SENTENZA DEL 11/04/2024 N. 350/2 - CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DEL VENETO
Esenzione IMU per gli enti non commerciali
L’esenzione dall’IMU si applica agli immobili di enti pubblici o privati che non abbiano come oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali e svolgano negli stessi esclusivamente attività di assistenza o altre attività a queste equiparate dal legislatore ex art. 7, co. 1, lett. i) del D. Lgs. 504/1992. In base a tale principio, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto ha accolto l’appello dell’ente non commerciale, riformando la sentenza di primo grado. I giudici veneti hanno, infatti, ritenuto che il comodato d’uso gratuito tra una Onlus e una Cooperativa sociale non costituisca manifestazione di ricchezza e capacità economica e possa, pertanto, applicarsi l’esenzione IMU.
Intitolazione:
Nessuna intitolazione presente
Massima:
Nessuna massima presente
Testo:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La sentenza impugnata concerne il procedimento promosso con ricorso in primo grado contro due accertamenti emessi dal Comune interessato per omesso versamento Imu, oltre a sanzioni ed interessi, rispettivamente per gli anni 2012 e 2013.
Nel ricorso in primo grado parte contribuente, sottolineando la propria natura di ente, costituito in forma di Onlus nel 1991 dall'Amministrazione Provinciale di Verona, avente quale oggetto sociale istituzionale "la cura, la riabilitazione, l'educazione e l'inclusione sociale degli spastici della provincia di Verona", e la circostanza che le unità immobiliari, oggetto di accertamento, sarebbero state concesse in comodato d'uso gratuito, mediante contratto stipulato in data 15/11/2010, a una cooperativa sociale, deputata alle funzioni suddette, esponeva i seguenti motivi di impugnazione degli atti accertativi:
- Violazione e falsa applicazione dell'art. 1 l. 27.12.2006 n. 296 e degli artt. 16 e 17 d. lgs. n. 472/1997.
- Violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del d. lgs. 30.12.1992 n. 504 e successive modifiche - difetto assoluto di motivazione - carenza di istruttoria.
- Violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 - violazione dell'art. 7 della legge 27 luglio 2000 n. 212 - eccesso di potere per difetto di motivazione.
Il Comune era costituito in primo grado per opporsi ai motivi svolti nel ricorso e controdedurre.
La CTP con la decisione impugnata, condividendo le argomentazioni svolte nel merito della questione dal Comune, ha respinto il ricorso, compensando le spese.
Parte contribuente ha proposto appello, riepilogando i fatti e proponendo i seguenti motivi di impugnazione della sentenza:
- In via preliminare: richiesta di sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 337 c.p.c., sottolineando come il Comune avrebbe impugnato la decisione della CTR del Veneto, favorevole a parte contribuente, nr. 1029/2021, ed il relativo giudizio penderebbe davanti alla Suprema Corte r.g. n. 6986/2022.
- Nel merito: violazione e falsa applicazione dell'art. 7 del d. lgs. 30.12.1992 n. 504 - travisamento dei fatti - erroneità. Secondo parte contribuente, nella vicenda, quanto all'aspetto riguardante l'utilizzo, andrebbe riconosciuta prevalenza all'indirizzo giurisprudenziale valorizzante l'aspetto sostanziale della questione rispetto a quello puramente formale (si richiama giurisprudenza della Cassazione, oltre alla risoluzione del Ministero delle finanze n. 4/DF/2013). E' invocato anche il tenore letterale del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), che farebbe riferimento semplicemente agli "immobili utilizzati" dai soggetti di cui al D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), non prevedendo, secondo parte contribuente, che la suddetta utilizzazione debba essere necessariamente diretta da parte del soggetto proprietario (è richiamata anche giurisprudenza di merito), e si rileva come nel caso esaminato intercorrerebbe tra l'ente comodante e quello comodatario una reale unità di intenti, sia con riferimento alla natura sociale, che con riguardo ai fini mutualistici perseguiti.
