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mercoledì 5 dicembre 2018
N. 220 ORDINANZA 7 - 29 novembre 2018 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Reati e pene - Molestia o disturbo alle persone - Regime di procedibilita'. - Codice penale, art. 660. (GU n.48 del 5-12-2018 )
N. 220 ORDINANZA 7 - 29 novembre 2018
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati e pene - Molestia o disturbo alle persone - Regime di
procedibilita'.
- Codice penale, art. 660.
(GU n.48 del 5-12-2018 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 660 del
codice penale, promosso dal Tribunale ordinario di Varese, nel
procedimento penale a carico di N. P., con ordinanza del 26 ottobre
2016, iscritta al n. 74 del registro ordinanze 2017 e pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie
speciale, dell'anno 2017.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2018 il Giudice
relatore Giuliano Amato.
Ritenuto che, con ordinanza del 26 ottobre 2016 (reg. ord. n. 74
del 2017), il Tribunale ordinario di Varese ha sollevato, in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 660 del codice penale, nella parte in cui
non prevede la procedibilita' a querela del reato di molestia, con
annessa rimettibilita' della stessa, quanto meno limitatamente alle
condotte idonee a recare molestia o disturbo esclusivamente a persona
determinata;
che, come premette il giudice rimettente, la questione trae
origine da un giudizio avente a oggetto il reato di cui all'art. 660
cod. pen., nella specie perpetrato attraverso molestia telefonica,
giudizio nel quale la persona offesa costituita parte civile ha
esplicitamente rimesso la querela, accettata dalla difesa
dell'imputato;
che, nondimeno, poiche' il reato in questione e' procedibile
d'ufficio, tale intervenuta remissione non potrebbe ritenersi
efficace, con la necessita' di pronunciarsi nel merito, anche
contrariamente alle reali intenzioni delle parti originarie;
che, secondo il giudice a quo, la questione sarebbe senz'altro
rilevante, poiche' l'unica persona offesa ha chiesto espressamente di
potersi giovare dell'istituto di cui all'art. 152 cod. pen., senza
una decisione nel merito della causa penale;
che l'illegittimita' della disposizione censurata sarebbe
evidente prendendo a termine di raffronto l'art. 612-bis cod. pen.,
che disciplina il reato di atti persecutori, il quale, sebbene
connotato da evidenti tratti di specialita' e piu' grave rispetto al
reato di molestia, e' punito a querela della persona offesa, con la
possibilita' di una remissione dall'effetto estintivo, mentre nella
piu' tenue ipotesi contravvenzionale sarebbe previsto un regime di
procedibilita' ex officio;
che, infatti, il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen.
integrerebbe una species, punita con pene piu' severe, della
fattispecie contravvenzionale ex art. 660 cod. pen., almeno con
riferimento alla massa di condotte astrattamente lesive d'interessi
che fanno capo all'individuo singolo (in tal senso viene richiamata
la sentenza n. 172 del 2014);
che, sebbene la giurisprudenza di legittimita' abbia chiarito che
il reato di molestia o disturbo alle persone tuteli un bene ulteriore
rispetto a quello protetto dalla fattispecie di atti persecutori,
cioe' la tranquillita' pubblica, cio' potrebbe valere soltanto
qualora la condotta di disturbo rischi di arrecare nocumento a
soggetti indeterminati, altrimenti si valorizzerebbe un'offesa a beni
privati non caratterizzante del reato contravvenzionale;
che, dunque, numerose forme di condotta sussumibili e sussunte
sub art. 660 cod. pen., connotate da un'azione contenuta e isolata ai
danni di una sola persona, finirebbero per ledere, almeno in misura
preponderante, lo stesso bene giuridico protetto dall'art. 612-bis
cod. pen. e, pertanto, sarebbe irragionevole prevedere un trattamento
differenziato per le due fattispecie sotto il rilevante aspetto della
procedibilita', in particolare se in pregiudizio del responsabile di
un'offesa piu' tenue;
che il giudice rimettente asserisce di essere a conoscenza che
questa Corte, con l'ordinanza n. 392 del 2008, ha gia' dichiarato
manifestamente inammissibile la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 660 cod. pen., censurato, in riferimento
all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede la procedibilita'
d'ufficio anche nell'ipotesi in cui la molestia e' rivolta non gia'
ad un numero indeterminato di persone, ma a danno di un soggetto ben
