N. 291 SENTENZA 19 novembre - 27 dicembre 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Caccia - Norme della Regione Lombardia - Annotazione sul tesserino
venatorio degli abbattimenti di capi di fauna selvatica -
Obbligatorieta' "dopo gli abbattimenti e l'avvenuto recupero",
anziche' "dopo gli abbattimenti accertati" - Violazione della
competenza statale esclusiva in materia di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema - Illegittimita' costituzionale parziale.
Caccia - Norme della Regione Lombardia - Recupero, in attitudine di
caccia, della selvaggina ferita da appostamento fisso -
Possibilita' nel raggio di duecento metri dal capanno, con arma
scarica e riposta in custodia - Ricorso del Governo - Denunciata
violazione della competenza legislativa esclusiva statale in
materia di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema - Non fondatezza
della questione.
Caccia - Norme della Regione Lombardia - Esercizio venatorio da
appostamento fisso e temporaneo - Distanze dagli immobili destinati
ad abitazione o lavoro - Misurazione seguendo il profilo
morfologico del terreno, anziche' in forma lineare - Ricorso del
Governo - Denunciata violazione della competenza legislativa
esclusiva statale in materia di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema - Non fondatezza della questione.
- Legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17, art. 15,
comma 1, lettere j), m) e q).
- Costituzione art. 117, secondo comma, lettera s).
(GU n.1 del 2-1-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Aldo CAROSI;
Giudici :Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio
BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO',
Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma
1, lettere j), m), e q), della legge della Regione Lombardia 4
dicembre 2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di
semplificazione 2018), promosso dal Presidente del Consiglio dei
ministri con ricorso notificato il 4-8 febbraio 2019, depositato in
cancelleria il 12 febbraio 2019, iscritto al n. 22 del registro
ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 14, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visto l'atto di costituzione di Regione Lombardia;
udito nell'udienza pubblica del 19 novembre 2019 il Giudice
relatore Giulio Prosperetti;
uditi l'avvocato dello Stato Francesca Morici per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Piera Pujatti per la Regione
Lombardia.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 4-8 febbraio 2019 e depositato il
12 febbraio 2019 (reg. ric. n. 22 del 2019), il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettere j), m) e q), della
legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018, n. 17 (Legge di
revisione normativa e di semplificazione 2018), in riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione e in
relazione agli artt. 5, comma 5, 12, commi 5 e 12-bis, e 21, comma 1,
lettere e) ed f), della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la
protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo
venatorio).
2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri rappresenta che, con
le disposizioni oggetto di impugnativa, la Regione Lombardia ha
apportato modifiche alla legge regionale 16 agosto 1993, n. 26 (Norme
per la protezione della fauna selvatica e per la tutela
dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attivita' venatoria); in
particolare, l'art. 15, comma 1, lettera j), della legge reg.
Lombardia n. 17 del 2018 ha modificato l'art. 22, comma 7, della
legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, prevedendo che le annotazioni
dei capi di selvaggina migratoria sul tesserino venatorio devono
essere effettuate, in modo indelebile, sul posto di caccia, dopo gli
abbattimenti e l'avvenuto recupero dell'animale.
Secondo il ricorrente la previsione regionale sarebbe in
contrasto con la disciplina nazionale di cui all'art. 12, comma
12-bis, della legge n. 157 del 1992, che prescrive che l'obbligo
dell'annotazione sia adempiuto subito dopo l'abbattimento, per
finalita' statistiche e per garantire il rispetto del limite
giornaliero dei prelievi delle specie.
Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, il fatto di
subordinare tale obbligo di annotazione al preventivo recupero
dell'animale abbattuto comporterebbe il rischio di escludere dal
conteggio gli animali non rintracciati e non recuperati, sia per
l'eventuale difficolta' di ricerca nella vegetazione, dovuta alla
natura impervia, paludosa o lacustre delle aree, sia per sopraggiunte
condizioni di scarsa luminosita'.