Per quanto concerne, poi, il presunto svolgimento di attività commerciale, si richiama giurisprudenza della SC, secondo cui, ai fini della qualifica di ente non commerciale, rileverebbe l'esercizio, in via prevalente, di attività rese in conformità ai fini statutari, non rientranti nelle fattispecie di cui all'articolo 2195 del c.c., svolte in mancanza di specifica organizzazione e verso il pagamento di corrispettivi non eccedenti i costi di diretta imputazione. Nel caso in questione il comodatario, che avrebbe operato, nell'interesse generale della comunità, per la promozione umana e per l'integrazione sociale dei cittadini, sarebbe, per espresso disposto statutario, un ente senza fini di lucro, costituito sotto forma di Onlus, la cui attività avrebbe l'oggetto suindicato, sarebbe svolta in via prevalente senza fini di lucro e senza che abbia influenza, al riguardo, la struttura giuridica adottata. Le cooperative sociali sarebbero considerate di diritto enti a mutualità prevalente (è richiamata anche la risoluzione n. 15452 del 30 gennaio 2014 del MiSE, la risoluzione 63/E/2019 dell'AE e la decisione n. 2013/284 CE).
È, infine, proposta istanza di sospensione dell'efficacia della sentenza.
Il Comune è costituito in questo grado per controdedurre, richiamando giurisprudenza della CTP di Verona e della CTR Veneto - sezione staccata di Verona - e sostenendo:
- Relativamente al precedente giurisprudenziale e alla richiesta di sospensione ex art. 337 c.p.c., l'efficacia del giudicato esterno relativo ad un singolo periodo d'imposta non sarebbe idoneo a "fare stato" per i successivi periodi "in via generalizzata ed aspecifica" e lo stesso non coprirebbe tutti i punti costituenti un antecedente logico della pronuncia; e in particolare, non coprirebbe la valutazione di prove o la ricostruzione di fatti, come sarebbe nel caso di specie. La richiesta di sospensione, secondo parte appellata, non sarebbe, di conseguenza, accoglibile.
- Relativamente alla istanza di sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza, parte contribuente si oppone poiché la pronuncia, contenendo statuizioni di mero accertamento, non inciderebbe sull'operatività dell'atto impositivo e sarebbe quindi insuscettibile di sospensione; inoltre, non sarebbero presenti, nel caso, i due elementi del fumus boni iuris e del periculum in mora.
- Relativamente all'asserita violazione e o falsa applicazione dell'art. 7 del D.Lgs n. 504/1992 - travisamento dei fatti - erroneità, parte appellata afferma che il riconoscimento dell'esenzione in questione richiederebbe il contemporaneo rispetto dei seguenti requisiti: natura non commerciale del soggetto proprietario e utilizzo diretto del cespite da parte dello stesso, con svolgimento delle attività agevolate individuate dalla lettera i) dell'articolo 7 citato; e svolgimento delle attività agevolate con modalità non commerciali. Nel caso di specie, l'appellante non utilizzerebbe direttamente gli immobili, ma li concederebbe in comodato. Inoltre, la comodataria sarebbe una società cooperativa, in quanto tale non ricompresa, trattandosi di società, tra i soggetti di cui all'attuale art. 73 del TUIR, né tra i due Enti in questione si configurerebbe un rapporto di immedesimazione organica.
In relazione all'elemento oggettivo, ossia lo svolgimento dell'attività con modalità non commerciale, l'appellante non avrebbe fornito alcun elemento di prova, e, ad analoghe conclusioni si giungerebbe anche per la cooperativa sociale comodataria, la quale, per l'attività di assistenza, svolta nell'immobile in questione, percepirebbe dagli utenti e/o dai familiari degli stessi un corrispettivo, come si può leggere a pagina 28 della carta dei servizi. Esisterebbe una convenzione tra la ULSS e la cooperativa comodataria, ove sarebbe specificamente prevista la corresponsione di un corrispettivo, su fattura, a carico della Unità sanitaria competente, e, tra l'altro, l'applicazione del regime dell'IVA (a differenza dall'erogazione di un contributo) dimostrerebbe lo svolgimento di attività commerciale. Con riferimento agli anni d'imposta 2012 e 2013, la cooperativa avrebbe presentato la dichiarazione dei redditi prevista per gli enti commerciali (come sempre fatto dal 1999 al 2017). Tale situazione sarebbe confermata anche dal contenuto di altra documentazione richiamata. Al fine di valutare il carattere dell'imprenditorialità dell'attività svolta, irrilevante sarebbe la destinazione degli utili, eventualmente ricavati, al perseguimento di fini sociali o religiosi, ma andrebbe considerato se l'attività economica organizzata sia ricollegabile all'attitudine a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi.
