N. 136 SENTENZA 20 maggio - 6 luglio 2020
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
Reati e pene - Furto monoaggravato - Minimo edittale della multa piu'
elevato rispetto a quello previsto per la fattispecie
pluriaggravata - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza,
proporzionalita' e di finalita' rieducativa della pena -
Inammissibilita' delle questioni.
- Codice penale, art. 625, primo comma.
- Costituzione, artt. 3 e 27.
(GU n.28 del 8-7-2020 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Marta CARTABIA;
Giudici :Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,
Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano
PETITTI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 625, primo
comma, del codice penale, come modificato dall'art. 1, comma 7, della
legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice
di procedura penale e all'ordinamento penitenziario), promosso dal
Tribunale ordinario di Siracusa nel procedimento penale a carico di
G. V., con ordinanza del 18 luglio 2019, iscritta al n. 208 del
registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito il Giudice relatore Giovanni Amoroso nella camera di
consiglio del 20 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della
Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a);
deliberato nella camera di consiglio del 20 maggio 2020.
Ritenuto in fatto
1.- Il Tribunale ordinario di Siracusa, con ordinanza del 18
luglio 2019, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2019, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 625, primo comma, del
codice penale, nella parte in cui stabilisce il minimo edittale della
multa in euro 927, che appare essere «irragionevolmente eccessivo e
sproporzionato in riferimento all'art. 625, co. 2. c.p.».
2.- Il giudice rimettente premette di procedere nei confronti
dell'imputato G. V., in concorso con A. D. M., in relazione al reato
di cui agli artt. 110, 624 e 625, numero 2), cod. pen., «perche', in
concorso fra loro, al fine di profitto, dopo aver forzato la
saracinesca del garage ove era custodito, si impossessavano del
motociclo [...] e del casco di proprieta' di M. A.»; reato aggravato
dalla violenza sulle cose, essendo stata forzata la saracinesca di un
garage, e dalla recidiva reiterata specifica infraquinquennale.
Il giudice a quo riferisce che i due imputati sono stati
arrestati nella flagranza del reato e che, nel corso dell'udienza di
convalida, G. V. ha ammesso di aver sottratto il motociclo, ma ha
negato di aver forzato la saracinesca, addebitando a se stesso la
responsabilita' dell'accaduto. Riferisce il rimettente, poi, di aver
convalidato l'arresto, di aver applicato la misura cautelare degli
arresti domiciliari soltanto nei confronti di G. V. e di aver accolto
la sua richiesta di giudizio abbreviato, mentre nei confronti
dell'altro imputato ha emesso sentenza di condanna, mediante lettura
del dispositivo per il reato di ricettazione ai sensi dell'art. 648
cod. pen., cosi' riqualificato il fatto.
Il rimettente da' conto che dall'esame degli atti di indagine,
acquisiti al fascicolo del dibattimento in virtu' del rito prescelto,
risulta pienamente provata la responsabilita' dell'imputato G. V.,
per il reato di furto, anche in ordine all'aggravante dell'aver
commesso il fatto con violenza sulle cose di cui all'art. 625, primo
comma, numero 2), cod. pen.; cio', non solo in considerazione delle
attendibili dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di
denuncia, ma anche alla luce della deposizione dell'imputato in sede
di interrogatorio.
Quanto alla determinazione della pena, il giudice a quo afferma
che le circostanze attenuanti generiche non possono essere concesse,
non emergendo elementi significativi in tal senso, mentre afferma di
dover applicare l'aumento per recidiva contestata perche' l'imputato
ha riportato numerose condanne, anche per reati della stessa indole e
perche' si tratta di soggetto che con cadenza regolare ricade nella
commissione dei delitti, cosi' accentuando la pericolosita' della
condotta oggetto del procedimento.
La pena applicabile nel caso di specie, a seguito della modifica
legislativa introdotta dall'art. l, comma 7, della legge 23 giugno
2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura
penale e all'ordinamento penitenziario), secondo il rimettente,
sarebbe quella «della reclusione da due a sei anni e della multa da
euro 927 a euro 1.500»; pena da aumentarsi per la recidiva ai sensi
dell'art. 63, quarto comma, cod. pen., e da diminuirsi per la scelta
del rito abbreviato.
Tutto cio' premesso, il giudice a quo solleva le questioni di
legittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.,
dell'art. 625, primo comma, cod. pen., come modificato dall'art. l,
comma 7, legge n. 103 del 2017, nella parte in cui prevede la pena
edittale minima della multa di euro 927 in rapporto con la pena
edittale minima della multa di euro 206, stabilita dall'art. 625,
secondo comma, cod. pen. per il reato di furto pluriaggravato.
