
prospetto di calcolo della propria pensione
erroneamente
l'Istituto previdenziale aveva:
scorporato
dall'ultimo stipendio percepito l'importo relativo
alla soppressa voce
retributiva "indennita' integrativa speciale"
(nel prosieguo:
i.i.s.), per poi applicare la maggiorazione del 18%
ex art. 22 della
legge n. 177 del 1976 sulla parte residua;
del pari,
scorporato dall'"Assegno personale pensionabile -
ex Premio di
Esercizio" - o 14ª mensilita' - l'importo relativo alla
soppressa voce
retributiva "Superminimo individuale" (pari a euro
1.139,71), per poi
applicare la maggiorazione del 18% ex art. 22
della legge n. 177
del 1976 sulla parte residua.
Risultava dagli
atti che:
con
raccomandata del 29 ottobre 2012 l'interessato domandava
all'INPS di
Teramo di rettificare il proprio trattamento
pensionistico con la
determinazione della base pensionabile mediante
maggiorazione
dell'intero Trattamento retributivo individuale ("TEI)
ivi incluso
l'importo equivalente a quello dell'ex voce "i.i.s." e
dell'intero importo
dell'"Assegno personale pensionabile - Ex premio
di esercizio"
comprensivo dell'ammontare relativo alla ex voce
retributiva
"superminimo individuale";
in
mancanza di risposta alla predetta richiesta,
l'interessato
proponeva in data 4 giugno 2013 ricorso al Comitato
amministratore del
Fondo dipendenti delle Ferrovie dello Stato
(asserito senza
risposta e, pertanto, tacitamente rigettato).
Nella sede
giurisdizionale, in particolare, il pensionato
sosteneva che:
l'art. 22
della legge n. 177 del 1976 esprimeva un principio
di tassativita' per
quanto concernente l'incrementabilita' del 18% ai
fini pensionistici
degli emolumenti diversi dallo stipendio (rif.:
"assegni e
indennita'") percepiti dal personale ferroviario gia'
iscritto al Fondo
pensioni, ma "ovviamente" la norma salvaguardava
l'integrale
applicabilita' della maggiorazione del 18% allo stipendio
o stipendio
tabellare in godimento al momento della cessazione del
servizio, rispetto
al quale non poneva limitazione alcuna;
il "T.E.I.",
del quale il ricorrente era in godimento alla
data di cessazione
del servizio, aveva natura sicuramente stipendiale
e costituiva - al di
la' della denominazione meramente formale - lo
"stipendio
tabellare" ovvero "stipendio" riguardato dall'art.
22
della legge n. 177
del 1976, ove si fosse considerato che lo stesso
rappresentava il
solo e unico corrispettivo sinallagmatico pertanto
fondamentale ed
esclusivo previsto dal C.C.N.L. di categoria per la
prestazione dedotta
nel rapporto di lavoro;
detta
retribuzione fissa, continuativa, predeterminata,
ordinaria e
periodica integrava quindi gli estremi della fattispecie
dello "stipendio"
in senso stretto, di cui all'art. 220 del decreto
del Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973, come modificato da
ultimo dall'art. 22
della legge n. 177 del 1976;
lo stesso
INPS, in sede di determinazione della base
pensionabile, aveva
considerato il "T.E.I." in godimento alla data di
cessazione del
servizio come l'"ultimo stipendio" come evidenziato
nei prospetti
allegati al ricorso stesso;
illegittimamente, dunque, l'Istituto aveva sottratto dallo
"stipendio
tabellare" (vale a dire il "T.E.I") l'importo mensile
di
euro 745,76 pari
alla voce retributiva soppressa dell'ex "i.i.s."
(del quale il
ricorrente era in godimento prima dell'applicazione del
CCNL dei dirigenti
industriali del 30 ottobre 1998), per poi
effettuare la
rivalutazione del 18% sulla parte residua;
dall'avvenuto
conglobamento dell'i.i.s. nello stipendio tabellare, di
cui l'indennita'
era divenuta parte integrante, sostanziale e
inscindibile, non
poteva che conseguire anche la relativa
maggiorazione del
18% nell'ambito della base pensionabile;
da quanto
esposto non poteva che derivare la perdita di
qualsiasi rilevanza
ed efficacia giuridica di norme pregresse in
ordine alla
preclusione della maggiorazione del 18% della i.i.s.
(art. 15, legge n.
724 del 1994), in quanto fondate sul presupposto
dell'autonomia di
una voce retributiva cancellata dall'ordinamento e
il cui importo era
divenuto a tutti gli effetti parte integrante
dello "stipendio";
tanto piu', si affermava, che Trenitalia aveva
applicato le
trattenute previdenziali sull'intero importo del
"T.E.I."
maggiorato del 18% comprensivo, dunque, della quota parte di
esso afferente alla
ex "i.i.s.";
con la
domanda di ricorso, pertanto, non si chiedeva la
maggiorazione del
18% dell'i.i.s., bensi' l'esatta determinazione
dello stipendio
tabellare ("T.E.I.") da assoggettare alle modalita'
di computo previste
dall'art. 220 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 1092
del 1973;
la soluzione
prospettata nel gravame risultava in linea con
la plurima
giurisprudenza della Corte dei conti (rif.: Sezione di
controllo sugli atti
del Governo e delle Amministrazioni dello Stato,
n. 2 del 24 marzo
2004; Sezioni giurisdizionali Puglia, sentenza n.