- Formazione del giudicato relativamente ad alcuni punti della sentenza non impugnata, poiché parte appellante non avrebbe impugnato i punti della sentenza relativi alla questione della asserita decadenza dal potere di accertamento del Comune e all'asserito difetto di motivazione degli avvisi di accertamento.
Parte appellata ha anche depositato una memoria per insistere nell'opposizione alla richiesta di sospensione dell'esecutività della sentenza, illustrando le argomentazioni già svolte, e alla richiesta di sospensione del procedimento ex art. 337 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Secondo questa Corte la sentenza impugnata deve essere riformata.
Parte appellante invoca l'applicazione dell'agevolazione prevista dal D.Lgs. n. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), richiamata dalla normativa in tema di imu (art. 9 comma 8 d lgs 23/2011), in vigore per il periodo relativo alle annualità per cui è causa, secondo cui: "Sono esenti dall'imposta municipale propria gli immobili posseduti dallo Stato, nonchè gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall'articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), h), ed i) del citato decreto legislativo n. 504 del 1992")
L'art. 7 del d lgs 504 citato, dettato in tema di ici, prevede che siano esenti dall'imposta " gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all'imposta indipendentemente dalla destinazione d'uso dell'immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonchè delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222."
Secondo parte appellata non sussisterebbero le condizioni per l'applicazione del beneficio, né in riferimento al presupposto soggettivo dell'utilizzo dell'immobile, né per la natura del soggetto comodatario, né per la modalità di esercizio dell'attività stessa da parte del detto soggetto.
Per quanto riguarda l'aspetto dell'utilizzo, va rilevato come parte appellata richiami un orientamento dominante in seno alla Corte di Cassazione, secondo cui il beneficio spetterebbe esclusivamente in caso di utilizzo diretto da parte dell'ente proprietario.
Il problema aveva dato luogo anche ad una rimessione, da parte della stessa SC, della questione alla Corte Costituzionale, in occasione dell'entrata in vigore dell'art. 59 del d lgs 446/97, che avrebbe attribuito ai Comuni il potere di provvedere al riguardo (norma che avrebbe contrastato con l'orientamento espresso dalla SC). La Corte Costituzionale, con l'ordinanza 429/06, successivamente confermata, sostenendo che il contenuto dell'articolo 59 citato non sarebbe stato in contrasto con detto orientamento, ma senza entrare nel merito del problema nel suo complesso, ha dichiarato l'infondatezza della questione.
Nelle proprie deduzioni, il Comune appellato invoca anche il proprio regolamento, che prevederebbe l'utilizzo diretto.
Va anche rilevato come, nel 2019, quindi per un periodo successivo alle annualità per cui è causa, la regolamentazione delle ipotesi di esenzione dall'imposta imu è stata modificata (art. 1 comma 759 legge 160/2019), prevedendosi che, tra vari casi, fossero esenti dall'imposta gli immobili posseduti e utilizzati dai soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali delle attività previste nella medesima lettera i). Tale norma sembrerebbe recepire l'orientamento suddetto della SC, dato che nel d lgs 504 citato il requisito dell'utilizzo diretto del proprietario non appare menzionato. Il fatto che il contenuto della disposizione agevolativa precedente sia stato modificato solo successivamente al periodo cui sono riferiti gli accertamenti impugnati in questa controversia potrebbe essere significativa.
Ma la questione dell'interpretazione della norma, in casi come quello oggetto di questa causa, considerata la necessità di evitare disparità di trattamento in situazioni di pari meritevole tutela, non appare del tutto risolta.
La problematica è evidentemente complessa, anche considerato che soggetti come parte appellante, costituiti come onlus, a cui non di rado possono partecipare enti territoriali di carattere istituzionale o enti religiosi, in molti casi non dispongono di strutture proprie idonee a prestare direttamente attività assistenziali, tra l'altro in ipotesi così gravi e complesse - e di conseguenza anche costose -, come per l'assistenza agli spastici.