In punto di rilevanza, il rimettente osserva che la pena base che
deve applicare e' quella prevista dal combinato disposto degli artt.
624 e 625, primo comma, numero 2), cod. pen., e dunque, la reclusione
da due a sei anni e la multa da euro 927 a euro 1.500. In
particolare, osserva che la recidiva reiterata, specifica e
infraquinquennale, e' circostanza aggravante a effetto speciale, meno
grave di quella di cui all'art. 625, primo comma, numero 2), cod.
pen. e, pertanto, da' luogo a un aumento eventuale fino a un terzo da
applicarsi sulla pena di cui all'art. 625, primo comma, cod. pen., ai
sensi dell'art. 63, quarto comma, cod. pen.; inoltre, l'aumento per
le due circostanze aggravanti non e' oggetto di bilanciamento con
alcuna circostanza attenuante, non avendo ritenuto di concederne
alcuna.
Nell'ordinanza di rimessione si precisa, infine, che il fatto e'
stato commesso in data 30 maggio 2019 e, dunque, successivamente
all'entrata in vigore dell'art. l, comma 7, della legge n. 103 del
2017.
Cio' posto, il giudice a quo ritiene che la previsione del minimo
edittale della multa per il furto monoaggravato (euro 927), di cui
all'art. 625, primo comma, cod. pen., sia significativamente
superiore a quello previsto per il delitto di furto pluriaggravato di
cui all'art. 625, secondo comma, cod. pen., (euro 206) e, pertanto,
si pone in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost.
In punto di non manifesta infondatezza, egli afferma come non sia
giustificato che per un reato meno grave sia previsto un trattamento
sanzionatorio, seppur limitato alla sola pena pecuniaria,
maggiormente afflittivo rispetto a quello previsto per un reato
oggettivamente piu' grave. Al riguardo, osserva che prima della
modifica normativa la disparita' di trattamento sanzionatorio non
sussisteva, in quanto il furto aggravato da una sola circostanza era
punito, nel minimo, con la multa pari a euro 103 e, dunque, con una
pena pecuniaria pari alla meta' del minimo della multa prevista per
il furto pluriaggravato stabilito in euro 206 (e non inciso dalla
novella legislativa).
Ad avviso del rimettente, dunque, il minimo edittale della multa
attualmente previsto per il furto monoaggravato non risulterebbe
adeguato rispetto all'effettiva responsabilita' penale dell'autore di
tale delitto e non svolgerebbe la funzione rieducativa di cui
all'art. 27 Cost., risultando sproporzionato rispetto a quello
previsto per il furto pluriaggravato.
Il rimettente precisa, poi, che l'intervento richiesto a questa
Corte non sarebbe quello di sostituirsi alle scelte del legislatore
in materia sanzionatoria penale, bensi' di emendare le scelte di
quest'ultimo in riferimento a grandezze gia' rinvenibili
nell'ordinamento attraverso l'individuazione del tertium
comparationis - da cui evincere la manifesta arbitrarieta' e
irragionevolezza della norma censurata - che, nel caso di specie, e'
dato dall'art. 625, secondo comma, cod. pen., il quale per un reato
oggettivamente piu' grave prevede un trattamento sanzionatorio meno
afflittivo in relazione al minimo della pena pecuniaria.
La soluzione conforme ai parametri costituzionali, ad avviso del
giudice a quo, sarebbe quella volta a ripristinare il previgente
minimo edittale della multa previsto per il delitto di cui all'art.
625, primo comma, cod. pen. stabilito in euro 103.
3.- Con atto del 17 dicembre 2019, e' intervenuto nel giudizio di
legittimita' costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
chiedendo che le questioni siano rigettate in ragione della loro
infondatezza.
In particolare, la difesa dello Stato afferma che il rimettente
fonda la comparazione tra il trattamento sanzionatorio minimo
previsto per il furto monoaggravato e quello previsto per il furto
pluriaggravato solo sulla considerazione del minimo edittale della
multa, omettendo di prendere in esame l'altra componente del
trattamento sanzionatorio, vale a dire quella costituita dalla pena
detentiva.
Solo nell'ipotesi in cui il trattamento complessivo minimo
contemplato dall'art. 625, secondo comma, cod. pen. per la
fattispecie di furto pluriaggravato individuata dal giudice a quo
come tertium comparationis fosse inferiore a quello previsto
dall'art. 625, primo comma, cod. pen. per il furto monoaggravato, si
potrebbe allora denunciare l'irragionevolezza della scelta del
legislatore.