L'art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, ponendo un
obbligo funzionale al regime vigente di caccia programmata, che fissa
quote massime di esemplari passibili di caccia in un determinato
territorio, sarebbe espressione di quel nucleo minimo di salvaguardia
della fauna selvatica da assicurare su tutto il territorio nazionale,
di competenza del legislatore statale nell'esercizio delle
attribuzioni in materia ambientale, non derogabile in peius dalle
Regioni.
La norma regionale, introducendo l'ulteriore requisito del
preventivo recupero dell'animale da parte del cacciatore, avrebbe,
dunque, violato la norma interposta, abbassando lo standard di tutela
ambientale, con conseguente violazione dell'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost.
3.- In riferimento all'art. 15, comma 1, lettera m), della legge
regionale impugnata, la difesa dello Stato rappresenta che esso,
modificando il comma 9 dell'art. 25 della legge reg. Lombardia n. 26
del 1993, consente ai titolari ed utilizzatori degli appostamenti di
caccia di vagare «in attitudine di caccia», anche con uso di cane da
riporto o con l'uso di natante con motore fuoribordo, con obbligo di
arma scarica e riposta nell'apposita custodia, entro un raggio di
duecento metri dagli appostamenti medesimi, per abbattere e
recuperare la fauna precedentemente ferita.
La norma, non distinguendo tra appostamenti fissi o temporanei,
con o senza richiami vivi, violerebbe il principio di esclusivita'
dell'opzione di caccia, fissato dagli artt. 5, comma 5, e 12, comma
5, della legge n. 157 del 1992, in base al quale il cacciatore, con
opzione in via esclusiva per la caccia da appostamento con richiami
vivi, non puo' esercitare la caccia in forma vagante per la stagione
venatoria in corso, incorrendo nella sanzione amministrativa di cui
all'art. 31, comma 1, lettera a), della legge n. 157 del 1992,
nonche' nella sospensione della licenza di porto di fucile per uso di
caccia per un anno, ai sensi del successivo art. 32, comma 4.
Le norme statali, prosegue l'Avvocatura, sono volte ad assicurare
la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili e, quindi,
possono essere oggetto di integrazione da parte della legge regionale
solo nel senso dell'incremento della tutela, non riscontrabile li'
ove, come nella specie, si ampli la possibilita' di cacciare,
consentendo una forma di caccia diversa da quella per cui si e'
optato in via generale.
4.- Infine, la difesa dello Stato censura l'art. 15, comma 1,
lettera q), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, che aggiunge
il comma 19-bis all'art. 25 della legge reg. Lombardia n. 26 del
1993, prevedendo che le distanze attinenti agli appostamenti di
caccia debbano essere misurate seguendo il profilo morfologico del
terreno e non in forma lineare.
Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, tale modalita'
di misurazione comporterebbe una riduzione delle distanze minime e la
conseguente diminuzione della tutela della pubblica incolumita', in
funzione della quale queste distanze sono prescritte dall'art. 21,
comma 1, lettera e), della legge n. 157 del 1992.
La difesa dello Stato sottolinea che la modalita' di misurazione
realizzata seguendo l'andamento morfologico del terreno non e'
conosciuta dall'ordinamento e, infatti, in materia
urbanistico-edilizia la giurisprudenza si richiama al sistema di
misurazione lineare delle distanze tra i fabbricati, mentre la
disciplina venatoria statale, per l'uso delle armi da fuoco, prende
in considerazione il concetto di gittata massima (art. 21, comma 1,
lettera f, della legge n. 157 del 1992), incompatibile con una
misurazione che includa l'increspatura dei terreni.
Conseguentemente, l'art. 15, comma 1, lettera q), della legge
regionale impugnata si porrebbe in contrasto con lo standard di
tutela uniforme in materia ambientale prescritto dal legislatore
nazionale nell'esercizio della sua competenza esclusiva.
