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martedì 17 luglio 2018

Corte dei Conti: Trattamento di quiescenza dei pubblici dipendenti - Esclusione dal beneficio della maggiorazione del 18% della quota parte di stipendio di importo pari all'ex voce retributiva indennita' integrativa speciale




Corte dei Conti: Trattamento di quiescenza dei pubblici dipendenti -
Esclusione dal beneficio della maggiorazione del 18% della quota
parte di stipendio di importo pari all'ex voce retributiva
indennita' integrativa speciale.


N. 115 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2016

Ordinanza del 17 marzo 2016 della Corte dei conti - Sezione
Giurisdizionale regionale per le Marche nel giudizio pensionistico
proposto da xxx xxx contro INPS.
Previdenza - Trattamento di quiescenza dei pubblici dipendenti -
Esclusione dal beneficio della maggiorazione del 18% della quota
parte di stipendio di importo pari all'ex voce retributiva
indennita' integrativa speciale.
- Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092
(Approvazione del testo unico delle norme sul trattamento di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), art. 220,
come modificato dall'art. 22 della legge 29 aprile 1976, n. 177
(Collegamento delle pensioni del settore pubblico alla dinamica
delle retribuzioni. Miglioramento del trattamento di quiescenza del
personale statale e degli iscritti alle casse pensioni degli
istituti di previdenza).

(GU n.24 del 15-6-2016 )

LA CORTE DEI CONTI
Sezione giurisdizionale regionale per le Marche
Nella persona del Giudice unico nella materia pensionistica Cons.
Giuseppe De Rosa ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso
iscritto al n. 21796/PC del registro di Segreteria presentato il 17
aprile 2015 dal sig. xxx xxx, nato a Valle Castellana
(TE) il 29 settembre 1949 e residente ad Ascoli Piceno (AP) in via
delle Zinnie n. 19/B, nei confronti dell'INPS, per il riconoscimento
di un piu' favorevole trattamento pensionistico;
Udito, nella pubblica udienza del 29 gennaio 2016, l'avvocato
Italo Pierdominici, per l'INPS; presente il ricorrente;
Visti gli altri atti e documenti tutti di causa.
Fatto
Con il ricorso all'esame, il ricorrente - ex dirigente di
Trenitalia S.p.a. cessato dal servizio il 25 febbraio 2011 con
diritto a trattamento pensionistico erogato dalla specifica gestione
- censurava che nel prospetto di calcolo della propria pensione
erroneamente l'Istituto previdenziale aveva:
scorporato dall'ultimo stipendio percepito l'importo relativo
alla soppressa voce retributiva "indennita' integrativa speciale"
(nel prosieguo: i.i.s.), per poi applicare la maggiorazione del 18%
ex art. 22 della legge n. 177 del 1976 sulla parte residua;
del pari, scorporato dall'"Assegno personale pensionabile -
ex Premio di Esercizio" - o 14ª mensilita' - l'importo relativo alla
soppressa voce retributiva "Superminimo individuale" (pari a euro
1.139,71), per poi applicare la maggiorazione del 18% ex art. 22
della legge n. 177 del 1976 sulla parte residua.
Risultava dagli atti che:
con raccomandata del 29 ottobre 2012 l'interessato domandava
all'INPS di Teramo di rettificare il proprio trattamento
pensionistico con la determinazione della base pensionabile mediante
maggiorazione dell'intero Trattamento retributivo individuale ("TEI)
ivi incluso l'importo equivalente a quello dell'ex voce "i.i.s." e
dell'intero importo dell'"Assegno personale pensionabile - Ex premio
di esercizio" comprensivo dell'ammontare relativo alla ex voce
retributiva "superminimo individuale";
in mancanza di risposta alla predetta richiesta,
l'interessato proponeva in data 4 giugno 2013 ricorso al Comitato
amministratore del Fondo dipendenti delle Ferrovie dello Stato
(asserito senza risposta e, pertanto, tacitamente rigettato).
Nella sede giurisdizionale, in particolare, il pensionato
sosteneva che:
l'art. 22 della legge n. 177 del 1976 esprimeva un principio
di tassativita' per quanto concernente l'incrementabilita' del 18% ai
fini pensionistici degli emolumenti diversi dallo stipendio (rif.:
"assegni e indennita'") percepiti dal personale ferroviario gia'
iscritto al Fondo pensioni, ma "ovviamente" la norma salvaguardava
l'integrale applicabilita' della maggiorazione del 18% allo stipendio
o stipendio tabellare in godimento al momento della cessazione del
servizio, rispetto al quale non poneva limitazione alcuna;
il "T.E.I.", del quale il ricorrente era in godimento alla
data di cessazione del servizio, aveva natura sicuramente stipendiale
e costituiva - al di la' della denominazione meramente formale - lo
"stipendio tabellare" ovvero "stipendio" riguardato dall'art. 22
della legge n. 177 del 1976, ove si fosse considerato che lo stesso
rappresentava il solo e unico corrispettivo sinallagmatico pertanto
fondamentale ed esclusivo previsto dal C.C.N.L. di categoria per la
prestazione dedotta nel rapporto di lavoro;
detta retribuzione fissa, continuativa, predeterminata,
ordinaria e periodica integrava quindi gli estremi della fattispecie
dello "stipendio" in senso stretto, di cui all'art. 220 del decreto
del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, come modificato da
ultimo dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976;
lo stesso INPS, in sede di determinazione della base
pensionabile, aveva considerato il "T.E.I." in godimento alla data di
cessazione del servizio come l'"ultimo stipendio" come evidenziato
nei prospetti allegati al ricorso stesso;
illegittimamente, dunque, l'Istituto aveva sottratto dallo
"stipendio tabellare" (vale a dire il "T.E.I") l'importo mensile di
euro 745,76 pari alla voce retributiva soppressa dell'ex "i.i.s."
