Translate

venerdì 24 gennaio 2014

TAR:"... ordinanza del Sindaco del Comune di (Lpd) del 29.1.2013, avente ad oggetto la "disciplina degli orari e delle seguenti attività: attività di commercio al dettaglio in sede fissa attività di vendita da parte di artigiani, commercio su aree pubbliche, attività di trattenimento e svago, attività di somministrazione di alimenti e bevande, attività di acconciatore estetista e affini, esercizi di rimessa", nonché di ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale.."


 TAR:



T.A.R. Lombardia (Lpd) Sez. I, Sent., 14-01-2014, n. 141
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 884 del 2013, proposto da:
-
contro
Comune di -
nei confronti di
-
sul ricorso numero di registro generale 1137 del 2013, proposto da:
-
contro
-
nei confronti di
-
per l'annullamento
- quanto al ricorso n. 884 del 2013: dell'ordinanza del Sindaco del Comune di (Lpd) del 29.1.2013, avente ad oggetto la "disciplina degli orari e delle seguenti attività: attività di commercio al dettaglio in sede fissa attività di vendita da parte di artigiani, commercio su aree pubbliche, attività di trattenimento e svago, attività di somministrazione di alimenti e bevande, attività di acconciatore estetista e affini, esercizi di rimessa", nonché di ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale.
- quanto al ricorso n. 1137 del 2013: la deliberazione di C.C. n. 9 del 4.3.2013, con cui è stato approvato il "regolamento per la disciplina del commercio su aree pubbliche", nonché di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale.
Visti i ricorsi e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di (Lpd);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2013 il dott. Angelo Fanizza e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
Ai fini di un più agevole riepilogo dei fatti di causa, si procede all'illustrazione separata dei ricorsi, quantunque questi, per ragioni di connessione soggettiva ed oggettiva, debbano essere riuniti e congiuntamente definiti.
1) R.G. 884/2013.
Gli odierni ricorrenti, esercenti in forma itinerante l'attività di somministrazione di alimenti e bevande, hanno impugnato, chiedendone l'annullamento, l'ordinanza del Sindaco del Comune di (Lpd) del 29.1.2013, avente ad oggetto la "disciplina degli orari e delle seguenti attività: attività di commercio al dettaglio in sede fissa attività di vendita da parte di artigiani, commercio su aree pubbliche, attività di trattenimento e svago, attività di somministrazione di alimenti e bevande, attività di acconciatore estetista e affini, esercizi di rimessa", nonché ogni atto connesso, presupposto e/o consequenziale.
A fondamento dell'impugnazione hanno dedotto i seguenti motivi:
1) mancata comunicazione di avvio del procedimento; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 7 e seguenti della L. n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia;
2) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 19 della L.R. n. 6 del 2010; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia;
3) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 50 del D.Lgs. n. 267 del 2000; incompetenza assoluta e/o relativa; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia;
4) violazione e/o falsa applicazione dell'art 41 della Costituzione, dell'art. 28 del D.Lgs. n. 114 del 1998, dell'art. 3, comma 1 della L. n. 223 del 2006 e dell'art. 22 della L.R. n. 6 del 2010; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia, sviamento e disparità di trattamento;
5) violazione e/o falsa applicazione dell'art 41 della Costituzione, dell'art. 28 del D.Lgs. n. 114 del 1998, degli artt. 21 e 22 della L.R. n. 6 del 2010; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia, sviamento e disparità di trattamento.
La domanda cautelare è stata radicata, oltre che sulla fondatezza in diritto, sul pregiudizio costituito dal fatto che, per effetto delle imposte limitazioni, "molti dei ricorrenti non riescono a sostenere loro e le loro famiglie economicamente, nonché a sostenere le spese di manutenzione dei loro auto-negozi" (cfr. pag. 7).
Si è costituito in giudizio il Comune di (Lpd) (12.4.2013), che nella memoria del 19.4.2013 ha eccepito in via preliminare la carenza di interesse dei ricorrenti all'annullamento dell'ordinanza impugnata, in quanto le disposizioni concernenti il commercio itinerante non lederebbero la loro posizione; sempre in via preliminare, ha eccepito l'inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del "regolamento per la disciplina del commercio su aree pubbliche", approvato con deliberazione di C.C. n. 9 del 4.3.2013, nonché in considerazione del fatto che "le limitazioni e i divieti che parte ricorrente contesta (...) erano già contenute (ad eccezione di poche nuove vie) nelle precedenti ordinanze ed integrazioni" (cfr. pag. 5); nel merito, ha opposto che "l'ordinanza impugnata è stata adottata nel rispetto delle competenze e del corretto uso dei poteri discrezionali e di merito di cui il Comune è titolare" (cfr. pag. 13); che, comunque, "al caso di specie non si applica tout court la liberalizzazione degli orari di apertura e chiusura degli esercizi commerciali" (cfr. pag. 15) e che, infine, l'impugnata regolamentazione "corrisponde al preminente interesse pubblico, che il Comune, quale ente esponenziale, è chiamato in primis a tutelare e in particolare alla esigenza di viabilità e vivibilità della città" (cfr. pag. 16).