E, al riguardo, rileva come cio' non accada in quanto l'art. 625,
secondo comma, cod. pen. prevede per il furto pluriaggravato una pena
detentiva minima superiore di un terzo rispetto al minimo edittale di
anni due di reclusione, comminata dal primo comma dell'art. 625 cod.
pen., per il furto monoaggravato; per effetto dell'applicazione degli
ordinari criteri di ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive,
previsti dall'art. 135 cod pen., la pena minima edittale per il
delitto di furto monoaggravato risulta essere inferiore di ben undici
mesi e 27 giorni di reclusione rispetto a quella minima prevista
dall'art. 625, secondo comma, cod. pen., per il delitto di furto
pluriaggravato.
Pertanto, ad avviso della difesa dello Stato, la lamentata
irragionevolezza e sproporzione del trattamento sanzionatorio, non
sussisterebbe.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale ordinario di Siracusa, con ordinanza del 18
luglio 2019, iscritta al n. 208 del registro ordinanze 2019, ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale, in riferimento
agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dell'art. 625, primo comma, del
codice penale (furto monoaggravato), nella parte in cui stabilisce il
minimo edittale della multa in euro 927, ritenuto essere
«irragionevolmente eccessivo e sproporzionato» in comparazione con
l'art. 625, secondo comma, cod. pen. (furto pluriaggravato), che
prevede un minimo edittale della multa di euro 206, ossia in misura
notevolmente inferiore pur sanzionando una condotta piu' grave.
2.- Il giudice a quo afferma di dover pronunciare una sentenza di
condanna, a seguito di giudizio abbreviato, nei confronti di una
persona imputata del delitto di furto aggravato dalla sola
circostanza di aver usato violenza sulle cose, ai sensi dell'art.
625, primo comma, numero 2), cod. pen., in relazione al quale e'
stato arrestato nella flagranza del reato e sottoposto alla misura
cautelare degli arresti domiciliari.
In ordine alla determinazione della pena, afferma di non poter
riconoscere le circostanze attenuanti generiche, mentre ritiene che
ricorra la circostanza aggravante della recidiva reiterata specifica
infraquinquennale, con la conseguenza che la pena applicabile ai
sensi dell'art. 625, primo comma, cod. pen., a seguito della modifica
legislativa introdotta dall'art. l, comma 7, della legge 23 giugno
2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al codice di procedura
penale e all'ordinamento penitenziario), sarebbe quella della
«reclusione da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro
1.500», sulla quale deve essere operato l'aumento per la recidiva, ai
sensi dell'art. 63, quarto comma, cod. pen. e, poi, la diminuzione
per avere l'imputato scelto di definire il processo con il rito
abbreviato.
A parere del rimettente, la norma censurata contrasterebbe con
gli artt. 3 e 27 Cost., sotto il profilo della violazione del
principio di uguaglianza e proporzionalita' e della finalita'
rieducativa della pena.
Egli pone in comparazione la pena prevista per il furto
monoaggravato (art. 625, primo comma, cod. pen.) con quella stabilita
dal secondo comma della medesima disposizione per il furto
pluriaggravato, indicato come tertium comparationis, e rileva un
trattamento ingiustificatamente differenziato, irragionevole, nonche'
sproporzionato in relazione alla diversa gravita' delle condotte:
entrambe le fattispecie (furto monoaggravato e furto pluriaggravato)
sono punite con la pena congiunta della reclusione e della multa. Ma,
mentre la reclusione, sia nel minimo che nel massimo, e' prevista in
misura piu' elevata per la fattispecie piu' grave, cio' non e' per la
pena pecuniaria perche' il minimo della multa e' stabilito,
all'opposto, in misura piu' elevata (piu' del quadruplo) per la
fattispecie meno grave.
Secondo il rimettente, a tali vizi di legittimita' costituzionale
questa Corte potrebbe porre rimedio attraverso il ripristino del
minimo edittale della multa di euro 103, previsto dall'art. 625,
primo comma, cod. pen., prima della modifica introdotta dalla novella
legislativa.
3.- Va preliminarmente rilevato che l'ordinanza di rimessione,
adeguatamente motivata in punto di descrizione della fattispecie, e'
altresi' correttamente argomentata anche in ordine alla rilevanza
delle questioni e alla necessita' di fare applicazione della
disposizione sospettata di incostituzionalita'; sicche' sotto questo
profilo le questioni sollevate sono ammissibili.
