Corte dei Conti
2018: chiesto il riconoscimento del diritto al ricalcolo del proprio
trattamento pensionistico con il cd. “sistema retributivo” sino
al 31 dicembre 2011 anziché fino al 31 dicembre 1995 e conseguente
riliquidazione.
Corte dei Conti Toscana 236/2018
Esito
SENTENZA
Materia
PENSIONI
Anno
2018
Numero
236
Pubblicazione
03/10/2018
Codice ecli
ECLI:IT:CONT:2018:236SGTOS
Disattiva riferimenti normativi e giurisprudenzialiProvvedimenti collegati
Nessun provvedimento collegato presente
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE
TOSCANA
IN COMPOSIZIONE
MONOCRATICA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sul ricorso iscritto al n. 61027/PC
del registro di Segreteria, proposto dal sig. xxx xxx, rappresentato
e difeso, congiuntamente e disgiuntamente, dagli avv.ti Guido
Chessa, Eleonora Barbini pec avveleonorabarbini@puntopec.it e
Chiara Chessa pec chiara.chessa@pcert.it e presso
quest’ultima elettivamente domiciliato in Firenze, alla via Lanza
n. 64 contro l’INPS – sede Provinciale di Arezzo, per il
riconoscimento del diritto al ricalcolo del proprio trattamento
pensionistico con il cd. “sistema retributivo” sino al 31
dicembre 2011 anziché fino al 31 dicembre 1995 e conseguente
riliquidazione.
Nella pubblica udienza del 18
settembre 2018 sono comparsi l’avv. Chiara Chessa per la parte
ricorrente e l’avv. Massimiliano Gorgoni per l’INPS.
Visti gli atti e documenti di causa;
FATTO e DIRITTO
Con ricorso depositato presso questa
Sezione il sig. xxx xxx, arruolato nel Corpo della Guardia di
Finanza in data 1 ottobre 1981 e già Maresciallo Aiutante presso
l’Ente Reparto Tecnico Logistico Amministrativo della Guardia di
Finanza con sede in Firenze, cessava dal servizio per riforma, visto
l’accertamento della Commissione Medica di La Spezia che lo
dichiarava “permanentemente non idoneo al S.M. in modo assoluto
a decorrere dal 18 novembre 2014”.
Il sig. xxx, con decorrenza 19
novembre 2014 diveniva titolare di pensione ordinaria diretta di
inabilità (n. I7049654), liquidata con sistema misto erogata dall’
INPS di Arezzo.
In sede di verifica del proprio foglio
matricola e con riferimento al decreto di pensionamento n.
AR012015822177 la parte ricorrente rilevava alcuni errori ed in
specie un errore nel computo degli anni di anzianità maturati alla
data del 31 dicembre 1995 con effetti sul coefficiente di rendimento
del trattamento di quiescenza in quota retributiva. Considerando il
servizio in zona di confine, effettuato presso la Tenenza di
Gaggiolo dal 13 agosto 1982 al 3 ottobre 1984, l’anzianità
contributiva maturata al 31 dicembre 1995, in virtù delle
maggiorazioni previste per legge, era pari a 17 anni e 11 mesi
anziché a 16 anni e 11 mesi come erroneamente riportato nel PA04 e
nella determina di pensione.
L’Amministrazione di appartenenza
(Guardia di Finanza) rideterminava l’anzianità maturata al 31
dicembre 1995 in anni 17, mesi 11 e giorni 22, arrotondata in 18
anni, ed il ricorrente, diversamente da quanto affermato dall’INPS-
la quale non arrotondava il servizio utile - deduceva di aver
diritto ad un trattamento di quiescenza calcolato e liquidato
interamente con sistema retributivo per le anzianità acquisite sino
al 31 dicembre 2011 e con metodo contributivo pro rata in
quota C per le anzianità a partire dall’1 gennaio 2012.
Deduceva, la parte ricorrente, la
illegittimità dell’attività amministrativa in quanto assunta in
violazione di quanto previsto dall’ art.
1, comma 13, legge n. 335/1995 (determinativo
del sistema retributivo applicabile), art.
59, comma 1, let. b) l. n. 449/1997 (relativa
al cd. arrotondamento), e di orientamenti interpretativi dell’INPDAP
(circolare 16 marzo 1998 n. 14 -G.U. n. 73 del 28 marzo 1998), e
conseguente obbligo per l’INPS di procedere all’ arrotondamento
– come affermato da alcuni orientamenti giurisprudenziali - a 18
anni di anzianità contributiva e applicazione al trattamento
pensionistico del ricorrente del sistema di calcolo retributivo sino
al 31 dicembre 2011.
Concludeva, la parte ricorrente, per
la declaratoria del ricalcolo del proprio trattamento di quiescenza,
con il sistema retributivo e non fino al 31 dicembre 1995 ma sino al
31 dicembre 2011, avendo conseguito l’anzianità contributiva di
18 anni prescritta dall’ art.