5.- Nella prospettazione dell'Avvocatura generale, le questioni
di costituzionalita' trovano fondamento nel fatto che le norme
nazionali sono poste a protezione della fauna selvatica, bene di
notevole rilievo che rientra nella materia tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, di competenza esclusiva del legislatore nazionale ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.; ne deriva che
solo lo Stato puo' porre la relativa disciplina, integrante un limite
invalicabile per l'attivita' legislativa della Regione.
Sebbene, dunque, a quest'ultima competa la potesta' legislativa
in materia di caccia, il suo esercizio non puo' avvenire in contrasto
con le prescrizioni nazionali in materia di tutela della fauna e,
segnatamente, con le previsioni di cui alla legge n. 157 del 1992,
che, come sancito da questa Corte con la sentenza n. 4 del 2000,
costituisce il punto di equilibrio tra il primario obiettivo di
salvaguardia del patrimonio faunistico e l'interesse all'esercizio
dell'attivita' venatoria.
La legge regionale impugnata, contrastando con la legge n. 157
del 1992, avrebbe abbassato il livello di tutela della fauna
selvatica stabilito dal legislatore nazionale, con illegittima
invasione della sfera di competenza statale esclusiva in materia di
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema e, pertanto, ne andrebbe
dichiarata l'illegittimita' costituzionale per violazione dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost.
6.- Si e' costituita in giudizio la Regione Lombardia chiedendo
che il ricorso sia dichiarato infondato ed eccependo in primo luogo
l'inesatta interpretazione, da parte dello Stato, della previsione
introdotta dall'art. 15, comma 1, lettera j), della legge regionale
impugnata, che ha previsto che i capi di selvaggina migratoria vanno
annotati sul tesserino venatorio, sul posto di caccia, dopo gli
abbattimenti e l'avvenuto recupero.
A parere della difesa regionale, la prescrizione non avrebbe
introdotto una condizione ulteriore rispetto a quanto disposto dalla
legge statale, che impone che l'annotazione avvenga subito dopo
l'abbattimento, ma avrebbe rafforzato l'obbligo, imponendo che anche
il solo recupero sia oggetto di annotazione, nel caso, possibile, in
cui la contezza dell'abbattimento, anche ad opera di terzi, avvenga
solo al momento del recupero.
A conferma di cio' permarrebbe la sanzione, prevista dall'art.
31, comma 1, lettera i), della legge n. 157 del 1992 in caso di
mancata annotazione, e il fatto che quest'ultima debba avvenire sul
posto di caccia, quindi, nell'immediatezza dell'abbattimento.
La Regione da' conto del fatto che la norma statale interposta e'
stata modificata su richiesta della Commissione europea, che aveva
rilevato che in Italia vi era una legislazione regionale che generava
incertezza, poiche' prevedeva l'annotazione subito dopo
l'abbattimento solo per le specie stanziali, mentre, per quelle
migratorie, l'adempimento era rinviato alla fine della giornata di
caccia.
Secondo la prospettazione della Regione, la legge regionale
impugnata garantirebbe l'esigenza di certezza sulla consistenza del
prelievo venatorio, poiche' il recupero dell'animale, lungi dal
costituire una condizione aggiuntiva per l'annotazione, consentirebbe
di dirimere ogni dubbio in ordine all'effettivita' dell'abbattimento,
che dovrebbe essere annotato anche se effettuato da terzi.
Pertanto, la previsione censurata non si porrebbe affatto in
contrasto con la norma statale interposta, ma anzi ne chiarirebbe la
portata applicativa, senza alcun abbassamento del livello di tutela
ambientale.
7.- Quanto all'art. 15, comma 1, lettera m), della legge
regionale censurata, la difesa della Regione osserva che la norma si
e' limitata ad ampliare la zona per il recupero dell'animale colpito
dall'appostamento di caccia, prevedendo che il suddetto recupero
possa avvenire non nell'ambito di cento metri, gia' previsto dalla
legge reg. Lombardia n. 26 del 1993, ma nell'ambito di duecento
metri, cosi' da consentire l'apprensione del capo ferito anche quando
elementi naturali, come il vento o la corrente d'acqua, lo
trasportino oltre il raggio di cento metri dal capanno.