(del quale il ricorrente era in godimento prima dell'applicazione del
CCNL dei dirigenti industriali del 30 ottobre 1998), per poi
effettuare la rivalutazione del 18% sulla parte residua;
dall'avvenuto conglobamento dell'i.i.s. nello stipendio tabellare, di
cui l'indennita' era divenuta parte integrante, sostanziale e
inscindibile, non poteva che conseguire anche la relativa
maggiorazione del 18% nell'ambito della base pensionabile;
da quanto esposto non poteva che derivare la perdita di
qualsiasi rilevanza ed efficacia giuridica di norme pregresse in
ordine alla preclusione della maggiorazione del 18% della i.i.s.
(art. 15, legge n. 724 del 1994), in quanto fondate sul presupposto
dell'autonomia di una voce retributiva cancellata dall'ordinamento e
il cui importo era divenuto a tutti gli effetti parte integrante
dello "stipendio"; tanto piu', si affermava, che Trenitalia aveva
applicato le trattenute previdenziali sull'intero importo del
"T.E.I." maggiorato del 18% comprensivo, dunque, della quota parte di
esso afferente alla ex "i.i.s.";
con la domanda di ricorso, pertanto, non si chiedeva la
maggiorazione del 18% dell'i.i.s., bensi' l'esatta determinazione
dello stipendio tabellare ("T.E.I.") da assoggettare alle modalita'
di computo previste dall'art. 220 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973;
la soluzione prospettata nel gravame risultava in linea con
la plurima giurisprudenza della Corte dei conti (rif.: Sezione di
controllo sugli atti del Governo e delle Amministrazioni dello Stato,
n. 2 del 24 marzo 2004; Sezioni giurisdizionali Puglia, sentenza n.
454 del 2014; Marche, sentenze n. 66 del 2012 e n. 380 del 2008;
Sezioni riunite Sicilia, sentenza n. 46 del 2010; Liguria, sentenza
n. 771 del 2007; Emilia Romagna, sentenza n. 946 del 2007);
la predetta soluzione trovava ulteriore conferma nella "Nota
a verbale" riportata in calce all'art. 63 del CCNL delle Attivita'
ferroviarie del 16 aprile 2003, vigente al momento della cessazione
del ricorrente e applicabile a tutto il personale con qualifica
diversa da quella di dirigente di Trenitalia S.p.a., a mente della
quale: "Le parti confermano che le voci retributive di cui al punto
1.1. e al p. 6 del presente articolo (n.d.r.: i cc.dd. "Minimi
contrattuali" comprensivi dell'ex indennita' di contingenza ovvero
dell'indennita' integrativa speciale ex legge n. 324 del 1959 e
successive modificazioni nonche' dell'E.D.R. di cui al Protocollo
interconfederale del 31 luglio 1992) sono elemento dello "stipendio"
ai sensi di quanto previsto dall'art. 220 del T.U. n. 1092 del 1973,
come sostituito dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976 e successive
modifiche e integrazioni; tale contenuto dispositivo si affermava
applicabile ai dirigenti per l'effetto dell'ellittico rinvio operato
dall'art. 27 del CCNL dirigenti d'azienda;
le voci retributive precedentemente godute dal personale poi
conglobate nello stipendio, tra cui l'i.i.s., avevano generato una
eccedenza di retribuzione che le parti stipulanti avevano ritenuto di
salvaguardare come "Assegno personale pensionabile" (A.P.P.) non
riassorbibile denominato "Elemento retributivo individuale" (E.R.I.)
(rif.. art. 63 del CCNL del 16 aprile 2003 e art. 28 del Contratto
aziendale del Gruppo SF e Accordo di confluenza al CCNL delle
attivita' Ferroviarie del 16 aprile 2003);
considerazioni analoghe a quelle svolte per l'ex "i.i.s."
valevano per lo scomputo della somma corrispondente alla voce
retributiva soppressa "Superminimo individuale" (anch'essa non piu'
riportata nei cedolini stipendiali identicamente alla ex per effetto
della modifica apportata dalle parti stipulanti alle clausole della
contrattazione collettiva con decorrenza 1° gennaio 2005, la voce
"Superminimo", che non concorreva alla determinazione dell' "Assegno
pensionabile - ex premio di esercizio" ex accordo del 30 ottobre 1998
era stata soppressa e il relativo importo era stato conglobato in
quello dello stipendio tabellare ("T.E.I.") il quale, come gia' il
"Minimo contrattuale base", concorreva e - ora come "T.E.I." -
continuava a concorrere alla determinazione di detto "Assegno
pensionabile - ex premio di esercizio", con esso anzi identificandosi
e coincidendo in tutto e per tutti i relativi effetti; tale
disposizione rimaneva immutata a seguito del rinnovo del C.C.N.L. dei
dirigenti d'azienda del 25 novembre 2009, ex art. 3, comma 6, dello
stesso C.C.N.L., vigente al momento della cessazione del servizio del
ricorrente; ("Assegno personale pensionabile - ex premio di
esercizio" o 14^ mensilita', pertanto, era pari al "T.E.I."
maggiorato del 20% ex accordo del 30 ottobre 1998, a sua volta da
incrementare del 18% ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del
1976.
Nel gravame si concludeva:
per la dichiarazione del diritto alla determinazione della
base pensionabile con maggiorazione del 18% ex art. 22 della legge
n. 177 del 1976 dello stipendio tabellare ("T.E.I."), senza scorporo
dell'importo afferente la soppressa "i.i.s.";
per la dichiarazione del diritto al computo dell' "Assegno
personale pensionabile - ex premio di esercizio" o quattordicesima
mensilita' (pari al "T.E.I." maggiorato del 20%), da maggiorarsi del
18% in base pensionabile ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del
1976, senza scorporo dell'importo afferente la soppressa voce
retributiva "Superminimo individuale";
per la condanna dell'INPS alla corresponsione della pensione
come sopra rideterminata e adeguata, con pagamento degli arretrati
pari alla differenza tra il dovuto e il corrisposto, oltre a
interessi e rivalutazione monetaria come per legge, sino
all'effettivo soddisfo.