1, comma 13, della legge n. 335/1995 ,
mentre le anzianità contributive erano maturate dall’1 gennaio
2012 sino al 18 novembre 2014 erano da rideterminare con metodo
contributivo pro rata come statuito dalla l.
214/2011 (cd. riforma Fornero).
Con memoria del 31 luglio 2018 l’INPS
si costituiva in giudizio eccependo l’infondatezza del ricorso
fondato su una erronea interpretazione dell’ art.
1, comma 13, della legge 8 agosto 1995 n. 335 ,
dell’ art.
59, comma 1, lett. b) della legge 27 dicembre 1997 n. 449 e
dell’ art.
3 della legge 8 agosto 1991 n. 274 ,
nonché della circolare esplicativa n. 21 del 29 marzo 1996 emanata
dall’INPDAP in occasione dell’emanazione della riforma Dini e da
alcuni orientamenti giurisprudenziali.
Concludeva l’INPS per il rigetto del
ricorso e, in subordine, per la incumulabilità degli interessi con
la rivalutazione monetaria.
In data 10 settembre 2018 la parte
ricorrente depositava memoria difensiva con cui argomentava
ulteriormente per l’accoglimento del ricorso, ritenendo operativa,
nella specie, l’ art.
3 della legge n. 274 /1991 anche sulla
scorta di orientamenti giurisprudenziali assunti in materia, essendo
state introdotte unicamente con la legge
214/2011 (art. 24, comma 3) le nuove
modalità di arrotondamento ai fini della maturazione del diritto
alla pensione (messaggi INPS n. 2974 del 30 aprile 2015 e n. 3305
del 14 maggio 2015).
Nella odierna udienza di discussione
le parti insistevano su quanto dedotto con gli atti defensionali e
la parte ricorrente depositava ulteriori decisioni avvaloranti le
richieste formulate; quindi la causa veniva introitata per la
decisione.
Il ricorso appare infondato
giuridicamente e va rigettato con tutte le conseguenze di legge.
La questione controversa e decisiva,
ai fini della soluzione del presente giudizio, attiene
all’applicabilità, in via analogica, al trattamento pensionistico
del convenuto, della disposizione di cui all’ art.
3, comma 1, della l. 8 agosto 1991 n, 274 ,
relativa al cd. arrotondamento che prevede quanto segue: “per
le cessazioni dal servizio a decorrere dalla data di entrata in
vigore della presente legge, ai fini della determinazione della
quota del trattamento di quiescenza di cui al primo
comma, lett.a) dell’articolo 3 della legge 26 luglio 1964 n. 965 ,
il complessivo servizio utile viene arrotondato a mese intero,
trascurando la frazione del mese non superiore a quindici giorni e
computando per un mese quella superiore”.
La norma richiamata invocata dal
ricorrente che ne chiede l’applicazione al fine del computo del
trattamento pensionistico, ed ha ad oggetto le pensioni degli
iscritti alle (non più esistenti) casse pensioni degli Istituti di
previdenza è stato oggetto di decisione da parte della
giurisprudenza di questa Corte (Sezione giurisdizionale Regione
Sardegna n. 93/2014, Sezione giurisdizionale Regione Veneto n.
33/2018 e Sezione giurisdizionale Regione Lombardia n. 16/2018).
Le citate decisioni, favorevoli ad un
accoglimento della applicabilità del cd. arrotondamento di cui
all’ art.
3 della l.n. 274/1991 , - anche
ribadito dall’INDPAP nella circolare del 1998 su richiamata – si
fondano sull’argomentazione che, non essendo stato esteso dal
legislatore ai dipendenti pubblici il criterio di calcolo
dell’anzianità contributiva vigente per i lavoratori del settore
privato, il cui periodo di base a tali fini è costituito dalla
settimana coperta da contribuzione obbligatoria, ed in assenza di
norma disciplinante direttamente la fattispecie, sarebbe ammissibile
il ricorso all’analogia con applicazione di una norma prevista per
un regime previdenziale (previsto per gli iscritti alle ex casse
pensioni) diverso da quello dei dipendenti dello Stato, ma in ogni
caso più assimilabile a quello per gli iscritti all’
assicurazione generale obbligatoria.
Tale interpretazione, come, peraltro
affermato da alcune altre decisioni di questa Corte (Sezione
giurisdizionale Regione Lombardia 69/2018 e 54/2018) non è
condivisibile in forza dei principi dettati in tema di
interpretazioni delle leggi.
Il ricorso all’analogia diviene
operativo, ai sensi dell’art. 12, comma 2, delle preleggi, ove
l’interprete non sia riuscito a risolvere il caso su cui deve
pronunciarsi, né applicando una norma che lo contempli
direttamente, né applicando una norma che, pur non contemplandolo
direttamente, possa essere interpretata estensivamente fino ad
abbracciarlo. In questi casi l’ interprete deve procedere
applicando per analogia le disposizioni che regolino casi simili o
materie analoghe e, qualora il caso rimanga dubbio, applicando i
principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato, e quindi
applicare in un caso non regolato una noma non scritta desunta da
una norma scritta dettata per regolare un caso diverso ma avente
identità di finalità (identità di ratio).Il
procedimento analogico non è giustificabile né per le “leggi
penali” (per le sole norme incriminatrici) né per “quelle
che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi” (art.