Con ordinanza n. 483 del 26.4.2013 la Sezione ha accolto la domanda cautelare, con la seguente motivazione: "ritenuto: - che sussiste l'interesse all'annullamento dell'ordinanza impugnata, relativamente alle disposizioni concernenti il commercio itinerante, ravvisandosi in capo alle ricorrenti una posizione qualificata e differenziata sia uti singuli sia uti universi, trattandosi di un'associazione di categoria formata da "venditori ambulanti operanti nel Comune di (Lpd)" (cfr. pag. 4 ricorso); - che appare, altresì, infondata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del "regolamento per la disciplina del commercio su aree pubbliche", approvato con deliberazione di C.C. n. 9 del 4.3.2013, dal momento che, nell'ordinanza del 29.1.2013, ritualmente impugnata, sono comunque contenute diposizioni immediatamente lesive dell'interesse dei ricorrenti; - che non coglie, infine, nel segno l'eccezione di inammissibilità per carenza di interesse, motivata sull'assunto secondo cui nel provvedimento impugnato non sarebbe stata apportata alcuna modifica rispetto ai precedenti atti di regolamentazione (cfr. ordinanze del 2001; 2003 e 2008), dovendosi, al contrario, osservare che le censure articolate nel ricorso si fondano sulla disciplina degli orari liberalizzata per effetto di interventi normativi successivi alle richiamate ordinanze; rilevato: - che non sembra fondata la censura relativa al mancato avviso di avvio del procedimento, trattandosi di un provvedimento di regolamentazione che sarebbe conseguito - come espressamente risulta dal preambolo - ad una preventiva consultazione con i sindacati, le associazioni di categoria e dei consumatori; - che le Amministrazioni comunali possono regolare l'attività degli esercizi commerciali, dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici mediante l'esercizio del potere previsto dall'art. 50, comma 7, del D.Lgs. n. 267 del 2000, graduando, in funzione della tutela dell'interesse pubblico prevalente, gli orari di apertura e chiusura al pubblico; - che l'ampiezza di tale potere è stata oggetto di riforma per effetto della modifica legislativa introdotta dall'art. 31 del D.L. n. 201 del 2011, convertito nella L. n. 214 del 2011 (c.d. decreto "Salva Italia"), che ha riformato l'art. 3 del D.L. n. 223 del 2006 nel senso che "le attività commerciali, come individuate dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, e di somministrazione di alimenti e bevande sono svolte senza i seguenti limiti e prescrizioni (...) d-bis) il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l'obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell'esercizio"; - che, pertanto, il regime di liberalizzazione degli orari è applicabile agli esercizi commerciali e a quelli di somministrazione, novero in cui va ricompresa l'attività di commercio su aree pubbliche in forma itinerante, come conferma, altresì, la risoluzione del Ministero dello Sviluppo Economico del 24.10.2012, prodotta dal Comune di (Lpd); - che tale regime non pare contrastare con l'art. 22, comma 2 della L.R. n. 6 del 2010, in cui è previsto che "il commercio su aree pubbliche esercitato in forma itinerante può essere oggetto di limitazioni e divieti per comprovati motivi di viabilità, di carattere igienico sanitario o per altri motivi di pubblico interesse": disposizione, questa, di tenore analogo a quella di cui all'art. 8, comma 6 dell'ordinanza impugnata, ma con riferimento ad "ulteriori aree" rispetto a quelle nominativamente individuate in via di regolamentazione generale; - che, nel caso di specie, non può ritenersi integrato il presupposto per l'esercizio del potere di limitazione e divieto, nei termini di cui alla disposizione sopra citata, avendo, di contro, l'Amministrazione comunale motivato l'impugnata attività di regolamentazione sull'esigenza di "adeguare ed integrare la disciplina degli orari delle attività, a seguito della legislazione nel frattempo intervenuta", nonché di "adeguamento a disposizioni di legge, a modifiche già adottate con precedenti provvedimenti speciali"; - che l'assunto difensivo dell'Amministrazione secondo cui "la regolamentazione degli orari (...) corrisponde al preminente interesse pubblico che il Comune, quale ente esponenziale è chiamato in primis a tutelare e in particolare alla esigenza di viabilità e vivibilità della città" (cfr. pag. 16 memoria difensiva) pare costituire un'integrazione giudiziale della motivazione, che peraltro non sembra ricavabile, nemmeno implicitamente, dall'analisi dell'ordinanza impugnata (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, ottobre 2012, n. 5257); - che, di conseguenza, appare di dubbia legittimità il divieto di svolgimento dell'attività durante l'orario notturno, dovendosi inoltre considerare che: a) l'art. 3 del D.L. n. 138 del 2011, convertito nella L. n. 148 del 2011, ha affermato, in tema di "abrogazione delle indebite restrizioni all'accesso e all'esercizio delle professioni e delle attività economiche", il principio secondo cui "l'iniziativa e