454 del 2014;
Marche, sentenze n. 66 del 2012 e n. 380 del 2008;
Sezioni riunite
Sicilia, sentenza n. 46 del 2010; Liguria, sentenza
n. 771 del 2007;
Emilia Romagna, sentenza n. 946 del 2007);
la predetta
soluzione trovava ulteriore conferma nella "Nota
a verbale"
riportata in calce all'art. 63 del CCNL delle Attivita'
ferroviarie del 16
aprile 2003, vigente al momento della cessazione
del ricorrente e
applicabile a tutto il personale con qualifica
diversa da quella di
dirigente di Trenitalia S.p.a., a mente della
quale: "Le
parti confermano che le voci retributive di cui al punto
1.1. e al p. 6 del
presente articolo (n.d.r.: i cc.dd. "Minimi
contrattuali"
comprensivi dell'ex indennita' di contingenza ovvero
dell'indennita'
integrativa speciale ex legge n. 324 del 1959 e
successive
modificazioni nonche' dell'E.D.R. di cui al Protocollo
interconfederale del
31 luglio 1992) sono elemento dello "stipendio"
ai sensi di quanto
previsto dall'art. 220 del T.U. n. 1092 del 1973,
come sostituito
dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976 e successive
modifiche e
integrazioni; tale contenuto dispositivo si affermava
applicabile ai
dirigenti per l'effetto dell'ellittico rinvio operato
dall'art. 27 del
CCNL dirigenti d'azienda;
le voci
retributive precedentemente godute dal personale poi
conglobate nello
stipendio, tra cui l'i.i.s., avevano generato una
eccedenza di
retribuzione che le parti stipulanti avevano ritenuto di
salvaguardare come
"Assegno personale pensionabile" (A.P.P.) non
riassorbibile
denominato "Elemento retributivo individuale" (E.R.I.)
(rif.. art. 63 del
CCNL del 16 aprile 2003 e art. 28 del Contratto
aziendale del Gruppo
SF e Accordo di confluenza al CCNL delle
attivita'
Ferroviarie del 16 aprile 2003);
considerazioni analoghe a quelle svolte per l'ex "i.i.s."
valevano per lo
scomputo della somma corrispondente alla voce
retributiva
soppressa "Superminimo individuale" (anch'essa non piu'
riportata nei
cedolini stipendiali identicamente alla ex per effetto
della modifica
apportata dalle parti stipulanti alle clausole della
contrattazione
collettiva con decorrenza 1° gennaio 2005, la voce
"Superminimo",
che non concorreva alla determinazione dell' "Assegno
pensionabile - ex
premio di esercizio" ex accordo del 30 ottobre 1998
era stata soppressa
e il relativo importo era stato conglobato in
quello dello
stipendio tabellare ("T.E.I.") il quale, come gia' il
"Minimo
contrattuale base", concorreva e - ora come "T.E.I."
-
continuava a
concorrere alla determinazione di detto "Assegno
pensionabile - ex
premio di esercizio", con esso anzi identificandosi
e coincidendo in
tutto e per tutti i relativi effetti; tale
disposizione
rimaneva immutata a seguito del rinnovo del C.C.N.L. dei
dirigenti d'azienda
del 25 novembre 2009, ex art. 3, comma 6, dello
stesso C.C.N.L.,
vigente al momento della cessazione del servizio del
ricorrente;
("Assegno personale pensionabile - ex premio di
esercizio" o
14^ mensilita', pertanto, era pari al "T.E.I."
maggiorato del 20%
ex accordo del 30 ottobre 1998, a sua volta da
incrementare del 18%
ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del
1976.
Nel gravame si
concludeva:
per la
dichiarazione del diritto alla determinazione della
base pensionabile
con maggiorazione del 18% ex art. 22 della legge
n. 177 del 1976
dello stipendio tabellare ("T.E.I."), senza scorporo
dell'importo
afferente la soppressa "i.i.s.";
per la
dichiarazione del diritto al computo dell' "Assegno
personale
pensionabile - ex premio di esercizio" o quattordicesima
mensilita' (pari al
"T.E.I." maggiorato del 20%), da maggiorarsi del
18% in base
pensionabile ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del
1976, senza
scorporo dell'importo afferente la soppressa voce
retributiva
"Superminimo individuale";
per la
condanna dell'INPS alla corresponsione della pensione
come sopra
rideterminata e adeguata, con pagamento degli arretrati
pari alla
differenza tra il dovuto e il corrisposto, oltre a
interessi e
rivalutazione monetaria come per legge, sino
all'effettivo
soddisfo.
Con memoria
depositata il 6 ottobre 2015 si costituiva l'Istituto
previdenziale
eccependo ovvero rappresentando quanto segue:
la
componente retributiva denominata "Assegno personale
pensionabile"
veniva regolarmente inclusa nelle competenze
assoggettate
all'incremento del 18%;
quanto
all'"i.i.s." la posizione del ricorrente in nulla
differiva da quella
degli altri dipendenti delle Ferrovie dello Stato
(dirigenti e non);
per i
dirigenti di Ferrovie dello Stato S.p.a. dal 1° gennaio
2005 ai sensi del
C.C.N.L. 2004/2008 la base imponibile ai fini
previdenziali
risultava costituita dal T.E.I. ("Trattamento economico
individuale")
del tutto assimilabile alla voce "stipendio" indicata
dall'art. 220 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del
1973;
l'"i.i.s."
amministrativamente andava scorporata dalla voce
"stipendio"
ai fini dell'aumento del 18% e aggiunta, poi, senza tale
aumento al prodotto
ottenuto nella formazione della base imponibile
con modalita'
indicate nella direttiva INPS n. 29763 del 7 novembre
2006 e nella
disposizione n. 0060034 del 13 marzo 2009;
il
ricorrente erroneamente riteneva che le parti private
potevano disporre di
risorse pubbliche determinando la misura delle
prestazioni
previdenziali, diversamente innescandosi illegittimi
costi indiretti; in
proposito si affermava necessaria una specifica
previsione normativa
per l'inclusione d'una componente retributiva
nella base
pensionabile ai fini della maggiorazione del 18%;
ai sensi
dell'art. 63 del C.C.N.L. del 1° agosto 2003,
cessava - a far data
1° settembre 2003 - d'essere erogata come
distinta componente
retributiva;
la domanda
giurisdizionale e la relativa prospettazione
ponevano la
questione della determinazione dell'imponibile
contributivo ai fini
della misura della prestazione;
con numerose
pronunce la Sezione seconda centrale della Corte
dei conti aveva
chiarito quali componenti retributive, pur essendo
computabili in
pensione, non fossero tuttavia soggette alla
maggiorazione del
18% (rif.: sentenze nn. 314, 315 e 317 del 18
novembre 2003 e n.