determinato;
che, tuttavia, in tal caso si prendevano a raffronto norme
incriminatrici assai dissimili rispetto alla contravvenzione in
esame, mentre l'introduzione dell'attuale termine di comparazione,
ossia l'art. 612-bis cod. pen., renderebbe nuova la questione in
questa sede sollevata;
che, da ultimo, sarebbe evidente l'impossibilita' di addivenire a
un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione
censurata, poiche' l'illegittimita' della stessa sarebbe scongiurata
soltanto ritenendo penalmente rilevanti le sole condotte idonee a
mettere a repentaglio la tranquillita' pubblica, con esclusione di
quelle «uni-direzionate» nei confronti del singolo o di singoli
soggetti determinati, secondo un'interpretazione, pero', in evidente
contrasto con il chiaro tenore letterale dell'art. 660 cod. pen.,
nonche' con un diritto vivente ormai consolidato;
che e' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile e
comunque infondata;
che, in via preliminare, secondo l'Avvocatura generale dello
Stato la questione sarebbe manifestamente inammissibile, poiche' il
giudice a quo avrebbe chiesto a questa Corte un intervento additivo
che, oltre a non rappresentare l'unica soluzione alla ritenuta
disparita' di trattamento, risulterebbe del tutto eccentrico rispetto
ai principi generali del sistema del diritto penale italiano, secondo
cui i reati contravvenzionali sono tutti procedibili d'ufficio;
che, nel merito, la questione sarebbe comunque infondata, poiche'
il reato di cui all'art. 660 cod. pen. richiede che la molestia o il
disturbo avvengano «in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero
col mezzo del telefono», in tal modo tutelando non solo il soggetto
passivo della molestia o del disturbo, ma anche la tranquillita'
pubblica e il corretto utilizzo della rete telefonica a vantaggio
dell'utenza generale, mentre il piu' grave delitto previsto dall'art.
612-bis cod. pen. potrebbe essere commesso anche a parole e in ambito
privato.
Considerato che il Tribunale ordinario di Varese ha sollevato, in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 660 del codice penale, nella parte in cui
non prevede la procedibilita' a querela del reato di molestia, con
annessa rimettibilita' della stessa, quanto meno limitatamente alle
condotte idonee a recare molestia o disturbo esclusivamente a persona
determinata;
che il reato di cui all'art. 660 cod. pen. risulta inserito nel
paragrafo I della Sezione I del Capo I del Titolo I del Libro III del
codice penale, dedicato alle «contravvenzioni concernenti
l'inosservanza dei provvedimenti di polizia e le manifestazioni
sediziose e pericolose», nell'ambito di quelle concernenti l'ordine
pubblico e la tranquillita' pubblica;
che, come gia' chiarito da questa Corte con l'ordinanza n. 392
del 2008, l'intervento additivo richiesto dal giudice a quo sarebbe
del tutto eccentrico rispetto ai principi generali del sistema del
diritto penale italiano, che prevede la procedibilita' a querela solo
per taluni delitti, mentre i reati contravvenzionali sono tutti
procedibili d'ufficio;
che siffatte considerazioni restano impregiudicate anche in
seguito all'introduzione nell'ordinamento penale del reato di atti
persecutori di cui all'art. 612-bis cod. pen., richiamato dal giudice
a quo quale termine di comparazione, poiche' la fattispecie
contravvenzionale in esame non potrebbe comunque avere un regime di
procedibilita' diverso da quello previsto per tutte le
contravvenzioni;
che, quindi, sebbene possa apparire inattuale ricomprendere
nell'oggetto dell'art. 660 cod. pen. le molestie perpetrate col mezzo
del telefono nei confronti di soggetti determinati, i cui effetti
sovente restano in una sfera privata, la qual cosa potrebbe rendere
opportuno un intervento del legislatore in materia, cio' non si
risolve nell'illegittimita' costituzionale della disposizione
censurata;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla
Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilita' della questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 660 del codice penale,
sollevata dal Tribunale ordinario di Varese, in riferimento all'art.
3 della Costituzione, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 novembre 2018.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giuliano AMATO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 29 novembre 2018.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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