l'attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge", derogabile soltanto in caso di accertata lesione di interessi pubblici tassativamente individuati (sicurezza, libertà, dignità umana, utilità sociale, salute), che nella specie non possono, presuntivamente, ritenersi incisi; b) la liberalizzazione degli orari non preclude all'Amministrazione comunale di esercitare il proprio potere di inibizione delle attività per comprovate esigenze di tutela dell'ordine e/o della sicurezza pubblica, nonché del diritto dei terzi al rispetto della quiete pubblica; - che, infine, in relazione alla disposizione di cui all'art. 21, comma 2 della L.R. n. 6 del 2010, in cui si prevede che "il commercio su aree pubbliche in forma itinerante è svolto con mezzi mobili e con soste limitate, di norma, al tempo strettamente necessario per effettuare le operazioni di vendita (...) E' fatto altresì divieto di tornare sul medesimo punto nell'arco della stessa giornata e di effettuare la vendita a meno di 250 metri da altro operatore itinerante", sembra doversi ritenere: a) la legittimità della previsione sulla durata massima della sosta ("non più di due ore", cfr. art. 8, comma 7); b) l'illegittimità della distanza minima tra i punti nei quali poter sostare ("almeno 500 metri", cfr. art. 8, comma 9), non apparendo, tale previsione, poter essere ricondotta alla disciplina di cui all'art. 22, comma 7 della L.R. n. 6 del 2010, che prevede l'interdizione del commercio "su aree pubbliche in forma itinerante nelle aree circostanti fino ad una distanza di 500 metri", ma nella diversa ipotesi di svolgimento in corso "di un mercato o di una fiera"; - che conseguentemente devono sospendersi le previsioni contenute ai commi 4, 8 e 10 (quest'ultimo relativamente alla disciplina degli orari) dell'art.8 dell'impugnata ordinanza".
In vista dell'udienza di discussione nel merito, fissata per il 18.12.2013, le parti hanno depositato le rispettive memorie e repliche.
In particolare:
- nella memoria del 14.11.2013 i ricorrenti hanno proposto istanza di riunione con altro giudizio (R.G. 1137/2013), nel frattempo proposto, insistendo nelle proprie posizioni; hanno, inoltre, chiesto l'annullamento della previsione di cui al comma 9 dell'art. 8 dell'ordinanza impugnata (secondo cui "le soste dello stesso operatore e/o delle stesse attrezzature possono essere fatte solo in punti che distano fra loro almeno 500 metri") e insistito anche per l'annullamento della previsione di cui al comma 7 (secondo cui "nelle aree ove il commercio itinerante è autorizzato, la sosta è consentita nello stesso punto per il tempo strettamente necessario alle operazioni di vendita e comunque per non più di due ore"), motivando tale ultima censura sull'assunto che "gli odierni mezzi, di dimensioni rilevanti e tecnologicamente complessi, per garantire lavorazione, cottura e frittura dei cibi, richiedono articolate e prolungate operazioni di apertura, messa in sicurezza, avviamento, riscaldamento del macchinario" (cfr. pagg. 6 - 7);
- nella memoria del 15.11.2013 il Comune ha ribadito la legittimità della disciplina impugnata, in particolare opponendo che la sua finalità sarebbe stata quella di "dare una regolamentazione omogenea all'attività di commercio itinerante su area pubblica"; in merito al dedotto difetto di motivazione, ha richiamato l'ordinanza cautelare della V Sezione del Consiglio di Stato n. 2712 del 15.7.2013, resa in altro giudizio, ad avviso del quale "trattandosi di atto generale, la stessa non necessita di motivazione ai sensi dell'art. 3, comma 2, L. n. 241 del 1990".
Nelle memorie di replica le parti hanno, poi, ribadito le argomentazioni precedentemente articolate a sostegno delle rispettive posizioni.
2) R.G. 1137/2013
I ricorrenti hanno, inoltre, impugnato, deducendone la nullità e, comunque, chiedendone l'annullamento, la deliberazione di C.C. n. 9 del 4.3.2013, con cui è stato approvato il "regolamento per la disciplina del commercio su aree pubbliche", nonché ogni atto presupposto, connesso e consequenziale.
A fondamento dell'impugnazione hanno dedotto i seguenti motivi:
1) mancata comunicazione di avvio del procedimento; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 7 e seguenti della L. n. 241 del 1990; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia;
2) violazione e/o falsa applicazione dell'art. 19 della L.R. n. 6 del 2010; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia;
3) violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42, 47, 48 e 107 del D.Lgs. n. 267 del 2000; incompetenza assoluta e/o relativa; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia;
4) violazione e/o falsa applicazione dell'ordinanza del Sindaco di (Lpd) del 29.1.2013, dell'art 41 della Costituzione, dell'art. 28 del D.Lgs. n. 114 del 1998, dell'art. 50 del D.Lgs. n. 267 del 2000, dell'art. 3, comma 1 della L. n. 223 del 2006, degli artt. 21 e 22 della L.R. n. 6 del 2010; eccesso di potere per difetto di motivazione e d'istruttoria, travisamento dei fatti e dei presupposti, illogicità, ingiustizia, sviamento e disparità di trattamento.
