IMPIEGATI DEGLI ENTI LOCALI
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 26-08-2013, n. 19573
IMPIEGATI DEGLI ENTI LOCALI
Procedimento e punizioni disciplinari
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio - Presidente -
Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere -
Dott. MANNA Antonio - rel. Consigliere -
Dott. MANCINO Rossana - Consigliere -
Dott. PAGETTA Antonella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1016/2012 proposto da:
(Lpd) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RAFFAELE DE CESARE 36, presso lo studio dell'avvocato CASSANDRO ANTONELLA, rappresentata e difesa dall'avvocato LONGO Eugenio, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
COMUNE (Lpd) (OMISSIS);
- intimato -
Nonchè da:
-
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
(Lpd) (OMISSIS);
- intimata -
avverso la sentenza n. 1118/2011 della CORTE D'APPELLO di PALERMO, depositata il 26/07/2011 r.g.n. 1545/09 + 1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e accoglimento del ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 26.7.11 la Corte d'appello di Palermo rigettava i gravami interposti da (Lpd) contro le sentenze del Tribunale di Termini Imerese che ne aveva respinto le impugnative delle sanzioni disciplinari (sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi e, poi, licenziamento) irrogatele dal Comune di (Lpd).
Per la cassazione di tale sentenza ricorre la N. affidandosi ad otto motivi.
Il Comune di (Lpd) resiste con controricorso e spiega ricorso incidentale basato su un solo motivo.
Motivi della decisione
Preliminarmente ex art. 335 c.p.c., si riuniscono i ricorsi perchè aventi ad oggetto la medesima sentenza.
Ancora in via preliminare va disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dal Comune controricorrente sulla base dell'erroneo presupposto della perdurante applicabilità dell'art. 366 bis c.p.c. (ormai abrogato dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, abrogazione che, ex art. 58, u.c. stessa legge, è applicabile alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla data di entrata in vigore della legge, come avvenuto nel caso di specie) e per asserita carente esposizione dei fatti di causa (non ravvisabile nel caso di specie).
Quanto all'omessa indicazione, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, degli atti e dei documenti su cui si fonda il ricorso principale, si rinvia alla disamina dei singoli motivi e alle assorbenti ragioni di loro inammissibilità od infondatezza.
1- Con il primo motivo del ricorso principale si lamenta violazione e falsa applicazione del CCNL comparto regioni ed enti locali, nonchè vizio di motivazione, per avere l'impugnata sentenza trascurato che la recidiva, pur integrando elemento costitutivo delle sanzioni disciplinari di cui all'art. 3, comma 7, lett. a) e lett. e) cit.
CCNL nella parte relativa alla reiterata e ingiustificata assenza dal lavoro, non era stata contestata, con conseguente nullità delle sanzioni medesime.
Il motivo è inammissibile perchè non confuta con specifiche argomentazioni il nucleo della motivazione con cui i giudici del merito hanno escluso, a monte, che la recidiva costituisse elemento costitutivo del licenziamento disciplinare irrogato all'odierna ricorrente e hanno ricollegato le sanzioni ad assenze protrattesi ben oltre il termine entro cui poteva rilevare la recidiva medesima.
Per l'esattezza, l'impugnata sentenza ha puntualizzato che la sospensione dal servizio e dalla retribuzione per sei mesi è stata applicata per assenze ingiustificate (superiori ai 15 giorni) protrattesi dal 26 ottobre al 16 novembre 2007 e lo stesso art. 3, comma 6, lett. b) del CCNL allegato al ricorso non prescrive che tali assenze rilevino solo in presenza di recidiva.
Quanto al licenziamento, esso è stato intimato per ulteriori assenze ingiustificate protrattesi dal 5 luglio all'8 settembre 2008, vale a dire per oltre due mesi a fronte di una previsione contrattuale - quella dell'art. 3, comma 7, lett. d) cit. CCNL - che consente il licenziamento anche per assenze arbitrarie prolungatesi oltre i quindici giorni, ove non seguite dalla ripresa del servizio nel termine fissato dall'ente.
2- Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 25 CCNL comparto regioni ed enti locali, dell'art. 7 Stat. e vizio di motivazione, per non avere i giudici di merito risposto alla doglianza secondo cui il Comune di Castronovo avrebbe valutato a carico della ricorrente anche sanzioni disciplinari adottate oltre due anni prima delle contestazioni per cui è causa.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente trascritto nè allegato l'atto d'appello nè indicato in che parte conterrebbe tale censura.