14 disp. prel.), per non ampliare le deroghe privilegiando
l’ordinamento la disciplina normale e non quella eccezionale.
In realtà nella specie non appare
presente alcuna lacuna normativa
Il disposto normativo previsto
dall’art. 1, commi 12 e 13 della l.
n. 335/1995 prevede che per i
lavoratori iscritti alle forma di previdenza di cui al comma 6 del
medesimo articolo, che alla data del 31 dicembre 1995 possono far
valere un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, la
pensione è determinata dalla somma della quota a) calcolata, con
riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il
sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente
alla predetta data e dalla quota b) di pensione corrispondente al
trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità
contributive, calcolato secondo il sistema contributivo. Unicamente
per i lavoratori già iscritti alle forme di previdenza di cui al
comma 6 che, alla data del 31 dicembre 1995 possono far valere
un’anzianità contributiva di almeno diciotto anni, il successivo
comma 13 prevede che la pensione sia interamente liquidata secondo
la normativa vigente in base al sistema retributivo.
Il dettato normativo appare chiaro
prevedendo per l’applicazione del sistema retributivo puro
un’anzianità contributiva di “almeno diciotto anni”,
non essendovi, a fronte di periodo contributivo certo e determinato,
alcun varco interpretativo per applicare una norma prevista in altro
ambito (determinazione del trattamento di quiescenza di cui
all’ articolo
3, primo comma lett. a) l. 26 luglio 1965 n. 965 )
che consente di calcolare il complessivo servizio utile arrotondando
a mese intero la frazione del mese superiore a quindici giorni.
L’assenza dei presupposti per
l’applicazione dell’analogia legis a maggior ragione
sussiste in riferimento ai principi generali dell’ordinamento
giuridico dello Stato, essendo evidente il tenore letterale della
norma, “almeno 18 anni” e non apparendo, nel contesto
normativo operativo richiamare principi generali dell’ ordinamento
dello Stato o di derivazione comunitaria .
I principi che governano l’analogia
su richiamata, escludono anche l’applicazione dell’ art.
3 l. 274/1991 , in quanto tale regola,
estenderebbe una norma che costituisce eccezione alla norma generale
prevista dall’art. 1, commi 12 e 13, l.
n. 335/1995 , in violazione del
richiamato art. 14 delle disposizioni preliminari del codice
civile .
E, peraltro, l’ art.
59, comma primo lett. b) della legge 27 dicembre 1997 n. 49 ha
escluso, con decorrenza 2 gennaio 1998, arrotondamenti per eccesso o
per difetto della frazione di anno dell’anzianità contributiva ai
fini sia del diritto che della misura della prestazione,
“confermando una regola generale che, nel computo
dell’anzianità contributiva, non ammette se non il dato
letterale”: in termini Sezione giurisdizionale Regione
Lombardia n. 54/2018, né le circolari interpretative – anche
dell’INPS o dell’INPDAP - possono vincolare l’attività
interpretativa del giudice, essendo le stesse un atto interno alla
Pubblica Amministrazione che si risolve in un mero ausilio
interpretativo e non esplica alcun effetto vincolante per il
giudice: cfr., ex plurimis, Cass. 237/2009 e
T.A.R. Toscana Sez. I 887/2015.
Ne deriva che, non avendo il
ricorrente alla data del 31 dicembre 1995, un’anzianità
contributiva pari ad anni 18, bensì pari ad anni 17, mesi 11 e
giorni 22, appare applicabile la norma di cui all’ art.
1, comma 13, legge 8 agosto 1995 n. 335 .
Il ricorso, pertanto, va rigettato
perché privo di giuridico fondamento.
La peculiarità della questione e la
sussistenza di un non univoco orientamento giurisprudenziale
giustifica la compensazione delle spese.
Spese compensate.
P.Q.M.
La Sezione giurisdizionale della Corte
dei conti della Regione Toscana – Giudice Unico delle Pensioni -
definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dal sig. xxx xxx
contro l’INPS, respinta ogni contraria istanza ed eccezione,
rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Così deciso in Firenze nella Camera
di Consiglio del 18 settembre 2018 successiva all’udienza del 18
settembre 2018.
La presente sentenza è stata
pronunciata all’udienza odierna ai sensi dell’ art.
167 decreto legislativo 26 agosto 2016 n. 174 dando
lettura del dispositivo e dell’esposizione delle ragioni di fatto
e di diritto, con successivo deposito in segreteria.
Il Giudice Unico
F.to cons. Angelo Bax
Depositata in Segreteria il 03/10/2018
Il Direttore di Segreteria
F.to Paola Altini
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