La norma non influirebbe in negativo sulla tutela dell'ambiente e
della fauna e non violerebbe le norme interposte richiamate, ovvero
l'art. 5, comma 5, e l'art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992,
che si occupano, rispettivamente, di definire quando un appostamento
e' da considerarsi fisso e quali siano le modalita' per l'esercizio
venatorio, precisando che si puo' scegliere solo una delle seguenti
forme: vagante in zona Alpi; da appostamento fisso; altre forme
consentite dalla legge e praticate nel rimanente territorio destinato
all'attivita' venatoria programmata.
Al contrario, secondo la difesa della Regione, il contenuto delle
norme interposte sarebbe stato ribadito dalla norma impugnata poiche'
essa, ampliando la zona di recupero dell'animale ferito, ha
espressamente previsto che rimane fermo il principio di esclusivita'
della caccia e, conseguentemente, il radicamento del cacciatore sul
territorio e il rispetto dell'equilibrio faunistico, senza che sia
consentito effettuare la caccia in forma diversa da quella prescelta.
Viceversa, a ritenere illegittima la previsione normativa, si
svuoterebbe del tutto la competenza regionale in materia di caccia,
inibendo anche la possibilita' di modificare un aspetto tecnico della
legislazione venatoria.
Da ultimo, la Regione rappresenta che, in ogni caso, resta ferma
la previsione dell'art. 5 della legge n. 157 del 1992 in materia di
distinzione tra caccia da appostamento fisso e in forma vagante, con
o senza richiami vivi, e che la normativa comunitaria nulla prescrive
sulle distanze per il recupero del capo ferito, cosi' che la norma
regionale non puo' ritenersi con essa in contrasto.
8.- Con riguardo, infine, all'art. 15, comma 1, lettera q), della
legge regionale impugnata, la Regione rappresenta che la norma
intende introdurre un criterio di misurazione delle distanze tra
appostamento fisso e immobili o fabbricati adibiti a civile
abitazione o a posto di lavoro, senza incidere sulla disciplina della
caccia, e che comunque la norma interposta invocata dalla difesa
statale sarebbe inconferente, poiche' prevede solo il divieto di
sparare a distanza di meno di centocinquanta metri dai suddetti
immobili.
9.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha replicato alla
difesa regionale con memoria del 19 novembre 2019 ribadendo che, in
base al tenore letterale della norma, l'art. 15, comma 1, lettera j),
della legge regionale impugnata aggiunge un ulteriore adempimento
rispetto alla previsione statale, prevedendo che l'annotazione
avvenga dopo l'abbattimento «e» il recupero del capo ferito;
l'utilizzo della congiunzione «e» confermerebbe la duplicita' delle
condizioni richieste, ne' sarebbe possibile riferire il recupero alla
sola annotazione di capi abbattuti da terzi, mancando nel testo ogni
prescrizione in tal senso.
Quanto agli argomenti spesi dalla Regione circa la
sanzionabilita' dell'omessa annotazione, la difesa dello Stato
osserva la loro irrilevanza ai fini del giudizio di
costituzionalita', poiche' l'art. 31 della legge n. 157 del 1992
collega l'irrogazione della sanzione alla violazione delle norme,
statali e regionali, senza riferimento al contenuto di esse, cosi'
che, nella fattispecie concreta, la condotta sanzionabile sarebbe
quella prevista dalla legge regionale ovvero l'omessa annotazione
successiva al recupero del capo ferito.
A maggior sostengo delle proprie argomentazioni, l'Avvocatura
ricorda come l'esigenza dell'annotazione immediata dell'abbattimento
trovi la sua ratio nelle richieste della Commissione europea, che,
nel 2014, aveva avviato una procedura (caso EU Pilot 6955/14/ENVI)
con una richiesta di informazioni sull'attivita' di monitoraggio del
prelievo venatorio in Italia, poiche' aveva rilevato che la
legislazione regionale differenziava il momento di insorgenza
dell'obbligo di annotazione sul tesserino venatorio in base alla
natura, stanziale o migratoria, delle specie monitorate, prevedendo
solo per le prime l'annotazione immediata degli abbattimenti e
differendo, alla fine della giornata di caccia, l'annotazione degli
abbattimenti delle specie migratorie, con negativa incidenza
sull'attendibilita' dei dati raccolti.
