Translate

giovedì 14 luglio 2011

L'INPS, con messaggio n. 14448/2011, ha fornito alcuni chiarimenti susseguenti alla sentenza della Corte Costituzionale n. 116 del 4 aprile 2011, affermando che in caso di parto prematuro e di ricovero del bimbo in una struttura ospedaliera, la lavoratrice madre può posticipare l'astensione obbligatoria dal lavoro al rientro del bambino in famiglia. Uguale facoltà, viene riconosciuta al padre qualora lo stesso si avvalga dell'astensione al posto della madre (es. decesso, grave infermità, affidamento esclusivo del neonato al padre).

[ELG:SOMMARIO]
SENTENZA N. 116
ANNO 2011
[ELG:COLLEGIO]
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Ugo                              DE SIERVO                                      Presidente
- Paolo                            MADDALENA                     Giudice
- Alfio                             FINOCCHIARO                           
  Alfonso                         QUARANTA                                            
- Franco                          GALLO                                                     
- Luigi                             MAZZELLA                                              
- Gaetano                        SILVESTRI                                               
- Sabino                          CASSESE                                                 
- Giuseppe                      TESAURO                                                
- Paolo Maria                  NAPOLITANO                                        
- Giuseppe                      FRIGO                                                      
- Alessandro                   CRISCUOLO                                           
- Paolo                            GROSSI                                                    
- Giorgio                         LATTANZI                                               

ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), promosso dal Tribunale di Palermo nel procedimento vertente tra C. C. e l’INPS ed altra con ordinanza del 30 marzo 2010, iscritta al n. 215 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2010.
Visto l’atto di costituzione dell’INPS;
udito nell’udienza pubblica del 22 marzo 2011 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;
udito l’avvocato Antonietta Coretti per l’INPS.

Ritenuto in fatto
1. — Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi di parto prematuro, qualora il neonato abbia necessità di un periodo di ricovero ospedaliero, la possibilità per la madre lavoratrice di usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di ingresso del bambino nella casa familiare».
2. — Il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunziarsi nel giudizio di merito, iniziato dalla signora C. C. nei confronti dell’Istituto Nazionale della Previdenza sociale (INPS) e di Telecom Italia Mobile (TIM) Italia Spa ai sensi dell’art. 669-octies del codice di procedura civile ed espone che l’attrice, la cui figlia era stata ricoverata fin dalla nascita presso il Policlinico di Palermo in terapia intensiva, venendo dimessa soltanto l’8 agosto 2005, era stata posta in congedo obbligatorio dall’INPS, in base all’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001, a far tempo dalla data del parto medesimo.
La lavoratrice aveva inoltrato all’ente previdenziale la richiesta di usufruire del periodo obbligatorio di astensione con decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall’ingresso della neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria prestazione lavorativa fino ad una di tali date, ma l’INPS aveva respinto detta richiesta.
Pertanto – aggiunge il rimettente – la parte privata aveva promosso un procedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., in esito al quale il Tribunale di Palermo, in accoglimento del ricorso, aveva dichiarato il diritto della donna ad astenersi dall’attività lavorativa a far data dall’8 agosto 2005 e per i cinque mesi successivi, fissando il termine perentorio di trenta giorni per l’inizio del giudizio di merito, instaurato con domanda diretta ad ottenere la declaratoria del diritto della signora C. C. ad astenersi dal lavoro per il periodo di tempo suddetto.
Ciò premesso, il giudicante – ritenuta rilevante la questione sollevata, in quanto dalla dichiarazione d’illegittimità costituzionale della norma censurata dipenderebbe l’accoglimento della domanda nel merito – richiama il dettato di tale norma che, disciplinando il congedo di maternità, vieta di adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto dall’art. 20 d.lgs. n 151 del 2001; b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto; d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora esso avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto. Inoltre, richiama il successivo art. 17 che disciplina l’estensione del divieto, nonché l’art. 18 il quale sanziona con l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza delle disposizioni de quibus.
In questo quadro, il Tribunale osserva che l’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001 trova un precedente nell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), come modificato dall’art. 11 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città).
Il detto art. 4, poi abrogato con l’intera legge n. 1204 del 1971 dall’art. 86 d.lgs. n. 151 del 2001, stabiliva (tra l’altro) il divieto di adibire al lavoro la donna durante i tre mesi dopo il parto.
Questa Corte, con sentenza n. 270 del 1999, dichiarò l’illegittimità costituzionale della norma, «nella parte in cui non prevede(va) per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino».
Il rimettente osserva che, anche in base al tenore del citato art. 16, la domanda della attrice, diretta ad usufruire dell’intero periodo di congedo (tre mesi più due mesi) dalla data d’ingresso della figlia nella casa familiare, ovvero dalla data presunta del parto, non potrebbe essere accolta, neppure in via parziale, restando l’obbligo del datore di lavoro, sanzionato penalmente, di non adibire la donna al lavoro dopo il parto, per il periodo già detto.
Il Tribunale rileva che il giudice del procedimento cautelare ha dato luogo ad una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, in guisa da consentire, nell’ipotesi in esame, la decorrenza dell’intero periodo di congedo obbligatorio dal momento dell’ingresso in famiglia della neonata. Ritiene, però, di non poter condividere la detta interpretazione, in quanto essa trova un ostacolo non aggirabile per effetto del citato art. 18 d.lgs. n. 151 del 2001, il quale punisce l’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17 con l’arresto fino a sei mesi.
Pertanto, ad avviso del rimettente, la nuova disciplina della materia presenta gli stessi vizi di legittimità costituzionale riscontrati da questa Corte con riferimento all’art. 4 della legge n. 1204 del 1971, perché il circoscritto intervento del legislatore non sarebbe sufficiente.
La norma censurata, infatti, determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento, in violazione dell’art. 3 Cost., tra il caso di parto a termine e quello di parto prematuro, consentendo soltanto nel primo caso un’adeguata tutela della maternità e la salvaguardia dei diritti, costituzionalmente garantiti, dei minori e del nucleo familiare (artt. 29, 30, 31, 37 Cost.).
Invero, come già sottolineato da questa Corte nella sentenza citata, finalità dell’istituto dell’astensione obbligatoria (oggi congedo) dal lavoro sarebbe sia la tutela della puerpera, sia la tutela del nascituro e della speciale relazione tra madre e figlio, che si instaura fin dai primi attimi di vita in comune ed è decisiva per il corretto sviluppo del bambino e per lo svolgimento del ruolo di madre.
La norma censurata, non prevedendo la possibilità di differire il congedo obbligatorio fino al momento in cui il bambino può fare ingresso in famiglia dopo il ricovero successivo alla nascita, non garantirebbe la suddetta esigenza di tutela, specialmente quando, come nel caso in esame, la dimissione del bambino coincide con il termine del congedo.
Inoltre, la detta norma non consentirebbe alla puerpera di tornare al lavoro se non con il decorso di cinque mesi dal parto, anche quando, pur non potendo svolgere il suo ruolo di madre e di assistenza del minore affidato alle cure dei sanitari, le sue condizioni di salute lo permetterebbero.
Sarebbe innegabile, dunque, che anche la norma in esame sia in contrasto con il principio di parità di trattamento e con i valori costituzionali di protezione della famiglia e del minore, con conseguente violazione dei predetti parametri costituzionali.
In definitiva, ad avviso del rimettente, la norma censurata non ha colmato il vuoto normativo già posto in evidenza con la citata sentenza della Corte costituzionale; e, a sostegno della necessità di un ulteriore intervento del giudice delle leggi, andrebbe richiamato l’art. 14, comma 5, decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2002, n. 163 (Recepimento dello schema di concertazione per le Forze armate relativo al quadriennio normativo 2002-2005 ed al biennio economico 2002-2003), alla stregua del quale «In caso di parto prematuro, al personale militare femminile spetta comunque il periodo di licenza di maternità non goduto prima della data presunta del parto. Qualora il figlio nato prematuro abbia necessità di un periodo di degenza presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, la madre ha facoltà di riprendere servizio richiedendo, previa presentazione di un certificato medico attestante la sua idoneità al servizio, la fruizione del restante periodo di licenza di maternità post-parto e del periodo ante-parto, qualora non fruito, a decorrere dalla data di effettivo rientro a casa del bambino».
3. — Nel giudizio di legittimità costituzionale si è costituito l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), depositando il 3 settembre 2010 una memoria, con la quale ha chiesto che la questione sollevata dal rimettente sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata.
Dopo aver riassunto i fatti esposti nell’ordinanza di rimessione, l’INPS osserva che, ad avviso del rimettente, la disparità di trattamento sussisterebbe tra «la fattispecie di parto e termine e quella di parto prematuro», in quanto l’art. 16, comma 1, lettera d), d.lgs. n. 151 del 2001 (nonché le connesse disposizioni di cui agli artt. 17 e 18 dello stesso decreto), nel disporre che, in caso di parto prematuro, il congedo obbligatorio dal lavoro (cinque mesi) si colloca soltanto nel periodo immediatamente successivo al parto, consentirebbe che solo in caso di parto a termine si realizzi «un’adeguata tutela della maternità e una salvaguardia dei diritti, costituzionalmente garantiti, dei minori e del nucleo familiare (artt. 29, 30, 31, 37)».
Tale questione – prosegue l’Istituto – fu già affrontata da questa Corte con la sentenza n. 270 del 1999. Con tale pronuncia (cosiddetta additiva di principio), fu dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge n. 1204 del 1971 (ora art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001), nella parte in cui non prevedeva, per l’ipotesi di parto prematuro, una decorrenza dei termini del periodo di astensione obbligatoria idonea ad assicurare un’adeguata tutela della madre e del bambino.
La citata sentenza indicò «delle possibili soluzioni da adottare per risolvere la questione oggi in esame», aggiungendo che la scelta spettava al legislatore.
Orbene, la norma qui censurata prevede (tra l’altro) il divieto di adibire al lavoro le donne «durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto».
Pertanto, ad avviso dell’INPS, il legislatore, in caso di parto prematuro, avrebbe stabilito che il periodo di astensione obbligatoria sia comunque pari a cinque mesi complessivi, prescindendo dalla data del parto, e, qualora la nascita avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, avrebbe previsto che i giorni non goduti (cioè quelli correnti tra la data presunta e quella effettiva) siano aggiunti al periodo di astensione obbligatoria dopo il parto. Tale soluzione sarebbe in armonia con altre disposizioni del d.lgs. n. 151 del 2001 e, in particolare, con l’art. 18 dello stesso decreto, che sanziona con l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17. In altri termini, si sarebbe ritenuto inderogabile ancorare la decorrenza del congedo obbligatorio alla data del parto.
In questo quadro l’Istituto eccepisce, in primo luogo, l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale.
Infatti il legislatore del 2001, proprio a seguito della menzionata sentenza n. 270 del 1999, avrebbe adottato una delle possibili soluzioni idonee a porre rimedio all’impossibilità di far decorrere, nel caso di parto prematuro, l’intero congedo obbligatorio dopo il parto effettivo, equilibrando così la situazione tra il caso di parto a termine e quello di parto prematuro.
Al contrario di quanto sostenuto dal giudice a quo, la richiesta di pronuncia additiva non sarebbe costituzionalmente obbligata. Nella vicenda in esame, la possibilità di diverse soluzioni con le quali risolvere il problema della decorrenza dell’astensione obbligatoria in caso di parto prematuro sarebbe stata posta in evidenza dalla stessa Corte costituzionale; circostanza, quest’ultima, che confermerebbe come la questione sollevata rientri nell’ambito della discrezionalità del legislatore.
In ogni caso, la detta questione sarebbe non fondata.
La soluzione adottata dal legislatore sarebbe idonea a porre rimedio all’impossibilità di far decorrere, nel caso di parto prematuro, l’intero congedo obbligatorio dopo il parto effettivo.
In realtà, proprio l’invocato intervento additivo «non solo comporterebbe un inammissibile esercizio della discrezionalità politica riservato al legislatore, ma darebbe anche origine ad effettive disparità di trattamento».
Infatti, un’eventuale diversa disciplina della decorrenza del congedo obbligatorio per il caso di parto prematuro, con degenza ospedaliera del neonato, determinerebbe un’effettiva discriminazione rispetto al caso di parto a termine con neonato affetto da malattia necessitante di ricovero ospedaliero.
I principi costituzionali richiamati dal rimettente sarebbero ben salvaguardati sia dalla norma denunciata sia dagli altri istituti contemplati dal vigente ordinamento, come il congedo per malattia del figlio e il congedo facoltativo.
Sarebbe vero che la ratio dell’astensione obbligatoria è volta alla tutela del nascituro e della speciale relazione tra madre e figlio, che s’instaura fin dai primi atti della vita in comune, ma sarebbe vero del pari che tale istituto è diretto anche a favorire il recupero psico-fisico della partoriente. Consentire alla puerpera di rientrare al lavoro subito dopo il parto potrebbe dar luogo ad un abbassamento della tutela della sua salute.
Infine, il richiamo all’art. 14, comma 5, d.P.R. n. 163 del 2002 non sarebbe pertinente, in quanto tale normativa non potrebbe costituire un idoneo tertium comparationis, dato il suo carattere eccezionale, «siccome riferita ad una categoria di lavoratrici che presta prestazioni lavorative del tutto speciali (personale militare), non estensibile, pertanto, fuori del sistema considerato».
Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto nel presente giudizio.

