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sabato 3 febbraio 2024

Corte d’Appello 2023- E' in atti un parere positivo che del 16.10.2008 che tuttavia non parla di esposizione a uranio impoverito o altro ma di una situazione di "elevata tensione emotiva" che avrebbe determinato lo stress che ha condotto all'abbassamento delle difese immunitarie. Questo parere, a ben guardare, fa riferimento alle "missioni svolte in teatro bellico" e non al lavoro in armeria (doc. A allegato alle note).

 




Corte d'Appello Firenze Sez. lavoro, Sent., 30/10/2023 

Fatto - Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

La Corte di Appello di Firenze 

Sezione lavoro 

nelle persone dei Magistrati: 

dr. Flavio Baraschi - Presidente, relatore 

dr. Elisabetta Tarquini - Consigliera 

dr. Paola Mazzeo - Consigliera 

nella causa iscritta al n. 768/2021 RG 

promossa da 

OMISSIS 

Avv.   

appellante 

nei confronti di 

MINISTERO DELLA DIFESA 

MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE 

Avvocatura Distrettuale dello Stato 

appellati 

Avente ad oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di OMISSIS, giudice del lavoro, n. 167/2021, pubblicata il 16.4.2021. 

All'udienza 21 settembre 2023, con separato dispositivo, ha emesso la seguente 

SENTENZA 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione 

Il Tribunale di OMISSIS, con la decisione oggi impugnata, ha respinto la domanda proposta da OMISSIS, nei confronti dei Ministeri della Difesa e dell'Economia e Finanze, con la quale era chiesto il riconoscimento dello status di vittima del dovere ai sensi della L. n. 266 del 2005 in relazione alle patologie contratte durante il servizio in Italia, come armaiolo presso l'Armeria del Reparto (OMISSIS C.C. OMISSIS) e la partecipazione ad una missione internazionale in Kosovo dal 1.2.1999 al 31.7.1999. 

In particolare, l'odierno appellante, già graduato dell'Arma dei Carabinieri, è risultato affetto da un microcarcinoma papillare, per il quale è stato sottoposto a tiroidectomia totale nel 2007, e da una forma di disturbo dell'adattamento reattivo. Sostiene che l'insorgenza di tali patologie sia dovuta alla sua attività in Italia come armaiolo presso l'Armeria del Reparto ed alla sua partecipazione alla suddetta missione internazionale durante le quali è stato esposto in modo rilevante a radiazioni da uranio impoverito. 

In Italia, sostiene di essere stato in continuo contatto con materiali (munizionamento completo e bossolame) proveniente dai più svariati teatri operativi ove sono stati impiegati i Carabinieri, ivi compresi quelli dove è stato fatto utilizzo di munizioni all'uranio impoverito. Precisa di avere operato in ambienti scarsamente areati e di avere utilizzato altresì il benzene, solvente chimico notoriamente cancerogeno, per la manutenzione e la pulizia dei suddetti congegni bellici. Sostiene di avere effettuato altresì servizi di scorta, come motociclista, ai mezzo di trasporto delle basi americane in Italia che trasportavano anche materiale radioattivo. 

In Kosovo sostiene di essere stato assegnato a funzioni di scorta. 

Da notare che la partecipazione alla missione in Kosovo è negata dal Ministero oggi appellato. 

Il primo giudice, espletata la CTU medico legale, ha respinto la domanda del P. sul presupposto che non fosse dimostrata la sussistenza di un nesso causale tra l'attività svolta durante le missioni internazionali e le patologie del P.. 

Le spese di lite sono state compensate. 

OMISSIS appella alla sentenza, con i seguenti motivi. 

1. Violazione degli artt. 115, 116, 132, 194, 201 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. 

2. Violazione dell'art. 132, commi 1 e 4, ed art. 118 delle norme di attuazione del c.p.c., in relazione all'art. 111, comma 6 della Costituzione, non contenendo (anche in virtù di quanto sopra) la sentenza una motivazione sufficiente e/o contraddittoria, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. 

3. Violazione dell'art. 132, commi 1 e 4, ed art. 118 delle norme di attuazione del c.p.c., in relazione all'art. 111, comma 6 della Costituzione, non contenendo (anche in virtù di quanto sopra) la sentenza una motivazione sufficiente e/o contraddittoria, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. 