Per chiudere la procedura di infrazione, il legislatore nazionale
ha introdotto il comma 12-bis nel testo dell'art. 12 della legge n.
157 del 1992, imponendo l'annotazione immediata dell'abbattimento a
garanzia della correttezza del monitoraggio delle specie, cosi' che
la richiesta di provvedere al preventivo recupero del capo abbattuto,
imposta dalla norma regionale impugnata, frusterebbe le esigenze di
certezza e tempestivita' sollecitate dalla Commissione europea.
10.- Quanto all'art. 15, comma 1, lettera m), della legge
regionale impugnata che, a parere della Regione, si limiterebbe ad
ampliare la zona di recupero del capo ferito, la difesa dello Stato
ribadisce che la norma, nel consentire la mobilita' in assetto di
caccia anche a coloro che hanno scelto di esercitare l'attivita'
venatoria da appostamento fisso, violerebbe il principio di
esclusivita' della caccia.
11.- Con riferimento, infine, alla previsione dell'art. 15, comma
1, lettera q), la difesa dello Stato osserva di aver correttamente
richiamato, quali norme interposte, l'art. 21, comma 1, lettere e) ed
f), della legge n. 157 del 1992, che limita l'attivita' venatoria in
ragione delle distanze misurate in termini lineari e non seguendo
l'andamento morfologico del terreno, poiche' quest'ultima modalita'
di misurazione comporterebbe una riduzione dello spazio e una
corrispondente diminuzione del livello di tutela.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 1,
lettere j), m) e q), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre
2018, n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018),
in riferimento all'articolo 117, secondo comma, lettera s), della
Costituzione, per invasione della sfera di competenza attribuita al
legislatore nazionale in materia di tutela dell'ambiente e
dell'ecosistema, in relazione a numerose norme della legge 11
febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica
omeoterma e per il prelievo venatorio).
In particolare, e' stato censurato l'art. 15, comma 1, lettera
j), della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, che prevede che le
annotazioni dei capi di selvaggina migratoria sul tesserino venatorio
devono essere effettuate, in modo indelebile, sul posto di caccia,
dopo gli abbattimenti e l'avvenuto recupero dell'animale, deducendone
il contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in
relazione all'art. 12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, che
prevede che l'annotazione sul tesserino venatorio deve essere
effettuata subito dopo l'abbattimento.
Si e' impugnato l'art. 15, comma 1, lettera m), della legge reg.
Lombardia n. 17 del 2018, in base al quale, ferma restando
l'esclusivita' della forma di caccia prescelta, e' consentito il
recupero del capo ferito, in attitudine di caccia, nel raggio di
duecento metri dal capanno, anche con l'uso del cane da riporto o con
l'uso di natante con motore fuoribordo, con obbligo di arma scarica e
riposta nell'apposita custodia, deducendone il contrasto con l'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione agli artt. 5,
comma 5, e 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, che fissano il
principio di esclusivita' dell'opzione di caccia, per cui il
cacciatore, con opzione in via esclusiva per la caccia da
appostamento con richiami vivi, non puo' esercitare la caccia in
forma vagante per la stagione venatoria in corso.
Infine, si e' impugnato l'art. 15, comma 1, lettera q), della
legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, che prevede che le distanze
attinenti agli appostamenti di caccia devono essere misurate seguendo
il profilo morfologico del terreno, deducendone il contrasto con
l'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione all'art.
21, comma 1, lettere e) ed f), della legge n. 157 del 1992, che, nel
porre prescrizioni in materia di distanze da rispettare per
l'esercizio dell'attivita' venatoria, a tutela della pubblica
incolumita', impongono che la misurazione avvenga in forma lineare.