Considerato in diritto
1. — Il Tribunale di Palermo, in funzioni di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe, dubita – in riferimento agli articoli 3, 29, primo comma, 30, primo comma, 31 e 37 della Costituzione – della legittimità costituzionale dell’art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), «nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi di parto prematuro, qualora il neonato abbia necessità di un periodo di ricovero ospedaliero, la possibilità per la madre lavoratrice di usufruire del congedo obbligatorio o di parte di esso dalla data di ingresso del bambino nella casa familiare».
2. — Il giudice a quo premette che una lavoratrice dipendente – avendo avuto un parto prematuro perché la figlia, la cui nascita era prevista per il primo luglio 2005, era venuta alla luce il 25 marzo 2005, con immediato ricovero in terapia intensiva presso il Policlinico di Palermo, da cui era stata dimessa soltanto l’8 agosto 2005 – aveva chiesto all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) di usufruire del periodo obbligatorio di astensione con decorrenza dalla data presunta del parto, oppure dall’ingresso della neonata nella casa familiare, offrendo al datore di lavoro la propria prestazione lavorativa fino ad una di tali date, ma l’INPS aveva respinto la richiesta. Pertanto la lavoratrice aveva promosso, nei confronti del detto Istituto e di Telecom Italia Mobile (TIM) Italia Spa, un procedimento cautelare ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, in esito al quale il Tribunale di Palermo, accogliendo il ricorso, aveva dichiarato il diritto della donna ad astenersi dall’attività lavorativa a far data dall’8 agosto 2005 e per i cinque mesi successivi, fissando il termine perentorio di trenta giorni per l’inizio del giudizio di merito, che era stato instaurato con domanda diretta ad ottenere la declaratoria del diritto dell’attrice all’astensione dal lavoro per il periodo di tempo suddetto.
Ciò premesso, il Tribunale osserva che la norma censurata trova un precedente nell’art. 4 della legge 30 dicembre 1971, n. 1204 (Tutela delle lavoratrici madri), come modificato dall’articolo 11 della legge 8 marzo 2000, n. 53 (Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città). Il detto art. 4, poi abrogato con l’intera legge n. 1204 del 1971 dall’art. 86 del d.lgs. n. 151 del 2001, stabiliva (tra l’altro) il divieto di adibire al lavoro la donna durante i tre mesi dopo il parto.
Il rimettente ricorda che la Corte costituzionale, con sentenza n. 270 del 1999, dichiarò l’illegittimità costituzionale del medesimo art. 4, «nella parte in cui non prevede(va) per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino». Osserva che, anche in base al tenore del citato art. 16, la domanda dell’attrice, diretta ad usufruire dell’intero periodo di congedo (tre mesi più due mesi) dalla data d’ingresso della figlia nella casa familiare, ovvero dalla data presunta del parto, non potrebbe essere accolta, restando l’obbligo del datore di lavoro, sanzionato penalmente (art. 18 d.lgs. n. 151 del 2001), di non adibire la donna al lavoro dopo il parto, per il periodo già detto.
Inoltre egli rileva di non poter condividere l’interpretazione compiuta dal giudice cautelare, avuto riguardo alla sanzione penale prevista dal citato art. 18 per l’inosservanza delle disposizioni contenute nell’art. 16 del d.lgs. n. 151 del 2001, e solleva questione di legittimità costituzionale dello stesso art. 16, in riferimento ai parametri sopra indicati (come esposto in narrativa).
3. — In via preliminare, la difesa dell’INPS ha eccepito l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale, sostenendo che il legislatore del 2001, a seguito della sentenza di questa Corte n. 270 del 1999, avrebbe adottato «una delle possibili soluzioni idonee a porre rimedio all’impossibilità di far decorrere, nel caso di parto prematuro, l’intero congedo obbligatorio dal lavoro dopo il parto effettivo, equilibrando così la situazione tra la fattispecie di parto a termine e quella di parto prematuro».
Pertanto, la richiesta pronuncia additiva non sarebbe costituzionalmente obbligata, ma rientrerebbe tra le scelte possibili rimesse alla discrezionalità del legislatore, come, del resto, proprio questa Corte avrebbe posto in evidenza con la statuizione sopra indicata.
L’eccezione non è fondata.
E’ vero che la sentenza n. 270 del 1999, dopo aver rilevato «l’incongruenza della disposizione in parola nell’ipotesi di parto prematuro», osservò che si proponevano diverse soluzioni «con specifico riguardo alla decorrenza del periodo di astensione, spostandone l’inizio o al momento dell’ingresso del neonato nella casa familiare, o alla data presunta del termine fisiologico di una gravidanza normale» (punto 5 del Considerato in diritto). La stessa sentenza mise in luce che la prima soluzione era analoga a quella relativa all’ipotesi di affidamento preadottivo del neonato (sentenza n. 332 del 1998), mentre la seconda era parsa meritevole di essere seguita dal disegno di legge n. 4624, recante «Disposizioni per sostenere la maternità e la paternità e per armonizzare i tempi di lavoro, di cura e della famiglia», presentato dal Governo alla Camera dei Deputati in data 3 marzo 1998. Essa aggiunse che «La scelta tra le diverse possibili soluzioni spetta al legislatore», pervenendo comunque alla declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 4, primo comma, lettera c) della legge n. 1204 del 1971, nella parte in cui non prevedeva per l’ipotesi di parto prematuro una decorrenza dei termini del periodo dell’astensione obbligatoria idonea ad assicurare una adeguata tutela della madre e del bambino.
Ciò posto, a parte quanto sarà detto di qui a poco, allorché si esaminerà il merito della questione, una riflessione ulteriore va compiuta in ordine al carattere, vincolato o discrezionale, dell’individuazione della data dalla quale far decorrere il congedo obbligatorio di maternità nell’ipotesi di parto prematuro.
Essa non può decorrere dalla data presunta del termine fisiologico di una gravidanza normale. Questo criterio è giustificato per calcolare i due mesi precedenti la data presunta del parto (art. 16, lettera a, d.lgs. n. 151 del 2001), perché è l’unico utilizzabile in relazione ad un evento non ancora avvenuto, il cui avveramento però è ragionevolmente certo e riscontrabile. Non altrettanto può dirsi nel caso di parto prematuro, perché in detta circostanza con il richiamo alla data presunta si opera un riferimento ipotetico ad un evento che, in realtà, è già avvenuto, onde il criterio si risolve in una mera fictio che non consente la verifica della sua idoneità ad assicurare una tutela piena ed adeguata della madre e del bambino per l’intero periodo di spettanza del congedo. Del resto, lo stesso legislatore, collegando rigidamente il decorso del congedo post partum alla data del parto, mostra di volere per la detta decorrenza un riferimento certo.
Pertanto, per individuare il dies a quo della decorrenza del periodo di astensione in caso di parto prematuro, resta la soluzione di ancorare – al termine del ricovero – la relativa data all’ingresso del neonato nella casa familiare, vale a dire ad un momento certo, sicuramente idoneo a stabilire tra madre e figlio quella comunione di vita che l’immediato ricovero del neonato nella struttura ospedaliera non aveva consentito. Tale soluzione, dunque, appare l’unica percorribile, con conseguente infondatezza dell’eccezione sollevata dall’ente previdenziale.
4. — Nel merito, la questione è fondata.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 270 del 1999, n. 332 del 1988, n. 1 del 1987), il congedo obbligatorio, oggi disposto dall’art. 16 d.lgs. n. 151 del 2001, senza dubbio ha il fine di tutelare la salute della donna nel periodo immediatamente susseguente al parto, per consentirle di recuperare le energie necessarie a riprendere il lavoro. La norma, tuttavia, considera e protegge anche il rapporto che in tale periodo si instaura tra madre e figlio, e ciò non soltanto per quanto attiene ai bisogni più propriamente biologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale e affettivo collegate allo sviluppo della personalità del bambino.
Il citato art. 16, che apre il capo recante la disciplina del congedo di maternità, vieta di adibire al lavoro le donne: a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all’art. 20 (che contempla la flessibilità del detto congedo); b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto; c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all’art. 20. La lettera d), infine, dispone che il divieto opera anche durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora esso avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto.
Come si vede, il principio secondo cui il congedo obbligatorio post partum decorre comunque dalla data di questo è rimasto immutato, anche in relazione ai casi, come la fattispecie in esame, nei quali il parto non è soltanto precoce rispetto alla data prevista, ma avviene con notevole anticipo (cosiddetto parto prematuro), tanto da richiedere un immediato ricovero del neonato presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, dove deve restare per periodi anche molto lunghi.
In siffatte ipotesi – come questa Corte ha già avuto occasione di rilevare (sentenza n. 270 del 1999) – la madre, una volta dimessa e pur in congedo obbligatorio, non può svolgere alcuna attività per assistere il figlio ricoverato. Nel frattempo, però, il periodo di astensione obbligatoria decorre, ed ella è obbligata a riprendere l’attività lavorativa quando il figlio deve essere assistito a casa. Né per porre rimedio a tale situazione può considerarsi sufficiente aggiungere al periodo di congedo di maternità dopo il parto gli ulteriori giorni non goduti prima di esso, trattandosi comunque di un periodo breve (al massimo due mesi), che non garantisce la realizzazione di entrambe le finalità (sopra richiamate) dell’istituto dell’astensione obbligatoria dal lavoro.
Basta considerare che, nel caso di specie, rispetto alla data prevista per il 1° luglio 2005, la bambina venne alla luce il 25 marzo 2005 e rimase ricoverata in ospedale fino all’8 agosto 2005, vale a dire quasi per l’intera durata dell’astensione obbligatoria della madre ante e post partum.
In simili casi, com’è evidente, il fine di proteggere il rapporto, che dovrebbe instaurarsi tra madre e figlio nel periodo immediatamente successivo alla nascita, rimane di fatto eluso. Tale situazione è inevitabile quando la donna, per ragioni di salute (alla cui tutela il congedo obbligatorio post partum è anche finalizzato), non possa riprendere l’attività lavorativa e, quindi, debba avvalersi subito del detto congedo. Non altrettanto può dirsi quando sia la stessa donna, previa presentazione di documentazione medica attestante la sua idoneità alle mansioni cui è preposta, a chiedere di riprendere l’attività per poter poi usufruire del restante periodo di congedo a decorrere dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.
In detta situazione l’ostacolo all’accoglimento di tale richiesta, costituito dal rigido collegamento della decorrenza del congedo dalla data del parto, si pone in contrasto sia con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della disparità di trattamento – privo di ragionevole giustificazione – tra il parto a termine e il parto prematuro, sia con i precetti costituzionali posti a tutela della famiglia (artt. 29, primo comma, 30, 31 e 37, primo comma, Cost.).
La tesi dell’ente previdenziale, secondo cui i principi dettati sarebbero ben salvaguardati da altri istituti contemplati nel vigente ordinamento, come il congedo per malattia del figlio e il congedo facoltativo, non può essere condivisa. Si tratta, infatti, d’istituti diversi, diretti a garantire una tutela diversa e ulteriore, che però non possono essere invocati per giustificare la carenza di protezione nella situazione ora evidenziata.
Quanto alla decorrenza del congedo obbligatorio dopo il parto, in caso di parto prematuro con ricovero del neonato presso una struttura ospedaliera pubblica o privata, essa va individuata nella data d’ingresso del bambino nella casa familiare al termine della degenza ospedaliera. Si richiamano, al riguardo, le considerazioni svolte nel punto 3 che precede.
5. — Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 16, lettera c), d.lgs. n. 151 del 2001, nella parte in cui non consente, in caso di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.
Infine, è il caso di chiarire, con riguardo all’art. 18 d.lgs. n. 151 del 2001, che punisce con l’arresto fino a sei mesi l’inosservanza delle disposizioni contenute negli artt. 16 e 17 del medesimo decreto, che la suddetta pronuncia non estende l’area della punibilità della fattispecie penale. Essa, infatti, non modifica i destinatari della norma né la sanzione, limitandosi ad introdurre per la donna lavoratrice la facoltà di ottenere una diversa decorrenza del congedo obbligatorio, che rimane pur sempre nell’ambito applicativo della norma censurata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 16, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53), nella parte in cui non consente, nell’ipotesi di parto prematuro con ricovero del neonato in una struttura sanitaria pubblica o privata, che la madre lavoratrice possa fruire, a sua richiesta e compatibilmente con le sue condizioni di salute attestate da documentazione medica, del congedo obbligatorio che le spetta, o di parte di esso, a far tempo dalla data d’ingresso del bambino nella casa familiare.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 aprile 2011.
F.to:
Ugo DE SIERVO, Presidente
Alessandro CRISCUOLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2011.