Con memoria depositata il 6 ottobre 2015 si costituiva l'Istituto
previdenziale eccependo ovvero rappresentando quanto segue:
la componente retributiva denominata "Assegno personale
pensionabile" veniva regolarmente inclusa nelle competenze
assoggettate all'incremento del 18%;
quanto all'"i.i.s." la posizione del ricorrente in nulla
differiva da quella degli altri dipendenti delle Ferrovie dello Stato
(dirigenti e non);
per i dirigenti di Ferrovie dello Stato S.p.a. dal 1° gennaio
2005 ai sensi del C.C.N.L. 2004/2008 la base imponibile ai fini
previdenziali risultava costituita dal T.E.I. ("Trattamento economico
individuale") del tutto assimilabile alla voce "stipendio" indicata
dall'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del
1973;
l'"i.i.s." amministrativamente andava scorporata dalla voce
"stipendio" ai fini dell'aumento del 18% e aggiunta, poi, senza tale
aumento al prodotto ottenuto nella formazione della base imponibile
con modalita' indicate nella direttiva INPS n. 29763 del 7 novembre
2006 e nella disposizione n. 0060034 del 13 marzo 2009;
il ricorrente erroneamente riteneva che le parti private
potevano disporre di risorse pubbliche determinando la misura delle
prestazioni previdenziali, diversamente innescandosi illegittimi
costi indiretti; in proposito si affermava necessaria una specifica
previsione normativa per l'inclusione d'una componente retributiva
nella base pensionabile ai fini della maggiorazione del 18%;
ai sensi dell'art. 63 del C.C.N.L. del 1° agosto 2003,
cessava - a far data 1° settembre 2003 - d'essere erogata come
distinta componente retributiva;
la domanda giurisdizionale e la relativa prospettazione
ponevano la questione della determinazione dell'imponibile
contributivo ai fini della misura della prestazione;
con numerose pronunce la Sezione seconda centrale della Corte
dei conti aveva chiarito quali componenti retributive, pur essendo
computabili in pensione, non fossero tuttavia soggette alla
maggiorazione del 18% (rif.: sentenze nn. 314, 315 e 317 del 18
novembre 2003 e n. 336 del 25 novembre 2003); analogamente si
sosteneva avessero chiarito le sentenze n. 189 del 2011 e n. 114 del
2012 di questa Sezione giurisdizionale; pertanto, la maggiorazione
del 18% poteva ritenersi applicabile ai casi tipizzati dal
legislatore negli articoli 15 e 22 della legge n. 177 del 1976; per
il personale ferroviario analogamente disponeva l'art. 220 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973;
insuperabile risultava il precetto di cui all'art. 15, commi
1 e 3, della legge n. 724 del 1994; se, dunque, l'art. 63 del
C.C.N.L. e il C.C.N.L. dirigenti personale ferroviario avevano
conglobato l'i.i.s. nel minimo contrattuale, con la stessa
implicazione sul piano del sinallagma che dalle date della loro
efficacia l'indennita' cessava di costituire componente distinta, non
per questo ai fini pensionistici l'importo relativo non diveniva
enucleabile per la individuazione di quelli cui si applicava
l'incremento del 18%, posto che le disposizioni previdenziali non si
configuravano suscettibili di condizionamento su accordo delle parti.
Nella memoria, l'Istituto previdenziale concludeva:
per il rigetto comunque del ricorso perche' infondato in
fatto e in diritto o, per quanto di ragione occorrendo previa C.T.U.
contabile.
Con sentenza non definitiva n. 8 del 23 febbraio 2016 di questa
Sezione giurisdizionale veniva accolta, nel merito, la domanda di
valorizzazione, ai fini della maggiorazione del 18% prevista
dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, della ex voce retributiva
"Superminimo individuale" (percepita nell'importo di euro 1.139,71)
nella misura in cui effettivamente confluita nell'"Assegno personale
pensionabile - ex premio di esercizio".
Relativamente all'ulteriore domanda di ricorso, vale a dire la
richiesta concernente la maggiorazione ex art. 220 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 dell'intero "stipendio",
comprensivo quindi della ex voce retributiva "i.i.s.", nella
decisione precitata si rinviava a separata ordinanza per la
sospensione del giudizio e per la rimessione degli atti alla Corte
costituzionale con riferimento a questioni di legittimita'
costituzionale, d'ufficio sollevate, dell'art. 220, comma 1, del
decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 come
modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, per ipotizzata
violazione degli articoli 3, 36 e 38 Cost.
Diritto
1. Il giudizio introdotto col ricorso all'esame, per la parte non
ancora definita a seguito della sentenza n. 8 del 23 febbraio 2016 di
questa Sezione giurisdizionale, ha fondamentalmente a oggetto
l'esatta commisurazione della pensione del ricorrente - ex dirigente
di Trenitalia S.p.a. collocato in quiescenza il 26 febbraio 2011 con
diritto a trattamento pensionistico, erogato nell'ambito della
specifica gestione previdenziale, da determinarsi col sistema
retributivo ai sensi dell'art. 13 del decreto legislativo n. 503 del
1992 - in relazione all'applicabilita', o meno, della maggiorazione
del 18% ex art. 220 (base pensionabile) del decreto del Presidente
della Repubblica n. 1092 del 1973 alla ex voce retributiva
"indennita' integrativa speciale" confluita nel trattamento
stipendiale.
Dispone la predetta normativa, a seguito delle modifiche recate
dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976: "Ai fini della
determinazione della misura del trattamento di quiescenza degli
iscritti al Fondo pensioni, la base pensionabile, costituita
dall'ultimo stipendio e dagli assegni o indennita' pensionabili
sottoindicati, integralmente percepiti, e' aumentata del 18 per
cento:
a) indennita' di funzione per i dirigenti superiori e per i
primi dirigenti prevista dall'art. 47 del decreto del Presidente
della Repubblica 30 giugno 1972, n. 748;
b) indennita' pensionabile prevista dalla legge 16 febbraio
1974, n. 57;
c) assegno personale pensionabile.
Per gli effetti del precedente comma si considerano soltanto gli
assegni o indennita' previsti come utili ai fini della determinazione
della base pensionabile, da disposizioni di legge.
Degli assegni personali di cui al comma precedente non concorre a
determinare la misura della base pensionabile il «compenso
combattenti». Detto compenso e' liquidato in valore capitale, da
determinare moltiplicando per quindici l'importo annuo del compenso
stesso per le cessazioni dal servizio decorrenti dal 1° luglio 1973 e
per dieci nei casi di cessazione dal servizio anteriori a tale
data.".