2.- La prima norma impugnata dal Presidente del Consiglio dei
ministri e' l'art. 15, comma 1, lettera j), della legge reg.
Lombardia n. 17 del 2018 che, modificando le prescrizioni di cui
all'art. 22, comma 7, della legge della Regione Lombardia 16 agosto
1993, n. 26 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per la
tutela dell'equilibrio ambientale e disciplina dell'attivita'
venatoria), prevede che le annotazioni sul tesserino venatorio dei
capi abbattuti devono essere effettuate dopo gli abbattimenti e
l'avvenuto recupero; tale previsione sarebbe in contrasto con l'art.
12, comma 12-bis, della legge n. 157 del 1992, che impone
l'annotazione subito dopo l'abbattimento, poiche' la necessita' di
provvedere al preventivo recupero dell'animale consentirebbe di
escludere dal conteggio i capi non recuperabili per ragioni
logistiche quali la sopraggiunta scarsa luminosita' o la caduta di
essi in un luogo impervio.
La Regione si e' difesa suggerendo una diversa interpretazione
della norma censurata secondo cui essa, lungi dal porre un
adempimento aggiuntivo per procedere all'annotazione, avrebbe imposto
al cacciatore di registrare sul tesserino venatorio anche il mero
rinvenimento di un animale abbattuto da terzi.
3.- La questione e' fondata.
Il possesso del tesserino venatorio per il legittimo esercizio
della caccia e' imposto dall'art. 12, comma 12, della legge n. 157
del 1992; il documento viene rilasciato dalla regione di residenza e
indica le specifiche norme inerenti al calendario regionale, alla
forma di caccia prescelta e agli ambiti territoriali in cui essa e'
consentita.
Questa Corte ha riconosciuto al tesserino venatorio funzione
abilitativa e di controllo per la verifica della selvaggina cacciata
e il rispetto del regime della caccia controllata (sentenza n. 90 del
2013); infatti, attraverso le annotazioni presenti sul tesserino,
sono acquisiti gli elementi di conoscenza della consistenza numerica
della fauna selvatica, necessari a predisporre le misure di
salvaguardia, in special modo quelle riguardanti le specie piu'
vulnerabili.
4.- L'attendibilita' dei dati raccolti e' maggiormente garantita
quando l'adempimento viene effettuato in maniera tempestiva e, per
tale ragione, il legislatore nazionale, con la legge 7 luglio 2016,
n. 122 (Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea
2015-2016), ha aggiunto il comma 12-bis all'art. 12 della legge n.
157 del 1992, prevedendo che l'annotazione sul tesserino venatorio
debba essere effettuata subito dopo l'abbattimento, sia per la fauna
selvatica stanziale che per quella migratoria.
L'intervento normativo deriva da una sollecitazione della
Commissione europea, poiche' l'art. 12 della legge n. 157 del 1992
non prevedeva un tempo specifico per adempiere all'obbligo di
annotazione, e la Commissione europea, nell'ambito della procedura
avviata nei confronti dell'Italia (caso EU Pilot 6955/14/ENVI) con
richiesta di informazioni sull'attivita' di monitoraggio del prelievo
venatorio, aveva riscontrato l'esistenza di una variegata
legislazione regionale, che consentiva di differire, con riferimento
alle sole specie migratorie, l'annotazione degli abbattimenti al
termine della giornata di caccia.
Secondo la Commissione europea, l'assenza di una regolamentazione
omogenea generava difficolta' nell'espletamento dei controlli da
parte delle autorita' competenti e il tempo trascorso tra
l'abbattimento e l'annotazione rendeva inattendibili i dati raccolti.
Pertanto, l'aggiunta del comma 12-bis all'art. 12 della legge n.
157 del 1992 si e' resa necessaria per la chiusura della ricordata
procedura e per garantire una raccolta piu' puntuale delle
informazioni, derivante dalla contestualita' dell'annotazione, in
funzione dell'efficace programmazione del prelievo faunistico.