INPDAP: detrazioni da lavoro dipendente e per familiari a carico L'INPDAP informa che il cd. “Decreto Sviluppo” ha stabilito che il contribuente non ha più l’obbligo di presentare ogni anno all’Istituto, quale sostituto d’imposta, la domanda contenente la richiesta delle detrazioni per carichi di famiglia unitamente alle condizioni di spettanza ed ai dati relativi ai familiari per i quali richiedono l’attribuzione del beneficio fiscale.

Inpdap nota operativa 26/2011



I.N.P.D.A.P. (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica)
Nota 13-7-2011  n. 26
D.L. 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni nella L. 12 luglio 2011, n. 106 - Art. 7 "Semplificazione fiscale". Detrazioni da lavoro dipendente e per familiari a carico.
Emanata  dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione centrale previdenza, Ufficio I pensioni.
Nota 13 luglio 2011, n. 26 (1).
 D.L. 13 maggio 2011, n. 70,   convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 2011, n. 106 - Art. 7,   "Semplificazione fiscale". Detrazioni da lavoro dipendente e per familiari a   carico. 

(1) Emanata dall'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell'amministrazione pubblica, Direzione centrale previdenza, Ufficio I pensioni.


     
  
Ai  
Direttori delle Sedi provinciali e   territoriali  
 
Alle  
Organizzazioni sindacali nazionali dei   pensionati  
 
Agli  
Enti di patronato 
  
Ai  
CAF  
 
Ai  
Dirigenti generali centrali e   regionali  
  
Ai  
Direttori regionali 
  
Agli  
Uffici autonomi di Trento e Bolzano  
  
Ai  
Coordinatori delle consulenze   professionali  


     



Nella Gazz. Uff. 12 luglio 2011, n. 160 è stata   pubblicata la legge 12 luglio 2011, n. 106 di conversione del D.L. 13 maggio   2011, n. 70, recante: "Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per   l'economia" (cosiddetto "Decreto sviluppo") in vigore dal 14 maggio   2011.
L'art. 7, comma 2, lettera e) ha novellato l'art.   23, comma 2, lettera a), secondo periodo, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600,   "Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi" che   risulta pertanto così modificato: «Le detrazioni di cui all'articolo 12 del   citato testo unico sono riconosciute se il percipiente dichiara di avervi   diritto, indica le condizioni di spettanza, il codice fiscale dei soggetti per   i quali si usufruisce delle detrazioni e si impegna a comunicare   tempestivamente le eventuali variazioni. La dichiarazione ha effetto anche per   i periodi di imposta successivi.....».
La normativa in esame solleva quindi i   contribuenti dall'obbligo di presentare ogni anno all'Istituto, quale sostituto   d'imposta, la domanda contenente la richiesta delle detrazioni per carichi di   famiglia unitamente alle condizioni di spettanza ed ai dati relativi ai   familiari per i quali richiedono l'attribuzione del beneficio fiscale.
L'adempimento deve essere effettuato,   tempestivamente, soltanto al verificarsi di ogni variazione che rilevi ai fini   del diritto a fruire delle predette detrazioni.
Per quanto sopra esposto, l'Istituto riconoscerà   le detrazioni per carichi di famiglia sulla base dell'ultima   dichiarazione/richiesta presentata dal contribuente che avrà tuttavia l'obbligo   di comunicare tempestivamente, ogni variazione che possa incidere sulla   corretta determinazione delle detrazioni spettanti per familiari a   carico.
Conseguentemente l'Istituto, per effetto della   intervenuta modifica legislativa, non sospenderà l'attribuzione del beneficio   fiscale con la rata di agosto c.a. a coloro che non abbiano presentato la   prescritta dichiarazione entro il termine del 31 maggio 2011, diversamente da   quanto era stato comunicato con la nota 2 febbraio 2011, n. 7 fermo restando   che le sedi dovranno tempestivamente inserire a sistema ogni eventuale   richiesta di revoca e/o variazione che sarà presentata dal contribuente   pensionato.
Rimane invariato quanto già in essere per le   detrazioni sul reddito (   art. 13 del TUIR) che   saranno attribuite direttamente dall'Istituto in base ai dati reddituali in suo   possesso.
   
 
La presente nota operativa è diramata d'intesa   con la Direzione centrale ragioneria e finanza e la Direzione centrale Sistemi   informativi per gli aspetti di competenza.
 

Il Dirigente generale
Dott. Giorgio Fiorino



D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 7
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 23


 

Manovra: domani protesta sindacati polizia davanti alla Camera. Misure produrranno ulteriori conseguenze penalizzanti

MANOVRA: DOMANI PROTESTA SINDACATI POLIZIA DAVANTI ALLA CAMERA =
MISURE PRODURRANNO ULTERIORI CONSEGUENZE PENALIZZANTI

Roma, 14 lug. - (Adnkronos) - ''Una manifestazione con
volantinaggio per denunciare, ancora una volta, il totale disinteresse
del Governo verso il settore della sicurezza''.E' quanto annunciano,
in una nota congiunta, Siap, Silp per la Cgil, Coisp e Anfp, che si
incontreranno domani, dalle 9 alle 14, davanti alla Camera dei
Deputati.

''Le misure inserite nella recente manovra finanziaria, che si
aggiungono a quelle introdotte con le precedenti manovre del 2008 e
del 2010 - si legge nella nota - produrranno ulteriori penalizzanti
conseguenze sia sul versante del personale che su quello del
funzionamento degli apparati, con evidenti ripercussioni sulla
sicurezza dei cittadini''.

(Sin/Ct/Adnkronos)
14-LUG-11 15:41

NNNN

Manovra: poliziotti protestano davanti alla Camera

MANOVRA: POLIZIOTTI PROTESTANO DOMANI DAVANTI ALLA CAMERA =
(AGI) - Roma, 14 lug. - Una manifestazione davanti alla Camera
dei deputati con volantinaggio per "denunciare, ancora una
volta, il totale disinteresse del governo verso il settore
della sicurezza". E' la forma di protesta scelta per domani
(dalle 9 alle 14) da un "cartello" di sindacati di polizia
comprendente Anfp, Siap, Silp per la Cgil e Coisp e Anfp.
"Le misure inserite nella recente manovra finanziaria -
spiegano i promotori - che si aggiungono a quelle introdotte
con le precedenti manovre del 2008 e del 2010, produrranno
ulteriori penalizzanti conseguenze sia sul versante del
personale che su quello del funzionamento degli apparati, con
evidenti ripercussioni sulla sicurezza dei cittadini". (AGI)
Bas
141233 LUG 11

NNNN

Manovra finanziaria 2011 - I poliziotti scendono in piazza - Comunicato stampa - ecco le ragioni della nostra protesta

Manovra finanziaria 2011 ecco le ragioni della nostra protesta













Manovra finanziaria 2011 - I poliziotti scendono in piazza - Comunicato stampa


Rom, Cgil Fp Roma Ovest: "Il Piano nomadi è fallito, servono nuove idee"

Rom, Cgil Fp Roma Ovest: "Il Piano nomadi è fallito, servono nuove idee"

campo tor di quinto
Si terrà lunedì 20 giugno "Emergenza Dis-uguaglianza", l'appuntamento organizzato dalla Cgil Fp Roma ovest per una riflessione sul Piano nomadi di Alemanno e sulle possibili alternative. Interverranno anche l'assessore alle politiche sociali della provincia Claudio Cecchini e l'ex prefetto Achille Serra


Che fine hanno fatto i 32 milioni di euro stanziati per l'emergenza rom? Quali sono a oggi i risultati del tanto declamato "piano nomadi"? A queste e altre domande prova a rispondere la Fp Cgil Roma Ovest che, sulla base di un rapporto organico con alcuni operatori sociali impegnati da anni nei campi nomadi, convoca lunedì 20 giugno dalle 10 alle 13 nella sala del consiglio municipale Roma XV, una discussione tra tutte le realtà coinvolte a vario titolo nelle politiche in favore delle comunità rom. L'obiettivo è di "elaborare una proposta di metodo e di merito comune e partecipata per il superamento del complesso di negazione di diritti fondamentali e di disuguaglianza".
Proprio in questi giorni, dal "rapporto conclusivo dell'indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Camminanti in Italia", presentato il 14 giugno presso la sede della Comunità di Sant'Egidio, era emersa, da più parti, la necessità di eliminare i campi che, secondo Riccardi di Sant'Egidio "rappresentano una vergogna tutta italiana" e di costruire per i loro abitanti dei percorsi di inserimento abitativo. Ma le intenzioni del sindaco sembrano andare da tutt'altra parte. Ieri Alemanno ha dichiarato che "continuerà con il piano degli sgomberi", mentre oggi nel corso della visita al campo di Roman River ha dichiarato che negli ultimi mesi ne sono stati effettuati 150 e che molti rom sono andati via, grazie agli interventi del Comune.
"L'obiettivo dichiarato dalla giunta e che sottende lo stesso stato di emergenza è l’allontanamento di quanti più rom possibile dalla città - leggiamo nel comunicato dell'iniziativa di Cgil Fp - infatti dei 32 milioni complessivi stanziati per la cosiddetta “emergenza rom” venti sono stati spesi per lo più in sgomberi, messa a regime dei campi autorizzati e vigilanza armata privata, senza che nessun progresso nei processi di integrazione sia stato compiuto". Altro aspetto sottolineato nel comunicato è che la diretta conseguenza degli sgomberi è la moltiplicazione di micro insediamenti nascosti, spesso teatro di tragedie, come quella dello scorso 6 febbraio sull'Appia Nuova, dove hanno perso la vita quattro bambini.
All'iniziativa di lunedì, Emergenza dis-uguaglianza, interverranno l'assessore alle politiche sociali della provincia Claudio Cecchini, Mimmo Bianchini della Silp Cgil, il presidente del XV  municipio Gianni Paris, Enrico Gregorini, segretario Fp Cgil Roma ovest, il professore Aldo Morrone, direttore generale del San Camillo Forlanini e l'ex prefetto, ora senatore dell'Udc, Achille Serra. Parteciperà inoltre un rappresentante della commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato, mentre porteranno i loro contributi alcuni cittadini rom e le associazioni e le cooperative che lavorano con loro. Cocluderà i lavori Lorenzo Mazzoli, segretario generale Fp Cgil Roma e Lazio.         
"Sbagliato parlare di emergenza - dice l'assessore Cecchini raggiunto al telefono da Paese Sera - è un termine che va bene per i terremoti, le alluvioni e i flussi su Lampedusa, ma i rom a Roma sono presenti da tanti anni, non sono una novità degli ultimi tempi. Inoltre si continua a sbagliare politicamente e culturalmente usando la parola 'nomadismo'. Molti rom vivono nella capitale da anni e la maggior parte dei loro bambini è nata qui. Parteciperò all'iniziativa soprattutto per ascoltare le proposte e gli spunti che emergeranno".
Giudizio negativo sull'operato della giunta Alemanno arriva anche da Gianni Paris: "La politica del sindaco sui rom è chiaramente fallita - dichiara - Nel XV municipio gli insediamenti abusivi sono raddoppiati, mentre il campo di Candoni, che era considerato un modello di integrazione e convivenza tra bosniaci e rumeni, ora, dopo l'arrivo degli sgomberati del Casilino 900, è sovraffollato e pieno di problemi. Bisogna fare una riflessione e costruire nuovi interventi anche in previsione del dopo-Alemanno".
Giovanni Alfonsi di Cgil Fp Roma Ovest esprime a Paese Sera la necessità di cambiare rotta nell'approccio con le comunità rom della capitale: "La vera emergenza - dice - riguarda le condizioni di vita delle persone che abitano nei campi. Serve un processo reale di integrazione fondato su casa, lavoro e scuola. Invece finora si è voluto insistere su politiche di negazione dei diritti di cittadinanza. E' tempo di fare un passo avanti e di coinvolgere nelle decisioni le comunità rom e le realtà che in questi anni hanno lavorato con loro".
Lara Facondi