In sostanza, con riferimento alla disposizione all'esame, siccome
costantemente e univocamente interpretata dalla giurisprudenza delle
Sezioni d'appello della Corte dei conti (cfr. infra, capo 3.), il
ricorrente non avrebbe diritto alla maggiorazione del 18% dell'intero
e ultimo stipendio percepito (al 25 febbraio 2011) nell'ambito del
relativo rapporto di lavoro (ai fini della determinazione della c.d.
quota A di pensione, ai sensi dell'art. 13, lettera a) del decreto
legislativo n. 503 del 1993), bensi' unicamente dell'incremento della
parte di stipendio al netto dell'importo dell'ex indennita'
integrativa speciale, confluita nello stipendio medesimo a far data
1° gennaio 2003 (rif.: art. 63 del C.C.N.L. per i lavoratori addetti
al settore delle attivita' ferroviarie e servizi connessi
sottoscritto il 16 aprile 2003); per l'effetto detta ex voce
retributiva riverberando sulla determinazione del trattamento
pensionistico, nonostante ormai soppressa per espressa volonta' delle
parti contraenti stabilenti la disciplina, anche economica, dello
specifico rapporto di lavoro.
Recita in proposito l'articolo art. 63 (Retribuzione) del
C.C.N.L. del 16 aprile 2003:
"1. Elementi della retribuzione.
1.1. Sono elementi della retribuzione:
a) minimo contrattuale, di cui al punto 4 del presente
articolo;
b) aumenti periodici di anzianita';
c) assegni ad personam pensionabili di cui al punto 5 del
presente articolo.
1.2. Sono elementi ulteriori della retribuzione:
a) tredicesima mensilita';
b) quattordicesima mensilita';
(...).
4. Minimi contrattuali.
In relazione a quanto previsto dall'art 21 (classificazione
professionale) del presente CCNL, i valori minimi contrattuali
mensili, con le rispettive decorrenze, sono i seguenti:
4.1. A decorrere dal 1° gennaio 2003: (...);
4.2. A decorrere dal 1° settembre 2003: (...);
4.3. A decorrere dal 1° luglio 2004: (...).
4.4. Gli importi dei minimi contrattuali di cui sopra sono
comprensivi dell'ex indennita' di contingenza (ovvero dell'indennita'
integrativa speciale ex legge n. 324/1959 e successive modifiche ed
integrazioni), nonche' dell'E.D.R. di cui al Protocollo
interconfederale del 31 luglio 1992.
(...).".
Ha quindi previsto il Contratto collettivo nazionale di lavoro
dei dirigenti delle Aziende industriali per il periodo dal 1° gennaio
2004 al 31 dicembre 2008 (applicato ai dirigenti delle Ferrovie dello
Stato a seguito della privatizzazione del relativo rapporto di
lavoro), al punto 6. dell'art. 3 (Trattamento minimo complessivo di
garanzia):
"Il trattamento economico annuo lordo complessivamente spettante
al dirigente, continuera' ad essere erogato in tredici mensilita'
ovvero nel maggior numero di mensilita' aziendalmente previsto.
A far data dal 1° gennaio 2005, le voci che compongono la
retribuzione continueranno ad avere le attuali descrizioni tranne
quelle riferite a:
minimo contrattuale comprensivo del meccanismo di variazione
automatica;
ex elemento di maggiorazione;
aumenti di anzianita';
superminimi e/o sovraminimi e/o assegni "ad personam";
che saranno riunite in un'unica voce denominata "trattamento
economico individuale (T.E.I.).
(...).".
Ordunque, sulla base di quanto appena esposto consegue che il
"minimo contrattuale" - nel quale, nell'anno 2003, e' indistintamente
confluito l'importo della "ex" "indennita' integrativa speciale" - e'
a sua volta confluito, nell'anno 2005 e sempre indistintamente, nel
"Trattamento economico individuale", costituente la normale
retribuzione ovverosia lo "stipendio" del dirigente delle Ferrovie
dello Stato.
Sul piano applicativo, quanto sopra rappresentato trova riscontro
nell'ambito dei cedolini stipendiali del ricorrente (allegati nn. 7,
8 e 9 al ricorso giurisdizionale, nei quali non risulta alcuna
evidenziazione dell'ex voce retributiva "indennita' integrativa
speciale"):
"Stipendio di novembre 2004" (data valuta 25 novembre 2004):
retribuzione mensile pari a euro 6.051,17 cosi' composta (minimo
contrattuale base pari a euro 3.436,54 + aumenti anzianita' pari a
euro 516,45 + diff. 24mi maturati pari a euro 34,66 + E.D.R. pari a
euro 923,81 + superminimo individuale pari a euro 1.139,71);
"Stipendio di gennaio 2011" (data valuta 27 gennaio 2011):
trattamento economico individuale (T.E.I.) pari a euro 6.438,50;
"Stipendio di febbraio 2011" (data valuta 25 febbraio 2011):
trattamento economico individuale (T.E.I.) pari a euro 6.438,50.
2. Va precisato che la pensione in argomento e' stata determinata
in base al sistema "retributivo" (quota A e quota B) sulla base di
anni 9, mesi 9 (aliquota di pensione massima, pari all'80%) a far
data febbraio 2011; nei casi di specie, i trattamenti pensionistici
sono liquidati a mente dell'art. 1, comma 13, della legge n. 335 d
1995 riguardante coloro che, come il ricorrente, alla data del
gennaio 1995 possedevano un'anzianita' contributiva non inferiore ai
diciotto anni (nel caso: anni 24 mesi 8).
Come e' noto, ai fini del predetto calcolo va considerato l'art.
13 del decreto legislativo n. 503 del 1992 statuente quanto segue:
"1. Per i lavoratori dipendenti iscritti all'assicurazione
generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti
ed alle fon sostitutive ed esclusive della medesima, e per i
lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali amministrate
dall'INPS, l'importo della pensione e' determinato dalla somma:
a) della quota di pensione corrispondente all'importo
relativo a anzianita' contributive acquisite anteriormente al 1°
gennaio 1993 calcolato con riferimento alla data di decorrenza della
pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data
anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche
per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione
della retribuzione pensionabile;
b) della quota di pensione corrispondente al trattamento
pensionistico relativo alle anzianita' contributive acquisite a
decorrere dal 1° gennaio 1993, calcolato secondo le norme di cui al
presente decreto.".