336 del 25 novembre 2003); analogamente si
sosteneva avessero
chiarito le sentenze n. 189 del 2011 e n. 114 del
2012 di questa
Sezione giurisdizionale; pertanto, la maggiorazione
del 18% poteva
ritenersi applicabile ai casi tipizzati dal
legislatore negli
articoli 15 e 22 della legge n. 177 del 1976; per
il personale
ferroviario analogamente disponeva l'art. 220 del
decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973;
insuperabile
risultava il precetto di cui all'art. 15, commi
1 e 3, della legge
n. 724 del 1994; se, dunque, l'art. 63 del
C.C.N.L. e il
C.C.N.L. dirigenti personale ferroviario avevano
conglobato l'i.i.s.
nel minimo contrattuale, con la stessa
implicazione sul
piano del sinallagma che dalle date della loro
efficacia
l'indennita' cessava di costituire componente distinta, non
per questo ai fini
pensionistici l'importo relativo non diveniva
enucleabile per la
individuazione di quelli cui si applicava
l'incremento del
18%, posto che le disposizioni previdenziali non si
configuravano
suscettibili di condizionamento su accordo delle parti.
Nella memoria,
l'Istituto previdenziale concludeva:
per il
rigetto comunque del ricorso perche' infondato in
fatto e in diritto
o, per quanto di ragione occorrendo previa C.T.U.
contabile.
Con sentenza non
definitiva n. 8 del 23 febbraio 2016 di questa
Sezione
giurisdizionale veniva accolta, nel merito, la domanda di
valorizzazione, ai
fini della maggiorazione del 18% prevista
dall'art. 22 della
legge n. 177 del 1976, della ex voce retributiva
"Superminimo
individuale" (percepita nell'importo di euro 1.139,71)
nella misura in cui
effettivamente confluita nell'"Assegno personale
pensionabile - ex
premio di esercizio".
Relativamente
all'ulteriore domanda di ricorso, vale a dire la
richiesta
concernente la maggiorazione ex art. 220 del decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973 dell'intero "stipendio",
comprensivo quindi
della ex voce retributiva "i.i.s.", nella
decisione precitata
si rinviava a separata ordinanza per la
sospensione del
giudizio e per la rimessione degli atti alla Corte
costituzionale con
riferimento a questioni di legittimita'
costituzionale,
d'ufficio sollevate, dell'art. 220, comma 1, del
decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 come
modificato dall'art.
22 della legge n. 177 del 1976, per ipotizzata
violazione degli
articoli 3, 36 e 38 Cost.
Diritto
1. Il giudizio
introdotto col ricorso all'esame, per la parte non
ancora definita a
seguito della sentenza n. 8 del 23 febbraio 2016 di
questa Sezione
giurisdizionale, ha fondamentalmente a oggetto
l'esatta
commisurazione della pensione del ricorrente - ex dirigente
di Trenitalia S.p.a.
collocato in quiescenza il 26 febbraio 2011 con
diritto a
trattamento pensionistico, erogato nell'ambito della
specifica gestione
previdenziale, da determinarsi col sistema
retributivo ai sensi
dell'art. 13 del decreto legislativo n. 503 del
1992 - in relazione
all'applicabilita', o meno, della maggiorazione
del 18% ex art. 220
(base pensionabile) del decreto del Presidente
della Repubblica
n. 1092 del 1973 alla ex voce retributiva
"indennita'
integrativa speciale" confluita nel trattamento
stipendiale.
Dispone la
predetta normativa, a seguito delle modifiche recate
dall'art. 22 della
legge n. 177 del 1976: "Ai fini della
determinazione della
misura del trattamento di quiescenza degli
iscritti al Fondo
pensioni, la base pensionabile, costituita
dall'ultimo
stipendio e dagli assegni o indennita' pensionabili
sottoindicati,
integralmente percepiti, e' aumentata del 18 per
cento:
a)
indennita' di funzione per i dirigenti superiori e per i
primi dirigenti
prevista dall'art. 47 del decreto del Presidente
della Repubblica 30
giugno 1972, n. 748;
b)
indennita' pensionabile prevista dalla legge 16 febbraio
1974, n. 57;
c) assegno
personale pensionabile.
Per gli effetti
del precedente comma si considerano soltanto gli
assegni o indennita'
previsti come utili ai fini della determinazione
della base
pensionabile, da disposizioni di legge.
Degli assegni
personali di cui al comma precedente non concorre a
determinare la
misura della base pensionabile il «compenso
combattenti». Detto
compenso e' liquidato in valore capitale, da
determinare
moltiplicando per quindici l'importo annuo del compenso
stesso per le
cessazioni dal servizio decorrenti dal 1° luglio 1973 e
per dieci nei casi
di cessazione dal servizio anteriori a tale
data.".
In sostanza, con
riferimento alla disposizione all'esame, siccome
costantemente e
univocamente interpretata dalla giurisprudenza delle
Sezioni d'appello
della Corte dei conti (cfr. infra, capo 3.), il
ricorrente non
avrebbe diritto alla maggiorazione del 18% dell'intero
e ultimo stipendio
percepito (al 25 febbraio 2011) nell'ambito del
relativo rapporto di
lavoro (ai fini della determinazione della c.d.
quota A di pensione,
ai sensi dell'art. 13, lettera a) del decreto
legislativo n. 503
del 1993), bensi' unicamente dell'incremento della
parte di stipendio
al netto dell'importo dell'ex indennita'
integrativa
speciale, confluita nello stipendio medesimo a far data
1° gennaio 2003
(rif.: art. 63 del C.C.N.L. per i lavoratori addetti
al settore delle
attivita' ferroviarie e servizi connessi
sottoscritto il 16
aprile 2003); per l'effetto detta ex voce
retributiva
riverberando sulla determinazione del trattamento
pensionistico,
nonostante ormai soppressa per espressa volonta' delle
parti contraenti
stabilenti la disciplina, anche economica, dello
specifico rapporto
di lavoro.
Recita in
proposito l'articolo art. 63 (Retribuzione) del
C.C.N.L. del 16
aprile 2003:
"1.
Elementi della retribuzione.
