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lunedì 6 marzo 2023

Autonomia della disciplina catastale nel classamento degli immobili

 

SENTENZA DEL 31/01/2023 N. 80/2 - CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO DELLA TOSCANA

Autonomia della disciplina catastale nel classamento degli immobili

Ai fini dell’individuazione della categoria da attribuire a un’unità immobiliare, si deve osservare l’ordinamento catastale a prescindere dalla normativa urbanistico-edilizia. E’ questo l’orientamento della più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. ord. 3879/2022; Cass. ord. 4837/2022), che afferma la piena autonomia e indipendenza della disciplina catastale rispetto a quella urbanistica in ordine al classamento degli immobili. Tale principio, condiviso dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, è coerente con il dettato costituzionale dell’art. 53, in ragione del quale, per accertare il presupposto della tassazione, si deve fare riferimento alle caratteristiche “costruttive e tipologiche” del bene così come sono definite dalle norme catastali. Alla luce di tali considerazioni, i giudici toscani hanno accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, che, nel caso di specie, aveva contestato l’erronea attribuzione di categoria ad un immobile, in quanto basata sull’omessa applicazione delle norme catastali di riferimento.


Intitolazione:

Nessuna intitolazione presente



Massima:

Nessuna massima presente



Testo:


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla CTP di Firenze, la contribuente in epigrafe ha impugnato l'avviso pure in epigrafe indicato, con il quale l'Agenzia delle Entrate di Firenze ha disatteso la richiesta di cui alla procedura DOCFA del 2018, con la quale la parte privata proponeva l'attribuzione ad un immobile sito in Firenze, via P. 191/R, della categoria C/2 classe 3 mq 26 e di una rendita di euro 77,88, riportandolo invece alla categoria C/1 classe 6 mq 23 con rendita di euro 851,69 attribuitagli fin dall'impianto e riconfermata dalla parte privata in una precedente DOCFA presentata nel 2010.

Nel ricorso contestava la rettifica sulla base del confronto con altre unità, della zona di ubicazione di nessun interesse commerciale, delle pessime condizioni di manutenzione e del contrasto con le norme igienicosanitarie e con il regolamento edilizio comunale, oltre alle sue ridottissime dimensioni; tutti elementi che impedirebbero l'uso come negozio dell'immobile in questione. Avendo resistito al ricorso l'Agenzia delle Entrate, la CTP lo ha accolto con compensazione di spese, avendo ritenuto che le caratteristiche dell'immobile appaiono all'attualità tali da non poterlo più considerare appartenente alla categoria C/1 alla stregua delle norme del regolamento comunale, sia per la sua ridotta superficie sia per le condizioni igienico-sanitarie.

Ha proposto appello l'Agenzia delle Entrate per i seguenti motivi:

1) errata e/o omessa applicazione delle norme catastali;

2) mancata valutazione degli elementi indicati dall'Ufficio.

Ha resistito all'appello la contribuente con controdeduzioni datate 10 febbraio 2021.

L'Ufficio ha illustrato la propria posizione con memoria datata 28 giugno 2021, mentre la parte privata lo ha fatto con memoria datata 11 settembre 2021.


MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appello è fondato, per le ragioni che di seguito si espongono.

Dalla giurisprudenza richiamata dalla contribuente (Cass. 12025/2015 e Cass. ord. 26849/2020), che limiterebbe l'autonomia della normativa catastale, si sono discostate recentemente Cass. ord. 3879/2022, par. 7 e Cass. ord. 4837/2022, par. 5, secondo le quali è invece pienamente applicabile detto principio. Al riguardo la Suprema Corte nelle citate pronunce richiama Cass. 11369/2003, in tema di classamento di beni immobili sottoposti a vincolo storico-culturale (e quindi non a destinazione speciale ma a destinazione ordinaria), nella quale è ribadita l'indipendenza del classamento da ogni vincolo amministrativo o legislativo non dettante disposizioni in materia di catasto. Le appena citate ordinanze della Suprema Corte fanno proprio il contenuto delle circolari dell'Agenzia del territorio n. 4/2006 e n. 4/2007, la prima delle quali, nel paragrafo 3.2, specificamente riferito agli immobili a destinazione ordinaria (tra i quali rientra quello de quo), sottolinea la detta piena autonomia, ribadita anche alla pag. 8 della seconda circolare.