Sindacati di polizia contro i tagli alle forze dell'ordine

Sindacati di polizia contro i tagli alle forze dell'ordine

SilpCgil

Siap, Silp Cgil, Coisp, Anfp protestano sotto la Questura di Roma
No alla continua azione di ridimensionamento della capacità operativa delle forze dell’ordine. Questa mattina le organizzazioni sindacali Siap, Silp per la Cgil, Coisp e Anfp, si sono dati appuntamento sotto la Questura di Roma per un volantinaggio di protesta e si dirigeranno sotto il Ministero della Giustizia. “I tagli operati con la finanziaria 2009 dove la scure del Governo ha tolto al Comparto sicurezza risorse pari ad oltre 1 miliardo di euro per il triennio 2009/2011 sono proseguiti con la manovra 2011/2013”, denunciano i sindacati di polizia. “Non è così che si garantisce la sicurezza dei cittadini – proseguono – i poliziotti sono indignati”.
Tra i  tagli previsti dalla finanziaria, colpite le risorse per la benzina, per la manutenzione delle auto, per interventi di manutenzione degli uffici e per l’ammodernamento degli strumenti tecnici e informatici “necessari per il funzionamento dei settori operativi e burocratici”, spiegano. I tagli “sono l’unica vera attività di questo Governo contro una criminalità sempre dilagante – incalzano –, la riduzione delle risorse sullo straordinario sta ulteriormente peggiorando le condizioni degli operatori del Comparto con evidente riduzione della capacità operativa delle forze di polizia ed enormi danni per la sicurezza dei cittadini”.
fonte paese sera.it

LA DENUNCIA Il Silp Cgil: "Basta con i tagli"

Violenza urbana

Sicurezza, Maroni e Alemanno: predisporre una "mappa del rischio"

alemanno cammina 2

Il ministro del'Interno e il sindaco capitolino hanno stabilito la realizzazione di una "mappa" della delittuosità per verificare l'adeguatezza dei presidi di polizia e annunciato l'aggiornamento del "Patto per Roma sicura". Alemanno: "Secondo l'analisi del Ministero non siamo di fronte a fenomeni di criminalità organizzata"
L'APPELLO Zingaretti: "I romani in prima fila nella lotta alla mafia"
IL VERTICE In questura l'incontro tra Prefetto e associazioni
LE REAZIONI Dall'opposizione piovono critiche
LA DENUNCIA Il Silp Cgil: "Basta con i tagli"
Realizzare una “mappa del rischio” della delittuosità al fine di verificare l’adeguatezza dei presidi delle Forze di polizia già presenti sul territorio e aggiornare, in autunno, il “Patto per Roma Sicura”. Sono queste le decisioni prese questo pomeriggio dal ministro dell’Interno Roberto Maroni e dal sindaco di Roma Gianni Alemanno nell’incontro mirato ad analizzare la situazione dopo i recenti fatti di violenza che hanno interessato la Capitale. E dopo l'incontro di questa mattina tra il prefetto Pecoraro, il questore Francesco Tagliente e i rappresentanti delle associazioni di categoria. Nei progetti c’è anche la convocazione, nei prossimi giorni, di una riunione tecnica di coordinamento interforze aperta ai vertici degli uffici giudiziari del distretto presso la Prefettura di Roma, per valutare approfonditamente la situazione e quindi le misure da adottare; la riunione sarà presieduta dal Sottosegretario Alfredo Mantovano.
Il primo cittadino ha poi sottolineato, al termine del vertice, che "Secondo l'analisi del Ministero non siamo di fronte a fenomeni di criminalità organizzata per quanto riguarda i delitti di questi giorni, ma a uno scontro tra bande rivali di criminalità minore. Questo è un segnale confortante - ha aggiunto - ma bisogna fare una valutazione attenta per capire che tipo di rischio abbiamo di fronte". Alemanno si è dichiarato soddisfatto del "clima costruttivo" in cui si è svolto l'incontro che, ha detto, "Era quello che chiedevo, uno sforzo per difendere Roma da assalti presenti e futuri da parte della criminalità", e "particolarmente lieto che a coordinare tutta questa attività sia stato chiamato il sottosegretario Mantovano". Quest'ultimo, come ha aggiunto il sindaco, "è chiamato a dare impulso alla redazione del terzo patto per Roma Sicura con un maggiore coinvolgimento del Ministero". Un patto "rinnovato" per il quale ognuno metterà sul tavolo le risorse, "lo farà anche il Ministero".
Ma secondo il sindaco capitolino la lotta alla criminalità che imperversa sulla Capitale necessita anche di un impegno sul versante legislativo: "Si tratta di sollecitare il Parlamento su una serie di norme che sono rimaste incagliate. Una su tutte quella sui poteri di ordinanza dei sindaci: poi c'è la legge sulla Polizia locale, che deve avere un nuovo ordinamento". Nello specifico il sindaco chiede che si aumenti l'integrazione tra la Polizia statale e quella locale e che si approvi "l'introduzione del reato di prostituzione in strada".
Come è noto, nella serata di ieri Alemanno ha fatto un tour notturno a due ruote tra le strade della città, verificando la presenza di tre sole pattuglie di forze dell'ordine. Ma la sua idea non è quella di aumentare gli organici, quanto piuttosto di gestirli diversamente: "La Questura gestisce 13mila uomini, ai quali si aggiungono carabinieri e altre forze di polizia, più i militari. Quindi, non è un problema di numeri ma di gestione, serve più gente in strada e meno negli uffici".
Fonte: Paesesera.it

Tagli Sicurezza, il Silp Cgil denuncia le condizioni di lavoro

Sicurezza, il Silp Cgil
denuncia le condizioni di lavoro

volante polizia

"Il sindaco di Roma per la solita strumentale campagna elettorale, continua a porre al centro dell’attenzione, la guerra alla prostituzione, distraendo le poche risorse della sicurezza disponibile, dai prioritari obiettivi strategici"
“Nella nottata trascorsa la squadra mobile di Roma, nonostante le risorse disponibili ridotte al lumicino, ha inferto un duro colpo alla delinquenza organizzata, sequestrando ingenti patrimoni immobiliari e commerciali, applicandola la normativa antimafia”, è quanto comunica Gianni Ciotti, segretario provinciale del Silp Cgil, che esprime una forte preoccupazione per quanto sta avvenendo in città.
“La cronaca quotidiana – continua – palesa ormai l’emergenza della sicurezza, come attacco delle mafie alle principali città italiane, ove la Capitale è manifestamente in primo piano. Il sindaco di Roma per la solita strumentale campagna elettorale, continua a porre al centro dell’attenzione, la guerra alla prostituzione di qualche ragazza o di alcuni transessuali, sulla base di provvedimenti di legge del tutto inefficaci, distraendo le poche risorse della sicurezza disponibile, dai prioritari obiettivi strategici, che in termini di sicurezza la città richiederebbe”.
Il Silp poi segnala alcuni episodi operativi, sintomatici del malessere istituzionale in cui i poliziotti sono costretti a lavorare. “Lo stesso elicottero di Pratica di Mare – conclude –, che l’anno scorso ha avuto uno spegnimento motore in volo e la cui costruzione risale agli anni “70, come già abbiamo denunciato giorni, questa mattina, durante un’operazione, ha avuto un guasto in volo costringendo i piloti ad un atterraggio di fortuna sulle piste dell’aeroporto di Fiumicino”.
fonte: Paesesera.it

Prostituzione, dai municipi VIII e XI critiche al sindaco

Sicurezza

Prostituzione, dai municipi VIII e XI critiche al sindaco

Alemanno moto

Piovono critiche sulla ronda antiprostituzione di Gianni Alemanno. Lo scorso 10 luglio il sindaco ha percorso in sella alla sua moto le strade della periferia cittadina. Sgrulletti (Pd), VIII municipio, "Non occorre montare in sella e girare Roma per un paio d'ore per accorgersi che le ordinanze hanno fallito ogni obiettivo". Catarci (Sel), XI municipio, "Dopo la becera ordinanza incostituzionale con cui si sono comminate multe in abbondanza alle lucciole e qualcuna ai loro clienti, Alemanno passa ora a invocare una legge per introdurre il reato di prostituzione in strada"
Piovono critiche sulla ronda antiprostituzione di Alemanno. Lo scorso 10 luglio il sindaco ha percorso in sella alla sua moto le strade della periferia cittadina. “Capisco il fascino dei telefilm anni '80, ma Roma non ha bisogno di 'Poncharello' come sindaco!”. E’ il commento del segretario Pd in VIII municipio, Andrea Sgrulletti, dopo il sopralluogo notturno del sindaco Alemanno per le strade di Roma. “Non occorre montare in sella e girare Roma per un paio d'ore per accorgersi che le ordinanze che, con grande clamore, il sindaco annunciò all'inizio della sua infelice esperienza amministrativa, hanno fallito ogni obiettivo – ha continuato Sgrulletti -, basterebbe prestare ascolto alle parole chiare che a tal proposito hanno speso tante e diverse realtà associative, a partire dalle rappresentanze sindacali delle forze di polizia, passando per le associazioni che si occupano di tale fenomeno, fino ad arrivare al Pd”. "Il sindaco Alemanno, con il Patto Roma Sicura, aveva promesso di “ripulire” le strade dalla prostituzione. Non c’è riuscito, e pare tra l’altro che se ne sia accorto. “Il fenomeno della prostituzione in strada, un tempo limitato ad alcuni tratti molto periferici di via Collatina e via dell'Acqua Vergine – ha aggiunto Sgrulletti - oggi dilaga su tutta via Prenestina, mentre sulla via Casilina ve ne è traccia già a Grotte Celoni, noto capolinea dell'Atac. Anche via di Rocca Cencia è interessata dal fenomeno, il quale è evidentemente gestito su larga scala da imponenti organizzazioni criminali”. Secondo il segretario Pd dell’VIII municipio al di là del controllo del territorio è necessario investire sulla cultura anti prostituzione: “Un serio lavoro sul contrasto del fenomeno della tratta e all’impostazione di programmi di informazione, istruzione e cultura, per limitare sul medio-lungo periodo il numero di ‘clienti’ che, secondo un’elementare legge di mercato, è ciò che rende davvero difficile il contrasto del fenomeno”. Sulla presenza delle forze dell'ordine nella periferia di Roma, Sgrulletti conclude: “E’ servito il vento in faccia preso sulla moto a svegliare il sindaco dal torpore? Non bastavano i dati del Silp Cgil? Un agente ogni 1850 abitanti nel municipio VIII contro uno ogni 219 nel municipio I? In questi tre anni il sindaco si è sempre limitato a risposte burocratiche, come quelle a proposito della chiusura del presidio di polizia a Tor Bella Monaca; o al silenzio, come sulla segnalazione della decisione di spostare altrove l'unità radiomobile dei carabinieri che prestava servizio notturno. Se pensa di recuperare il consenso perduto con questi spot, ha capito davvero male l’aria che tira”.
In merito all’ordinanza sulla prostituzione inclusa nel Patto Roma Sicura, interviene anche il presidente dell’XI municipio, Andrea Catarci (Sel): "Per le strade di Roma il fenomeno della prostituzione è in aumento e coinvolge persone adulte e minori, donne e trans, italiane e straniere – ha dichiarato - se il sindaco è passato per il municipio Roma XI, da Piazza dei Navigatori a Largo Veratti e via Gibilmanna, percorrendo viale Colombo e viale Marconi, si sarà reso conto di quanto rilevante sia la questione, con rapporti sessuali consumati fin dentro giardini e androni dei palazzi causa di un'elevata tensione sociale. Cambiando zona, spostandosi su via Salaria o a viale Togliatti come in altre parti, avrà verificato un quadro simile”.
Solo propaganda il giro in motocicletta del sindaco Alemanno secondo Catarci: “Dopo la becera ordinanza incostituzionale con cui si sono comminate multe in abbondanza alle lucciole e qualcuna ai loro clienti – ha proseguito - Alemanno passa ora a invocare una legge per introdurre il reato di prostituzione in strada. Non solo. Manda i consiglieri comunali e municipali di centro destra a cavalcare le legittime proteste contro il degrado, per indirizzarle nella consueta criminalizzazione delle vittime”. Uno “spettacolo indecente” e “politiche repressive odiose, inefficaci e di facciata” quelle dell’amministrazione capitolina. E sulle mafie Catarci denuncia: “Hanno consegnato la città ai racket di cui fino a ieri negavano la penetrazione e persino l'esistenza”. La maggioranza che governa Roma non sarebbe la più deputata a risolvere il problema della prostituzione: “Hanno cancellato interventi e servizi sociali consolidati – insiste Catarci - riducendo con le unità di strada l'attività di recupero, contrasto e liberazione dalla tratta. Quelli che hanno rifiutato a priori persino di analizzare le esperienze positive di 'zonizzazione', vanno a speculare sul disagio di tanti e propongono ancora, con una buona dose di faccia tosta, le proprie trite ricette già sperimentate e sconfitte”. E sulle forze di polizia, Catarci conclude: “Il sindaco Alemanno lamenta la scarsa presenza dei vigili urbani nelle ore notturne e nei quartieri periferici e semicentrali, come se anche in questo caso non avesse lui la più grande delle responsabilità, visto che è stata proprio la sua Giunta a mortificare tanti gruppi locali della Polizia Municipale riducendone gli effettivi e le ore di straordinario a disposizione"
fonte: Paesesera.it