Infatti - come statuito da costante giurisprudenza di questa S.C., cui va data continuità - la parte che mediante ricorso per cassazione impugni una sentenza per omessa pronuncia su una domanda o su un'eccezione deve specificare, a pena di inammissibilità, in quale atto difensivo o verbale d'udienza l'abbia formulata, per consentire al giudice di verificare ritualità, tempestività e decisività della relativa questione; invero, pur configurando la violazione dell'art. 112 c.p.c., un error in procedendo, per il quale la Corte Suprema è giudice anche del fatto processuale, il potere/dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che essa debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte interessata l'onere di indicarli (cfr.
Cass. S.U. 14.5.10 n. 11730).
Per altro, la doglianza non è nemmeno conferente, poichè l'impugnata sentenza ha considerato di per sè sufficienti a giustificare le sanzioni oggetto di causa già soltanto le prolungate assenze ingiustificate della N., a prescindere da ipotetici suoi precedenti disciplinari (risalenti o meno al precedente biennio), di cui non fa alcuna menzione.
3- Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del CCNL comparto regioni ed enti locali, nonchè vizio di motivazione, nella parte in cui sono state considerate a fini di recidiva anche sanzioni disciplinari per le quali era in corso il giudizio di impugnazione.
Anche questo motivo non è conferente: in realtà la Corte territoriale non ha affatto valutato come recidive infrazioni disciplinari ancora sub indice, ritenendo - giova ribadire - di per sè sufficienti già soltanto le prolungate assenze ingiustificate della ricorrente e limitandosi a richiamare la condotta della N. (nei giorni precedenti alle assenze iniziate il 5 luglio e protrattesi fino all'8 settembre 2008) all'unico fine di meglio inquadrare l'evoluzione della vicenda nel suo complesso, senza minimamente considerare od affermare l'esistenza di precedenti contestazioni o sanzioni disciplinari oltre a quelle per cui è causa.
4- Con il quarto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell'art. 24, comma 2., lett. c) CCNL comparto regioni ed enti locali e dell'art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., per avere l'impugnata sentenza ritenuto tempestiva una contestazione disciplinare avvenuta il 10.9.08 a fronte di assenze ingiustificate della ricorrente protrattesi dal 5.7.08 all'8.9.08, nonostante che il contratto prevedesse che la contestazione dovesse avvenire tempestivamente e, comunque, non oltre i 20 giorni.
Il motivo è infondato per l'assorbente rilievo che la tempestività va valutata al momento della cessazione dell'illecito disciplinare continuato (cfr. Cass. 1.2.10 n. 2283), sicchè non si vede come possa considerarsi tardiva una contestazione mossa a 48 ore dal termine d'un periodo ininterrotto di assenza ingiustificata.
5- Con il quinto motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c. e art. 32 Cost., nonchè di vizio di motivazione per non avere la gravata pronuncia ritenuto giustificate le assenze dal lavoro della N. malgrado i certificati medici e gli altri documenti versati in atti in ordine ai concreti pericoli per la salute derivanti dalle condizioni di lavoro.
Con il sesto motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1460 c.c., D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 3, 4 e 16, art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè di vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale negato che la ricorrente potesse legittimamente astenersi dal lavoro a causa dell'inadempienza del Comune in relazione all'insalubre e polveroso ambiente lavorativo, incompatibili con l'asma di cui soffriva la ricorrente.
Analoga doglianza viene, in sostanza, fatta valere con il settimo motivo sotto forma di vizio di motivazione nonchè di violazione e falsa applicazione dell'art. 2087 c.c., art. 32 Cost., art. 18 Stat.
e del D.Lgs. n. 626 del 1994, con particolare riferimento a quella parte dell'impugnata sentenza in cui si afferma che la ricorrente avrebbe quanto meno potuto offrire la propria prestazione in altri ambienti lavorativi del Comune, trascurando i giudici d'appello la possibilità di un incolpevole errore della lavoratrice nella valutazione dell'insalubrità dell'ambiente di lavoro; la stessa censura viene mossa con l'ottavo motivo, sotto forma di vizio di motivazione e violazione dell'art. 2087 c.c. e del D.Lgs. n. 626 del 1994.
I quattro motivi - da esaminarsi congiuntamente perchè connessi - sono infondati.
Con motivazione in fatto immune da vizi logici o giuridici l'impugnata sentenza ha rilevato, proprio sulla scorta dei certificati medici invocati dalla ricorrente, che ella non era inidonea alle mansioni affidatele, ma solo che non doveva trattenersi in locali polverosi e che i contingenti lavori di messa in sicurezza dell'impianto elettrico dell'edificio potevano aver cagionato un grado di polverosità, ma che ciò era compensato dalla presenza di tre grandi finestre nella biblioteca cui era addetta la ricorrente e che potevano consentire una certa aerazione. Inoltre, proprio per tale ragione la ricorrente era stata trasferita ad altro piano, pur non munito di bagni. E, sebbene il medico competente avesse sconsigliato alla ricorrente lo scendere e il salire le scale per raggiungere i bagni collocati a distanza di un solo piano, nondimeno le stesse patologie riferite a pag. 3 del ricorso (ipertensione arteriosa, fibromatosi uterina, asma, sindrome depressiva) non evidenziano alcuna impossibilità di salire o scendere una rampa di scale, anche perchè ciò sarebbe stato necessario non già per lunghi periodi nel corso della giornata lavorativa, ma soltanto per il tempo necessario ad accedere ai servizi igienici.