1.1. Sono
elementi della retribuzione:
a) minimo
contrattuale, di cui al punto 4 del presente
articolo;
b) aumenti
periodici di anzianita';
c) assegni
ad personam pensionabili di cui al punto 5 del
presente articolo.
1.2. Sono
elementi ulteriori della retribuzione:
a)
tredicesima mensilita';
b)
quattordicesima mensilita';
(...).
4. Minimi
contrattuali.
In relazione a
quanto previsto dall'art 21 (classificazione
professionale) del
presente CCNL, i valori minimi contrattuali
mensili, con le
rispettive decorrenze, sono i seguenti:
4.1. A
decorrere dal 1° gennaio 2003: (...);
4.2. A
decorrere dal 1° settembre 2003: (...);
4.3. A
decorrere dal 1° luglio 2004: (...).
4.4. Gli importi
dei minimi contrattuali di cui sopra sono
comprensivi dell'ex
indennita' di contingenza (ovvero dell'indennita'
integrativa speciale
ex legge n. 324/1959 e successive modifiche ed
integrazioni),
nonche' dell'E.D.R. di cui al Protocollo
interconfederale del
31 luglio 1992.
(...).".
Ha quindi
previsto il Contratto collettivo nazionale di lavoro
dei dirigenti delle
Aziende industriali per il periodo dal 1° gennaio
2004 al 31 dicembre
2008 (applicato ai dirigenti delle Ferrovie dello
Stato a seguito
della privatizzazione del relativo rapporto di
lavoro), al punto 6.
dell'art. 3 (Trattamento minimo complessivo di
garanzia):
"Il
trattamento economico annuo lordo complessivamente spettante
al dirigente,
continuera' ad essere erogato in tredici mensilita'
ovvero nel maggior
numero di mensilita' aziendalmente previsto.
A far data dal
1° gennaio 2005, le voci che compongono la
retribuzione
continueranno ad avere le attuali descrizioni tranne
quelle riferite a:
minimo
contrattuale comprensivo del meccanismo di variazione
automatica;
ex elemento
di maggiorazione;
aumenti di
anzianita';
superminimi
e/o sovraminimi e/o assegni "ad personam";
che saranno
riunite in un'unica voce denominata "trattamento
economico
individuale (T.E.I.).
(...).".
Ordunque, sulla
base di quanto appena esposto consegue che il
"minimo
contrattuale" - nel quale, nell'anno 2003, e' indistintamente
confluito l'importo
della "ex" "indennita' integrativa speciale" - e'
a sua volta
confluito, nell'anno 2005 e sempre indistintamente, nel
"Trattamento
economico individuale", costituente la normale
retribuzione
ovverosia lo "stipendio" del dirigente delle Ferrovie
dello Stato.
Sul piano
applicativo, quanto sopra rappresentato trova riscontro
nell'ambito dei
cedolini stipendiali del ricorrente (allegati nn. 7,
8 e 9 al ricorso
giurisdizionale, nei quali non risulta alcuna
evidenziazione
dell'ex voce retributiva "indennita' integrativa
speciale"):
"Stipendio
di novembre 2004" (data valuta 25 novembre 2004):
retribuzione mensile
pari a euro 6.051,17 cosi' composta (minimo
contrattuale base
pari a euro 3.436,54 + aumenti anzianita' pari a
euro 516,45 + diff.
24mi maturati pari a euro 34,66 + E.D.R. pari a
euro 923,81 +
superminimo individuale pari a euro 1.139,71);
"Stipendio
di gennaio 2011" (data valuta 27 gennaio 2011):
trattamento
economico individuale (T.E.I.) pari a euro 6.438,50;
"Stipendio
di febbraio 2011" (data valuta 25 febbraio 2011):
trattamento
economico individuale (T.E.I.) pari a euro 6.438,50.
2. Va precisato
che la pensione in argomento e' stata determinata
in base al sistema
"retributivo" (quota A e quota B) sulla base di
anni 9, mesi 9
(aliquota di pensione massima, pari all'80%) a far
data febbraio 2011;
nei casi di specie, i trattamenti pensionistici
sono liquidati a
mente dell'art. 1, comma 13, della legge n. 335 d
1995 riguardante
coloro che, come il ricorrente, alla data del
gennaio 1995
possedevano un'anzianita' contributiva non inferiore ai
diciotto anni (nel
caso: anni 24 mesi 8).
Come e' noto, ai
fini del predetto calcolo va considerato l'art.
13 del decreto
legislativo n. 503 del 1992 statuente quanto segue:
"1. Per i
lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione
generale
obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti
ed alle fon
sostitutive ed esclusive della medesima, e per i
lavoratori autonomi
iscritti alle gestioni speciali amministrate
dall'INPS, l'importo
della pensione e' determinato dalla somma:
a) della
quota di pensione corrispondente all'importo
relativo a
anzianita' contributive acquisite anteriormente al 1°
gennaio 1993
calcolato con riferimento alla data di decorrenza della
pensione secondo la
normativa vigente precedentemente alla data
anzidetta che a tal
fine resta confermata in via transitoria, anche
per quanto concerne
il periodo di riferimento per la determinazione
della retribuzione
pensionabile;
b) della
quota di pensione corrispondente al trattamento
pensionistico
relativo alle anzianita' contributive acquisite a
decorrere dal 1°
gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al
presente decreto.".
La quota A viene
calcolata con riferimento alla retribuzione
spettante all'atto
del collocamento a riposo ed all'anzianita'
maturata al 31
dicembre 1992 e viene determinata applicando
l'aliquota
corrispondente all'anzianita' maturata a quella data
(articoli 43 e 44
del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092
del 1973,
relativamente all'ex personale dipendente
dell'Amministrazione
dello Stato; articoli 220, 221 e 222 per l'ex
personale della
Azienda autonoma» delle Ferrovie dello Stato) alla
retribuzione goduta
dal dipendente alla cessazione (maggiorata del
18% ai sensi
dell'art. 15 della legge n. 177 dei 1976, per l'ex
personale
dipendente,dall'Amministrazione dello Stato, ovvero ai
sensi dell'art. 22
della legge n. 177 del 1976 per l'ex personale
della "Azienda
autonoma" delle Ferrovie dello Stato).
