Riceviamo da Ficiesse e pubblichiamo
L’ASSEGNAZIONE
TEMPORANEA PER I GENITORI DI FIGLI MINORI DEVE ESSERE RICONOSCIUTA ANCHE AI
MILITARI. CONDANNATA AL RISARCIMENTO DEI DANNI L’AMMINISTRAZIONE CHE L’HA NEGATA
(Consiglio di Stato)
N. 04605/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4605 del 2012, proposto da:
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
************, rappresentata e difesa dagli avv. ************;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - BOLOGNA: SEZIONE I n. 00238/2012, resa tra le parti, concernente rigetto domanda di trasferimento per motivi di famiglia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di ************
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 giugno 2013 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Collabolletta e l’avv. ************
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La signora ************, caporal maggiore dell’Esercito in servizio presso il Reparto comando e supporto tattici “Friuli”, ha presentato separate istanze di trasferimento o di assegnazione temporanea presso la sede di Bari, per gravi esigenze familiari.
Avendo l’Amministrazione militare respinto tali istanze, la signora ************ ha impugnato gli atti di diniego (provvedimento n. 14696 dell’8 agosto 2011, notificato il 29 agosto 2011, con riguardo alla richiesta di trasferimento; provvedimento n. 111707/Pers4 in data 17 ottobre 2011, notificato il 26 ottobre 2011, con riguardo alla richiesta di assegnazione temporanea), come pure – per quanto di eventuale ragione – la normativa interna di settore.
Con sentenza 2 aprile 2012, n. 238, il T.A.R. per l’Emilia Romagna, sez. I, ha accolto il ricorso, ritenendo che il beneficio dell’assegnazione temporanea - accordato ai dipendenti di amministrazioni pubbliche con figli minori sino a tre anni di età dall’art. 42-bis del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 - valga anche per il personale militare, per effetto del rinvio disposto dall’art. 1493 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (c.d. codice dell’ordinamento militare).
Per l’effetto, il T.A.R. ha annullato i provvedimenti impugnati, condannando l’Amministrazione a disporre l’assegnazione temporanea della ricorrente nella sede di Bari e respingendo la domanda di risarcimento del danno.
Contro la sentenza ha interposto appello l’Amministrazione della difesa, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.
L’Amministrazione osserva che:
• l’odierna appellata avrebbe omesso di gravare il provvedimento di rigetto dell’istanza di assegnazione temporanea, adottato dallo Stato maggiore dell’Esercito in data 18 maggio 2011;
• il provvedimento dell’8 agosto 2011 (semplice comunicazione del Comando di brigata, come tale forse neppure impugnabile, della determinazione negativa presa dal Comandante delle forze operative terrestri sulla situazione segnalata dal Comando del reparto di appartenenza dell’interessata) farebbe seguito a un’accurata valutazione della vicenda da parte dell’autorità competente, che – alla luce della variegata casistica, quotidianamente esaminata – avrebbe escluso che la sola circostanza allegata (essere cioè il coniuge dipendente dell’impresa familiare) concretizzasse una ipotesi di estrema ed eccezionali gravità ;
• il provvedimento del 17 ottobre 2011 avrebbe avuto contenuto negativo per la mancanza del presupposto (temporaneità della problematica) espressamente richiesto dalla circolare, sulla cui base la richiesta era stata formulata.
Nel merito, la difesa erariale sottolinea la specificità dello status militare, che troverebbe conferma nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, a partire dalle decisione rese sulla nota questione dell’estensione agli appartenenti alle Forze armate e alle Forze di polizia dei benefici riconosciuti dall’art. 33 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nel testo riformulato dalla legge 4 novembre 2010, n. 183.
La situazione non sarebbe sostanzialmente mutata per effetto dell’entrata in vigore del codice dell’ordinamento militare, con il quale il legislatore avrebbe inteso solo fare opera di sintesi delle disposizioni prima disseminate in una moltitudine di fonti primarie preesistenti, senza introdurre nuove garanzie o precedere nuovi strumenti giuridici a favore del personale militare. In particolare, nella disposizione dell’art. 1493 citato andrebbe valorizzato l’inciso “tenendo conto del particolare stato rivestito”, che marcherebbe il permanere della distinzione tra lo status di dipendente civile e quello di dipendente militare. Anche recenti iniziative legislative, rivolte a estendere al personale militare le garanzie previste dall’art. 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001, dimostrerebbero che, allo stato, la complessiva normativa di settore richiederebbe una lettura restrittiva.
In punto di fatto, peraltro, lo Stato Maggiore dell’Esercito avrebbe sempre cercato, nell’esercizio dei propri poteri discrezionali, di assicurare al proprio personale i benefici previsti a tutela della paternità e della maternità , escludendo però l’assegnazione temporanea perché ritenuta incompatibile con le esigenze funzionali e operative delle Forze armate e con gli obblighi connessi allo status militare.