Ciò detto, pur considerando tali limitazioni la Corte territoriale ha accertato, con apprezzamento di fatto non censurabile in questa sede, che la capacità lavorativa della ricorrente in relazione ai locali del Comune di Castronovo non era tale da giustificare il rifiuto di qualsiasi prestazione e in qualunque stanza, ben potendo la N. recarsi al lavoro e rendersi comunque disponibile ad espletare mansioni confacenti al proprio stato di salute e in luoghi idonei, a maggior ragione considerato che - come sottolineato sempre dai giudici del merito - i lavori di messa in sicurezza dell'impianto elettrico e i conseguenti disagi per la polverosità nell'ambiente si erano conclusi nel marzo 2008, dunque ben prima del periodo in cui si è protratta l'assenza dal lavoro della ricorrente (dal 5.7.08 all'8.9.08) poi culminata con la contestazione disciplinare e il conseguente licenziamento.
In breve, ove pure - in via di mera congettura - il lavoratore eccepisca a ragione che uno o più locali siano incompatibili con il proprio stato di salute, nondimeno ciò non lo autorizza a valutare da sè l'ipotetica inesistenza di collocazioni alternative (per ambiente e/o mansioni) e, per l'effetto, ad assentarsi puramente e semplicemente dal lavoro (come, invece, ha fatto l'odierna ricorrente).
Nè valga nel caso di specie il richiamo al rimedio sinallagmatico in via di autotutela di cui all'art. 1460 c.c., noto essendo l'insegnamento giurisprudenziale di questa Corte Suprema secondo cui nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora una delle parti adduca, a giustificazione della propria inadempienza, l'inadempimento dell'altra, il giudice deve procedere alla valutazione comparativa dei comportamenti, considerando non tanto il mero elemento cronologico quanto i rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute rispetto alla funzione economico-sociale del contratto, il tutto alla luce dei reciproci obblighi di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. e ai sensi dello stesso cpv. dell'art. 1460 c.c., affinchè l'eccezione di inadempimento sia conforme a buona fede e non pretestuosamente strumentale all'intento di sottrarsi alle proprie obbligazioni contrattuali.
Quanto alla possibilità di un incolpevole errore della lavoratrice nella valutazione dell'insalubrità dell'ambiente di lavoro, basti ricordare che ex art. 1218 c.c., l'atteggiamento psicologico non è rilevante ai fini della qualificazione dell'inadempimento, neppure in termini di eventuale esimente putativa (cfr., per tutte, Cass. 3.5.11 n. 9714).
6- Con l'unico motivo del ricorso incidentale il Comune di (Lpd) si duole della compensazione delle spese del grado d'appello statuita dall'impugnata sentenza con motivazione di stile e meramente apparente.
Il motivo è fondato.
Nei giudizi instaurati (come quello in oggetto) dopo l'entrata in vigore della L. 28 dicembre 2005, n. 263, il giudice può procedere a compensazione parziale o totale tra le parti in mancanza di soccombenza reciproca solo se ricorrono giusti motivi esplicitamente indicati nella motivazione, atteso il tenore dell'art. 92 c.p.c., comma 2, come modificato dall'art. 2, comma 1, lett. a) della legge citata (cfr. Cass. 27.7.12 n. 13460). Invece nel caso in esame non si applica, ratione temporis, il testo dell'art. 92 co. 2 c.p.c. ulteriormente modificato dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11.
Orbene, ai predetti fini è manifestamente inidonea la motivazione espressa dall'impugnata sentenza, limitata al rilievo di una non meglio chiarita "peculiarità della questione", che non spiega se con essa ci si riferisce ad una particolare problematicità in fatto e/o in diritto della controversia, tale da giustificare l'azione in giudizio da parte della ricorrente, oppure ad altre ragioni idonee da un punto di vista equitativo.
7- In conclusione, il ricorso principale è da rigettarsi, mentre merita di essere accolto quello incidentale.
Per l'effetto, si cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto, con rinvio alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione, che dovrà limitarsi a provvedere sulle spese del giudizio d'appello e di quello di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e accoglie l'incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Palermo in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013.
Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2013
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