2024 il centenario; democrazia e regime.
Nell’aprile del 1924, dopo due anni da Presidente del Consiglio nominato da Vittorio Emanuele iii° a seguito della marcia fascista su Roma, con le subdole liste “Listone Nazionale“ e “Lista Bis“, Benito Mussolini ottenne il 64,9% dei voto validi.
I tempi sono diversi; culturalmente in peggio; anche da inferma “il“ Presidente del Consiglio afferma; “nessuno ci potrà cacciare dal Governo perché noi rappresentiamo democraticamente la maggioranza del popolo“; orbene, alle elezioni del settembre 2022 il partito di Giorgia Meloni ha ottenuto il 14% dei voti se rapportati agli aventi diritto; pertanto, la sua tracotanza da regime è maggiore rispetto a quella nefasta di Mussolini.
Ciò precisato, si ha il dovere di approfondire la riflessione sull’uso del termine democrazia; Ideata dai filosofi greci nel IV° secolo A. C. con le Città Stato, “la democrazia rende incompatibile la presenza dei ricchi nella gestione del governo della cosa pubblica“.
Visto il rovesciamento del concetto nella moderna democrazia occidentale; dice sostanzialmente il filosofo inglese Huxley; “il consumismo dominato dal capitale a discapito della forza lavoro, fa del sistema una prigione senza muri popolata da schiavi, che non sentono il bisogno di scappare da essa“.
Pertanto il termine
giusto non è più democrazia; ma regime consumista in quanto governato non dalla
partecipazione del popolo ma dal liberalismo finanziario; non a caso tutti i provvedimenti
governativi sono dettati dagli input finanziari e non da quelli dei bisogni
sociali; in questo intrecciato equivoco democrazia/liberalità/
Se si vuole sconfiggere quel che è orami neo fascismo, si può iniziare con la riforma della legge elettorale per il ritorno al proporzionale; per un voto elettorale inteso non solo come diritto, ma come dovere da assolvere; come sostiene anche Dacia Maraini.
Prendendo atto che per conservarsi questa maggioranza serve la non partecipazione; quindi si metterà di traverso ad ogni iniziativa parlamentare; l’unica via è quella dell’Art. 75 della Costituzione “per un referendum popolare indetto per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali“.
Ponendo fine all’inutile chiacchiericcio, non c’è che da augurarsi l’elaborazione di un progetto di legge popolare, con relative iniziative organizzative per la raccolta delle 500.000 firme necessarie.
Enrico Corti
31 dicembre 2023
Sono vietati la riproduzione e l'uso di questo e-mail in mancanza di autorizzazione del destinatario. Se avete ricevuto questo e-mail per errore, vogliate cortesemente contattarci immediatamente per e-mail.
Nessun commento:
Posta un commento