La quota B e'
determinata sulla base della media retributiva dei
restanti anni di
servizio, alla quale viene applicata la differenza
tra l'aliquota
corrispondente all'anzianita' totale e quella
utilizzata per il
calcolo della quota A.
La c.d. quota A
di pensione, nel caso all'esame, e' disciplinata
dall'articolo 220
del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092
del 1973, come
sostituito dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976
(cfr. il testo
riportato supra).
In proposito, la
consolidata giurisprudenza di questa Corte dei
conti ha sempre
distinto, in punto di applicazione della
maggiorazione di che
trattasi, tra "trattamento stipendiale", come
tale assoggettabile
all'incremento del 18%, e le "ulteriori voci
retributive"
non computabili a fini di maggiorazione se non nei casi
espressamente
preveduti dalla legge (ancorche' concernenti voci
pensionabili,
pertanto valutabili ai fini pensionistici nella c.d.
quota A di
pensione).
Sulla base del
carattere di specialita' degli ordinamenti
pensionistici, e'
stata quindi costantemente sostenuta l'infondatezza
della tesi
individuante nella fonte contrattuale disciplinante il
rapporto di pubblico
impiego - e non nella normativa pensionistica -
il parametro sulla
cui base classificare ai fini previdenziali un
dato emolumento
retributivo (recte: elemento retributivo non
stipendiale).
A detto criterio
chiarisce questo Giudice di doversi attenere,
cio' nonostante
pervenendo alla formulazione dei dubbi di
legittimita'
costituzionale di successiva motivazione.
3. Afferma
sostanzialmente l'univoca giurisprudenza di appello
della Corte dei
conti - con riferimento sia all'art. 43 sia all'art.
220 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 -
quanto segue:
"(...)
Nella fattispecie in giudizio, relativa alla
determinazione della
prima delle due suddette quote, va rappresentato
che la "quota
A" di pensione va determinata in applicazione della
normativa previgente
al 1° gennaio 1993 e dunque dagli articoli 43 e
220 decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092/1973, nel testo
sostituito dall'art.
15 della legge n. 177/1976. In particolare, per
le pensioni dei
ferrovieri - quale quella all'esame - l'art. 220
decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092/1973 recita
espressamente:
(...) Il surriportato articolo indica, con
enumerazione
tassativa, gli elementi costituenti la base
pensionabile,
disponendo altresi' che nessun altro assegno o
indennita' puo'
essere considerato a tali fini, in difetto di una
disposizione di
legge che ne preveda espressamente la valutazione
nella base
pensionabile.
Tanto premesso,
anzitutto, esula del tutto da tale elenco
tassativo
l'indennita' integrativa speciale che, dunque, non puo'
essere maggiorata
del 18%, come pretenderebbe l'appellato; ne' rileva
l'avvenuta
commistione dell'indennita' integrativa speciale nel
minimo contrattuale,
per effetto dell'art. 63 CCNL del 2003.
In primo luogo
va detto che l'eventuale valorizzazione a fini
pensionistici di una
indennita' postula una espressa previsione di
legge, giusta
l'ultima parte del 2° comma dell'art. 220 decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1092/1973; ne consegue che la clausola
del contratto
collettivo nazionale di lavoro non puo' determinare
l'inserimento
dell'IIS nella base pensionabile, essendo dirimente la
sussistenza di una
vera e propria riserva di legge, sancita dal
ripetuto art. 220
decreto del Presidente della Repubblica n.
1092/1973; occorre
peraltro considerare che la disposizione
contrattuale che ha
determinato il conglobamento nella retribuzione
non puo' avere
mutato la natura giuridica della predetta indennita' e
la sua valutabilita'
a fini previdenziali. In altri termini, le
disposizioni
stabilite dalla normativa previdenziale, ispirate dalla
necessita' di
salvaguardare l'equilibrio del sistema pensionistico
non possono essere
derogate o eluse, a seguito di riclassificazioni,
ovvero di
mutamenti di denominazione di determinate voci od
emolumenti, operate
dalla contrattazione collettiva. Va aggiunto
altresi', che la
normativa di settore distingue lo stipendio dalla
base pensionabile;
sono infatti aumentati del 18% solo lo stipendio
con altri assegni
pensionabili, ma non l'IIS - anche se pensionabile
(cfr., ad esempio,
giurisprudenza conforme, Corte dei conti, Sez. I,
n. 305/2013).
L'IIS, pur
rientrando nella piu' ampia nozione di retribuzione e
pur essendo
ricompresa nella base pensionabile non e' suscettibile
della valorizzazione
di che trattasi, che resta limitata alle sole
voci espressamente
indicate dalla legge con elencazione tassativa;
ne', lo si
ripete, all'IIS puo' essere riconosciuta natura
stipendiale: al
contrario, l'art. 15, comma 1, della legge n.
724/1994 esclude
espressamente detta voce dall'elenco di quelle
assoggettate alla
maggiorazione, ai fini della ritenuta in conto
entrate del
Ministero del tesoro.
E' appena il
caso di sottolineare che a norma dell'art. 1372, 2°
comma, c.c., il
contratto produce effetti solo tra le parti
contraenti e non
puo' vincolare l'Istituto pagatore delle pensioni,
odierno appellante,
terzo rispetto al contratto collettivo di lavoro,
con cui le parti
hanno inteso negozialmente di inserire voci
stipendiali o
indennita' nella base pensionabile da aumentare
figurativamente.
Conclusivamente,
questo Collegio dispone che la c.d. "quota A"
della pensione del
sig. (...), odierno appellato, debba essere
calcolata secondo i
criteri di cui agli articoli 43 e 220 decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1092/1973, con la conseguenza che essa
non e' suscettibile
dell'incremento del 18% ancorche' inglobata nello
stipendio in
virtu' della previsione di cui all'art. 63 CCNL
2003/2004. (...)".