Tutti uniti contro il degrado "Roma è un bene comune"

Tutti uniti contro il degrado
"Roma è un bene comune"

città di tutti 1

La denuncia di piazza delle 130 associazioni del network la "Citta di tutti": “Roma è abbandonata a se stessa. Da noi comincia una nuova rinascita”. Zingaretti: “Insieme verso la fiaccolata  antimafia del 19 luglio”
Si riparte da qui per ricostruire Roma. Con questo motto ieri sera in Piazza Santa Maria Liberatrice si sono dati appuntamento le 130 realtà tra associazioni e comitati che fanno parte della Città di tutti, il network che vuole difendere Roma come “bene comune” dall’avanzata del degrado. Ad ascoltarli dalla platea molti dirigenti del Pd, venuti ad ascoltare le voci della protesta.
La capitale sembra vittima di un attacco a 360 gradi, come testimoniano gli interventi che ieri si sono succeduti sul palco. E il ritratto della Città eterna che ne è uscito fuori non è dei più consolanti. Sono appelli, denunce che chiamano in causa “gli ultimi tre anni della gestione Alemanno”: la voce è di chi da sempre si batte per i diritti e la qualità della vita a Roma. Come quella di Antonio Napolitano, operatore di Casal Boccone, casa di riposo comunale minacciata da una probabile chiusura: “in questi anni abbiamo fatto molto, compreso festeggiare i compleanni di anziani che compivano 104 anni e vorremmo continuare a farlo”. Gli fa eco Laura Paradiso assistente sociale che punta l’indice contro i tagli alle cooperative sociali che uccidono l’economia solidale.
A lanciare un grido d’allarme anche Tiziana Tagliaferri del comitato di quartiere Osteria del Curato: il suo è un intervento che racconta i limiti delle nuove periferie. “Viviamo in un quartiere-dormitorio: ho tre figli, ognuno deve andare in una scuola diversa perchè nella nostra zona non ci sono. Come d’altra parte non c’è neanche un ufficio postale”. Ma non è finita qua. La capitale soffre di una mancanza di progettualità anche sulla mobilità, commenta dal palco Paolo Gelsomini dell’associazione progetto Celio: “Qui a Roma non c’è limite ai profitti degli imprenditori. La città è vittima di interventi puntuali che servono solo a loro: a che cosa serve ad esempio il parcheggio di Via di Ripetta se non a finanziare il sottopasso? Sarebbe utile invece una costruzione condivisa di un programma di mobilità che tenesse insieme i parcheggi, le metropolitane, il servizio pubblico”.
Durante la serata condotta dall’attrice Francesca Reggiani c’è anche spazio per parlare di mafia, dopo gli ultimi episodi di violenza di cui è stata vittima la capitale. L’applauso più grande è per Antonio Turri dell’associazione Libera che lancia la fiaccolata antimafia del 19 luglio al Pantheon: “Quando la mafia compare anche nell’antico Caffè Chigi significa che sta mandando un messaggio politico. Noi dobbiamo essere più forti e sentirci responsabili: dobbiamo ribadire che Roma è “cosa nostra””. A parlare di sicurezza, subito dopo, è Gianni Ciotti segretario Silp Cgil provinciale: “Siamo qui perchè pensiamo che la legalità sia un bene comune che vada tutelato. Oggi ci troviamo in una situazione paradossale, come polizia abbiamo avuto 2 miliardi di euro di tagli negli ultimi tre anni. Tutti soldi che servivano a dare spinta alle indagini e alla lotta alla mafia. Siamo riusciti  dare in mano questo Paese alla criminalità organizzata”.
In chiusura viene chiamato sul palco il presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti che sottolinea come la crisi non si superi “vendendo il bene comune”. “C’è stata una volontà di colpire la scuola, gli enti locali, l’associazionismo, l’industria culturale tutta. Aspettiamo una nuova stagione in cui la cultura dell’egoismo e dell’individualismo sia superata”. Coglie l’occasione per rilanciare la manifestazione antimafia del 19 luglio: “Mentre la politica pensava che la sicurezza fosse prendersela con i “vu cumprà” intanto avanzava la spirale delle mafie. Oggi al centro di Roma si gambizza, si uccide. Per combattere questa spirale bisogna puntare sulla repressione, sullo sviluppo del paese e sul fatto di non girare la testa dall’altra parte”. A fine serata, dopo Zingaretti salgono i ragazzi del Teatro Valle. Sono qui per sottolineare che anche “il teatro è un bene comune”. Nessuno cercherà più di trasformarlo in bistrot. Si spera.
Elisabetta Galgani 
fonte Paesesera.it

mercoledì 13 luglio 2011

Sanità: Gemelli (Roma), referti ambulatoriali si consegnano via e-mail

SANITA': GEMELLI (ROMA), REFERTI AMBULATORIALI SI CONSEGNANO VIA E-MAIL =
BASTA CODE ALLO SPORTELLO, PRIMO OSPEDALE DELLA REGIONE

Roma, 13 lug. (Adnkronos/Adnkronos Salute) - Risparmiare tempo,
evitando file agli sportelli e in piu' avere comodamente a
disposizione in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo sul proprio pc
i referti ambulatoriali con i risultati delle analisi certificati.
Questo e' ora possibile per tutti i pazienti del policlinico
universitario Gemelli di Roma, grazie al nuovo servizio di invio dei
referti medici ambulatoriali tramite posta elettronica protetta. A
usufruirne potrebbero essere i circa 9000 cittadini che ogni mese, 300
ogni giorno, affluiscono agli sportelli per il ritiro.

E' il primo ospedale del Lazio a offrire il nuovo servizio di
refertazione via web, che unisce validita' legale dei documenti e
sicurezza dell'invio, a tutti i pazienti che ne fanno richiesta, che
potranno cosi' ricevere nella propria casella postale elettronica i
risultati degli esami diagnostici effettuati nella struttura. I
referti, in formato pdf, hanno la firma digitale, assumendo in questo
modo piena validita' legale pari agli omologhi referti cartacei, che
comunque potranno essere sempre ritirati agli sportelli del Gemelli
attraverso le usuali procedure. Il nuovo servizio di refertazione
online e' effettuato in modo da garantire la sicurezza e la
riservatezza dei dati grazie all'utilizzo della 'busta pdf': i file
con i referti vengono inseriti in un archivio contenitore, cioe' una
busta virtuale il cui contenuto e' protetto da password personale.

(Com-Sof/Col/Adnkronos)
13-LUG-11 16:50

NNNN

Polizia: siglata convenzione con cassa assistenza sanitaria

POLIZIA: SIGLATA CONVENZIONE CON CASSA ASSISTENZA SANITARIA

(ANSA) - ROMA, 13 LUG - Il vice capo della Polizia, il
prefetto Paola Basilone, ha firmato oggi una convenzione con il
presidente della Cassa di assistenza sociale e sanitaria
(Caspie) Enzo Giannini per fornire al personale di polizia
assistenza sanitaria integrativa.
La proposta formulata dalla Caspie, afferma il Dipartimento,
prevede varie ipotesi di rimborso delle spese sostenute in caso
di malattia, da erogare con la formula 'per adesione' e con la
possibilita', in futuro, di rateizzare le contribuzioni dovute.
La Cassa gia' fornisce assistenza sociale e sanitaria a diversi
enti pubblici e istituzionali, alcuni dei quali appartenenti al
comparto sicurezza e difesa, ed a numerosi enti privati e
associazione bancarie; inoltre dispone di una rete di medici
specialistici convenzionati, selezionata da un comitato
scientifico presieduto da Umberto Veronesi.
La proposta, prosegue il Dipartimento, si presenta
particolarmente vantaggiosa - se comparata con analoghe forme di
assistenza sanitaria gi… offerte ad altri enti ed istituzioni
pubbliche - e prevede un'ipotesi assistenziale con durata
quadriennale con due finestre temporali di entrata (luglio del
corrente anno e gennaio 2012), rinnovabile e con possibilit… di
recesso bilaterale, anche prima della scadenza, previa formale
comunicazione alla controparte.(ANSA).

COM-GUI
13-LUG-11 18:10 NNNN

Sicurezza: Roma; Silp, guerra a prostituzione distrae risorse. Sbagliato non riconoscere organizzazioni criminali

SICUREZZA:ROMA; SILP, GUERRA A PROSTITUZIONE DISTRAE RISORSE
SBAGLIATO NON RICONOSCERE PRESENZA ORGANIZZAZIONI CRIMINALI
(ANSA) - ROMA, 13 LUG - ''La mancanza di una guida politica
autorevole espone sempre piu' i cittadini ed i poliziotti al
disagio sociale per gli uni ed alle mille difficolta'
professionali per gli altri. Il non riconoscere la presenza di
organizzazioni criminali, strutturate nel tessuto sociale,
economico e finanziario della Capitale, comporta un indirizzo
della politica della sicurezza completamente sbagliato''. Lo ha
detto il 'Silp per la Cgil' di Roma, sindacato di polizia che
esprime '''forte preoccupazione per quanto sta avvenendo nella
Capitale''.
''La cronaca quotidiana - prosegue il Silp - palesa ormai
l'emergenza della sicurezza, come attacco delle mafie alle
principali citta' italiane, ove la capitale e' manifestamente in
primo piano. Il Sindaco di Roma per la solita strumentale
campagna elettorale fuori luogo, continua a porre al centro
dell'attenzione, la guerra alla prostituzione di qualche ragazza
o di alcuni transessuali, sulla base di provvedimenti di legge
del tutto inefficaci, distraendo le poche risorse della
sicurezza disponibile, dai prioritari obbiettivi strategici, che
in termini di sicurezza la citta' richiederebbe''.(ANSA).

Y4J-LAL
13-LUG-11 21:00 NNNN

Staminali: scoperta cellula 'farmacista' organismo

STAMINALI: SCOPERTA CELLULA 'FARMACISTA' ORGANISMO
(NOTIZIARIO SCIENZA E TECNICA)
(ANSA) - MILANO, 13 LUG - Quando c'e' bisogno di lei, e'
sempre pronta all'azione. Basta un taglio, un'infiammazione o
l'attacco di un batterio, e subito provvede a fornire in loco
tutte le 'medicine' naturali necessarie per riparare il danno e
favorire la rigenerazione. Questa 'farmacia' dell'organismo e'
la cellula staminale mesenchimale, descritta nelle sue
incredibili potenzialita' da uno studio pubblicato sulla rivista
Cell Stem Cell.
Questo particolare tipo di cellula, che risiede sulla parete
dei vasi sanguigni, e' da tempo oggetto di numerose ricerche per
le sue capacita' rigenerative. Gruppi di ricerca in tutto il
mondo stanno provando a usarla per ricreare in laboratorio
interi organi da sostituire ad altri malati o danneggiati. Ora,
pero', i biologi della Case Western Reserve University di
Cleveland hanno svelato altre utili e inaspettate proprieta'.
''La staminale mesenchimale - afferma il coordinatore dello
studio, Arnold Caplan - e' paragonabile a una farmacia che opera
direttamente sul luogo del danno e fornisce tutti i rimedi
necessari alla rigenerazione''. Trascorre il suo tempo
addormentata sulla parete dei vasi sanguigni, ma appena viene
allertata, passa subito all'azione. ''Davanti a se' - prosegue
il ricercatore - la cellula alza una cortina di molecole che
controllano la risposta immunitaria in modo che non sia troppo
aggressiva. Dal retro della cellula vengono invece prodotte
molecole che servono a creare un microambiente favorevole alla
rigenerazione, in modo che il tessuto si auto-ripari senza
generare cicatrici''.
Diversi esperimenti hanno dimostrato che l'iniezione di
queste cellule nel tessuto danneggiato o nel circolo sanguigno
porta benefici a diversi tipi di patologie come infarto, ictus,
artrite e diabete giovanile. Un recente studio dell'universita'
di San Francisco ha addirittura dimostrato che le staminali
mesenchimali sono capaci di produrre antibiotici, o meglio una
particolare proteina capace di uccidere uccide batteri come
l'Escherichia coli e lo Stafilococco aureo.
(ANSA).