Hanno, infine, chiesto la riunione di tale giudizio con quello (R.G. 884/2013) precedentemente proposto.
Si è costituito in giudizio, con memoria formale, il Comune di (Lpd) (15.5.2013), chiedendo la reiezione del ricorso.
In vista dell'udienza di discussione nel merito, fissata per il 18.12.2013, le parti hanno depositato le rispettive memorie conclusive.
In particolare:
- nella memoria del 15.11.2013 l'Amministrazione ha eccepito, in via preliminare, l'inammissibilità della domanda di nullità della deliberazione impugnata, non sussistendone i tassativi presupposti di legge, e del ricorso per difetto di legittimazione dei ricorrenti (in linea con le difese svolte nell'ambito del giudizio R.G. 884/2013); nel merito, ha opposto che il regolamento impugnato "ha sostituito il precedente regolamento per la disciplina del commercio ambulante, adottato con deliberazione del Consiglio comunale 21 luglio 1971" (cfr. pag. 7); che i "limiti e modalità di esercizio di vendita e somministrazione su aree pubbliche in forma itinerante (ma anche per i posteggi) sono contemplati dalla legge" (cfr. pag. 5), richiamando, a supporto di tale tesi, le puntuali disposizioni della L.R. n. 6 del 2010 (artt. 21, 22, 29 e 30) e quelle "che disciplinano la circolazione stradale (...) non potendo il Comune derogare ad una norma di rango superiore (...), consentendo la sosta ove la stessa sia vietata" (cfr. pag. 10); ha, infine, replicato che "l'ordinanza sindacale del 29.1.2013 e il regolamento sono stati elaborati pressoché contemporaneamente e la loro stesura è andata di pari passo", pur precisando che tali atti sarebbero del tutto indipendenti l'uno dall'altro (cfr. pag. 13);
- nella memoria del 26.11.2013 i ricorrenti hanno opposto che la deroga alle disposizioni del codice della strada sarebbe ammissibile in forza della specialità della disciplina del commercio e che, comunque, sarebbe stato violato l'obbligo di motivazione.
All'udienza del 18 dicembre 2013 entrambe le cause sono state trattenute per la decisione.
Motivi della decisione
Va, preliminarmente, disposta la riunione dei giudizi ai sensi dell'art. 70 del codice del processo amministrativo, e ciò per ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.
In ordine pregiudiziale, occorre esaminare il ricorso R.G. 884/2013, avente ad oggetto l'impugnazione dell'ordinanza del Sindaco di (Lpd) del 29.1.2013 (in particolare l'art. 8), la cui disciplina - come hanno poi dedotto i ricorrenti - si sarebbe consolidata nel regolamento approvato dall'Amministrazione con deliberazione di C.C. n. 9 del 4.3.2013, oggetto del ricorso R.G. 1137/2013.
In prima battuta, va dichiarata l'infondatezza della domanda di nullità del provvedimento impugnato, avendo i ricorrenti genericamente dedotto l'incompetenza del Sindaco ad adottare l'ordinanza del 29.1.2013.
Tale vizio - che potrebbe, al più, qualificarsi alla stregua di un'incompetenza relativa - è però insussistente, atteso che il regolamento in questione riguarda la "disciplina degli orari" di diverse attività commerciali, pertanto risultando pacifico l'esercizio del potere previsto dall'art. 50, comma 7 del D.Lgs. n. 267 del 2000.
Non ricorre, quindi, nessuna delle tassative ipotesi previste dall'art. 21 septies della L. n. 241 del 1990, e, soprattutto, il difetto assoluto di attribuzione, ravvisabile quando manchi nell'ordinamento una norma che attribuisca all'autorità procedente una posizione di preminenza, funzionale alla tutela dell'interesse pubblico preso in considerazione.
Ragione per cui il terzo motivo di ricorso, con il quale si è censurato che l'atto di regolamentazione "doveva essere adottato (quantomeno anche) dal dirigente del settore competente che invece ha sottoscritto e approvato solo lo schema del provvedimento ma non il provvedimento" (cfr. pagg. 9 - 10), è infondato.
Il Collegio ritiene, poi, di nulla aggiungere a quanto motivatamente rilevato, in sede cautelare, con riguardo alle eccezioni di inammissibilità del ricorso, opposte dall'Amministrazione comunale, la quale, peraltro, nella memoria depositata in data 15.11.2013, non ha mosso, a tal riguardo, alcun ulteriore rilievo.
Oltre che ammissibile, il ricorso è fondato nel merito e va, pertanto, accolto, nei termini che seguono.
Sono infondati, e vanno respinti, i primi due motivi, che in ragione della stretta dipendenza possono essere esaminati congiuntamente.
Con il primo motivo i ricorrenti hanno dedotto l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, mentre con il secondo hanno censurato la circostanza che l'Amministrazione avrebbe ritenuto "superflua la dovuta consultazione delle associazioni di categoria e dei consumatori, nonché dei sindacati" (cfr. pag. 8).