Gravare con l'imposizione imu detti operatori determinerebbe, in ogni caso, un ulteriore costo che, inevitabilmente, sarebbe destinato a essere trasferito (in particolare nei casi in cui gli enti operino senza trarre profitti dall'attività svolta) sugli assistiti, così potendo determinare una richiesta di contributi di sostegno (eventualmente anche ai Comuni stessi), o anche casi di assistenza non più adeguata. La questione è stata presa in considerazione dalla stessa AE, che con la risoluzione 4/DF del 4 marzo 2013, richiamata da parte appellante, dopo aver sottolineato che il d lgs 446/97 non sarebbe applicabile in tema di imu, ha rilevato, anche in riferimento agli orientamenti assunti dalla SC, come la Corte di Cassazione avrebbe fondato le sue argomentazioni sul presupposto che gli immobili venissero concessi in locazione all'utilizzatore, circostanza che, presupponendo la ritraibilità di un reddito, avrebbe espresso una situazione di fatto sintomatica di capacità contributiva, inidonea a giustificare l'esenzione dall'imposta. La risoluzione prosegue osservando come, nel caso di concessione in comodato, non ne deriverebbe alcun reddito all'ente proprietario; il comodato, contratto essenzialmente gratuito, per l'AE non costituirebbe una manifestazione di ricchezza e capacità economica, quindi, nel caso in cui un immobile posseduto da un ente non commerciale venga concesso in comodato ad un altro ente non commerciale per lo svolgimento delle attività meritevoli di cui all'art. 7 citato, potrebbe trovare applicazione l'esenzione in oggetto.
Sul punto è intervenuta anche la legge statale: come rilevato dalla stessa parte appellata, con la legge di Bilancio 2024 (Legge 213/2023), all'art. 1, comma 71, si è stabilito che gli immobili si intendono posseduti anche nel caso in cui siano concessi in comodato a un soggetto di cui all'art. 73, comma 1, lett. c) del Tuir (enti non commerciali), funzionalmente o strutturalmente collegato al concedente, a condizione che il comodatario svolga nell'immobile esclusivamente le attività previste dall'art. 7, comma 1 D.Lgs. 504/1992, con modalità non commerciali.
Infine, la stessa Cassazione, anche precedentemente alla norma suddetta, trattando di una fattispecie di concessione in comodato, con l'ordinanza 25508 del 2015, pur rilevando l'esistenza dell'orientamento invocato da parte appellata, ha affermato che"...Tuttavia, qualora si analizzino le fattispecie che hanno dato luogo alle pronunce della Corte in proposito, si può verificare che si tratta di ipotesi di "locazione" del bene ad altro ente...o di "concessione di beni demaniali"...La ragione sostanziale di siffatto orientamento è facilmente individuabile nell'effetto distorsivo, rispetto alle finalità tutelate dalla norma (l'esercizio di attività "protette"), che in tali situazioni si determina, in quanto il bene viene utilizzato dal possessore per "una finalità economica produttiva di reddito" (il caso della locazione è emblematico) e non per lo svolgimento dei compiti istituzionali...con riferimento al caso di specie...ne emerge una situazione...che...configura una fattispecie assai simile a quella considerata nella Risoluzione n. 4/DF del 4 marzo 2013, in cui l'Amministrazione ha ritenuto che l'esenzione di cui all'art. 7, comma 1, lettera i), d. lgs. n. 504 del 1993 spettasse nell'ipotesi in cui l'immobile è concesso in comodato a un altro ente non commerciale appartenente alla stessa struttura dell'ente concedente per lo svolgimento di un'attività meritevole prevista dalla norma agevolativa".
In questo caso, ricorrendo un'ipotesi di comodato, diretto comunque a fare in modo che il bene sia utilizzato per gli scopi assistenziali fissati per l'ente proprietario, come delineato dalla risoluzione dell'AE 4/DF/2013 citata, questa Corte ritiene che, sotto il profilo dell'utilizzo, il presupposto per l'applicazione dell'agevolazione possa ritenersi sussistente.
Vanno, quindi, affrontati gli altri aspetti eccepiti dal Comune appellato, riferiti alla forma giuridica dell'ente comodatario e alla modalità di esercizio dell'attività.