La signora ************ si è costituita in giudizio per resistere all’appello.
Oltre a contrastare l’appello nel merito, la parte privata propone appello incidentale, chiedendo l’annullamento del diniego di trasferimento (provvedimento n. 14696 dell’8 agosto 2011) e la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno non patrimoniale prodotto dalla lesione dei “diritti, costituzionalmente garantiti, di mamma e moglie”, valutato nella misura di euro 47.593,00, oltre agli interessi e alla rivalutazione monetaria.
La domanda cautelare è stata respinta dalla Sezione con ordinanza 24 luglio 2012, n. 2867.
Con successiva memoria conclusionale, la signora ************ riepiloga le proprie argomentazioni e insiste sul danno prodotto dall’inottemperanza, da parte dell’Amministrazione, del provvedimento cautelare con cui il T.A.R. ha accolto l’istanza cautelare dell’originaria ricorrente (ordinanza 15 dicembre 2011, n. 970).
All’udienza pubblica dell’11 giugno 2013, l’appello è stato chiamato e trattenuto in decisione.
DIRITTO
In primo luogo, l’Amministrazione appellante rileva che la parte privata non avrebbe impugnato il precedente provvedimento di diniego del 18 maggio 2011.
Non è detto che da tale omissione l’Amministrazione ritenga di dedurre l’inammissibilità del ricorso introduttivo. Peraltro, la difesa della militare replica che i dinieghi successivi avrebbero fatto seguito a richieste presentate sulla base di fatti nuovi, non contestati dall’Amministrazione stessa (le sopravvenute, documentate patologie del figlio Andrea), cosicché la questione appare, in definitiva, irrilevante.
Nel merito dell’affare, la signora ************, esponendo una situazione familiare difficile (due figli in tenera età , il marito residente altrove e impossibilitato a trasferirsi per ragioni di lavoro, la madre affetta da serie patologie), ha chiesto il trasferimento o l’assegnazione temporanea a Bari.
A fondamento delle sue richieste, ha richiamato anche l’art. 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2006.
Il comma 1 di tale articolo stabilisce che “il genitore con figli minori fino a tre anni di età dipendente di amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, può essere assegnato, a richiesta, anche in modo frazionato e per un periodo complessivamente non superiore a tre anni, ad una sede di servizio ubicata nella stessa provincia o regione nella quale l'altro genitore esercita la propria attività lavorativa, subordinatamente alla sussistenza di un posto vacante e disponibile di corrispondente posizione retributiva e previo assenso delle amministrazioni di provenienza e destinazione. L'eventuale dissenso deve essere motivato. L'assenso o il dissenso devono essere comunicati all'interessato entro trenta giorni dalla domanda”.
Il Consiglio di Stato è stato fermo nel ritenere che questa particolare disciplina di favore non valesse per il personale delle Forze armate e delle Forze di polizia, assoggettato alle disposizioni proprie dei rispettivi ordinamenti (cfr. sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7506; sez. III, 26 ottobre 2011, n. 5730).Senonché tale giurisprudenza è stata declinata con riferimento a vicende avvenute in epoca anteriore all’entrata in vigore del codice dell’ordinamento militare, l’art. 1493, comma 1, del quale recita che “al personale militare femminile e maschile si applica, tenendo conto del particolare stato rivestito, la normativa vigente per il personale delle pubbliche amministrazioni in materia di maternità e paternità , nonché le disposizioni dettate dai provvedimenti di concertazione”.Ritenere che il codice abbia voluto solo riassumere la normativa preesistente significa – almeno sotto il profilo di specie – assoggettare la disposizione a un’interpretazione abrogatrice, che non può essere consentita anche nel quadro di una visione complessiva delle linee di tendenza dell’ordinamento.
Valga, a tal fine, il raffronto con la più recente formulazione dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992, in ordine al quale la giurisprudenza del Consiglio di Stato, dopo alcune iniziali oscillazioni, si è consolidata nel senso di ritenere applicabile la nuova versione del testo anche agli appartenenti alle Forze armate e di polizia e ai pubblici dipendenti a questi equiparati, non potendo rappresentare un ostacolo, a quest’effetto, il rinvio a futuri provvedimenti legislativi fatto dall’art. 19 della legge di riforma (cfr. ex plurimis, da ultimo, sez. IV, 19 febbraio 2013, n. 1005, ove più dettagliata motivazione e riferimenti ulteriori).
Trattandosi di disposizioni rivolte a dare protezione a valori di rilievo costituzionale, ne segue che ogni eventuale limitazione o restrizione nell’applicazione dovrebbe essere espressamente dettata e congruamente motivata. Il che evidentemente non sembra essere nel caso in questione, anche perché non è certo sufficiente rievocare una iniziativa legislativa depositata prima dell’entrata in vigore del codice dell’ordinamento militare e con riguardo a una giurisprudenza del Consiglio di Stato formatasi su un assetto normativo ormai superato (si veda la relazione all’atto Senato n. 1282 della XVI legislatura) per negare al codice quell’efficacia innovativa che esso indubbiamente riveste.