In detti termini
- sintomaticamente accomunanti l'art. 43 e
l'art. 220 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del
1973 (poiche' di
ratio identica) - si e' espressa la sentenza n. 605
dell'11 dicembre
2015 della Sezione prima d'appello della Corte dei
conti; in termini
del tutto analoghi si sono sempre pronunciate le
decisioni delle
Sezioni d'appello della Corte dei conti concernenti
le precitate
disposizioni (cfr., Sezione 1 d'appello n. 1274 del 2
dicembre 2014; n. 82
del 28 gennaio 2015; n. 1273 del 2 dicembre
2014; n. 1077 del 15
settembre 2014; n. 1075 del 12 settembre 2014;
n. 323 del 14 maggio
2015; Sezione III d'appello nn. 485, 486 e 488
dell'11 settembre
2014; n. 81 del 28 gennaio 2011; n. 37 del 16
gennaio 2013 e n. 80
del 31 gennaio 2013).
Con riferimento
a detta giurisprudenza di secondo grado, e'
appena il caso di
richiamare che:
le Sezioni
di appello pronunciano nella materia pensionistica
unicamente su
questioni di "diritto", oltretutto con limitazioni
ulteriori rispetto
allo stesso giudizio di terzo grado della
Cassazione; al
riguardo le Sezioni riunite della Corte, interpellate
in punto di
questione di massima, hanno sostenuto che al di la' del
nomen iuris usato,
con la limitazione dell'impugnazione della
sentenza di primo
grado ai soli motivi di diritto il legislatore non
ha "inteso dare
ingresso, nella materia pensionistica, ad un vero e
proprio giudizio
d'appello, ma ad un giudizio dai contenuti piu'
limitati",
assimilabile piuttosto a quello davanti alla Corte di
Cassazione (SS.RR.
n. 10/QM/1998); ulteriormente le Sezioni riunite
hanno precisato il
non poter trovare ingresso, nell'appello
pensionistico, il
vizio denunciabile innanzi alla Suprema Corte ex
art. 360, n. 5,
del codice di procedura civile, implicante
l'accertamento e la
valutazione dei "fatti" rilevanti ai fini della
decisione della
controversia, dovendo il Giudice d'appello limitarsi
alla verifica "della
sufficienza della motivazione medesima con le
risultanze
probatorie" (SS.RR. n. 10/QM/2000);
la costante
giurisprudenza delle Sezioni di appello, sopra
richiamata,
inibisce al Giudice di primo grado di portare
qualsivoglia
questione interpretativa dell'art. 220 del decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973 alle Sezioni riunite
della Corte dei
conti (ai sensi dell'art. 1, comma 7, decreto-legge
15 novembre 1993, n.
453 convertito nella legge 14 gennaio 1994, n.
19, come
successivamente modificato) atteso che, a fini di
ammissibilita' dello
specifico giudizio, e' richiesta la sussistenza
di un "contrasto"
di giudicati d'appello (c.d. contrasto orizzontale;
cfr., tra le altre,
le sentenze n. 5/QM/2004 del 31 marzo 2004, n.
6/QM/2004 del 27
aprile 2004 e 5/QM/2005 del 3 ottobre 2005 delle
medesime Sezioni
riunite della Corte dei conti).
A tutto cio'
conseguendo, ad avviso di questo Giudice rimettente,
il carattere di
"norma vivente" dell'art. 220 del decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973 - nei termini siccome
interpretati dalla
precitata giurisprudenza di appello della Corte
dei conti - che
anche ove diversamente applicato in questo giudizio
di primo grado,
del tutto realisticamente incorrerebbe nella
differente
interpretazione, ormai consolidata, presso il Giudice
d'appello.
4. Tanto
premesso, questo Giudice dubita della legittimita'
costituzionale
dell'art. 220 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 1092
dei 1973 nella parte cui esclude dall'importo
dello stipendio, per
il quale e' prevista la maggiorazione del 18% ai
fini pensionistici,
la quota parte d'ammontare pari alla ex voce
retributiva
"indennita' integrativa speciale"; segnatamente
configurandosi al
riguardo non manifestamente infondate le seguenti
prospettazioni della
lesione dei parametri 36, 38 Cost.
Deve in
proposito fondamentalmente osservarsi che:
a. sulla
base del carattere di specialita' degli ordinamenti
pensionistici, va
sostenuta l'infondatezza della tesi individuante
nella fonte
contrattuale disciplinante il rapporto di impiego - e non
nella normativa
pensionistica - il parametro sulla cui base
classificare ai fini
previdenziali un dato emolumento retributivo;
b. sotto il
profilo pensionistico, l'art. 220 del decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973 (norma omologa all'art.
43 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973)
trova applicazione
con riferimento allo stipendio tabellare previsto
dai Contratti
collettivi, considerato che non puo' sussistere
possibilita' alcuna
di sovrapposizione delle due discipline
(lavoristica e
pensionistica), rimanendo del tutto distinte le
relative sfere
d'incidenza e trovando, le medesime, loro unica
correlazione e
contatto con la determinazione della retribuzione
(rectius:
stipendio, per quanto qui in rilievo) spettante al
dipendente al
momento della cessazione del servizio;
c. a
conferma di quanto esposto alla lettera che precede, va
altresi' qui
richiamato che:
indubitabile
risulta, nella materia lavoristica, la legittimazione di
valenza primaria -
devoluta alle specifiche parti contraenti - a
stabilire la
struttura delle retribuzioni nell'ambito del rapporto di
lavoro;
l'assetto normativo
previdenziale non puo' prescindere dalla
definizione di
retribuzione convenzionalmente determinata dalle
specifiche parti
contraenti, anche sotto il profilo della
determinazione del
c.d. "imponibile previdenziale" (cfr., tra le
altre, Cassazione
Sezione lavoro 7 dicembre 2004, n. 22921; detto
aspetto, qui si
osserva, risulta del tutto disatteso dalle sentenze
d'appello dal
negativo orientamento);
d. giusta
domanda formulata col ricorso, deve prendersi atto
che non si vede in
tema di maggiorazione dell'I.I.S. (come ritenuto
nella
giurisprudenza delle Sezioni d'appello), ma di esatta
determinazione dello
"stipendio" da assoggettare alle modalita' di
computo previste
dall'art. 220, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 1092
del 1973;
e. nel caso
all'esame, pertanto, solo dalla trasformazione
dell'intera I.I.S.
in "stipendio", eventualmente stabilita
nell'ambito
contrattuale, puo' discendere - per lo specifico
personale
interessato dall'accordo - l'irrilevanza della normativa
pensionistica
espressamente disciplinante l'I.I.S. quale emolumento
retributivo autonomo
a se' stante.