La quota A viene calcolata con riferimento alla retribuzione
spettante all'atto del collocamento a riposo ed all'anzianita'
maturata al 31 dicembre 1992 e viene determinata applicando
l'aliquota corrispondente all'anzianita' maturata a quella data
(articoli 43 e 44 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092
del 1973, relativamente all'ex personale dipendente
dell'Amministrazione dello Stato; articoli 220, 221 e 222 per l'ex
personale della Azienda autonoma» delle Ferrovie dello Stato) alla
retribuzione goduta dal dipendente alla cessazione (maggiorata del
18% ai sensi dell'art. 15 della legge n. 177 dei 1976, per l'ex
personale dipendente,dall'Amministrazione dello Stato, ovvero ai
sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del 1976 per l'ex personale
della "Azienda autonoma" delle Ferrovie dello Stato).
La quota B e' determinata sulla base della media retributiva dei
restanti anni di servizio, alla quale viene applicata la differenza
tra l'aliquota corrispondente all'anzianita' totale e quella
utilizzata per il calcolo della quota A.
La c.d. quota A di pensione, nel caso all'esame, e' disciplinata
dall'articolo 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092
del 1973, come sostituito dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976
(cfr. il testo riportato supra).
In proposito, la consolidata giurisprudenza di questa Corte dei
conti ha sempre distinto, in punto di applicazione della
maggiorazione di che trattasi, tra "trattamento stipendiale", come
tale assoggettabile all'incremento del 18%, e le "ulteriori voci
retributive" non computabili a fini di maggiorazione se non nei casi
espressamente preveduti dalla legge (ancorche' concernenti voci
pensionabili, pertanto valutabili ai fini pensionistici nella c.d.
quota A di pensione).
Sulla base del carattere di specialita' degli ordinamenti
pensionistici, e' stata quindi costantemente sostenuta l'infondatezza
della tesi individuante nella fonte contrattuale disciplinante il
rapporto di pubblico impiego - e non nella normativa pensionistica -
il parametro sulla cui base classificare ai fini previdenziali un
dato emolumento retributivo (recte: elemento retributivo non
stipendiale).
A detto criterio chiarisce questo Giudice di doversi attenere,
cio' nonostante pervenendo alla formulazione dei dubbi di
legittimita' costituzionale di successiva motivazione.
3. Afferma sostanzialmente l'univoca giurisprudenza di appello
della Corte dei conti - con riferimento sia all'art. 43 sia all'art.
220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 -
quanto segue:
"(...) Nella fattispecie in giudizio, relativa alla
determinazione della prima delle due suddette quote, va rappresentato
che la "quota A" di pensione va determinata in applicazione della
normativa previgente al 1° gennaio 1993 e dunque dagli articoli 43 e
220 decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973, nel testo
sostituito dall'art. 15 della legge n. 177/1976. In particolare, per
le pensioni dei ferrovieri - quale quella all'esame - l'art. 220
decreto del Presidente della Repubblica n. 1092/1973 recita
espressamente: (...) Il surriportato articolo indica, con
enumerazione tassativa, gli elementi costituenti la base
pensionabile, disponendo altresi' che nessun altro assegno o
indennita' puo' essere considerato a tali fini, in difetto di una
disposizione di legge che ne preveda espressamente la valutazione
nella base pensionabile.
Tanto premesso, anzitutto, esula del tutto da tale elenco
tassativo l'indennita' integrativa speciale che, dunque, non puo'
essere maggiorata del 18%, come pretenderebbe l'appellato; ne' rileva
l'avvenuta commistione dell'indennita' integrativa speciale nel
minimo contrattuale, per effetto dell'art. 63 CCNL del 2003.
In primo luogo va detto che l'eventuale valorizzazione a fini
pensionistici di una indennita' postula una espressa previsione di
legge, giusta l'ultima parte del 2° comma dell'art. 220 decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092/1973; ne consegue che la clausola
del contratto collettivo nazionale di lavoro non puo' determinare
l'inserimento dell'IIS nella base pensionabile, essendo dirimente la
sussistenza di una vera e propria riserva di legge, sancita dal
ripetuto art. 220 decreto del Presidente della Repubblica n.
1092/1973; occorre peraltro considerare che la disposizione
contrattuale che ha determinato il conglobamento nella retribuzione
non puo' avere mutato la natura giuridica della predetta indennita' e
la sua valutabilita' a fini previdenziali. In altri termini, le
disposizioni stabilite dalla normativa previdenziale, ispirate dalla
necessita' di salvaguardare l'equilibrio del sistema pensionistico
non possono essere derogate o eluse, a seguito di riclassificazioni,
ovvero di mutamenti di denominazione di determinate voci od
emolumenti, operate dalla contrattazione collettiva. Va aggiunto
altresi', che la normativa di settore distingue lo stipendio dalla
base pensionabile; sono infatti aumentati del 18% solo lo stipendio
con altri assegni pensionabili, ma non l'IIS - anche se pensionabile
(cfr., ad esempio, giurisprudenza conforme, Corte dei conti, Sez. I,
n. 305/2013).
L'IIS, pur rientrando nella piu' ampia nozione di retribuzione e
pur essendo ricompresa nella base pensionabile non e' suscettibile
della valorizzazione di che trattasi, che resta limitata alle sole
voci espressamente indicate dalla legge con elencazione tassativa;
ne', lo si ripete, all'IIS puo' essere riconosciuta natura
stipendiale: al contrario, l'art. 15, comma 1, della legge n.
724/1994 esclude espressamente detta voce dall'elenco di quelle
assoggettate alla maggiorazione, ai fini della ritenuta in conto
entrate del Ministero del tesoro.