La finalita' di tutela delle specie sottesa all'art. 12, comma
12-bis, della legge n. 157 del 1992 motiva l'inclusione della norma
nell'ambito delle prescrizioni statali costituenti soglie minime di
protezione ambientale (sentenza n. 249 del 2019), non derogabili
neppure nell'esercizio della competenza regionale in materia di
caccia, salva la possibilita' di prescrivere livelli di tutela
ambientale piu' elevati di quelli previsti dallo Stato (sentenze n.
174 e n. 74 del 2017, n. 278 del 2012, n. 104 del 2008 e n. 378 del
2007).
Nella prospettiva di tutela della sopravvivenza della fauna
selvatica, l'obbligo di annotazione non puo' che investire
l'abbattimento dell'esemplare, inteso come evento effettivamente
realizzatosi, a nulla rilevando la materiale apprensione del capo.
Dunque, la norma censurata, che subordina le annotazioni sul
tesserino venatorio al preventivo recupero dell'animale, frustra la
ratio sottesa alla disciplina normativa statale e abbassa la soglia
di protezione da essa stabilita.
La criticita' non e' superabile accedendo alla tesi della difesa
regionale, che ritiene di aver esteso l'adempimento ai casi di
recupero di abbattimenti effettuati da terzi, poiche'
l'interpretazione offerta trova ostacolo nel dato letterale della
norma, che utilizza la congiunzione «e» e non la disgiunzione «o»,
per precisare che l'annotazione va effettuata dopo l'abbattimento e
l'avvenuto recupero.
5.- Pertanto, va dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 15, comma 1, lettera j), della legge reg. Lombardia n. 17
del 2018 nella parte in cui ha sostituito le parole «dopo gli
abbattimenti accertati» con le parole «dopo gli abbattimenti e
l'avvenuto recupero». Cio' in quanto l'ulteriore requisito
dell'avvenuto recupero, per procedere all'annotazione sul tesserino
venatorio dei capi abbattuti, determina un abbassamento del livello
statale di tutela ambientale.
6.- La seconda questione prospettata ha ad oggetto l'art. 15,
comma 1, lettera m), dell'impugnata legge regionale, secondo cui la
selvaggina ferita puo' essere recuperata fino a duecento metri dal
capanno, in attitudine di caccia e con l'uso del cane o del natante,
ma con arma scarica e riposta in custodia.
Il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto la violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in relazione al
principio di esclusivita' della caccia, per il quale il cacciatore
puo' esercitarla solo nella singola modalita' prescelta, come
stabilito dall'art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, cosi'
evitando di esporre tutto il territorio agro-silvo-pastorale
all'esercizio venatorio indiscriminato.
Secondo la prospettazione del ricorrente, la norma censurata,
consentendo di vagare fuori dal capanno in assetto di caccia,
autorizzerebbe colui che ha optato per la caccia da appostamento
fisso a esercitarla in una modalita' aggiuntiva.
7.- La questione non e' fondata.
La prescrizione e' stata posta dalla Regione nell'ambito
dell'esercizio della potesta' legislativa residuale in materia di
caccia, che subisce limiti per effetto della normativa statale quando
la materia regionale si sovrappone, per naturale coincidenza, con
ambiti afferenti ad interessi diversi che insistono su specifici
aspetti del bene ambiente, cosi' che le attribuzioni legislative
delle Regioni non possono essere esercitate abbassando lo standard di
tutela ambientale previsto dal legislatore nazionale (sentenze n. 74
del 2017 e n. 278 del 2012).
8.- Il recupero del capo ferito da appostamento fisso, come
previsto dalla legge regionale censurata, integra un'attivita' neutra
ai fini della tutela ambientale, poiche' deve avvenire con arma
scarica e riposta nell'apposita custodia; pertanto, essendo esclusa
la possibilita' di uccisione di capi aggiuntivi rispetto a quelli
gia' feriti, il recupero non puo' essere ricondotto alla caccia
vagante, che si aggiungerebbe a quella da appostamento fisso
prescelta dal cacciatore che spara dal capanno.