Il rimettente ha, infatti, ritenuto di non poter concedere le
circostanze attenuanti generiche, di cui all'art. 62-bis cod. pen., e
di dover riconoscere l'aumento della pena per la recidiva reiterata,
specifica infraquinquennale, dando conto dei motivi per cui deve fare
applicazione della cornice edittale di cui all'art. 625, primo comma,
cod. pen., che, quanto al minimo della pena pecuniaria della multa,
ritiene irragionevole e non proporzionata.
Egli ha correttamente richiamato la regola del cumulo giuridico
di cui all'art. 63, quarto comma, cod. pen,, quale deroga al cumulo
materiale degli aumenti di pena, in caso di concorrenza di piu'
circostanze aggravanti, ritenendola utilizzabile anche per le
circostanze aggravanti indipendenti, nelle quali rientra quella di
cui all'art. 625, primo comma, cod. pen., secondo la definizione
rinvenibile nell'art. 69, quarto comma, cod. pen.; e ha proceduto in
tal senso benche' il quarto comma dell'art. 63 cod. pen. non le
indichi espressamente.
Infatti, la concorrenza dell'aggravante in parola con l'ulteriore
aggravante della recidiva reiterata specifica infraquinquennale -
cosiddetta ad effetto speciale, in quanto comporta un aumento della
pena superiore a un terzo (art. 63, terzo comma, cod. pen.) - fa si'
che la pena debba essere determinata secondo la regola del cumulo
giuridico, ai sensi del quarto comma dell'art. 63 cod. pen., secondo
cui se concorrono piu' circostanze aggravanti tra quelle a effetto
speciale, si applica soltanto la pena stabilita per la circostanza
piu' grave, con la possibilita' per il giudice di aumentarla. E la
circostanza piu' grave, nel caso di specie, e' proprio quella di cui
al primo comma dell'art. 625 cod. pen., anziche' la recidiva di cui
all'art. 99, quarto comma, cod. pen.
Cosi' argomentando, il rimettente si e' posto in linea con la
giurisprudenza di legittimita' secondo cui il criterio di calcolo di
cui all'art. 63, comma quarto, cod. pen. «opera anche in caso di
concorso tra circostanze aggravanti indipendenti e ad effetto
speciale», diversamente determinandosi un trattamento sanzionatorio
non conforme al principio di legalita' ed irragionevolmente «piu'
grave di quello applicabile in caso di concorso di piu' circostanze
ad effetto speciale» (Corte di cassazione, sezione terza penale,
sentenze 8 maggio-17 luglio 2019, n. 31293, e 8 luglio 2016-7
febbraio 2017, n. 5597).
Inoltre, va evidenziato che l'intervento sostitutivo sollecitato
dal rimettente, consistente nel chiedere a questa Corte di
ripristinare la pena pecuniaria nell'ammontare minimo pari a euro
103, previsto dalla disposizione censurata prima della modifica da
parte della legge n. 103 del 2017, e' aspetto che attiene al
possibile contenuto dell'invocata pronuncia additiva e, pertanto, non
ridonda in un profilo di inammissibilita' della questione di
legittimita' costituzionale, avendo il giudice a quo assolto
all'onere di indicare il tertium comparationis, su cui fonda la
censura di arbitrarieta' e irragionevolezza della norma in esame (ex
multis, sentenze n. 23 del 2016 e n. 81 del 2014).
4.- Le questioni sollevate devono, tuttavia, essere dichiarate
inammissibili, in riferimento a entrambi i parametri evocati dal
giudice rimettente, sotto il diverso profilo piu' avanti specificato.
4.1.- Giova innanzi tutto dare conto dell'evoluzione della norma
censurata nel complessivo contesto normativo.
La disposizione di cui all'art. 625 cod. pen. contempla le
circostanze speciali del reato di furto e, fin dal testo originario
del 1930, nei suoi due commi, ha stabilito un differenziato e
crescente regime sanzionatorio, secondo che la condotta fosse
aggravata da una soltanto delle plurime circostanze elencate nel
primo comma della stessa disposizione ovvero risultasse aggravata da
due o piu' circostanze previste sempre dal primo comma, o da una di
tali circostanze insieme con altra tra quelle comuni, indicate
dall'art. 61 cod. pen. (furto pluriaggravato).