E' appena il caso di sottolineare che a norma dell'art. 1372, 2°
comma, c.c., il contratto produce effetti solo tra le parti
contraenti e non puo' vincolare l'Istituto pagatore delle pensioni,
odierno appellante, terzo rispetto al contratto collettivo di lavoro,
con cui le parti hanno inteso negozialmente di inserire voci
stipendiali o indennita' nella base pensionabile da aumentare
figurativamente.
Conclusivamente, questo Collegio dispone che la c.d. "quota A"
della pensione del sig. (...), odierno appellato, debba essere
calcolata secondo i criteri di cui agli articoli 43 e 220 decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092/1973, con la conseguenza che essa
non e' suscettibile dell'incremento del 18% ancorche' inglobata nello
stipendio in virtu' della previsione di cui all'art. 63 CCNL
2003/2004. (...)".
In detti termini - sintomaticamente accomunanti l'art. 43 e
l'art. 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del
1973 (poiche' di ratio identica) - si e' espressa la sentenza n. 605
dell'11 dicembre 2015 della Sezione prima d'appello della Corte dei
conti; in termini del tutto analoghi si sono sempre pronunciate le
decisioni delle Sezioni d'appello della Corte dei conti concernenti
le precitate disposizioni (cfr., Sezione 1 d'appello n. 1274 del 2
dicembre 2014; n. 82 del 28 gennaio 2015; n. 1273 del 2 dicembre
2014; n. 1077 del 15 settembre 2014; n. 1075 del 12 settembre 2014;
n. 323 del 14 maggio 2015; Sezione III d'appello nn. 485, 486 e 488
dell'11 settembre 2014; n. 81 del 28 gennaio 2011; n. 37 del 16
gennaio 2013 e n. 80 del 31 gennaio 2013).
Con riferimento a detta giurisprudenza di secondo grado, e'
appena il caso di richiamare che:
le Sezioni di appello pronunciano nella materia pensionistica
unicamente su questioni di "diritto", oltretutto con limitazioni
ulteriori rispetto allo stesso giudizio di terzo grado della
Cassazione; al riguardo le Sezioni riunite della Corte, interpellate
in punto di questione di massima, hanno sostenuto che al di la' del
nomen iuris usato, con la limitazione dell'impugnazione della
sentenza di primo grado ai soli motivi di diritto il legislatore non
ha "inteso dare ingresso, nella materia pensionistica, ad un vero e
proprio giudizio d'appello, ma ad un giudizio dai contenuti piu'
limitati", assimilabile piuttosto a quello davanti alla Corte di
Cassazione (SS.RR. n. 10/QM/1998); ulteriormente le Sezioni riunite
hanno precisato il non poter trovare ingresso, nell'appello
pensionistico, il vizio denunciabile innanzi alla Suprema Corte ex
art. 360, n. 5, del codice di procedura civile, implicante
l'accertamento e la valutazione dei "fatti" rilevanti ai fini della
decisione della controversia, dovendo il Giudice d'appello limitarsi
alla verifica "della sufficienza della motivazione medesima con le
risultanze probatorie" (SS.RR. n. 10/QM/2000);
la costante giurisprudenza delle Sezioni di appello, sopra
richiamata, inibisce al Giudice di primo grado di portare
qualsivoglia questione interpretativa dell'art. 220 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 alle Sezioni riunite
della Corte dei conti (ai sensi dell'art. 1, comma 7, decreto-legge
15 novembre 1993, n. 453 convertito nella legge 14 gennaio 1994, n.
19, come successivamente modificato) atteso che, a fini di
ammissibilita' dello specifico giudizio, e' richiesta la sussistenza
di un "contrasto" di giudicati d'appello (c.d. contrasto orizzontale;
cfr., tra le altre, le sentenze n. 5/QM/2004 del 31 marzo 2004, n.
6/QM/2004 del 27 aprile 2004 e 5/QM/2005 del 3 ottobre 2005 delle
medesime Sezioni riunite della Corte dei conti).
A tutto cio' conseguendo, ad avviso di questo Giudice rimettente,
il carattere di "norma vivente" dell'art. 220 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 - nei termini siccome
interpretati dalla precitata giurisprudenza di appello della Corte
dei conti - che anche ove diversamente applicato in questo giudizio
di primo grado, del tutto realisticamente incorrerebbe nella
differente interpretazione, ormai consolidata, presso il Giudice
d'appello.
4. Tanto premesso, questo Giudice dubita della legittimita'
costituzionale dell'art. 220 del decreto del Presidente della
Repubblica n. 1092 dei 1973 nella parte cui esclude dall'importo
dello stipendio, per il quale e' prevista la maggiorazione del 18% ai
fini pensionistici, la quota parte d'ammontare pari alla ex voce
retributiva "indennita' integrativa speciale"; segnatamente
configurandosi al riguardo non manifestamente infondate le seguenti
prospettazioni della lesione dei parametri 36, 38 Cost.
Deve in proposito fondamentalmente osservarsi che:
a. sulla base del carattere di specialita' degli ordinamenti
pensionistici, va sostenuta l'infondatezza della tesi individuante
nella fonte contrattuale disciplinante il rapporto di impiego - e non
nella normativa pensionistica - il parametro sulla cui base
classificare ai fini previdenziali un dato emolumento retributivo;
b. sotto il profilo pensionistico, l'art. 220 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 (norma omologa all'art.