Y25-BG
13-LUG-11 01:00 NNNN

Consiglio di Stato "...("Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti")..."



IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 13-06-2011, n. 3549
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1.  Con ordinanza del 22 settembre 1994 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di #################### ha disposto gli arresti domiciliari  nei confronti di ####################., Agente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di ####################, per il reato di cui all'articolo 416, e 61 n. 9, Cod. pen..,  cui sono seguiti la sospensione cautelare dal servizio della stessa, con provvedimento del Questore di #################### del 28 settembre 1994, e l'apertura di procedimento disciplinare a suo carico; questo procedimento è stato poi sospeso ai sensi dell'art. 11 d.P.R. 25 ottobre 1981,  n.737 ("Sanzioni disciplinari per il personale dell'Amministrazione di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti") con provvedimento del medesimo Questore, n. 6143 del 23 luglio 1996, data la  contestuale pendenza nei confronti dell'interessata di procedimento penale a seguito del rinvio a giudizio
per i reati di cui agli articoli 416, 640, 367 e 368 Cod. pen.,  riguardanti gli stessi fatti oggetto del procedimento disciplinare. In pendenza del processo penale l'Amministrazione ha mantenuto ferma la sospensione cautelare dal servizio, poi revocata con provvedimento del Capo della Polizia n. 333 del 15 settembre 1999 per intervenuta scadenza  del termine massimo di efficacia stabilito dall'art. 9, 2° comma, della legge 7 febbraio 1990, n. 19 ("Modifiche in tema di circostanze, sospensione condizionale della pena e destituzione dei pubblici dipendenti").
2.  Il Tribunale penale di #################### con sentenza del 23 marzo 2000 ha giudicato l'imputata colpevole del delitto di truffa e tentata truffa in  concorso con altri e l'ha condannata alla pena di un anno di reclusione  e di lire 900.000 di multa; la Corte di Appello di ####################, con sentenza del 22 giugno 2001, ha confermato la pronuncia di primo grado salva la riduzione della pena portata a 11 mesi di reclusione e a lire 850.000 di multa; la Corte di Cassazione, con sentenza n.7986 del 21 gennaio 2003, pronunciata su ricorso dell'imputata, ha dato atto dell'intervenuta prescrizione dei reati a lei ascritti, con il conseguente annullamento senza rinvio della decisione del giudice di appello, mantenendo ferme le statuizioni civili della sentenza oggetto di impugnazione.
3. A seguito della definizione del giudizio penale il Capo della Polizia, con decreto del 2 aprile 2003 comunicato il 10 aprile successivo all'interessata (nel frattempo trasferita per incompatibilità ambientale dalla Questura di #################### alle  dipendenze di quella di ####################, con provvedimento del 3 maggio 2001) ha  disposto la riattivazione del procedimento disciplinare in precedenza sospeso, invitando il Questore di #################### "a rinnovare l'iter sanzionatorio a partire dalla nomina del funzionario istruttore"; sono seguiti l'invio dell'atto di contestazione di addebiti (il 17 aprile 2003) ed il deferimento dell'interessata alla Commissione provinciale di  disciplina, che ha concluso proponendo la comminazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio poi formalmente inflitta dal Capo della Polizia, a decorrere dal 20 ottobre 2003, con provvedimento n. 333D/13462 dell'8
ottobre 2003, notificato il 17 ottobre successivo.
4. La signora L., con il ricorso n. 12 del 2004 proposto al Tribunale amministrativo regionale per le Marche, ha chiesto l'annullamento: del citato provvedimento del Capo della Polizia n. 333D/13462 dell'8 ottobre 2003, con cui è stata disposta la sua destituzione dal servizio e dall'impiego, con la contestuale dichiarazione del non riconoscimento ai fini giuridici ed a quelli di quiescenza e previdenza del periodo di sospensione cautelare dal 28 settembre 1994 al 31 dicembre 1999; di tutti gli atti del procedimento disciplinare, ivi compresi la lettera di riattivazione dello stesso dopo la precedente sospensione, la contestazione di addebiti, la nomina del funzionario istruttore, il decreto del Questore di #################### di trasmissione degli atti al Consiglio di disciplina ed i verbali dello stesso Consiglio.
5. Il Tribunale amministrativo, con la sentenza n. 115 del 2006, ha respinto il ricorso, compensando tra le parti le spese del giudizio.
6.  Con l'appello in epigrafe è chiesto l'annullamento della sentenza di primo grado, con domanda cautelare di sospensione della esecutività. La domanda cautelare è stata respinta con ordinanza n. 4433 del 2006.
7. All'udienza del 6 maggio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.Motivi della decisione
1.  Con la sentenza gravata il Tribunale amministrativo regionale per le Marche, sezione prima, ha respinto il ricorso proposto dalla signora E. L., Agente della Polizia di Stato,  per l'annullamento del provvedimento del Capo della Polizia, con cui è stata destituita dal servizio a far data dal 20 ottobre 2003, e degli atti del relativo procedimento disciplinare.
2. Nella sentenza si afferma quanto segue.
2.1.  Sugli asseriti vizi procedimentali: a) il provvedimento di riattivazione del procedimento disciplinare è stato tempestivo poiché adottato il 2 aprile 2003 e perciò entro il termine di cui all'art. 5, comma 4, della legge 27 marzo 2001, n. 97 ("Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche"), ivi stabilito in novanta giorni dalla conoscenza della sentenza della Corte di Cassazione avvenuta nella specie con il rilascio di copia alla Questura di #################### il 24 febbraio 2003; b) il procedimento disciplinare è stato concluso nel termine di 180 giorni di cui all'art. 5 della legge n. 97 del 2001, da applicare per i procedimenti a carico del personale della pubblica sicurezza in assenza di norme al riguardo nel d.P.R. n. 737 del 1981,  essendo stato iniziato con la
contestazione degli addebiti in data 17 aprile 2003 e concluso con il provvedimento di destituzione di data 8 ottobre 2003; c) il termine di quarantacinque giorni previsto (peraltro come non perentorio) dall'art. 19, comma 7, del d.P.R. n. 737 del 1981 per la conclusione dell'indagine disciplinare da parte del funzionario istruttore è stato osservato, essendo stata trasmessa al Questore di #################### il 9 giugno 2003 la relativa relazione conclusiva a fronte della contestazione degli addebiti il 17 aprile precedente; d) sussiste la competenza del Questore di #################### a promuovere il procedimento disciplinare, pur essendosi svolti i fatti durante il servizio della ricorrente presso altra Questura, visto l'art. 19 del d. P.R. n. 737 del  1981 per il quale la detta competenza spetta al Questore della provincia dove il dipendente presta servizio; e) la nota di contestazione di addebiti da parte
del funzionario istruttore non è generica, essendo stati con essa puntualizzati con precisione i fatti e il loro rilievo disciplinare (come provato dalle dettagliate controdeduzioni dell'interessata in data 7 maggio 2003), né manca di imparzialità la sua relazione conclusiva, poiché in essa, esposti con completezza gli svolgimenti rilevanti e analizzate le giustificazioni fornite dall'interessata, il conseguente apprezzamento viene rimesso alla valutazione del Questore di ####################; f) le censure sulla composizione del Consiglio di disciplina sono generiche e non motivate; non sussiste l'asserita illegittimità della presenza del Segretario alle  riunioni del Consiglio poiché necessaria ai fini della verbalizzazione senza alcun coinvolgimento decisionale.
2.2. Quanto alle restanti censure, relative all'operato del Consiglio di disciplina:
a)  dagli atti emerge che le conclusioni cui è pervenuto il Consiglio non trovano il loro automatico presupposto nella sentenza della Corte di Cassazione, sopra richiamata, ma scaturiscono da un autonomo apprezzamento dei fatti e dei comportamenti contestati alla ricorrente in sede disciplinare; si è perciò proceduto correttamente, considerati, da un lato, la sentenza della Corte Costituzionale n. 971 del 1988 e la normativa di cui all'art. 9 della legge n. 19 del 1990 e all'art. 5 della legge n. 97 del 2001,  che richiedono un siffatto, autonomo apprezzamento, e, dall'altro, la valutazione da dare alla sentenza di improcedibilità per estinzione del reato per effetto della prescrizione, quando non risulti completamente liberatoria per non aver dato atto della sussistenza dei presupposti per  la pronuncia di assoluzione. Ne consegue la insussistenza dell'asserito  vizio di illogicità
dedotto avverso l'operato del Consiglio di disciplina, e del Capo della Polizia, e che i comportamenti criminosi della ricorrente (falsa compilazione di modelli di denuncia di sinistri stradali, con indebito interessamento presso il liquidatore della compagnia di assicurazioni a favore della persona con lei concorrente nel reato) rientrano tra quelli previsti dall'art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981 nonché, in quanto configuranti truffa, tra le ipotesi espressamente previste dal successivo art. 8, relativo alla "Destituzione di diritto",  non valendo inoltre, in contrario, l'ulteriore deduzione della mancata considerazione, come attenuante, del comportamento tenuto dalla ricorrente nel suo servizio a ####################, asserito come incensurabile, avendo la Commissione di disciplina rilevato l'esistenza di tre procedimenti disciplinari a suo carico dopo la riammissione in servizio;
b)  né sussiste l'asserita disparità di trattamento rispetto ad altro dipendente, poiché richiamata genericamente e non potendosi comunque raffrontare le responsabilità di dipendenti pubblici sottoposti a distinti procedimenti disciplinari.
2.3. Non può essere accolta, infine, la censura di illegittimità del mancato riconoscimento ai fini giuridici e previdenziali del periodo di sospensione cautelare, non essendovi stata in tale periodo la prestazione di attività lavorativa, non potendo la successiva definizione del procedimento disciplinare far venir meno retroattivamente gli effetti della detta sospensione, non avendo natura di retribuzione l'assegno alimentare corrisposto nel periodo.
3.  Nell'appello, delle statuizioni della sentenza impugnata si censura quella sintetizzata sopra sub 2.2. a), con riguardo alla valutazione dei  comportamenti della ricorrente data dall'Amministrazione ed alla sanzione di conseguenza disposta, deducendo violazione degli articoli 9 della legge 7 febbraio 1990, n. 19, 5 della legge 27 marzo 2001, n. 97, 1 e 7 del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, nonché eccesso di potere.
Al  riguardo, richiamato che è corretto considerare la sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione dei reati non ostativa all'avvio del procedimento disciplinare né assimilata a sentenza di assoluzione, si deduce che l'apprezzamento dei comportamenti della ricorrente espresso in sede disciplinare, e accolto nel provvedimento di  destituzione, è stato però eseguito prescindendo dalla valutazione del suo effettivo coinvolgimento nei fatti, rilevato invece come marginale nel giudizio di appello.
Il Consiglio di disciplina infatti: ha dato peso a circostanze oggettive non direttamente attinenti alle responsabilità della ricorrente, dando rilievo in particolare al suo rapporto personale con il dirigente della Polizia di Stato imputato nella stessa vicenda con maggior grado di colpevolezza mentre gli eventi in cui era stata coinvolta direttamente erano stati considerati lievi e marginali dai giudici di merito; ha valorizzato gli episodi sfavorevoli alla ricorrente e non quelli favorevoli, quale la sua positiva condotta a seguito del trasferimento in altra sede; l'esame  dei fatti non è stato condotto in modo indipendente dalle contestazioni  in sede penale, peraltro non sfociate in giudicato di condanna, né il giudizio espresso è stato basato sulla considerazione della attuale e concreta incompatibilità alla svolgimento delle funzioni; risultando di conseguenza sproporzionata,
rispetto alla rilevanza dei fatti e comportamenti effettivamente attribuibili alla ricorrente, l'applicazione della massima sanzione prevista dall'art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981.
4. Le censure così riassunte sono infondate.
4.1.  Dall'esame della relazione conclusiva del funzionario istruttore (di data 9 giugno 2003, prot. Cat. 2.8/2003) e della susseguente deliberazione del Consiglio di disciplina (del 5 settembre 2003, prot. Cat. 2.8/Pers./CDP.2003) recante all'unanimità la proposta della sanzione della destituzione dal servizio ai sensi dell'art. 7, comma 2, nn. 1, 2 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981, emerge infatti che:
i  fatti ascritti alla ricorrente sono stati riportati ed esaminati con completezza, correttamente richiamandone l'accertamento in sede penale in relazione alla permanenza della loro effettività storica indipendentemente dall'effetto di prescrizione dei reati, con la citazione delle tre sentenze di cui sopra (in primo grado, in appello e della Corte di Cassazione), nella parte relativa a tali fatti come ivi individuati e in giudizio qualificati come costituenti i delitti oggetto  di pronuncia (pagine da 2 a 7 della relazione conclusiva suddetta);
le  giustificazioni prodotte dalla ricorrente sono state altresì compiutamente riportate ed esaminate, essendo stato riscontrato e confutato con argomentazioni analitiche e precise quanto dalla stessa asserito sulla mancanza di volontà e consapevolezza nella realizzazione dei delitti, sulla loro commissione in un contesto privato, che avrebbe caratterizzato la fattispecie per l'assenza dell'elemento del contrasto con i doveri assunti con il giuramento, sulla insussistenza del pregiudizio di cui al n. 4 dell'art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981 (pagine da 8 a 11 della relazione citata);
nella  deliberazione del Consiglio di disciplina, in cui sono anche valutati i  numerosi precedenti disciplinari della ricorrente, i fatti di cui sopra  sono puntualmente richiamati osservando che, nel "prolungato contesto delittuoso" di cui si tratta "l'agente L., anche se non ha avuto un ruolo particolarmente caratterizzante, ha fattivamente partecipato avendo comunque piena e qualificata consapevolezza delle proprie illecite azioni, e delle loro conseguenze, traendone inoltre, anche se non in maniera diretta, vantaggio economico..."; si prosegue rilevando l'incidenza degli atti compiuti sul senso dell'onore e sulla qualità morale, tanto più essenziali per l'appartenente alla Polizia di Stato,  il loro contrasto con i doveri conseguentemente assunti, il pregiudizio  che ne è derivato per lo Stato e per l'Amministrazione di appartenenza,  la loro estrema gravità per l'inserimento
dell'incolpata in un sodalizio criminale.
4.2. Da quanto sopra risulta, perciò, che la condotta della ricorrente in relazione ai fatti delittuosi è stata valutata nella sua specificità, soppesando le caratteristiche del ruolo da lei svolto quanto all'incidenza, alla consapevolezza e ai vantaggi conseguiti, che sono state adeguatamente esaminate, altresì, le giustificazioni addotte a suo favore e che i fatti, comunque esistenti nella loro realtà storica e perciò da considerare ai fini disciplinari, sono stati autonomamente valutati nonché commisurati anche all'attualità giudicandoli comunque atti a fondare il giudizio di incompatibilità adottato.
4.3.  Né la conseguente sanzione della destituzione risulta viziata perché sproporzionata alla rilevanza dei fatti, non potendosi ritenere che comportamenti come quelli di cui si tratta non configurino, ai sensi dell'art. 7 del d.P.R. n. 737 del 1981,  atti "che rivelino mancanza del senso dell'onore e della morale" (n. 1), "in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento" (n. 2) e  arrecanti "per dolosa violazione dei doveri...grave pregiudizio allo Stato, all'Amministrazione della pubblica sicurezza ad enti pubblici o a  privati" (n. 4), idonei, per il detto articolo, a motivare la destituzione del dipendente della Polizia di Stato e perciò, nella specie, correttamente assunti a ragione del provvedimento adottato, in coerenza con la ratio della normativa, che è quella della tutela di valori particolarmente cogenti per chi è incaricato della funzione pubblica della
prevenzione dei reati a garanzia della sicurezza dei cittadini.
5. Per quanto considerato l'appello è infondato e deve essere perciò respinto.
Le spese seguono, come di regola, la soccombenza. Esse sono liquidate nel dispositivo.P.Q.M.
Il  Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, n. 6269 del 2006,  lo respinge.
Condanna l'appellante al pagamento delle spese del presente grado del giudizio a favore del Ministero dell'interno, appellato, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre gli accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.