Le fattispecie in esame, sanzionate entrambe con la pena
congiunta della reclusione e della multa, prima delle modifiche di
cui all'art. 1 della legge n. 103 del 2017, si connotavano per una
cornice edittale pienamente simmetrica: la fattispecie piu' grave era
sanzionata in modo piu' severo, sia nella reclusione che nella multa,
sia nel minimo che nel massimo. In particolare, il minimo della
reclusione era triplicato (da un anno a tre anni) e il minimo della
multa era raddoppiato (da lire 1.000 a lire 2.000). Anche nel massimo
era previsto un trattamento significativamente piu' severo, sia in
relazione alla misura della reclusione, pari a dieci anni
nell'ipotesi pluriaggravata a fronte di sei anni per quella meno
grave; sia con riguardo alla multa, pari a lire 15.000 nella prima
ipotesi a fronte di lire 10.000 per la seconda.
Tale situazione e' rimasta inalterata per lungo tempo, anche se
il legislatore e' intervenuto a piu' riprese sia per incrementare il
catalogo delle aggravanti del primo comma dell'art. 625 cod. pen.,
sia, mediante l'art. 2 della legge 26 marzo 2001, n. 128 (Interventi
legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), per
espungere dall'elenco due aggravanti, contestualmente trasformate
negli autonomi delitti di furto in abitazione e furto con strappo, di
cui all'art. 624-bis cod. pen., rispettivamente, primo e secondo
comma, anch'essi suscettibili di essere aggravati dalle stesse
circostanze di cui all'art. 625 cod. pen.
In tale contesto normativo parzialmente modificato, l'originaria
simmetria tra primo e secondo comma dell'art. 625 cod. pen. e'
rimasta sostanzialmente immodificata, venendosi a fissare, da ultimo,
in un trattamento sanzionatorio che puniva il furto monoaggravato con
la «reclusione da uno a sei anni» e con «la multa da euro 103 a euro
1.032», e il furto pluriaggravato con la pena della reclusione «da
tre anni e dieci anni» e la multa «da euro 206 a euro1.549».
L'originaria simmetria delle cornici edittali - in cui alla
fattispecie meno grave corrispondeva un trattamento sanzionatorio,
nel minimo e nel massimo di entrambe le pene della reclusione e della
multa, meno grave di quello stabilito per l'ipotesi pluriaggravata -
e' venuta meno per effetto delle modifiche apportate dall'art. 1
della legge n. 103 del 2017.
4.2.- Tale legge, nel quadro della piu' ampia riforma di
rilevanti istituti del sistema penale, sostanziale e processuale, ha
significativamente innovato il trattamento sanzionatorio di alcuni
tra i piu' gravi delitti contro il patrimonio, di cui al Capo I del
Titolo XIII del codice penale.
L'art. 1, commi da 6 a 9, della legge n. 103 del 2017 ha
modificato le cornici edittali, inasprendo le pene, non solo del
reato di furto di cui agli artt. 624 e 625 cod. pen., oggetto delle
censure del rimettente, ma anche dei reati di furto in abitazione e
furto con strappo (art. 624-bis cod. pen.), di rapina (art. 628 cod.
pen.) e di estorsione (art. 629 cod. pen.).
Come risulta dal dibattito parlamentare, il legislatore, al fine
di reprimere con maggiore severita' condotte criminose di particolare
allarme sociale, ha agito essenzialmente sui minimi edittali delle
pene, elevandoli con l'effetto di limitare l'accesso ai benefici
previsti dall'ordinamento penale. E infatti, l'inasprimento
sanzionatorio e' consistito, da un lato, nell'aumento della misura
dei minimi delle pene della reclusione, lasciando invariata quella
dei massimi e, dall'altro, nell'innalzamento degli importi delle
multe, nel minimo e nel massimo.
In tale quadro si colloca la disposizione di cui all'art. 625
cod. pen., su cui e' intervenuto l'art. 1, comma 7, della legge n.
103 del 2017, il quale ha stabilito che: «[a]ll'articolo 625, primo
comma, alinea, del codice penale, le parole: "La pena per il fatto
previsto dall'articolo 624 e' della reclusione da uno a sei anni e
della multa da euro 103 a euro 1.032" sono sostituite dalle seguenti:
"La pena per il fatto previsto dall'articolo 624 e' della reclusione
da due a sei anni e della multa da euro 927 a euro 1.500"».
Nessuna modifica, invece, ha interessato il trattamento
sanzionatorio del furto pluriaggravato di cui all'art. 625, secondo
comma, cod. pen., la cui cornice edittale e' rimasta quella «della
reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 a euro
1.549».