4. Violazione dell'art. 2697 C.c. in relazione agli artt. 1 comma 564 della L. n. 266 del 2005, nonché 1 e 6 del D.OMISSIS n. 243 del 2006, quindi anche degli artt. 603 e 1907 del D.Lgs. n. 66 del 2010 e degli artt. 1079 e segg.ti del D.OMISSIS n. 90 del 2010; in relazione all'art. 360, comma 3 c.p.c 

In sintesi, secondo parte appellante, il primo Giudice si sarebbe basato, in modo acritico, sulla CTU effettuata in primo grado senza tenere in alcuna considerazione le osservazioni critiche rese dal CTP e senza svolgere alcun doveroso approfondimento. 

Sotto altro aspetto, parte appellante censura la sentenza del Tribunale di OMISSIS per non aver ritenuto dimostrato il nesso causale tra attività lavorativa (come descritta dal militare) e patologia insorta nonostante la stessa P.A. avesse, alla fine, riconosciuto al P. la causa di servizio. 

Evidenzia altresì parte appellante come la CTU di primo grado non abbia evidenziato altra causa per l'insorgenza della patologia tumorale, diversa da quella lavorativa. 

In particolare, secondo il P. la sentenza appellata è da censurare laddove il Giudice di prime cure ha ritenuto di dover respingere il ricorso aderendo acriticamente alle conclusioni del proprio ausiliario e glissando sulle motivazioni che lo avrebbero determinato, se non ad accogliere, quantomeno ad approfondire ulteriormente le osservazioni critiche del consulente di parte. Il Giudicante, infatti, si è attestato sulla presunta incertezza scientifica che circonderebbe l'argomento, ritenendo che il medesimo avrebbe "(…) esaustivamente motivato confermando le conclusioni sopra riportate (cfr. chiarimenti depositati in data 13.3.2021). Si ritiene di condividere le analisi, risultanze e conclusioni che emergono dal suddetto accertamento medico legale, da intendersi qui integralmente riportata nella parte motiva e conclusiva - delle quali si sono riprodotti soltanto alcuni passaggi illuminanti -, totalmente riscontrandone la immunità da vizi logico-giuridici che ne inficino in qualche modo le conclusioni con riferimento al thema probandum (…)". 

Ritenendo palese la violazione dell'art. 2697 c.c., mancando "(…) dunque nella fattispecie di causa la prova in relazione alla sussistenza del riconoscimento che l'infermità contratta sia "dipendent(e) da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative", dovendo intendersi, come già detto, per "particolari condizioni ambientali od operative", secondo la definizione di cui all'art. 1, D.M. n. 243 del 2006 "le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto" (…)". 

Facendo riferimento, quindi, anche ad una presunta violazione del concetto di particolari condizioni ambientali ed operative di missione, come di maggior rischio rispetto a quello cui un militare può essere sottoposto per la sua funzione istituzionale, di cui all'art. 1, commi 563 e 564 della L. n. 266 del 2005 ed artt. 603 e 1907 del D.Lgs. n. 66 del 2010 e ai relativi regolamenti di attuazione apprestati, rispettivamente, dai D.OMISSIS n. 243 del 2006 (specialmente artt. 1 e 6) e 90/2010 (artt. 1079 e segg.ti). 

Il MINISTERO DELLA DIFESA e quello DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE si son costituiti ed hanno chiesto il rigetto dell'appello. 

Così riassunti i termini della controversia e le difese delle parti, secondo la Corte l'appello è infondato e non può essere accolto. 

I motivi d'appello possono essere esaminati congiuntamente in quanto tra loro strettamente connessi. 

Giova, prima di tutto, ricordare che, con il ricorso di primo grado, il P. ha esposto di essere stato assegnato, dal 1.1.2005 alla gestione ed organizzazione dell'Armeria dei Reparto (OMISSIS, CC di OMISSIS). Nello svolgimento di queste mansioni egli sostiene di essere stato in continuo contatto, in ambienti scarsamente areati, con munizionamento completo e bossolame provenienti da vari teatri operativi ove sono stati impiegati i Carabinieri, ivi compresi quelli dove è stato fatto utilizzo di munizioni all'uranio impoverito. Precisa di avere utilizzato altresì il benzene, solvente chimico notoriamente cancerogeno, per la manutenzione e la pulizia dei suddetti congegni bellici. 