Nell'ordinanza n. 483 del 26.4.2013 il Collegio ha, infatti, preso atto che nel preambolo del provvedimento impugnato si è fatta espressa menzione di una "preventiva consultazione con i sindacati, le associazioni di categoria e dei consumatori", che i ricorrenti non hanno in alcun modo confutato, se non sul piano meramente assertivo.
Né, tantomeno, le eventuali ragioni di opportunità che possano aver indotto il Comune di (Lpd) ad astenersi da preventivi incombenti di carattere istruttorio possono integrare i presupposti per l'annullamento dell'ordinanza impugnata, tenuto conto della pluralità degli operatori del settore e del possibile rischio di un aggravamento procedimentale.
Sono, invece, fondati il quarto e quinto motivo, con i quali i ricorrenti hanno rispettivamente dedotto:
a) la violazione della normativa nazionale sulla liberalizzazione degli orari (art. 3, comma 1 della L. n. 223 del 2006), nonché l'insussistenza di "comprovati motivi di viabilità, di carattere igienico sanitario o (...) altri motivi di pubblico interesse" che possano giustificare, ai sensi dell'art. 28 del D.Lgs. n. 114 del 1998 e dell'art. 22 della L.R. n. 6 del 2010, le imposte limitazioni (cfr. pag. 11) e, in particolare, il divieto di esercizio "in forma itinerante in un medesimo punto per (il tempo strettamente necessario alla vendita e comunque) un tempo non superiore alle due ore" (cfr. pag. 13);
b) il difetto di motivazione concernente non soltanto la limitazione oraria (dalle 8 alle 24), ma anche quella territoriale perseguita dall'Amministrazione mediante un notevole incremento del novero delle vie e piazze interdette al commercio itinerante (si tratterebbe di cinquantatre siti, individuati soprattutto in prossimità dello stadio Meazza e degli accessi alla metropolitana). A ciò si aggiungerebbe la sproporzione del divieto, imposto dal comma 3 dell'art. 8 alle "vie direttamente confluenti nelle località sopraindicate per un'estensione non inferiore ai 300 metri".
Generici rivelandosi i richiami della difesa comunale alle disposizioni di cui agli artt. 16, 21 e 22 della L.R. n. 6 del 2010 (rispettivamente disciplinanti le "definizioni", le "modalità di esercizio dell'attività" e le "condizioni e limiti all'esercizio dell'attività"), va, anzitutto, presa in esame la norma di cui all'art. 111 ("indirizzi in materia di orari per il commercio su aree pubbliche"), in cui si prevede, al comma 1, lett. e), che "il comune nello stabilire gli orari per il commercio su aree pubbliche si attiene ai seguenti indirizzi: (...) e) limitazioni temporali (che) possono essere stabilite nei casi di indisponibilità dell'area commerciale per motivi di polizia stradale, di carattere igienico-sanitario e per motivi di pubblico interesse".
Ciò precisato, nel corso del giudizio il Comune ha successivamente integrato le motivazioni originariamente poste a fondamento dell'impugnata regolamentazione ("adeguamento a disposizioni di legge e a modifiche già adottate con precedenti provvedimenti speciali"), soggiungendo che sarebbe stata perseguita la tutela della "viabilità e vivibilità della città" e la salvaguardia dal "concreto e grave rischio di compromissione della quiete pubblica e del riposo notturno e in definitiva della salute dei cittadini" (cfr. pag. 16 della memoria del 19.4.2013).
Osserva il Collegio che le argomentazioni dell'Amministrazione sono infondate.
E', anzitutto, incontestato, ai sensi dell'art. 64, comma 4 del codice del processo amministrativo, che alla censurata limitazione degli orari di apertura e chiusura risultano estranee ragioni di polizia stradale e di tutela igienico-sanitaria (contemplate dal citato art. 111), al contrario richiamate per la delimitazione delle strade ove non poter esercitare l'attività di vendita.
Occorre, poi, considerare che l'ordinanza n. 2712 del 15.7.2013 del Consiglio di Stato - opposta dall'Amministrazione a sostegno delle proprie ragioni, quantunque relativa al diverso settore dei giochi - ha statuito che "la liberalizzazione degli orari di apertura degli esercizi commerciali non si applica alle case da gioco autorizzate ai sensi dell'art. 88 t.u.l.p.s. (art. 7, lett. d, D.Lgs. n. 59 del 2010)", dunque ammettendo che tale regime sia, di contro, applicabile alle attività di somministrazione, quali quelle esercitate dai ricorrenti.
L'ambito di applicazione del citato decreto si estende, infatti, "a qualunque attività economica, di carattere imprenditoriale o professionale, svolta senza vincolo di subordinazione, diretta allo scambio di beni o alla fornitura di altra prestazione anche a carattere intellettuale" (art. 1, comma 1).