Cosi' operando, la novella legislativa del 2017 ha determinato
che entrambe le fattispecie (furto monoaggravato e furto
pluriaggravato) continuino a essere punite con la pena congiunta
della reclusione e della multa, ma mentre la reclusione e' prevista
in misura piu' elevata, sia nel minimo che nel massimo, per il
delitto pluriaggravato, cio' non e' per la pena pecuniaria perche' il
minimo della multa e' previsto, all'opposto, in misura piu' elevata
(piu' del quadruplo) per la fattispecie meno grave.
Si ha, dunque, che il minimo della multa per il furto
monoaggravato e' pari a euro 927, mentre per il furto pluriaggravato
il minimo della multa e' rimasto, anche dopo la novella, nella misura
originaria di euro 206.
Peraltro, prima della riforma del 2017, analoga asimmetria del
trattamento sanzionatorio connotava anche il minimo della multa della
fattispecie delittuosa del furto in abitazione e del furto con
strappo di cui all'art. 624-bis cod. pen., introdotto nel codice
penale dall'art. 2, comma 2, della legge n. 128 del 2001. Infatti,
tale nuova e autonoma fattispecie di reato e' stata originariamente
sanzionata, quanto al minimo della pena pecuniaria, con la multa di
euro 309, in relazione all'ipotesi non aggravata (art. 624-bis, primo
e secondo comma, cod. pen.), mentre la fattispecie monoaggravata e
pluriaggravata dalle circostanze di cui all'art. 625 cod. pen. e 61
cod. pen. (art. 624-bis, terzo comma, cod. pen.) e' stata punita con
la pena pecuniaria di euro 206 di multa.
Tale squilibrio sanzionatorio e' stato corretto proprio dalla
novella legislativa del 2017, che e' intervenuta, elevando la cornice
edittale di entrambe le fattispecie e, quanto al minimo della pena
pecuniaria ha, in questo caso, equiparato la multa per le due ipotesi
delittuose - sia nella configurazione semplice di cui al primo comma,
sia in quelle, assimilate, monoaggravata e pluriaggravata, di cui al
terzo comma dell'art. 624-bis cod. pen. - nella piu' elevata ma
identica misura di euro 927 di multa.
Tale parificazione nel minimo della pena pecuniaria della multa
e' poi stata confermata dall'art. 5, comma 1, lettera b), della legge
26 aprile 2019, n. 36 (Modifiche al codice penale e altre
disposizioni in materia di legittima difesa) che, al di la' di
ulteriori aggravamenti di pena, ai fini che qui rilevano, ha
aumentato la cornice edittale delle fattispecie di cui al terzo comma
dell'art. 624-bis cod. pen., innalzando per entrambe il minimo della
pena pecuniaria a euro 1.000 di multa.
Invece lo stesso legislatore non e' intervenuto sulla
disposizione censurata, nemmeno nel senso della equiparazione del
minimo della multa tra la fattispecie del furto monoaggravato e
quella del furto pluriaggravato, come accaduto per il delitto di cui
all'art. 624-bis, terzo comma, cod. pen. Sicche' e' rimasto che il
minimo della pena della multa per il reato di furto monoaggravato e'
piu' elevato di quello previsto per il furto pluriaggravato.
E' di tutta evidenza, pertanto, che il legislatore del 2017, nel
considerare solo la fattispecie del furto monoaggravato, abbia creato
un'asimmetria tra primo e secondo comma dell'art. 625 cod. pen.,
quale conseguenza di una difettosa tecnica normativa. Si ha, quindi,
che all'interno della medesima disposizione (art. 625 cod. pen.) vi
e' una pena pecuniaria, nel minimo, piu' elevata per l'ipotesi meno
grave, rispetto alla fattispecie connotata da maggiore gravita',
seppur all'interno di un trattamento sanzionatorio complessivo che
vede la pena della multa concorrere necessariamente con quella della
reclusione.
Di qui la censura del rimettente nei confronti dell'art. 625,
primo comma, cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27 Cost., e la
richiesta a questa Corte di correggere l'asimmetria riscontrata con
una pronuncia additiva sostitutiva della pena pecuniaria del delitto
di furto monoaggravato.