martedì 12 luglio 2011

Organizzazionie sindacali di polizia - Richiesta congiunta di incontro con le commissioni parlamentari sui temi della manovra economica

Ministero dell'interno Circ. 20-6-2011 n. 14522/114/113/Gab/Uff.III Indirizzi operativi per la campagna antincendi boschivi estate 2011. Emanata dal Ministero dell'interno. Circ. 20 giugno 2011, n. 14522/114/113/Gab/Uff.III (1). Indirizzi operativi per la campagna antincendi boschivi estate 2011.



(1) Emanata dal Ministero dell'interno.



 
Al
Sig. Capo della Polizia
 
Direttore generale della pubblica sicurezza
 
Al
Sig. Capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile
 
Sede
 
Ai
Sigg. Prefetti della Repubblica
 
Loro sedi
 
Ai
Sigg. Commissari del Governo per le Province di Trento e Bolzano
 
Ai
Sigg. Direttori regionali dei Vigili del fuoco
 
Loro sedi

e, p.c.:
Al
Sig. Presidente della Giunta regionale della Valle d'Aosta
 
Aosta







Il  Presidente del Consiglio dei Ministri ha emanato, in data 13 maggio 2011, la direttiva recante gli indirizzi operativi per fronteggiare gli incendi boschivi ed i rischi conseguenti per la corrente stagione estiva, Atto 13 maggio 2011.
Nel  trasmettere copia del predetto provvedimento, per i conseguenti adempimenti delle SS.LL., si forniscono alcune indicazioni in merito alle atività di precipuo interesse, anche alla luce delle linee di indirizzo formulate in occasione della passata stagione 2010.
I  positivi risultati fatti registrare nel corso degli ultimi anni, grazie  anche alla sinergica azione posta in essere da tutti i livelli di responsabilità coinvolti nella prevenzione e nel contrasto agli incendi boschivi, suggerisce di proseguire nella strategia intrapresa, facendo leva, in particolare, sull'attivazione di strumenti di collaborazione e cooperazione in grado di coinvolgere, in un percorso unitario e condiviso, le componenti istituzionali e quelle altrettanto fondamentali  del volontariato.
In questa prospettiva, la scelta dello strumento pattizio ha svolto, e deve continuare a svolgere,  un ruolo fondamentale, avuto riguardo alla complessità e pluralità di competenze che concorrono a governare la materia rendendo indispensabile  far ricorso a moduli di cooperazione convenzionale nell'ambito dei quali trova piena e concreta realizzazione il principio di leale collaborazione.
La materia degli incendi boschivi, infatti, inquadrata nel più ampio contesto ordinamentale della  protezione civile e del soccorso pubblico, se da un lato chiama in causa le dirette competenze e responsabilità degli Enti territoriali, dall'altro vede riconosciuta agli apparati dello Stato un'altrettanto chiara responsabilità, con specifiche competenze nel settore.
Da questo punto di vista, la legge n. 353/2000,  cosidddetta legge quadro in materia di incendi boschivi, ben riflette la complessità del fenomeno in cui convergono molteplici fattori di criticità dovuti sia alla variabilità del contesto territoriale sia alla  molteplicità delle matrici, illegali o criminali, che impongono l'attivazione correlata, sinergica e simultanea delle funzioni di soccorso pubblico, protezione civile, ordine pubblico e sicurezza per il  raggiungimento degli obiettivi di tutela del patrimonio boschivo e della pubblica incolumità.
In questo articolato sistema di competenze e di funzioni la cennata legge quadro si muove lungo due direttrici fondamentali, affiancando a penetranti strumenti di  contrasto e sanzionatori, altrettanto importanti misure di previsione e  prevenzione.
In particolare la nuova definizione  di incendio boschivo e l'introduzione di una specifica fattispecie di reato prevista dalla predetta legge, hanno permesso, nel corso di questi  anni, di potenziare gli strumenti investigativi, ulteriormente rafforzati con il D.L. n. 92/2008,  consentendo di acquisire un importante patrimonio informativo sulle caratteristiche del fenomeno in grado di orientare l'attività delle Forze di Polizia e degli Organi istituzionali chiamati a governare le politiche di prevenzione e di contrasto nel settore.
Dall'esame  delle risultanze delle attività investigative emerge, infatti, come tra  i fattori all'origine degli episodi incendiari, oltre a situazioni individuali di disagio psico-sociale (cosiddetta piromania), una notevolissima parte appare riconducibile a fenomeni di illegalità diffusa, di negligenza ed incuria ma anche a forme di criminalità organizzata tipiche del contesto rurale, finalizzate allo sfruttamento dei terreni a scopo pastorale o di speculazione edilizia.
A  fronte di tale quadro appare di fondamentale significato il ruolo che le Prefetture sono chiamate a svolgere, come risulta nelle linee di indirizzo emanate dal Presidente del Consiglio, al fine di promuovere - anche attraverso apposite riunioni del Comitato provinciale per l'ordine  e la sicurezza pubblica allargate alla componente dei Vigili del fuoco ed eventualmente ai responsabili dell'ordine giudiziario e delle altre amministrazioni interessate - l'intensificazione, in base a mirate pianificazioni, delle attività di controllo del territorio da parte delle forze di Polizia e delle Polizie locali, avvalendosi delle professionalità e competenze dei Corpi precipuamente deputati a svolgere  attività investigativa e di prevenzione nel settore ed anche valutando l'attivazione di presidi temporanei.
In tal senso  particolare valenza potrà avere il coinvolgimento delle componenti del volontariato e delle associazioni di cittadini che operano nel campo della tutela del patrimonio ambientale.
Medesimo impegno dovrà essere rinnovato nell’assumere tutte le opportune iniziative di sensibilizzazione nei confronti dei soggetti pubblici e privati, competenti alla manutenzione delle aree di pertinenza, al fine di rimuovere situazioni di pericolo per la propagazione di incendi boschivi e di interfaccia, nonché delle sedi autostradali, stradali e ferroviarie che insistono sul territorio delle rispettive province.
In  particolare, una efficace azione di stimolo dovrà essere svolta nei confronti degli enti locali, per la predisposizione e l'aggiornamento dei piani comunali o intercomunali di protezione civile, per l'elaborazione delle procedure di allertamento, nonché per l'informazione alla popolazione. Analoga azione di impulso andrà riservata al completamento e all'aggiornamento, da parte dei Comuni, del  catasto delle aree percorse dal fuoco con la conseguente applicazione dei vincoli previsti dalla legge.
In tale contesto particolarmente utile potrà essere il ricorso da parte dei Sindaci, nell'ambito delle funzioni di cui all'articolo 54 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267,  ad apposite ordinanze a tutela dell'incolumità pubblica e della sicurezza urbana, al fine di prevenire fenomeni di illegalità diffusa ovvero comportamenti di inerzia dei proprietari dei terreni e dei conduttori dei fondi che possano danneggiare il patrimonio pubblico e privato o che ne impediscano la fruibilità, così come espressamente previsto nel Decr. 8 agosto  2008.
Nella  medesima prospettiva volta a favorire il massimo coordinamento delle componenti statali con le componenti regionali e locali interessate, le SS.LL. vorranno supportare, anche attraverso il determinante ruolo dei Direttori regionali dei Vigili del Fuoco, il sistema regionale e provinciale nell'assolvimento dei compiti di specifica competenza, onde garantire una risposta tempestiva ed efficace nel contrasto agli incendi  boschivi, con particolare riguardo alle pianificazioni di protezione civile di rispettiva pertinenza.
Tale pianificazione appare tanto più significativa ove si consideri che, sulla base dell'esperienza emersa negli ultimi anni, appare sempre più crescente il numero e la tipologia degli incendi che interessano, oltre gli ambienti prettamente rurali e boschivi, anche zone fortemente urbanizzate, specie nel periodo estivo, comportando così l'esposizione a  rischio non solo del patrimonio ambientale ma anche della incolumità dei cittadini.
Particolare attenzione, in tale contesto, dovrà essere assicurata all'individuazione di procedure volte a  favorire lo scambio reciproco di dati tra Sale operative, anche attraverso la definizione, in esito ad appositi Tavoli di lavoro o anche  avvalendosi dello strumento delle conferenze permanenti, di moduli operativi di intervento congiunto, calibrati sulle specificità del contesto territoriale, volti alla definizione del corretto flusso delle informazioni, all'immediata attivazione dei soccorsi nonché alla individuazione di un responsabile del coordinamento delle attività, avuto riguardo alle caratteristiche dell'emergenza.
Tutto  ciò premesso, si rinnova l’invito a mantenere un costante raccordo, nell'ambito delle iniziative intraprese, con il Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, al fine di poter  disporre di un quadro unitario e complessivo che consenta, anche a livello dell'organo di vertice politico, una valutazione sull'eventuale necessità di interventi di carattere organizzativo e/o regolamentare.
Il  Sig. Capo del dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e  della difesa civile assicurerà il coordinamento delle azioni al fine di  garantire ogni assistenza e collaborazione per il miglior successo della campagna antincendi boschivi 2011, concordemente con le altre articolazioni dipartimentali di volta in volta interessate ed in raccordo, per i più ampi profili di protezione civile, con le competenti  strutture della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il  Sig. Capo della Polizia - Direttore generale della pubblica sicurezza e  lo stesso Capo del Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, per gli aspetti di specifica competenza,  vorranno altresì impartire le indicazioni operative necessarie per l'attività delle strutture rispettivamente dipendenti.