Cio' premesso
rileva eminentemente, per lo specifico personale in
questa sede
all'esame, che le parti contraenti, inequivocabilmente,
hanno inteso
sopprimere l'i.i.s. a decorrere dal 1° gennaio 2003 -
con l'art. 63 del
C.C.N.L. delle Attivita' ferroviarie del 16 aprile
2003, stabilente
che gli "importi minimi contrattuali" sono
comprensivi della
i.i.s. nonche' dell'E.D.R. di cui al Procotollo
interconfederale del
31 luglio 1992 - come del resto comprovato
dall'espressa nota a
verbale riportata in calce al medesimo articolo,
secondo cui: "Le
parti confermano che le voci retribuitive di cui al
punto 1.1.
(n.d.r.: tra cui i minimi contrattuali comprensivi
altresi' dell'ex
i.i.s.) ed al punto 6 del presente articolo sono
elementi dello
"stipendio" ai sensi di quanto previsto dall'art. 220
del T.U. 1092/73
come sostituito dall'art. 22 della legge 177/76 e
successive
modificazioni ed integrazioni.
Nel merito,
questo Giudice ha gia' avuto modo di precisare che:
"I. Non
puo' attribuirsi "valenza pensionistica" alla stessa
"riserva"
attuata nelle diverse sedi negoziali (secondo cui il
conglobamento nello
stipendio tabellare dell'indennita' integrativa
speciale non
modifica le modalita' di determinazione della base di
calcolo in atto del
trattamento pensionistico), anche per quanto
dall'INPDAP
sostenuto in questo giudizio (vale a dire la specificita'
e la priorita'
dell'ordinamento legislativo, nella determinazione dei
trattamenti
pensionistici), dovendosi conseguentemente escludere la
possibilita' per
le parti contraenti d'innovare la materia
pensionistica,
ditalche' anche la precitata "riserva" va
necessariamente
interpretata entro i limiti della materia
lavoristica."
(rif.: Corte dei conti, Sezione Marche, sentenza n. 249
del 2009).
Con i limiti
pertanto chiariti, la nota a verbale in argomento -
relativa all'art. 63
del CCNL delle attivita' ferroviarie - se, da un
lato, non puo'
disciplinare vicenda pensionistica alcuna, dall'altro,
assume comunque
valore nell'ambito della sfera del rapporto
lavoristico,
risultando in detto ambito inequivocabilmente confermata
e/o esplicata la
volonta' delle parti di sopprimere l'i.i.s. poiche'
confluita, questa,
nei cc.dd. minimi contrattuali che, per il
personale
destinatario dello specifico contratto, altro non
rappresentano che
elementi dello "stipendio" di cui agli articoli 43
e 220 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973.
Conseguentemente:
f. ai fini
delle determinazioni pensionistiche, nessun
rilievo giuridico
assume - per la specifica tipologia di personale -
il dato della
provenienza delle somme poi comprese nello stipendio
tabellare (per
quanto all'esame: i minimi contrattuali ex art. 63,
comma 4, del CCNL
in argomento), non potendosi ammettere la
sostanziale
disapplicazione di normative lavoristiche del tutto
vincolanti sul piano
degli effetti; sul punto si consideri peraltro
che, secondo il
Giudice d'appello, a strettissimo rigore, le parti
contrattuali
neppure potrebbero riconoscere ai lavoratori una
maggiore
retribuzione in quanto cio', inevitabilmente, comporterebbe
alla cessazione del
servizio una maggiore spesa pensionistica;
g. per
contro il ritenere, nei termini rivendicati dal
ricorrente,
maggiorabile ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del
1976 l'intero
ultimo stipendio percepito dal lavoratore,
comporterebbe un
computo della pensione (rectius: della quota A della
pensione)
correttamente ricollegato alla dinamica stipendiale, attesa
l'intervenuta
soppressione dell'I.I.S. (conseguenza della rilevanza
delle pattuizioni
negoziali). Trovando quindi l'applicazione della
normativa
pensionistica imprescindibile riferimento nel trattamento
economico del
rapporto di lavoro siccome risultante dalla disciplina
relativa
(legislativa prima, contrattuale oggi).
Su detto
specifico profilo, la pregressa giurisprudenza del
Giudice delle leggi
ha precisato che cio' che ha contraddistinto il
ricorso all'art. 36
Cost. - a mente del quale "Il lavoratore ha
diritto ad una
retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita'
del suo lavoro e in
ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla
famiglia
un'esistenza libera e dignitosa" - e' l'applicabilita' dei
contratti collettivi
stipulati per le varie categorie i quali, pur
non avendo la
natura di fonti normative efficaci erga omnes,
acquistano una sorta
di "ultrattivita'" in forza dell'art. 36, primo
comma, Cost., per
cui spetta al Giudice far corrispondere la
retribuzione "a
due fondamentali e diverse esigenze", la prima delle
quali "si
ricollega al rapporto di scambio tra prestatori d'opera e
datori di lavoro,
considerando la prestazione di lavoro nella sua
consistenza
quantitativa e qualitativa" (rif.: sentenze n. 129 del 13
luglio 1963 e n. 156
del 6 luglio del 1971).
Sotto tale
aspetto, pertanto, costituzionalmente rilevante si
appalesa anche il
riconoscimento - da parte del datore di lavoro -
d'una determinata
retribuzione "minima" direttamente e ordinariamente
correlata alla
normale prestazione lavorativa del lavoratore
dipendente.