5.- Tutto cio' premesso, le questioni sollevate dal giudice
rimettente devono ritenersi inammissibili.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, la
determinazione del trattamento sanzionatorio per i fatti previsti
come reato e' riservata alla discrezionalita' del legislatore, che e'
particolarmente ampia trovando un limite solo nella manifesta
irragionevolezza delle scelte operate nel definire la cornice
edittale delle pene. Il livello, piu' o meno elevato, del contrasto
delle condotte penalmente rilevanti mediante la definizione
dell'intervallo tra il minimo e il massimo della pena appartiene alle
scelte di politica criminale del legislatore, come anche quella di
reprimere con pene piu' gravi fattispecie penali ritenute
maggiormente lesive di beni giuridici tutelati e connotate da un
accentuato allarme sociale.
Si e', infatti, piu' volte rilevata «l'ampia discrezionalita' di
cui il legislatore gode nella determinazione delle cornici edittali
(ex multis, sentenze n. 233 e n. 222 del 2018, n. 179 del 2017 e n.
148 del 2016)» (sentenza n. 284 del 2019). Si e' anche precisato che
le «scelte legislative sono [...] sindacabili soltanto ove trasmodino
nella manifesta irragionevolezza o nell'arbitrio, come avviene a
fronte di sperequazioni sanzionatorie tra fattispecie omogenee non
sorrette da alcuna ragionevole giustificazione» (ex plurimis,
sentenza n. 68 del 2012). E ancora, si e' sottolineato che «il
raffronto tra fattispecie normative, finalizzato a verificare la
ragionevolezza delle scelte legislative, deve avere ad oggetto
casistiche omogenee, risultando altrimenti improponibile la stessa
comparazione» (sentenza n. 161 del 2009).
Il limite della discrezionalita' del legislatore e' superato solo
allorche' le pene comminate siano manifestamente sproporzionate
rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato (sentenze n. 73
del 2020, n. 40 del 2019 e n. 233 del 2018).
E', altresi', vero che «la giurisprudenza costituzionale piu'
recente ha gradatamente affrancato il sindacato di conformita' al
principio di proporzione della pena edittale dalle strettoie segnate
dalla necessita' di individuare un preciso tertium comparationis da
cui mutuare la cornice sanzionatoria destinata a sostituirsi a quella
dichiarata incostituzionale; e ha spesso privilegiato (almeno a
partire dalla sentenza n. 343 del 1993) un modello di sindacato sulla
proporzionalita' "intrinseca" della pena, che - ferma restando
l'ampia discrezionalita' di cui il legislatore gode nella
determinazione delle cornici edittali [...] - valuta direttamente se
la pena comminata debba considerarsi manifestamente eccessiva
rispetto al fatto sanzionato, ricercando poi nel sistema punti di
riferimento gia' esistenti per ricostruire in via interinale un nuovo
quadro sanzionatorio in luogo di quello colpito dalla declaratoria di
incostituzionalita', nelle more di un sempre possibile intervento
legislativo volto a rideterminare la misura della pena, nel rispetto
dei principi costituzionali» (sentenza n. 284 del 2019).
Nell'affermazione di tali principi, questa Corte ha pero' sempre
ribadito l'ampia discrezionalita' del legislatore nella
determinazione del trattamento sanzionatorio delle fattispecie
criminose, sindacabile solo ove venga superato il limite della
manifesta irragionevolezza o arbitrarieta' oppure del manifesto
difetto di proporzionalita'. Ed e' nel quadro di tale
discrezionalita' che deve essere considerata la complessiva cornice
edittale prevista dal legislatore in ordine al delitto di furto
aggravato di cui all'art. 625 cod. pen. e segnatamente l'asimmetria
denunciata dal giudice rimettente.
6.- La previsione per la fattispecie del furto monoaggravato
della multa nella misura piu' elevata di quella prevista per
l'ipotesi pluriaggravata, stante l'ampia discrezionalita' del
legislatore, puo', dunque, ridondare nella violazione del principio
di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di proporzionalita' della pena (art.
27 Cost.) soltanto se detta asimmetria venga esaminata nel contesto
del complessivo trattamento sanzionatorio.
E' certamente vero che nel sistema sanzionatorio la pena
pecuniaria, anche quando sia comminata congiuntamente alla pena
detentiva, conserva una sua autonomia non solo per la specifica
funzione cui mira, ma anche per la necessaria proporzionalita' alla
gravita' del fatto.
La pena pecuniaria ha, infatti, una specifica funzione
complementare del trattamento sanzionatorio quando concorre con la
pena detentiva della reclusione in ragione dell'effetto miratamente
dissuasivo, intrinseco nella decurtazione del patrimonio in favore
dello Stato (sentenza n. 142 del 2017).