Tale indirizzo della Suprema Corte risulta condivisibile da questo Collegio, in quanto coerente con il fondamentale principio del valore meramente presuntivo del catasto, confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 14420/2010; Cass. ord. 16775/2017; Cass. ord. 8848/2019) ed adeguato al principio sancito dall'art. 53 della Carta costituzionale, che, fissando l'obbligo di concorso alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva dei singoli senza condizionare l'operatività di tale obbligo alla legittima acquisizione della stessa (rilevante anche se illecitamente acquisita), implica che il presupposto della tassazione è costituito dall'imponibile come definito dalle norme di settore, a prescindere dall'applicazione al detto presupposto di altra normativa (che sia urbanistica, edilizia o persino tributaria, ma emanata per finalità diverse da quelle catastali; ad es. per l'applicazione dei benefici fiscali per l'acquisto di prima casa; in tal senso Cass. ord. 23389/2021 par. 3.2). Opinando diversamente, si arriverebbe all'assurdo di escludere la tassabilità, ad esempio ai fini dell'IMU, di immobili per i quali non sia riscontrabile l'aderenza a tutte le prescrizioni urbanistiche e/o edilizie e non sia intervenuto il condono edilizio o siano addirittura non condonabili, impedendo così il doveroso concorso alle spese pubbliche, sancito dal citato art. 53, del possessore di tali immobili (che siano indifferentemente a destinazione ordinaria o speciale, non operando l'appena citata norma fondamentale alcuna distinzione al riguardo) i quali, pur caratterizzati da irregolarità secondo normative appartenenti a settori diversi da quello catastale, costituiscono comunque carico urbanistico, con tutti i conseguenti oneri per la collettività, per la loro stessa esistenza nel territorio, a prescindere dal diritto al rilascio del certificato di abitabilità (per le abitazioni) o di agibilità (per i negozi).

Meramente ad abundantiam, va osservato che, anche ove si potesse prescindere dalla ricordata autonomia dell'ordinamento catastale, occorrerebbe comunque rilevare che il vigente regolamento edilizio del Comune di Firenze (approvato con delibera del Consiglio Comunale n. 38 del 13 settembre 2021) limita espressamente (all'art. 25, che ripete analoga norma dei precedenti regolamenti, vedi ad es. l'art. 38 del regolamento del 2014) l'applicabilità dei vincoli ivi previsti alle ipotesi di nuova costruzione o di nuovi interventi edilizi sugli immobili di precedente costruzione, escludendo quindi l'applicabilità dei vincoli medesimi, sia sotto il profilo dell'ampiezza degli ambienti sia sotto quello igienico-sanitario (cfr. art. 51 del regolamento vigente, cui corrisponde l'art. 64 del regolamento del 2014), agli immobili (come quello de quo) di vecchia costruzione per i quali i detti nuovi interventi edilizi non siano stati eseguiti (e nella specie un'eventuale esecuzione di attività edilizia dopo l'impianto catastale non è stata in alcun modo dedotta né provata). Del resto, è comunque evidente l'errore nel quale sono incorsi i Giudici di primo grado laddove hanno ritenuto che l'immobile per la sua ridotta superficie non avrebbe più le caratteristiche minime previste dal regolamento comunale. Tale affermazione è comunque smentita (data e non concessa l'applicabilità dei vincoli di cui alle norme appena di seguito indicate, che si riferiscono invece solo alle nuove costruzioni e ai nuovi interventi edilizi sulle preesistenti) dalla lettura degli artt. 52 e 57 del vigente regolamento (cui corrispondono gli artt. 65 e 70 del regolamento del 2014), che prescrivono l'ampiezza di mq 9 per i locali primari destinati a funzioni diverse dalla abitativa e l'ampiezza di mq 1,20 per i relativi servizi igienici; tutte dimensioni comunque rispettate nell'immobile de quo, come espressamente ammesso anche dalla contribuente (cfr. pag. 2 della costituzione in secondo grado dell'appellata).

Occorrerebbe inoltre rilevare che persino la superata giurisprudenza che escludeva l'autonomia dell'ordinamento catastale, ha dovuto coerentemente con tale assunto pretendere, per il mutamento di categoria (da C/1 ad altra categoria), la produzione di un provvedimento comunale di cambio di destinazione (da negozio ad es. a garage) (cfr. Cass. ord. 29221/2022, par. 3.2); provvedimento che nel caso oggetto della presente controversia non è stato prodotto e comunque non risulta esservi stato, essendo stato invece l'immobile classificato catastalmente in categoria C/1 ininterrottamente dall'impianto originario con conferma di tale ultima classificazione ad opera di parte privata mediante presentazione di DOCFA n. 2XX4 effettuata il 15 settembre 2010.

D'altronde, la legittimità dell'avviso impugnato è confermata anche dalla circostanza che nello stesso foglio catastale sono iscritte unità immobiliari con la stessa classificazione in C/1, mentre le unità classificate in C/2 - come dettagliatamente esposto nella memoria illustrativa dell'Ufficio datata 28 giugno 2021 - hanno avuto l'attribuzione di tale categoria fin dall'impianto o hanno ottenuto la classificazione in C/2 a seguito di modificazioni strutturali.

L'appello deve pertanto essere accolto.

Le spese, stanti le richiamate oscillazioni giurisprudenziali, vengono compensate.


P.Q.M.

La Commissione accoglie l'appello. Compensa le spese di entrambi i gradi di giudizio.

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