Dal febbraio al luglio 1999 sostiene, altresì, di aver preso parte ad una missione in Kosovo ma tale circostanza non è riconosciuta dal Ministero della Difesa. L'atto di appello, per la verità, non insiste particolarmente su questo aspetto concentrandosi, piuttosto, sulla attività svolta in patria. 

La diagnosi in questione (nodulo tiroideo) risale al marzo 2007. 

Esaminando le relazioni di servizio rese dai diretti superiori dell'odierno appellante, emerge che lo stesso si è effettivamente occupato della organizzazione e della gestione dell'armeria della OMISSIS dei Carabinieri. Questa attività era svolta in locali posti al di sotto del manto stradale e privi di cappe di aspirazione. Erano presenti 6 finestre che si aprivano in modo basculante ma solo per pochi gradi. Nei locali erano stoccati munizioni e bossolame di rientro dai vari teatri operativi, assemblati promiscuamente, che venivano quotidianamente movimentati, suddivisi e manipolati dal P. (relazione del 10.11.2009, doc.7). 

Nelle relazioni di servizio l'indicazione relativa all'eventuale esposizione ad uranio impoverito è stata sempre negativa mentre, per quanto riguarda le esplosioni che possono aver prodotto nano particelle di metalli pesanti, la risposta è stata positiva ma solo in relazione a poligoni di tiro e siti nei quali vengono stoccati munizionamenti e le zone poste entro 1,5 Km circostante (doc.8). 

Nel rapporto informativo del 18.11.2009 (doc.9) è precisato che il P. ha utilizzato solventi ed altro materiale necessario per la manutenzione delle armi ed ha partecipato ad esercitazioni di tiro a cielo chiuso ed aperto. È anche riferito che egli ha svolto servizio di scorta a convogli che trasportavano armi, munizioni e veicoli USA su tutto in territorio nazionale. 

Per quanto riguarda il riconoscimento della causa di servizio, dal punto di vista documentale risultano una serie di pareri negativi del Comitato di Verifica per le cause di Servizio del 14.12.2010, del 25.7.2011 e del 13.12.2011(doc. 2 e seguenti) e di pareri interlocutori del Consiglio di Stato. Il primo parere negativo richiama il rapporto informativo del 7.7.2010 (doc.10) del quale si è già dato atto. 

Alla fine si giunge ad un riconoscimento con parere positivo del 25.1.2016 (posizione 10518 del 2015) che però non ne chiarisce la motivazione (doc. 26). 

E' in atti un parere positivo che del 16.10.2008 che tuttavia non parla di esposizione a uranio impoverito o altro ma di una situazione di "elevata tensione emotiva" che avrebbe determinato lo stress che ha condotto all'abbassamento delle difese immunitarie. Questo parere, a ben guardare, fa riferimento alle "missioni svolte in teatro bellico" e non al lavoro in armeria (doc. A allegato alle note). 

Fatte queste premesse, ricorda che Corte che effettivamente il riconoscimento della causa di servizio e quello relativo allo status di vittima del dovere non sono sovrapponibili. 

Il riconoscimento della causa di servizio infatti si basa, in sostanza, sulla sussistenza di un nesso di causalità tra servizio e malattia mentre per la seconda è richiesto un requisito ulteriore, ossia l'esposizione a un rischio eccedente quello che caratterizza le ordinarie modalità di svolgimento dei compiti di istituto. 

La Corte di Cassazione ha chiaramente precisato che la domanda diretta all'accertamento dello "status" di soggetto equiparato alle vittime del dovere, ai sensi dell'art. 1, comma 564, della L. n. 266 del 2005 è ancorata a presupposti costitutivi diversi da quella relativa alla "causa di servizio", rappresentati dall'aver contratto l'infermità in particolari condizioni ambientali od operative, a seguito dell'esposizione a un rischio eccedente quello che caratterizza le ordinarie modalità di svolgimento dei compiti di istituto (Cass. ord. 28696 del 2020). 