Per quanto riguarda la natura del soggetto comodatario, parte appellante rileva come lo stesso sia, per espresso disposto statutario, un ente senza fini di lucro, costituito sotto forma di Onlus, la cui attività avrebbe per oggetto "la gestione di servizi sociali orientati in via prioritaria, ma non esclusiva, alla risposta ai bisogni di persone svantaggiate di cui alla Legge 381/91 e che si trovano in condizioni di disabilità fisica, psichica e relazionale o sensoriale, con ritardi di apprendimento e in situazioni di handicap con particolare riferimento ai soggetti "spastici". Parte contribuente sottolinea che, per quanto solo ad alcuni fini, l'ente comodatario in questione si sia avvalso del regime giuridico delle società di capitali, e che l'ente stesso sia costituito come cooperativa sociale, il cui fine, in base agli stessi principi regolatori, rimarrebbe quello della mutualità. L'appellante richiama lo statuto, obbligatoriamente contenente una clausola di non lucratività, e la norma di cui all'art. 1 della legge 8 novembre 1991, recante la disciplina organica delle cooperative sociali, il cui scopo sarebbe previsto come il perseguimento dell'interesse generale della comunità alla promozione umana ed all'integrazione sociale dei cittadini, attraverso lo svolgimento di attività di interesse sociale, anche mediante apposite convenzioni stipulate con le amministrazioni pubbliche ovvero attraverso lo svolgimento di attività diverse, finalizzate all'inserimento di persone svantaggiate; inoltre, parte appellante rileva che le cooperative sociali sarebbero considerate di diritto a mutualità prevalente, e tali tipi di enti non potrebbero nemmeno trasformarsi in società a scopo di lucro. In relazione alla complicata questione della presenza o meno dello scopo di lucro, parte contribuente, tra le altre argomentazioni, richiama la decisione n. 2013/284 del 19.12.2012 della Commissione europea, che avrebbe stabilito che le attività no profit potrebbero considerarsi prive del requisito della commercialità se siano senza scopo di lucro, non in concorrenza con le imprese del settore, e siano espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà, come questa Corte ritiene riscontrabile nella vicenda in questione.
Come detto, parte appellata formula precise obiezioni, compiutamente illustrate, in ordine al regime giuridico adottato dall'ente comodatario e in ordine alla finalità perseguita, ma non contesta direttamente il contenuto delle circostanze specifiche suddette riportate dall'appellante.
In base allo stesso criterio di carattere sostanziale, adottato per la decisione sulla questione concernente il requisito dell'utilizzo - invocabile anche per valutare le conseguenze derivanti dall'effettività della situazione e, in particolare, dall'effettivo perseguimento dei fini di utilità sociale dichiarati e dalla mancanza di reale profitto per gli enti coinvolti -, che ha ispirato la stessa risoluzione dell'AE 4/DF/2013 e la norma contenuta nella legge 213/2023 suindicate, secondo questa Corte va riconosciuto come il richiamo, svolto dalla difesa del Comune, al regime fiscale adottato e alla presenza di un rilevante volume di affari, così come al regime giuridico del comodatario - per le ragioni suddette invocate dall'appellante - non rappresentino, di per sé, circostanze idonee, nella fattispecie trattata, a disconoscere la spettanza dell'agevolazione; lo stesso può dirsi per la differenza di servizi resi.
Va sottolineato, al riguardo, come parte appellata abbia mai fornito elementi per mettere in dubbio il perseguimento dei fini di interesse sociale suddetti, e come il tipo di assistenza da prestare ai soggetti svantaggiati in questione sia, come detto, particolarmente difficile e costosa, determinando l'impiego di ingenti risorse finanziarie, anche in assenza di scopo di lucro, senza che possano dirsi escluse, salvi restando il criterio di gestione con modalità non commerciali e la conseguente assenza di fine di lucro, la possibilità di richiedere contributi o di ricorrere a convenzioni con l'ULSS.
In conclusione, pur prendendo atto dei dubbi determinati dalla complessità della questione, che probabilmente richiederà ulteriori interventi chiarificatori, considerata la poliedricità delle problematiche da risolvere, e considerata anche la necessità, per il principio di conservazione, di adottare un criterio interpretativo della norma che escluda di esporla a censure sul piano della sua legittimità costituzionale, evitando possa essere trattata diversamente una situazione sostanzialmente analoga ad altra cui il beneficio in questione sia riconosciuto, questa Corte, per i motivi suesposti, in riforma della decisione impugnata, annulla la pretesa fiscale fatta valere dal Comune. Ogni altra motivazione, questione o eccezione può ritenersi assorbita.
Considerata la natura molto controversa e problematica delle questioni dibattute, la Corte ritiene sussistano i motivi per disporre la compensazione delle spese di lite per entrambi i gradi.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento dell'appello di parte contribuente e in riforma della decisione di primo grado, annulla gli atti impositivi impugnati e la pretesa fiscale avanzata dal Comune. Spese compensate.
Nessun commento:
Posta un commento