Quanto al
principio in base al quale "I lavoratori hanno diritto
che siano preveduti
ed assicurati mezzi necessari adeguati alle loro
esigenze di vita in
caso di infortunio, malattia, invalidita' e
vecchiaia,
disoccupazione involontaria", deve quindi constatarsi che
versandosi in tema
di pensione ordinaria - vale a dire di
"retribuzione
differita" nei termini definitivamente riconosciuti
dalla Corte
costituzionale (rif., tra le altre, le sentenze n. 116
del 5 giugno 2013 e
n. 70 del 30 aprile 2015), applicandosi pertanto
anche al trattamento
pensionistico i criteri di proporzionalita' alla
quantita' e alla
qualita' del lavoro prestato - il peculiare
"stralcio"
di un importo stipendiale dalla sua "naturale"
valorizzazione ai
fini pensionistici (nell'ambito della
determinazione della
base pensionabile, ex art. 220 del decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973), in funzione di una
supposta
classificabilita' dell'importo medesimo quale "indennita'"
(peraltro non piu'
esistente nella retribuzione), fondamentalmente
determinerebbe
un'irrazionale compressione della pensione (sulla base
del meno
favorevole computo del trattamento pensionistico), in
ragione di uno
scostamento non giustificato tra lo stipendio e la
pensione stessa,
pertanto pregiudizievole della posizione del
lavoratore all'atto
del suo collocamento a riposo; cio', segnatamente
considerando che
l'incremento del 18% all'esame trova giustificazione
nella valorizzazione
forfetaria, cosi' attuata, degli emolumenti
accessori non
direttamente valutabili ai fini di pensione sulla base
del pregresso
ordinamento pensionistico.
Con riferimento
a tutto quanto sopra esposto, peraltro, non
rilevando le
esigenze di contenimento della spesa pensionistica
poiche' gia'
salvaguardate nei casi di che trattasi dalle previsioni
normative del
decreto legislativo n. 503 del 1992.
Per tutto quanto
sopra esposto e motivato, dubita questo Giudice
unico delle pensioni
della legittimita' costituzionale dell'art. 220
del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, come
modificato dall'art.
22 della legge n. 177 del 1976, nella parte in
cui escludente dal
beneficio della maggiorazione del 18% la quota
parte di stipendio
d'importo pari alla ex voce retributiva
"indennita'
integrativa speciale", per il prospettato contrasto della
disposizione stessa
con i principi sanciti dagli articoli 36 e 38
Cost.
5. Ritiene
quindi questo Giudicante di doversi astenere dalla
sollevazione
dell'ulteriore questione di legittimita' costituzionale
indicata nella
sentenza non definitiva n. 8 del 2016 di questa
Sezione
giurisdizionale - vale a dire quella concernente l'ipotesi di
contrasto, con
l'art. 3 Cost., dell'art. 220 del decreto del
Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973, nella parte in cui
sempre escludente
dallo stipendio assoggettato alla maggiorazione del
18% ai fini
pensionistici, l'importo della ex voce retributiva
"indennita'
integrativa speciale" - considerato che, a seguito di
piu' approfondita
disamina della materia, il tertium comparationis al
riguardo individuato
(la normativa relativa al personale ex dirigente
Ministeriale di
seconda fascia, per il quale l'adeguamento dello
stipendio
"tabellare" avveniva con provenienza delle somme da risorse
diverse
dall'indennita' integrativa speciale; rif.: C.C.N.L.
Dirigenza del
comparto dei Ministeri - c.d. Area I - quadriennio
1998-2001 e primo
biennio economico 1998-1999) si appalesa costituire
una disciplina
derogatoria rispetto a una regola generale (quella
concernente
l'assorbimento dell'indennita' integrativa speciale
nell'ambito dello
stipendio tabellare dei Dirigenti "pubblici").
6. In
definitiva, quanto alla rilevanza delle sollevate questioni
di legittimita'
costituzionale, depongono i profili normativi,
soggettivi,
oggettivi e temporali sopra indicati segnatamente
riferiti:
all'applicabilita' al concreto trattamento pensionistico, a
far data 26 febbraio
2011, nel senso prospettato, dell'art. 220 del
decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 come
modificato dall'art.
22 della legge n. 177 del 1976;
al
possesso, da parte del ricorrente, alla data della
relativa cessazione
del servizio, dei requisiti previsti per
l'ottenimento della
pensione di che trattasi.
Con riferimento
alla normativa precitata giustificandosi, in
punto di rilevanza:
la
necessaria applicazione della disciplina legislativa
preindicata al
trattamento pensionistico del ricorrente;
la costante
giurisprudenza delle Sezioni d'appello, sopra
indicata,
concernente interpretazione data sia all'art. 220 sia
all'omologo art. 43
del decreto del Presidente della Repubblica n.
1092 del 1973,
escludente ogni possibilita' di sottoposizione di
qualsivoglia
questione interpretativa delle stesse al competente
organo di
nomofilachia di questa Corte dei conti (le Sezioni
riunite).
In ordine alla
non manifesta infondatezza delle qq.ll.cc. che in
questa sede si
sollevano, deporrebbero le argomentazioni svolte al
capo 4. che precede.
P. Q. M.
La Corte dei
conti, Sezione giurisdizionale per le Marche con
sede ad Ancona in
composizione monocratica;
Visti gli
articoli 134 della Costituzione, 1 della legge
costituzionale n. 1
del 1984 e 23 della legge n. 87 del 1953;
Dichiara
rilevanti e non manifestamente infondate - per contrasto
con gli articoli 36
e 38 Cost. - le sopra prospettate questioni di
legittimita'
costituzionale dell'art. 220 del decreto del Presidente
della Repubblica n.
1092 del 1973, come modificato dall'art. 22 della
legge n. 177 del
1976;
Ordina:
la trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale, con la
prova delle
notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell'art.
23 della legge n. 87
del 1953 (ai sensi degli articoli 1 e 2 del
regolamento della
Corte costituzionale 7 ottobre 2008, pubblicato
nella Gazzetta
Ufficiale 7 novembre 2008, n. 261);
che, a cura
della Sezione, la presente ordinanza sia notificata
alle parti in causa
e al Presidente del Consiglio dei ministri,
nonche' comunicata
ai Presidenti della Camera dei Deputati e del
Senato della
Repubblica;
la conseguente
sospensione del giudizio.
Cosi' deciso ad
Ancona, nella Camera di Consiglio all'esito
dell'udienza del 29
gennaio 2016.
Il
Giudice unico: Giuseppe De Rosa
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