Nello stesso senso, le S.U., nella sentenza n. 21969 del 2017, hanno precisato che "Affinché possa ritenersi che una vittima del dovere abbia contratto una infermità in qualunque tipo di servizio non è sufficiente la semplice dipendenza da causa di servizio, occorrendo che quest'ultima sia legata a "particolari condizioni ambientali o operative" implicanti l'esistenza, od anche il sopravvenire, di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto". 

La distinzione è fondamentale e deriva dal testo della legge. Diversamente ragionando si finirebbe per far coincidere i due istituti che hanno, invece, finalità differenti e che comportano oneri per lo Stato notevolmente diversi. 

Giova allora ricordare il dato normativo. 

L'art. 1 della L. n. 266 del 2005 prevede: comma 563. Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'articolo 3 della L. 13 agosto 1980, n. 466, e, in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteristiche di ostilità. 

Comma 564: Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da causa di servizio per le particolari condizioni ambientali od operative. 

L'art. 1 del D.OMISSIS n. 243 del 2006 chiarisce che: b) per missioni di qualunque natura, le missioni, quali che ne siano gli scopi, autorizzate dall'autorità gerarchicamente o funzionalmente sopraordinata al dipendente; c) per particolari condizioni ambientali od operative, le condizioni comunque implicanti l'esistenza od anche il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che hanno esposto il dipendente a maggiori rischi o fatiche, in rapporto alle ordinarie condizioni di svolgimento dei compiti di istituto. 

La S.C. ha chiarito che per circostanze straordinarie devono essere intese, secondo il significato indicato dalla legge, condizioni ambientali ed operative "particolari" che si collocano al di fuori del modo di svolgimento dell'attività "generale", per le quali èquindi sufficiente che non siano contemplate in caso di normale esecuzione di una determinata funzione" (Cass. 15027 del 2018). 

In sostanza il comma 564 richiede la dimostrazione di una forma di esposizione a rischio eccedente quello che caratterizza le ordinarie modalità di svolgimento dei compiti di istituto (Cass. ord. 13367 del 2020). 

Nel caso in esame, il P. ha ottenuto, sia pure dopo molti pareri negativi, il riconoscimento della causa di servizio ma, dalla documentazione esaminata, non emerge che questo riconoscimento sia dipeso dall'esposizione a uranio impoverito durante le mansioni di armaiolo svolte in Italia. 

Al riguardo anche la CTU resa in primo grado ha chiarito che, per quanto riguarda le munizioni provenienti dai vari teatri bellici con il quali il P. ha avuto contatto all'interno dell'armeria, per ritenere positiva l'esposizione ad uranio impoverito dovremmo ammettere che il materiale venisse immagazzinato senza controllo alcuno da parte di altro personale prima del rimpatrio. Le normative sul trasporto di materiale radioattivo, sullo stoccaggio e smaltimento sono estremamente stringenti in Italia ed a livello internazionale. Come riportato nel documento del Comando Operativo di Vertice Interforze del 10 febbraio 2017, il personale presente nei territori di guerra come in Afghanistan ed in Kosovo, svolge attività di controllo e successiva decontaminazione chimica e radiologica se necessaria, ai mezzi ed ai materiali ogni volta che vengono rimpatriati. Il documento riporta l'elenco delle normative nazionali/internazionali applicate dal personale al fine del controllo dei mezzi e materiali prima del rientro in patria. Infine, al termine del controllo dei mezzi e materiali, come risulta dal suddetto documento, viene rilasciato un verbale che certifica se l'automezzo presenta contaminazione oppure no. Nel caso sia stata rilevata la contaminazione radioattiva, viene disposto il rimpatrio del mezzo in ossequio alle procedure nazionali comunitarie previste per il trasporto di merci pericolose. 

Quindi alla luce di quanto sopra riportato, risulta improbabile che il P., durante il lavoro presso l'armeria sia stato esposto a radiazioni ionizzanti derivante dal bossolame immagazzinato in quanto contaminato da uranio impoverito. 

Altra situazione in cui, secondo il Sig. P., lo stesso può essere venuto a contatto con il bossolame contaminato da uranio impoverito e durante l'assegnazione presso i poligoni di tiro in territorio nazionale, addetto alla raccolta di bossoli, munizioni sul terreno. Come risulta dalla documentazione, in territorio nazionale è escluso che siano state utilizzate munizioni contenenti uranio impoverito. 