Il Ministro
Roberto Marroni



Atto 13 maggio 2011
D.L. 23 maggio 2008, n. 92
D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 54
L. 21 novembre 2000, n. 353

Consiglio di Stato "...riconoscimento della causa di servizio ed alla concessione dell'equo indennizzo, in relazione a "disturbo depressivo con radicali psicotici in attuale compenso".."



IMPIEGO PUBBLICO - INFORTUNI SUL LAVORO
Cons. Stato Sez. III, Sent., 14-06-2011, n. 3621
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1.-  Il dr. --, aveva impugnato davanti al TAR per la Lombardia il  decreto n. 79/N con il quale il Ministero dell'Interno, in data 23 gennaio 2006, aveva rigettato la domanda (presentata il 28 febbraio 2003) volta al riconoscimento della causa di servizio ed alla concessione dell'equo indennizzo, in relazione a "disturbo depressivo con radicali psicotici in attuale compenso", nonché il presupposto parere n. 268/2005, reso dal Comitato di Verifica per le cause di servizio nella seduta del 12 ottobre 2005.
2.-  Il T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione III, dopo aver disposto sulla questione apposita consulenza tecnica d'ufficio, con la appellata sentenza n. 3153 del 6 aprile 2009, ha, in via pregiudiziale, ritenuta infondata l'eccezione sollevata dall'amministrazione di tardività della domanda ed ha poi accolto il ricorso dichiarando accertato il diritto del dr. Chiodi al riconoscimento della causa di servizio.
Il TAR ha ritenuto che la documentazione esibita in giudizio e l'approfondimento eseguito nel corso delle operazioni peritali hanno dimostrato che il dottor #################### "ha  un disturbo dell'adattamento con ansia e somatizzazione in risposta a fattori stressanti presenti in ambiente lavorativo, associato a disturbi  psicotici preesistenti" e che "il pregiudizio derivatone incide sulle comuni attività e sulla vita di relazione". In particolare "il danno psichiatrico di cui soffre il ricorrente compare in seguito ad uno o più  eventi o situazioni di stress psicosociali oggettivamente identificabili ed è caratterizzato da intensa sofferenza soggettiva e compromissione della funzionalità lavorativa, relazionale e sociale".
Erroneamente  l'amministrazione aveva quindi ritenuto che l'affezione sofferta dal ricorrente (disturbo depressivo) era inquadrabile nella categoria delle psicosi endogene del soggetto e, quindi, tipicamente costituzionali, con  la conseguente esclusione di qualsiasi nesso causale o concausale efficiente e determinante con il servizio.
Secondo  il Tar per la Lombardia, deve ritenersi, invece, "assai più razionale e  conforme alla letteratura... la ricostruzione del CTU", con la conseguenza che deve ritenersi "offerta la prova del nesso condizionante  tra le mansioni svolte e l'evento lesivo insorto nel senso che l'attività lavorativa è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica".
Sulla  base di tali premesse il TAR ha peraltro anche ritenuto che doveva "essere riqualificato il petitum", essendo la domanda del dr. Chiodi "al  di là della impostazione impugnatoria e della formula terminativa in termini caducatori delle conclusioni" chiaramente "volta all'accertamento della dipendenza della propria patologia da causa di servizio", ed ha quindi accolto il ricorso dichiarando, per l'effetto, "il diritto del ricorrente al riconoscimento della causa di servizio".
3.- L'Avvocatura dello Stato ha appellato l'indicata sentenza ritenendola erronea sotto diversi profili.
In  particolare l'Avvocatura ha insistito sulla eccezione di tardività dell'istanza presentata dall'interessato e, per quanto riguarda il merito della vicenda, ha richiamato la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato secondo cui il parere del Comitato di verifica, che costituisce il presupposto del diniego impugnato, costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile davanti al giudice amministrativo solo se manifestamente illogico.
L'Avvocatura ha poi anche sostenuto l'erroneità delle conclusioni alle quali è giunto il TAR in relazione ai poteri esercitati.
4.- L'appello non è fondato.
4.1Al  riguardo, deve essere preliminarmente respinta la doglianza sollevata dall'Avvocatura dello Stato riguardante la tardività della domanda presentata dal dr. Chiodi il 28 febbraio 2003 per il riconoscimento della causa di servizio e la concessione dell'equo indennizzo, tenuto conto che, a prescindere da quanto in proposito osservato dal TAR per la  Lombardia, la doglianza dell'Avvocatura non ha carattere processuale ma  riguarda un eventuale vizio del procedimento che non ha costituito oggetto del decreto di diniego impugnato in primo grado.
5.-  Passando al merito della controversia, si deve ricordare che, come affermato anche dalla Avvocatura dello Stato, per principio pacifico i giudizi medicolegali espressi dalle competenti Commissioni mediche ospedaliere sulla idoneità psicofisico dei pubblici dipendenti sono connotati da discrezionalità tecnica e non sono censurabili, se non per evidente irragionevolezza, illogicità o travisamento dei fatti, né tale giudizi, emessi dagli unici organi legittimati a compiere gli specifici accertamenti richiesti, possono essere contraddetti da eventuali certificazioni mediche di parte (fra le più recenti: Consiglio di Stato,  sez. IV, 11 febbraio 2011, n. 922).
6.- La fattispecie all'esame di questo Collegio assume peraltro aspetti peculiari perché il TAR, ritenendo sussistessero i presupposti, ha disposto, in relazione alla malattia denunciata dal dr. Chiodi ed alla sua possibile dipendenza da causa di servizio, una apposita C.T.U. che è  stata svolta dal dr. Francesco Morteo, Dirigente medico dell'Inail di Varese e specialista in medicina legale e delle assicurazioni.
Dagli  esiti di tale Consulenza Tecnica, dalla quale oramai non si può più prescindere, è emersa una irragionevolezza degli atti impugnati, che si fonda su argomentazioni tratte dalla scienza medica. Da tale accertata irragionevolezza può conseguire quindi l'annullamento degli atti impugnati davanti al TAR.
7.- Ciò posto non può peraltro condividersi la conclusione alla quale è giunto il TAR di ritenere (anche) accertata la dipendenza da causa di servizio della infermità riconosciuta al dr. Chiodi.
Si oppongono, infatti, alla conclusione cui è pervenuto il TAR due ordini di considerazioni: una di natura processuale ed una di natura sostanziale.
Sotto il profilo processuale deve  ritenersi erronea la modifica (operata dal TAR) del petitum del ricorso  di primo grado e la conseguente trasformazione della richiesta di annullamento dell'atto impugnato in una richiesta di accertamento della pretesa sostanziale (di diritto soggettivo) fatta valere dalla parte.
Nella  fattispecie, infatti, contrariamente a quanto affermato dal TAR, l'interessato non poteva ritenersi titolare di un vero e proprio diritto  soggettivo al riconoscimento della causa di servizio (e dell'equo indennizzo), essendo la sua posizione soggettiva di interesse legittimo,  in quanto teso alla corretta conclusione del procedimento avviato con la richiesta da lui avanzata all'amministrazione.
In conseguenza anche l'azione da lui proposta correttamente era qualificata come azione di annullamento.
Erronea  risulta quindi la diversa qualificazione data dal TAR all'azione proposta ed erronee, in conseguenza, sono le conclusioni alle quali è giunta la sentenza appellata.
8.- In proposito  questo Consiglio di Stato ha (anche di recente) affermato che l'atto di  riconoscimento (o di diniego) dell'equo indennizzo è emesso a conclusione di un procedimento in cui intervengono pareri di organi tecnico/consultivi caratterizzati da discrezionalità tecnica quanto alla  riconduzione della menomazione all'integrità fisica alla malattia già riconosciuta dipendente da causa di servizio e che la posizione soggettiva del pubblico dipendente che aspiri al beneficio deve ritenersi quindi di interesse legittimo e non di diritto soggettivo. Solo a seguito della concessione dell'equo indennizzo le questioni in ordine all'esatta determinazione delle somme dovute rivestono posizioni di diritto soggettivo e possono essere quindi azionate nell'ordinario termine di prescrizione (Consiglio di Stato, sez. VI, 15 dicembre 2010, n. 8916; 18 agosto 2010, n. 5888).
9.- Il collegio ritiene che le conclusioni alle quali è giunto il TAR per la Lombardia non possono ritenersi condivisibili anche per un altro motivo strettamente connesso.
Infatti, ai sensi dell'art. 14 del D.P.R. n. 461 del 29 ottobre 2001,  l'Amministrazione deve esprimersi sulle istanze volte ad ottenere il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di una infermità su  conforme parere rese dal Comitato per la verifica delle cause di servizio, previsto dall'art. 10 del medesimo D.P.R., nel quale sono presenti soggetti di diversa estrazione e dotati di diverse competenze tecniche, scelti tra esperti della materia, provenienti dalle diverse magistrature, dall'Avvocatura dello Stato e dal ruolo unico dei dirigenti dello Stato, nonché tra ufficiali medici superiori e qualifiche equiparate della Polizia di Stato e tra funzionari medici delle amministrazioni dello Stato. Per l'esame delle domande relative a militari o appartenenti a corpi di polizia anche ad ordinamento civile il Comitato è inoltre integrato da ufficiali  o funzionari del corpo o
dell'amministrazione di appartenenza.
Ora,  anche a voler ammettere che la valutazione compiuta, nel corso del giudizio di primo grado, dal C.T.U. nominato dal TAR abbia dimostrato non solo l'esistenza della malattia sofferta dal dr. Chiodi ma anche la sua possibile dipendenza da causa di servizio, l'accertamento in concreto di tale dipendenza con il servizio svolto dall'interessato non può tuttavia che essere effettuato dalla apposita Commissione, le cui competenze, come si è detto, anche per la variegata e qualificata estrazione tecnica dei suoi componenti, sono diverse e non possono essere sostituite da una valutazione di natura tecnica (per sua natura parziale e quindi limitata) compiuta da un soggetto estraneo all'amministrazione (il C.T.U.), che tutte quelle competenze non può assommare.
10.- Sulla base di tali considerazioni l'appello deve essere accolto in parte e il dispositivo della sentenza appellata deve essere quindi riformato, disponendosi (solo) l'annullamento del decreto con il quale il Ministero dell'Interno, in data 23 gennaio 2006, aveva rigettato la domanda dell'interessato volta al riconoscimento della causa di servizio ed alla  concessione dell'equo indennizzo, nonché del presupposto parere n. 268/2005, reso dal Comitato di verifica per le cause di servizio, nella seduta del 12 ottobre 2005.
11.- L'Amministrazione dovrà quindi rivalutare l'istanza dell'interessato sulla base di un nuovo parere del Comitato di verifica, che dovrà tenere  conto anche delle conclusioni alle quali è giunto il CTU incaricato dal  TAR per la Lombardia.
12.- In conclusione l'appello è accolto nei limiti di cui in motivazione.
13- Le spese del grado di appello possono essere integralmente compensate fra le parti.P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
accoglie  l'appello, nei sensi di cui in motivazione e, per l'effetto, riforma il  dispositivo della appellata sentenza del T.A.R. per la Lombardia, Sede di Milano, Sezione III, n. 3153 del 6 aprile 2009, disponendo l'annullamento del decreto n. 79/N con il quale il Ministero dell'Interno, in data 23 gennaio 2006, aveva rigettato la domanda dell'interessato volta al riconoscimento della causa di servizio ed alla  concessione dell'equo indennizzo, nonché del presupposto parere n. 268/2005, reso dal Comitato di verifica per le cause di servizio, nella seduta del 12 ottobre 2005.
Dispone la compensazione fra le parti delle spese e competenze del grado di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.