L’affermazione che l’art. 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001 è norma di favore, che opera a vantaggio anche dei dipendenti delle Forze armate e delle Forze di polizia, va tuttavia meglio precisata, proprio alla luce delle spiccate analogie con le problematiche tipiche dell’art. 33 della legge n. 104 del 1992.
Con particolare riguardo alla previsione dell’art. 33, comma 5, il Consiglio di Stato è sempre stato netto nell’escludere che la posizione del dipendente pubblico, il quale richieda la concessione del beneficio, possa qualificarsi come un diritto soggettivo. Come appare dall’inciso “ove possibile”, racchiuso nel comma 5 ora ricordato, la situazione soggettiva azionata costituisce un interesse legittimo, nel senso che all’Amministrazione spetta valutare la richiesta del dipendente alla luce delle esigenze organizzative e di efficienza complessiva del servizio.
Tale inciso ha un corrispondente puntuale, anche se non testualmente conforme, nel comma 1 dell’art. 1493 del codice, che estende i benefici in discorso al personale militare “tenendo conto del particolare stato rivestito”.
In conclusione: l’art. 42-bis del decreto legislativo n. 151 del 2001 vale anche per il personale militare, e dunque la signora ************ legittimamente ne rivendica l’applicazione a proprio beneficio. Nel fare ciò, peraltro, l’Amministrazione della difesa dovrà valutare la richiesta del privato anche alla luce dell’interesse pubblico e, motivando congruamente, accordare il beneficio richiesto quando a ciò non siano di ostacolo prevalenti esigenze organizzative e di servizio (si veda Cons. Stato, sez. IV, ordinanza 5 febbraio 2013, n. 405).
Dalle considerazioni che precedono, discende che l’appello dell’Amministrazione è infondato e va perciò respinto.
Quanto all’appello incidentale della parte privata, il primo capo di esso ha carattere subordinato ed è pertanto improcedibile.
Circa l’altro capo, relativo alla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale sofferto dall’appellata da costei formulata con appello in via incidentale, osserva il Collegio che la responsabilità della P.A. per fatto illecito presuppone – in linea generale e salve specifiche eccezioni – l’elemento soggettivo della colpa. Questa non si identifica con l’illegittimità del provvedimento impugnato e nel caso di specie va esclusa, in considerazione della incertezza interpretativa che, anche in assenza di una già definita linea di tendenza del Giudice amministrativo, inevitabilmente fa seguito a innovazioni legislative quale quella realizzata dal codice dell’ordinamento militare.
Ciò, peraltro, è vero con riguardo al periodo intercorrente fra la richiesta iniziale e il momento in cui il T.A.R. ha adottato la misura cautelare sollecitata dall’originaria ricorrente (come si è detto in narrativa, 15 dicembre 2011).
L’elemento soggettivo è invece indiscutibile per la fase successiva della vicenda.
Suscita inquietudine e perplessità , invero, la circostanza che l’Amministrazione non abbia dato esecuzione al provvedimento cautelare, attendendo invece l’esito nel merito del giudizio di primo grado e provvedendo a trasferire l’interessata a Bari solo a far data dall’11 aprile 2012.
Sotto questo profilo, appare configurarsi un’autonoma ragione di danno risarcibile, che nella memoria conclusionale l’appellante incidentale valuta in euro 10.738,00.
Come discende dalla documentazione versata in atti dalla parte privata e non contestata dall’Amministrazione, l’allontanamento della signora ************ dal figlio Andrea dopo il periodo natalizio – che non si sarebbe verificato se fosse stata data esecuzione all’ordinanza cautelare – ha fortemente accentuato la situazione di stress e disagio psicologico del bambino, che aveva conosciuto un netto miglioramento in relazione all’assidua presenza della madre (si vedano le relazioni mediche del 13, 17 e 26 gennaio 2012).
Il Collegio considera perciò provata l’esistenza di un danno non patrimoniale obiettivamente apprezzabile, riferibile, in chiave causale, alla mancata ottemperanza al provvedimento cautelare. Non potendo tale danno essere provato nel suo preciso ammontare, il Collegio, applicando criteri equitativi, ritiene di liquidarlo in euro 10.000,00.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza, conformemente alla legge, e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale; in parte dichiara improcedibile e in parte accoglie l’appello incidentale.
Per l’effetto, conferma la sentenza impugnata in parte qua, condannando l’Amministrazione al risarcimento del danno, nei sensi di cui in motivazione, nella misura di euro 10.000,00 (diecimila/00).
Condanna l’Amministrazione alle spese di giudizio, che liquida nell’importo di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre agli accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2013
Nessun commento:
Posta un commento