43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973)
trova applicazione con riferimento allo stipendio tabellare previsto
dai Contratti collettivi, considerato che non puo' sussistere
possibilita' alcuna di sovrapposizione delle due discipline
(lavoristica e pensionistica), rimanendo del tutto distinte le
relative sfere d'incidenza e trovando, le medesime, loro unica
correlazione e contatto con la determinazione della retribuzione
(rectius: stipendio, per quanto qui in rilievo) spettante al
dipendente al momento della cessazione del servizio;
c. a conferma di quanto esposto alla lettera che precede, va
altresi' qui richiamato che:
indubitabile risulta, nella materia lavoristica, la legittimazione di
valenza primaria - devoluta alle specifiche parti contraenti - a
stabilire la struttura delle retribuzioni nell'ambito del rapporto di
lavoro;
l'assetto normativo previdenziale non puo' prescindere dalla
definizione di retribuzione convenzionalmente determinata dalle
specifiche parti contraenti, anche sotto il profilo della
determinazione del c.d. "imponibile previdenziale" (cfr., tra le
altre, Cassazione Sezione lavoro 7 dicembre 2004, n. 22921; detto
aspetto, qui si osserva, risulta del tutto disatteso dalle sentenze
d'appello dal negativo orientamento);
d. giusta domanda formulata col ricorso, deve prendersi atto
che non si vede in tema di maggiorazione dell'I.I.S. (come ritenuto
nella giurisprudenza delle Sezioni d'appello), ma di esatta
determinazione dello "stipendio" da assoggettare alle modalita' di
computo previste dall'art. 220, del decreto del Presidente della
Repubblica n. 1092 del 1973;
e. nel caso all'esame, pertanto, solo dalla trasformazione
dell'intera I.I.S. in "stipendio", eventualmente stabilita
nell'ambito contrattuale, puo' discendere - per lo specifico
personale interessato dall'accordo - l'irrilevanza della normativa
pensionistica espressamente disciplinante l'I.I.S. quale emolumento
retributivo autonomo a se' stante.
Cio' premesso rileva eminentemente, per lo specifico personale in
questa sede all'esame, che le parti contraenti, inequivocabilmente,
hanno inteso sopprimere l'i.i.s. a decorrere dal 1° gennaio 2003 -
con l'art. 63 del C.C.N.L. delle Attivita' ferroviarie del 16 aprile
2003, stabilente che gli "importi minimi contrattuali" sono
comprensivi della i.i.s. nonche' dell'E.D.R. di cui al Procotollo
interconfederale del 31 luglio 1992 - come del resto comprovato
dall'espressa nota a verbale riportata in calce al medesimo articolo,
secondo cui: "Le parti confermano che le voci retribuitive di cui al
punto 1.1. (n.d.r.: tra cui i minimi contrattuali comprensivi
altresi' dell'ex i.i.s.) ed al punto 6 del presente articolo sono
elementi dello "stipendio" ai sensi di quanto previsto dall'art. 220
del T.U. 1092/73 come sostituito dall'art. 22 della legge 177/76 e
successive modificazioni ed integrazioni.
Nel merito, questo Giudice ha gia' avuto modo di precisare che:
"I. Non puo' attribuirsi "valenza pensionistica" alla stessa
"riserva" attuata nelle diverse sedi negoziali (secondo cui il
conglobamento nello stipendio tabellare dell'indennita' integrativa
speciale non modifica le modalita' di determinazione della base di
calcolo in atto del trattamento pensionistico), anche per quanto
dall'INPDAP sostenuto in questo giudizio (vale a dire la specificita'
e la priorita' dell'ordinamento legislativo, nella determinazione dei
trattamenti pensionistici), dovendosi conseguentemente escludere la
possibilita' per le parti contraenti d'innovare la materia
pensionistica, ditalche' anche la precitata "riserva" va
necessariamente interpretata entro i limiti della materia
lavoristica." (rif.: Corte dei conti, Sezione Marche, sentenza n. 249
del 2009).
Con i limiti pertanto chiariti, la nota a verbale in argomento -
relativa all'art. 63 del CCNL delle attivita' ferroviarie - se, da un
lato, non puo' disciplinare vicenda pensionistica alcuna, dall'altro,
assume comunque valore nell'ambito della sfera del rapporto
lavoristico, risultando in detto ambito inequivocabilmente confermata
e/o esplicata la volonta' delle parti di sopprimere l'i.i.s. poiche'
confluita, questa, nei cc.dd. minimi contrattuali che, per il
personale destinatario dello specifico contratto, altro non
rappresentano che elementi dello "stipendio" di cui agli articoli 43
e 220 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973.
Conseguentemente:
f. ai fini delle determinazioni pensionistiche, nessun
rilievo giuridico assume - per la specifica tipologia di personale -
il dato della provenienza delle somme poi comprese nello stipendio
tabellare (per quanto all'esame: i minimi contrattuali ex art. 63,
comma 4, del CCNL in argomento), non potendosi ammettere la
sostanziale disapplicazione di normative lavoristiche del tutto
vincolanti sul piano degli effetti; sul punto si consideri peraltro
che, secondo il Giudice d'appello, a strettissimo rigore, le parti
contrattuali neppure potrebbero riconoscere ai lavoratori una
maggiore retribuzione in quanto cio', inevitabilmente, comporterebbe
alla cessazione del servizio una maggiore spesa pensionistica;
g. per contro il ritenere, nei termini rivendicati dal
ricorrente, maggiorabile ai sensi dell'art. 22 della legge n. 177 del
1976 l'intero ultimo stipendio percepito dal lavoratore,
comporterebbe un computo della pensione (rectius: della quota A della
pensione) correttamente ricollegato alla dinamica stipendiale, attesa
l'intervenuta soppressione dell'I.I.S. (conseguenza della rilevanza
delle pattuizioni negoziali). Trovando quindi l'applicazione della
normativa pensionistica imprescindibile riferimento nel trattamento
economico del rapporto di lavoro siccome risultante dalla disciplina
relativa (legislativa prima, contrattuale oggi).
Su detto specifico profilo, la pregressa giurisprudenza del
Giudice delle leggi ha precisato che cio' che ha contraddistinto il
ricorso all'art. 36 Cost. - a mente del quale "Il lavoratore ha
diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita'
del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla
famiglia un'esistenza libera e dignitosa" - e' l'applicabilita' dei
contratti collettivi stipulati per le varie categorie i quali, pur
non avendo la natura di fonti normative efficaci erga omnes,
acquistano una sorta di "ultrattivita'" in forza dell'art. 36, primo
comma, Cost., per cui spetta al Giudice far corrispondere la
retribuzione "a due fondamentali e diverse esigenze", la prima delle
quali "si ricollega al rapporto di scambio tra prestatori d'opera e
datori di lavoro, considerando la prestazione di lavoro nella sua
consistenza quantitativa e qualitativa" (rif.: sentenze n. 129 del 13
luglio 1963 e n. 156 del 6 luglio del 1971).
Sotto tale aspetto, pertanto, costituzionalmente rilevante si
appalesa anche il riconoscimento - da parte del datore di lavoro -
d'una determinata retribuzione "minima" direttamente e ordinariamente
correlata alla normale prestazione lavorativa del lavoratore
dipendente.