Anche la pena pecuniaria, infatti, partecipa alla funzione
rieducativa di cui all'art. 27, terzo comma, Cost. (sentenze n. 15
del 2020 e n. 233 del 2018). Inoltre, la misura della pena
pecuniaria, che deve essere, al pari della pena detentiva,
proporzionata alla gravita' del fatto secondo i criteri di cui
all'art. 133 cod. pen., e' essa sola specificamente parametrata alle
condizioni economiche del reo, ai sensi dell'art.133-bis cod. pen.,
applicabile per la determinazione dell'ammontare della multa o
dell'ammenda.
E ancora, confortano tale autonomia anche le disposizioni di cui
agli artt. 136 cod. pen. e 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689
(Modifiche al sistema penale), dal momento che, nel caso della
insolvibilita' del condannato, esse prescrivono la conversione della
pena pecuniaria nella liberta' controllata, o a richiesta del
condannato, in lavoro sostitutivo, qualora la pena pecuniaria da
convertire non sia superiore ad euro 516.
Tuttavia, non e' irrilevante il trattamento sanzionatorio
complessivo quando la pena pecuniaria concorre congiuntamente con
quella detentiva e non e' invece a quest'ultima alternativa. In
proposito, questa Corte ha affermato che la ragionevolezza della pena
debba essere giudicata secondo una valutazione complessiva della pena
pecuniaria e della pena detentiva, «dando rilievo all'unitarieta' del
trattamento sanzionatorio complessivamente predisposto dal
legislatore» (sentenza n. 233 del 2018; cosi' anche sentenza n. 142
del 2017), in quanto in tal modo si consente al giudice, attraverso
la graduabilita' della pena detentiva comminata congiuntamente a
quella pecuniaria, un consistente margine di adeguamento del
trattamento sanzionatorio alle particolarita' del caso concreto
(ordinanze n. 91 del 2008 e n. 475 del 2002).
Anche se non appare percorribile quell'operazione di mero calcolo
richiesta dalla difesa dello Stato, fondata sul solo criterio del
ragguaglio tra pena pecuniaria e pena detentiva, ai sensi dell'art.
135 cod. pen., la valutazione complessiva della cornice edittale
definita dal legislatore, come pena detentiva congiunta alla pena
pecuniaria, potrebbe far emergere la possibilita', per il giudice
chiamato a quantificare la multa, di operare un sostanziale
riequilibrio dell'asimmetria denunciata.
Invece, il giudice rimettente ha argomentato le sue censure
considerando soltanto la pena della multa e omettendo di tener conto
anche del divario del minimo della pena detentiva prevista per le
ipotesi del furto monoaggravato e di quello pluriaggravato
(rispettivamente dal primo e secondo comma dell'art. 625 cod. pen.);
divario, pari a un anno di reclusione in piu' per il furto
pluriaggravato, certamente coerente per la maggiore gravita' di
quest'ultimo rispetto al furto monoaggravato.
Il rimettente ha, in particolare, omesso di considerare se, in
ipotesi, tale divario, ove ritenuto particolarmente marcato, sia
idoneo, o no, a ridimensionare l'asimmetria denunciata, relegandola
nell'ambito di meri difetti di tecnica normativa, che questa Corte -
soprattutto nella materia penale quanto alla dosimetria della pena -
non e' chiamata per cio' solo a correggere, ove non ridondino in un
trattamento sanzionatorio manifestamente irragionevole e
sproporzionato.
E' comunque auspicabile che il legislatore, come ha gia' fatto
con l'analoga asimmetria, sopra rilevata, nel trattamento
sanzionatorio del furto in abitazione o con strappo, monoaggravato o
pluriaggravato, corregga lo squilibrio denunciato dal giudice
rimettente.
7.- L'ordinanza di rimessione, dunque, non si e' confrontata con
il complessivo trattamento sanzionatorio della reclusione e della
multa, previste come pene congiunte e non gia' alternative per il
furto sia monoaggravato che pluriaggravato, e cio' costituisce una
insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza delle
questioni di legittimita' costituzionale, con conseguente
inammissibilita' delle stesse in riferimento a entrambi gli evocati
parametri (ex multis, sentenze n. 24 del 2019, n. 231 e n. 134 del
2018).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'art. 625, primo comma, del codice penale,
sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal
Tribunale ordinario di Siracusa, con l'ordinanza indicata in
epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 maggio 2020
F.to:
Marta CARTABIA, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2020.
Il Cancelliere
F.to: Roberto MILANA
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