Non può dunque ritenersi congrua - anzi, finisce per immotivatamente comprimere la libertà di iniziativa economica dei ricorrenti - l'esigenza (genericamente riferibile a qualsiasi attività commerciale regolata dall'ordinanza del 29.1.2013) di provvedere ad un adeguamento normativo, espressa nel preambolo del provvedimento impugnato; né possono supplire le postume integrazioni di motivazione addotte in corso di giudizio dalla difesa dell'Amministrazione comunale, peraltro di assai dubbia ammissibilità, come si è rilevato nell'ordinanza n. 486/2013.
Oltre a ciò, va rilevata l'infondatezza del richiamo ad una collaborazione istituzionale con le Autorità di Polizia che, ad avviso del Comune, legittimerebbe l'esercizio di una funzione amministrativa - che nella specie sarebbe regolatoria - preordinata a garantire l'ordine e la sicurezza pubblica.
La tesi dell'Amministrazione può valere, infatti, alla stregua di un mero auspicio di future riforme, ma è oggettivamente contraddetta dalla giurisprudenza costituzionale.
Nella sentenza n. 167 del 6 maggio 2010 il Giudice delle Leggi ha, infatti, ben delineato i limiti della potestà legislativa e amministrativa in tema di ordine e sicurezza pubblica, statuendo, tra l'altro:
a) che "questa Corte ha più volte affermato che Regioni e Province autonome non sono titolari di competenza propria nella materia dell'ordine pubblico e della sicurezza, nella materia cioè relativa sia alla prevenzione dei reati, sia al mantenimento dell'ordine pubblico (sentenze n. 237 e n. 222 del 2006), inteso quest'ultimo, in senso stretto, quale "complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale" (sentenza n. 290 del 2001). Rientrano, invece, fra i compiti di polizia amministrativa, di competenza regionale (sentenza n. 196 del 2009), le "misure dirette ad evitare danni o pregiudizi che possono essere arrecati a soggetti giuridici e alle cose nello svolgimento di attività relative alle materie nelle quali vengono esercitate le competenze ... delle Regioni e degli enti locali, purché non siano coinvolti beni o interessi specificamente tutelati in funzione dell'ordine pubblico e della sicurezza pubblica" (sentenza n. 290 del 2001)";
b) che "con la modifica del Titolo V è stata riservata allo Stato, dall'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., la competenza in tema di ordine pubblico e pubblica sicurezza; ed alla competenza regionale residuale - e non più concorrente - è stata attribuita la materia della polizia amministrativa locale. Quanto alla necessità di una collaborazione fra forze di polizia municipale e forze di polizia di Stato, l'art. 118, terzo comma, Cost., ha provveduto espressamente a demandare alla legge statale il compito di disciplinare eventuali forme di coordinamento nella materia dell'ordine pubblico e della sicurezza".
E' pertanto evidente che il legislatore ha inteso temperare la misura e la qualità dell'intervento ausiliario delle Amministrazioni locali, e quindi dei Comuni.
Il che trova indiretta conferma nella disposizione di cui all'art. 54, comma 4 del citato TUEL, in cui si prevede che "il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato provvedimenti contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. I provvedimenti di cui al presente comma sono preventivamente comunicati al prefetto anche ai fini della predisposizione degli strumenti ritenuti necessari alla loro attuazione".
La precedente formulazione di tale norma, peraltro, è stata dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte, con sentenza n. 115 del 7 aprile 2011, proprio nella parte in cui si premetteva l'avverbio "anche" alle parole "contingibili e urgenti": una chiara esplicitazione, ad avviso del Collegio, della corretta limitazione dei poteri - perfino di quelli extra ordinem - dei Sindaci.
Il Collegio ritiene, pertanto, di confermare l'illegittimità, rilevata in sede cautelare, del comma 4, 9 (distanza minima di "almeno 500 metri" tra i punti di sosta degli operatori in forma itinerante) e 10 (relativamente alla disciplina degli orari, restando salve le previsioni di tale norma circa gli specifici divieti e le zone di rispetto) dell'art. 8 dell'impugnato atto di regolamentazione.
Sono, invece, legittime le previsioni di cui ai commi 3 (divieto di esercizio esteso alle "vie direttamente confluenti nelle località sopraindicate cioè le vie e piazze interdette ai sensi del comma 2 per un'estensione non inferiore ai 300 metri"), 5 (aree sottoposte al "regolamento del verde", a vincoli storico-artistici e/o ambientali o, ancora, interdette al commercio per motivi di pubblico interesse), 6 (norma che prevede l'eventuale individuazione di "ulteriori aree", per "motivi viabilistici, di ordine pubblico, di compatibilità col contesto urano o per altri motivi di pubblico interesse", rimessi a "successivi provvedimenti") e 7 (limitazione della sosta consentita nello stesso punto per non più di due ore).
Va, al riguardo, richiamato l'art. 28, comma 4 del D.Lgs. n. 114 del 1998, in cui si prevede che "l'autorizzazione all'esercizio dell'attività di vendita sulle aree pubbliche esclusivamente in forma itinerante è rilasciata, in base alla normativa emanata dalla regione, dal comune nel quale il richiedente, persona fisica o giuridica, intende avviare l'attività".