Pur potendosi ravvisare, quindi, un nesso causale tra l'attività svolta come armaiolo e la patologia tumorale diagnosticata nel 2007, sembra alla Corte che tutte le mansioni svolte dal P., come ricostruite nei vari rapporti informativi, non integrino le circostanze straordinarie richieste dalla legge, ossia condizioni ambientali ed operative "particolari" che si collocano al di fuori del modo di svolgimento dell'attività "generale". 

In altre parole, mentre l'esposizione a uranio impoverito avrebbe collocato tali mansioni al di fuori delle modalità di normale esecuzione della funzione, la medesima straordinarietà non si ravvisa nelle altre circostanze riferite (assenza di areazione adeguata, uso di solventi ed altro). Si tratta infatti di condizioni che possono ritenersi non adeguatamente salubri ma nelle quali non emergono elementi di straordinarietà secondo il significato più volte chiarito. 

Per quanto riguarda la missione in Kosovo resta la contestazione in fatto e la mancanza di una prova certa al riguardo: è in atti un riconoscimento della NATO (doc.12) ma la missione non risulta da alcuno dei rapporti informativi e dallo stato matricolare del militare appellante. 

In ogni caso la CTU del primo grado si è largamente soffermata sul tale missione con argomenti che possono essere condivisi. 

"non è stato coinvolto direttamente in azioni belliche, non ha direttamente utilizzato proiettili all'uranio impoverito, non si è trovato nelle immediate vicinanze di veicoli o strutture colpite da munizioni all'uranio impoverito, non ha utilizzato veicoli che in precedenza hanno attraversato zone colpite da munizionamento all'uranio impoverito, ma potrebbe eventualmente essersi trovato nei luoghi dove si e verificata la risospensione della polvere contaminata da uranio impoverito. I compiti comunque svolti durante la missione non ritengo lo abbiano esposto in modo significativo (effettuava la scorta ai mezzi) per cui verosimilmente e da considerare l'esposizione ambientale cui e stato esposto di livello simile a quello della popolazione civile di quei luoghi. Gli studi condotti nei teatri di guerra dove sono stati utilizzati munizioni ad uranio impoverito hanno evidenziato inquinamento solo nei punti di impatto dei proiettili e nei punti in cui eventualmente i proiettili sono penetrati nel terreno. Inoltre, il periodo in cui il Sig. P. ha partecipato alla missione di pace e piuttosto breve, sette mesi. Quindi, sia per il tipo di attività che per i tempi di permanenza nelle aree eventualmente contaminate e difficile che si possa essere realizzata una "dose equivalente" tale da aver dato inizio, secondo un criterio probabilistico, al processo di cancerogenesi". 

In conclusione, l'appello non può essere accolto in quanto, esaminati tutti gli atti di causa non è emerso che il P. sia stato effettivamente ed in modo significativo esposto ad uranio impoverito durante la sua attività di carabiniere. Le modalità con le quali ha svolto i propri compiti non comportano una esposizione a rischio eccedente quella che caratterizza le ordinarie modalità di svolgimento dei compiti di istituto e non integrano, quindi, le circostanze straordinarie richieste dalla legge. 

Spese 

La particolare complessità della materia e dell'accertamento in fatto necessario ai fini della decisione della causa inducono alla compensazione delle spese di lite del secondo grado per la metà. La restante metà è a carico del militare appellante, secondo la norma della soccombenza. Le spese si liquidano, come in dispositivo, secondo il D.M. n. 147 del 2022, nei minimi. 

Per il rigetto dell'appello sussistono i presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1-quater, D.OMISSIS 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, per l'obbligo di parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato. 

P.Q.M. 

La Corte, definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa istanza, eccezione e deduzione: 

Respinge l'appello avverso la sentenza del Tribunale di OMISSIS, giudice del lavoro, n. 167/2021, pubblicata il 16.4.2021. 

Dichiara le spese di lite compensate per metà tra le parti e condanna il P. al pagamento della restante metà che liquida in Euro 1.736,00 oltre spese al 15%, IVA e CPA come per legge. 

Dichiara che sussistono i presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1-quater, D.OMISSIS 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall'art. 1, comma 17, L. 24 dicembre 2012, n. 228, per l'obbligo di parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato. 

Così deciso in Firenze, il 21 settembre 2023. 

Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2023. 


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