Quanto al principio in base al quale "I lavoratori hanno diritto
che siano preveduti ed assicurati mezzi necessari adeguati alle loro
esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e
vecchiaia, disoccupazione involontaria", deve quindi constatarsi che
versandosi in tema di pensione ordinaria - vale a dire di
"retribuzione differita" nei termini definitivamente riconosciuti
dalla Corte costituzionale (rif., tra le altre, le sentenze n. 116
del 5 giugno 2013 e n. 70 del 30 aprile 2015), applicandosi pertanto
anche al trattamento pensionistico i criteri di proporzionalita' alla
quantita' e alla qualita' del lavoro prestato - il peculiare
"stralcio" di un importo stipendiale dalla sua "naturale"
valorizzazione ai fini pensionistici (nell'ambito della
determinazione della base pensionabile, ex art. 220 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973), in funzione di una
supposta classificabilita' dell'importo medesimo quale "indennita'"
(peraltro non piu' esistente nella retribuzione), fondamentalmente
determinerebbe un'irrazionale compressione della pensione (sulla base
del meno favorevole computo del trattamento pensionistico), in
ragione di uno scostamento non giustificato tra lo stipendio e la
pensione stessa, pertanto pregiudizievole della posizione del
lavoratore all'atto del suo collocamento a riposo; cio', segnatamente
considerando che l'incremento del 18% all'esame trova giustificazione
nella valorizzazione forfetaria, cosi' attuata, degli emolumenti
accessori non direttamente valutabili ai fini di pensione sulla base
del pregresso ordinamento pensionistico.
Con riferimento a tutto quanto sopra esposto, peraltro, non
rilevando le esigenze di contenimento della spesa pensionistica
poiche' gia' salvaguardate nei casi di che trattasi dalle previsioni
normative del decreto legislativo n. 503 del 1992.
Per tutto quanto sopra esposto e motivato, dubita questo Giudice
unico delle pensioni della legittimita' costituzionale dell'art. 220
del decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, come
modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976, nella parte in
cui escludente dal beneficio della maggiorazione del 18% la quota
parte di stipendio d'importo pari alla ex voce retributiva
"indennita' integrativa speciale", per il prospettato contrasto della
disposizione stessa con i principi sanciti dagli articoli 36 e 38
Cost.
5. Ritiene quindi questo Giudicante di doversi astenere dalla
sollevazione dell'ulteriore questione di legittimita' costituzionale
indicata nella sentenza non definitiva n. 8 del 2016 di questa
Sezione giurisdizionale - vale a dire quella concernente l'ipotesi di
contrasto, con l'art. 3 Cost., dell'art. 220 del decreto del
Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973, nella parte in cui
sempre escludente dallo stipendio assoggettato alla maggiorazione del
18% ai fini pensionistici, l'importo della ex voce retributiva
"indennita' integrativa speciale" - considerato che, a seguito di
piu' approfondita disamina della materia, il tertium comparationis al
riguardo individuato (la normativa relativa al personale ex dirigente
Ministeriale di seconda fascia, per il quale l'adeguamento dello
stipendio "tabellare" avveniva con provenienza delle somme da risorse
diverse dall'indennita' integrativa speciale; rif.: C.C.N.L.
Dirigenza del comparto dei Ministeri - c.d. Area I - quadriennio
1998-2001 e primo biennio economico 1998-1999) si appalesa costituire
una disciplina derogatoria rispetto a una regola generale (quella
concernente l'assorbimento dell'indennita' integrativa speciale
nell'ambito dello stipendio tabellare dei Dirigenti "pubblici").
6. In definitiva, quanto alla rilevanza delle sollevate questioni
di legittimita' costituzionale, depongono i profili normativi,
soggettivi, oggettivi e temporali sopra indicati segnatamente
riferiti:
all'applicabilita' al concreto trattamento pensionistico, a
far data 26 febbraio 2011, nel senso prospettato, dell'art. 220 del
decreto del Presidente della Repubblica n. 1092 del 1973 come
modificato dall'art. 22 della legge n. 177 del 1976;
al possesso, da parte del ricorrente, alla data della
relativa cessazione del servizio, dei requisiti previsti per
l'ottenimento della pensione di che trattasi.
Con riferimento alla normativa precitata giustificandosi, in
punto di rilevanza:
la necessaria applicazione della disciplina legislativa
preindicata al trattamento pensionistico del ricorrente;
la costante giurisprudenza delle Sezioni d'appello, sopra
indicata, concernente interpretazione data sia all'art. 220 sia
all'omologo art. 43 del decreto del Presidente della Repubblica n.
1092 del 1973, escludente ogni possibilita' di sottoposizione di
qualsivoglia questione interpretativa delle stesse al competente
organo di nomofilachia di questa Corte dei conti (le Sezioni
riunite).
In ordine alla non manifesta infondatezza delle qq.ll.cc. che in
questa sede si sollevano, deporrebbero le argomentazioni svolte al
capo 4. che precede.

P. Q. M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per le Marche con
sede ad Ancona in composizione monocratica;
Visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 della legge
costituzionale n. 1 del 1984 e 23 della legge n. 87 del 1953;
Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate - per contrasto
con gli articoli 36 e 38 Cost. - le sopra prospettate questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 220 del decreto del Presidente
della Repubblica n. 1092 del 1973, come modificato dall'art. 22 della
legge n. 177 del 1976;
Ordina:
la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, con la
prova delle notificazioni e delle comunicazioni prescritte nell'art.
23 della legge n. 87 del 1953 (ai sensi degli articoli 1 e 2 del
regolamento della Corte costituzionale 7 ottobre 2008, pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale 7 novembre 2008, n. 261);
che, a cura della Sezione, la presente ordinanza sia notificata
alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri,
nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei Deputati e del
Senato della Repubblica;
la conseguente sospensione del giudizio.
Cosi' deciso ad Ancona, nella Camera di Consiglio all'esito
dell'udienza del 29 gennaio 2016.
Il Giudice unico: Giuseppe De Rosa


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