Tale disposizione, al comma 15, ha inoltre previsto che "il Comune, sulla base delle disposizioni emanate dalla Regione stabilisce l'ampiezza complessiva delle aree da destinare all'esercizio dell'attività", e, al comma 16, che "nella deliberazione di cui al comma 15 vengono individuate altresì le aree aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale nelle quali l'esercizio del commercio di cui al presente articolo è vietato o sottoposto a condizioni particolari ai fini della salvaguardia delle aree predette. Possono essere stabiliti divieti e limitazioni all'esercizio anche per motivi di viabilità, di carattere igienico sanitario o per altri motivi di pubblico interesse".
In attuazione di tale disciplina legislativa, l'art. 22 della L.R. n. 6 del 2010 ha previsto, al comma 2, che "il commercio su aree pubbliche esercitato in forma itinerante può essere oggetto di limitazioni e divieti per comprovati motivi di viabilità, di carattere igienico sanitario o per altri motivi di pubblico interesse", con l'espresso limite di non esercitare tale potere "all'unico fine di creare zone di rispetto a tutela della posizione di operatori in sede fissa" (comma 3) e di non pregiudicare la tutela delle "zone aventi valore archeologico, storico, artistico e ambientale" (comma 4).
Quanto alle concrete modalità di esercizio dell'attività di vendita, l'art. 21, comma 2 della citata L.R. n. 6 del 2010 ha, infine, previsto che "il commercio su aree pubbliche in forma itinerante è svolto con mezzi mobili e con soste limitate, di norma, al tempo strettamente necessario per effettuare le operazioni di vendita, con divieto di posizionare la merce sul terreno o su banchi a terra, nel rispetto delle vigenti normative igienico-sanitarie. E' fatto altresì divieto di tornare sul medesimo punto nell'arco della stessa giornata e di effettuare la vendita a meno di 250 metri da altro operatore itinerante".
Nel caso di specie, pare dunque evidente che l'Amministrazione ha legittimamente esercitato i poteri attribuiti dalle disposizioni speciali, di contro non prospettandosi, nelle deduzioni dei ricorrenti, elementi in grado di concretamente provare che le limitazioni censurate, "in un Comune fortemente urbanizzato come quello di (Lpd) renderebbero di fatto impossibile l'esercizio dell'attività" (cfr. pag. 8 della memoria del 14.11.2013).
Né la previsione di cui al comma 7 dell'art. 8 dell'ordinanza può ritenersi preclusiva della vendita itinerante, risultando chiaro - dalla piana lettura dell'art. 21, comma 2 della L.R. n. 6 del 2010 - che la fissazione del tempo di due ore va riferita al "tempo strettamente necessario per effettuare le operazioni di vendita", ciò equivalendo ad affermare che non vanno computate in tale periodo le operazioni preparatorie, in mancanza venendo meno la ratio del successivo "divieto di tornare sul medesimo punto nell'arco della stessa giornata".
Il Collegio è, infine, dell'avviso che l'impugnata regolamentazione non sia, comunque, fissa e immutabile, dovendosi ritenere che il comma 6 (in cui è previsto che "ulteriori aree potranno essere interdette a tale forma di commercio per motivi viabilistici, di ordine pubblico, di compatibilità col contesto urbano o per altri motivi di pubblico interesse, tramite successivi provvedimenti") costituisca, in ragione del potenziale, diverso apprezzamento dell'Amministrazione circa la tutela degli interessi pubblici ivi previsti, la base normativa per modificare, sia in senso ampliativo sia in senso riduttivo, il novero delle vie o piazze inibite all'attività dei ricorrenti.
È, invece, infondato, e va, pertanto, respinto (salva l'improcedibilità relativamente alla disposizione di cui all'art. 29, comma 5, di cui si dirà appresso) il ricorso avverso la deliberazione di C.C. n. 9 del 4.3.2013, con cui è stato approvato il "regolamento per la disciplina del commercio su aree pubbliche".
In via preliminare, è egualmente infondata la domanda di nullità del provvedimento impugnato, nonché le eccezioni preliminari opposte dal Comune di (Lpd), e ciò per le identiche motivazioni espresse in precedenza, alle quali si fa integrale rinvio.
Considerazioni analoghe vanno estese ai primi due motivi di ricorso, con i quali i ricorrenti hanno reiterato le medesime censure (rispettivamente: omessa comunicazione di avvio del procedimento e mancata consultazione preventiva delle associazioni di categoria e dei consumatori, nonché dei sindacati) proposte nell'ambito del giudizio R.G. 884/2013, in ordine alle quali il Collegio si è più sopra pronunciato dichiarandone l'infondatezza.
Peraltro, nel preambolo della deliberazione risulta espressamente precisato che "durante la stesura del presente regolamento la commissione commercio su aree pubbliche di cui all'art. 19 della L.R. n. 6 del 2010 è stata consultata ed ha partecipato attivamente alla stesura del nuovo regolamento".