La norma censurata, che ha allargato il raggio di azione
nell'ambito del quale si puo' procedere al recupero dell'animale, va
ricondotta al legittimo esercizio della competenza residuale delle
Regioni in materia di caccia, quale disciplina delle modalita' di
esercizio delle attivita' afferenti ad essa.
9.- Venendo, infine, alla questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera q), della legge reg.
Lombardia n. 17 del 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri
lamenta che la norma, imponendo di verificare le distanze dei capanni
di caccia dagli immobili destinati ad abitazione o al lavoro e quelle
per l'uso delle armi da sparo seguendo l'andamento morfologico del
terreno, sarebbe in contrasto con l'art. 117, secondo comma, lettera
s), Cost., in relazione alle prescrizioni dell'art. 21, comma 1,
lettere e) ed f), della legge n. 157 del 1992, relative al rispetto
delle distanze minime dai fabbricati adibiti ad abitazione o al
lavoro e dalle vie di comunicazione e dalle strade e al rispetto
delle distanze per l'esercizio venatorio e per l'uso dei fucili da
caccia.
10.- La questione non e' fondata.
Le prescrizioni dell'art. 21 della legge n. 157 del 1992, che
sono state indicate quali norme interposte rispetto alla violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., sono estranee alla
tutela dell'ambiente e dell'ecosistema.
11.- Questa Corte ha piu' volte affermato che per individuare la
materia in cui si colloca la norma, interposta nella specie, occorre
aver riguardo all'oggetto, alla ratio e alla finalita' della
disciplina, verificando il nucleo centrale delle prescrizioni e le
finalita' dell'intervento legislativo, a prescindere dagli effetti
riflessi (sentenze n. 116 del 2019, n. 108 e n. 81 del 2017 e n. 21
del 2016).
Gli specifici divieti previsti dall'art. 21 della legge n. 157
del 1992 mirano a garantire la tutela di coloro che, trovandosi nei
pressi del cacciatore, possono essere coinvolti dalla sua attivita';
le norme hanno valenza preventiva e sono volte a stabilire condizioni
di sicurezza minime, a garanzia della pubblica incolumita'.
Diversamente, la prescrizione dell'art. 15, comma 1, lettera q),
della legge reg. Lombardia n. 17 del 2018, adottata in tema di
modalita' di misurazione delle distanze, in quanto volta alla
disciplina dell'attivita' venatoria, ricade nell'ambito della
competenza legislativa regionale residuale in materia di caccia, che
e' legittimamente esercitata anche quando le prescrizioni tecniche
per il suo esercizio sono dettate in vista della tutela di interessi
diversi, che si intrecciano o contrappongono a quello del cacciatore
e che, nella specie, afferiscono alla pubblica incolumita'.
La materia su cui ha inciso la legge regionale impugnata e' del
tutto estranea a quella ambientale, poiche' non coinvolge alcun
aspetto relativo alla conservazione della fauna e dell'ecosistema,
cosi' che la questione - che, in relazione alle norme indicate quali
parametri interposti, avrebbe dovuto essere prospettata per
tutt'altro parametro costituzionale e cioe' per violazione delle
attribuzioni statali in materia di ordine pubblico - va rigettata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15, comma
1, lettera j), della legge della Regione Lombardia 4 dicembre 2018,
n. 17 (Legge di revisione normativa e di semplificazione 2018), nella
parte in cui ha sostituito le parole «dopo gli abbattimenti
accertati» con le parole «dopo gli abbattimenti e l'avvenuto
recupero»;
2) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera m), della legge reg.
Lombardia n. 17 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s),
della Costituzione e in relazione agli artt. 5, comma 5, e 12, comma
5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione
della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), con il
ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 15, comma 1, lettera q), della legge reg.
Lombardia n. 17 del 2018, promossa dal Presidente del Consiglio dei
ministri, in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera s),
Cost. e in relazione all'art. 21, comma 1, lettere e) ed f), della
legge n. 157 del 1992, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2019.
F.to:
Aldo CAROSI, Presidente
Giulio PROSPERETTI, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 dicembre 2019.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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