Infondato è anche il terzo motivo, con cui si è dedotta l'incompetenza del Consiglio comunale, cui esclusivamente spetterebbe, secondo parte ricorrente, "l'approvazione di programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani urbanistici, piani pluriennali per l'attuazione dei piani urbanistici, al contrario, il provvedimento in questione non è un piano, un programma o un mero atto di indirizzo (...) ma contiene una disciplina specifica e puntuale di regolamentazione del commercio su aree pubbliche" (cfr. pag. 8).
L'art. 42 del D.Lgs. n. 267 del 2000 prevede, infatti, una competenza generalizzata del Consiglio in materia regolamentare, tanto più evidente, nel caso di specie, in ragione del fatto che il commercio si svolga su aree pubbliche.
Non è, pertanto, ravvisabile né la competenza della Giunta, cui in via residuale compete esclusivamente "l'adozione dei regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio" (art. 48, comma 3), né, tantomeno, quella dei dirigenti, ai quali spettano "tutti i compiti, compresa l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, non ricompresi espressamente dalla legge o dallo statuto tra le funzioni di indirizzo e controllo politico-amministrativo degli organi di governo dell'ente" (art. 107, comma 2), nonché specifici compiti di attuazione (art. 107, comma 3), cui è totalmente estranea l'adozione di atti di natura regolamentare.
Quanto, infine, al quarto motivo, con cui è stata censurata la legittimità di diverse disposizioni del regolamento, occorre rilevare:
1) che la distanza minima di 250 metri tra venditori (art. 29, comma 6 del regolamento) riproduce la disciplina prevista dall'art. 21, comma 2 della L.R. n. 6 del 2010;
2) che, sulla scorta di quanto motivatamente ritenuto dal Collegio in relazione alla previsione, di analogo tenore, di cui all'art. 8, comma 7 dell'ordinanza del Sindaco del 29.1.2013, la sosta massima di due ore nello stesso punto è da ritenersi legittima;
3) che la disposizione regolamentare (art. 29) che vieta l'esposizione della "merce esternamente al mezzo" (comma 1) e che prevede la compatibilità della sosta dei veicoli con le norme sulla circolazione stradale (comma 2), risulta congrua alle peculiari caratteristiche del commercio itinerante e agli interessi pubblici che l'Amministrazione ha l'obbligo di tutelare ai sensi dell'art. 22, comma 2 della citata L.R. n. 6 del 2010;
4) che i divieti previsti dall'art. 30 del regolamento impugnato riproducono le disposizioni di cui al citato art. 22 della legge regionale;
5) che la previsione secondo cui "ogni sosta successiva può essere fatta solo in punti che distano almeno 500 metri dai precedenti" (art. 29, comma 5) è stata ritenuta illegittima nell'ambito del ricorso R.G. 884/2013, essendo stata prevista dall'art. 8, comma 9 dell'ordinanza del Sindaco del 29.1.2013;
6) che nessuna delle censurate previsioni può dirsi contrastante con la disposizione di cui all'art. 10 del D.Lgs. n. 59 del 2010 ("Attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno"), secondo cui "l'accesso e l'esercizio delle attività di servizi costituiscono espressione della libertà di iniziativa economica e non possono essere sottoposti a limitazioni non giustificate o discriminatorie", non essendosi disposto, nell'impugnato regolamento, nessun contingentamento del numero delle autorizzazioni alla vendita itinerante;
7) che, in ogni caso, i ricorrenti non hanno fornito alcun elemento di prova circa l'insussistenza dei comprovati motivi di viabilità, igienico-sanitari o di interesse pubblico che avrebbero giustificato l'adozione delle contestate previsioni, limitandosi a critiche generiche o, addirittura, a meri auspici di carattere politico-regolamentare.
In conclusione, il ricorso R.G. 884/2013 è fondato e va accolto, nei sensi espressi in motivazione.
Il ricorso R.G. 1137/2013 è, invece, infondato e va, quindi, respinto, fatta eccezione per l'impugnazione dell'art. 29, comma 5 del regolamento comunale, che va dichiarata improcedibile, per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto riproduce la medesima previsione di cui all'art. 8, comma 7 dell'ordinanza del Sindaco del 29.1.2013, annullata per effetto dell'accoglimento del ricorso R.G. 884/2013.
Quanto alle spese processuali, il Collegio ritiene che in ragione del complessivo esito dei giudizi, possa disporsi l'integrale compensazione tra le parti.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione I),
definitivamente pronunciando sui riuniti ricorsi, come in epigrafe proposti, così provvede:
- accoglie, nei sensi espressi in motivazione, il ricorso R.G. 884/2013
- dichiara improcedibile (limitatamente all'impugnazione dell'art. 29, comma 5 del regolamento), per sopravvenuta carenza di interesse, il ricorso R.G. 1137/2013, per il resto respingendolo.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in (Lpd) nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2013 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Mariuzzo, Presidente
Dario Simeoli, Primo Referendario
Angelo Fanizza, Referendario, Estensore


Nessun commento: