Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 30/06/2023
CAUSE DI ESTINZIONE DEL REATO E DELLA PENA
PRESCRIZIONE E DECADENZA CIVILE
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D'APPELLO DI ROMA
III SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA
Composta dai signori magistrati:
NETTIS dr. Vito Francesco - Presidente
DEDOLA dr. Enrico Sigfrido - Consigliere
COSENTINO dr.ssa Maria Giulia - Consigliere rel.
All'udienza di discussione del 31 maggio 2023, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella controversia in materia di previdenza in grado di appello iscritta al n. 179 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2021,
TRA
INAIL - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, con l'Avv. Pierfrancesco Damasco
Appellante principale e appellato incidentale
E
x
Appellata principale e appellante incidentale
OGGETTO: appelli avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Velletri n. 944/2020, pronunciata il 22.9.2020.
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 30.11.2017, l'INAIL agiva in regresso ai sensi degli artt. 10 e 11 del T.U. n. 1124/1965 nei confronti della P. Spa chiedendo, previo accertamento incidentale della qualificazione dei fatti tecnopatici denunciati il 11.4.2011 ai danni di C.A. come reato e accertamento della civile responsabilità della P. quale datrice di lavoro, condannarsi la stessa a pagare all'INAIL Euro 6.766,41 oltre accessori.
Si era costituita la P. sostenendo che nulla era dovuto in quanto il diritto a prestazioni del C. era prescritto ai sensi dell'art. 112 T.U. n. 1124/1965 e quindi l'INAIL, avendo pagato rinunciando implicitamente alla prescrizione ed essendo condebitore solidale della società, non poteva più agire in regresso nei confronti del coobbligato solidale.
Il giudice del lavoro di Velletri, acquisita documentazione in merito al processo penale instaurato per i medesimi fatti, aveva respinto la domanda dell'Istituto accogliendo la tesi della P..
L'INAIL ha appellato la sentenza sulla scorta di tre motivi.
Ha resistito la P. eccependo l'inammissibilità del ricorso ai sensi dell'art. 434 c.p.c.; sostenendo la sua infondatezza nel merito; e chiedendo altresì, con appello incidentale condizionato, di dichiarare in fatto l'assenza di responsabilità della P. s.p.a nella causazione del danno con il conseguente rigetto dell'azione di regresso proposta dall'INAIL. All'udienza fissata per la discussione le parti hanno insistito nelle rispettive difese e conclusioni. La causa è stata quindi decisa con la pronuncia del dispositivo in calce.
Motivi della decisione
1.
Va esclusa, preliminarmente, l'inammissibilità dell'appello per contrasto con l'art. 434 c.p.c. in quanto, a detta dell'appellata, l'appellante avrebbe "omesso di indicare le modifiche proposte con riferimento a ciascuna parte della sentenza impugnata.". All'opposto, i tre motivi di appello si appuntano ciascuno su una parte della pronuncia e, pur non riportando parola per parola un progetto alternativo di decisione (ciò che non è necessario nemmeno dopo la riforma intervenuta sul punto: cfr. Cass. 2681/2022), comunque indicano chiaramente in che modo si chiede di riformare le affermazioni del Tribunale. Pertanto le ragioni del gravame, collegate alla situazione di fatto esposta in ricorso, ben si confrontano con la decisione impugnata e consentono di circoscrivere il raggio critico entro cui verificare la tenuta della gravata pronunzia.
2.
Il primo motivo di appello verte "Sull'errata ritenuta prescrizione del diritto a prestazione indennitaria a seguito di accertata malattia professionale in capo al lavoratore, e sul presunto pagamento dell'INAIL di una prestazione indennitaria prescritta al lavoratore (qualificata poi come obbligazione naturale irripetibile)". Sostiene l'Istituto che i documenti prodotti (ed in particolare gli allegati 3, 8 e 14 dell'INAIL), inclusa la sentenza penale resa per gli stessi fatti (procedimento NRG 8106/2012 svoltosi innanzi al Tribunale di Velletri) asseverano che tre anni prima della domanda il lavoratore era in grado di conoscere la malattia, di qualificarla come tecnopatia ma non anche di concludere che la sua gravità aveva raggiunto il minimo indennizzabile, cosa che sarebbe avvenuta non prima del 10.2.2011 (doc. 11 del fascicolo INAIL) a fronte di una domanda amministrativa del 11.4.2011.
Sul punto la P. replica che occorre individuare il momento in cui l'interessato abbia avuto consapevolezza dell'esistenza della malattia professionale indennizzabile, e che, a tale stregua: nella sentenza penale di parla di "lesioni gravi del rachide"; nella denuncia di malattia professionale (all. 3) si L. n. 10 del 2007 quale data di prima diagnosi; già nei certificati di P.S. presso Ospedale Pertini di Roma (doc. 14 fasc. INAIL) del 22/09/2007 e del 25/09/2002 presso Ospedale di Velletri (doc. n. 13 fasc. INAIL) vi è una prima diagnosi della medesima affezione, per la quale si propone al lavoratore un intervento chirurgico; dal 2003 il C. è ritenuto idoneo alla mansione con la limitazione "ausilio di un collega nelle operazioni di mobilizzazione a letto di pazienti non autosufficienti". Pertanto, ad avviso dell'appellata, usando la normale diligenza, il lavoratore avrebbe percepito l'eziologia professionale.
Il motivo è fondato e travolge l'intera pronuncia gravata.
Come recentemente affermato da Cass. lav. n. 13806/2023, "in materia di prescrizione del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da malattia professionale, trova applicazione il medesimo criterio relativo alla azione diretta a conseguire la rendita da inabilità permanente nei confronti dell'INAIL, azione per la quale si è affermato che la prescrizione decorre dal momento in cui uno o più fatti concorrenti forniscano certezza della conoscibilità da parte dell'assicurato dello stato morboso, della sua eziologia professionale e del raggiungimento della misura minima indennizzabile.". Pertanto "la prescrizione decorre non dal momento in cui la malattia si manifesta all'esterno (o è posta la diagnosi di malattia comune), ma dal momento della conoscenza o conoscibilità, da parte del lavoratore o dei suoi eredi, secondo il metro dell'ordinaria diligenza, dell'origine professionale della patologia desumibile da elementi oggettivi ed esterni al soggetto leso, come la domanda amministrativa o la diagnosi medica, tenuto conto delle conoscenze scientifiche dell'epoca accessibili attraverso la consultazione del personale medico." La Corte ha precisato che occorrono accertamenti specifici, anche indiziari (nella specie, è stata ritenuta astratta ed insufficiente l'entrata in vigore di un testo normativo che aveva predisposto cautele per i lavoratori esposti all'amianto).
Tale concreto accertamento, ne segue, deve riguardare tutti gli elementi costitutivi del dies a quo, inclusa anche la consapevolezza, da parte del lavoratore, che la malattia in atto ha raggiunto il minimo indennizzabile. Su questo la documentazione medica non è affatto conclusiva, tenuto conto della circostanza che il C. ha continuato, anche dopo i primi sintomi, ad operare nelle medesime condizioni.
Le mere espressioni, contenute in certificazioni mediche o nella sentenza penale, di "lesione grave" o "severa protrusione" nulla possono suggerire al lavoratore in merito alla indennizzabilità degli esiti permanenti della patologia. In sede di processo penale il C. ha escluso che il medico che per primo gli aveva diagnosticato la "spondiloartropatia funzionale di terzo grado per lesioni gravi del rachide" gliene avesse illustrato l'origine lavorativa ovvero il raggiungimento della soglia di indennizzabilità INAIL; il medico della A. competente che ha indagato sul caso ha poi riferito di costanti aggravamenti, anche in relazione al compimento dei 50 anni di età e al protrarsi delle medesime mansioni ed esposizione al rischio; senza specificare quando la situazione si è fatta così grave da essere ritenuta indennizzabile.
Deve allora altresì richiamarsi Cass. lav., 05/04/2001, n.5090, a mente della quale "a seguito della sentenza della Corte cost. n. 206 del 1988 (dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 135, comma 2, del D.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui pone una presunzione assoluta di verificazione della malattia professionale nel giorno in cui è presentata all'istituto assicuratore la denuncia con il certificato medico), il "dies a quo" per la decorrenza del termine triennale di prescrizione dell'azione per conseguire dall'Inail la rendita per inabilità permanente va ricercato ed individuato con riferimento al momento in cui uno o più fatti concorrenti diano certezza, ricavata anche da presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti - quali non possono considerarsi quelle che si basano non già su di un fatto noto, ma su di un fatto la cui esistenza viene ricavata da un giudizio di sola probabilità o addirittura di possibilità - della conoscenza da parte dell'assicurato della esistenza dello stato morboso, della eziologia professionale della malattia e del raggiungimento della soglia legale di indennizzabilità." Nella specie, alla stregua del principio di cui in massima, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, ai fini del computo della decorrenza del termine prescrizionale del diritto dell'assicurato di ottenere la rendita dall'Inail, aveva tratto la prova della conoscenza da parte dello stesso della propria malattia dal parere espresso dal consulente tecnico di ufficio nominato nel giudizio di primo grado, il quale aveva accertato che il livello minimo dell'invalidità indennizzabile sarebbe stato raggiunto circa dieci anni prima, e dall'ammissione fatta dallo stesso assicurato, il quale, nel corso dell'interrogatorio libero reso davanti al primo giudice, aveva dichiarato che fin da molti anni addietro si era reso edotto della ipoacusia dalla quale era affetto, senza che peraltro fosse stata appurata la conoscenza da parte dell'interessato anche della origine professionale della malattia e della circostanza che la stessa avesse raggiunto la soglia minima di indennizzabilità.
Pertanto non poteva dirsi prescritto il diritto all'indennizzo, con conseguente esistenza del debito onorato dall'INAIL e sussistenza dei presupposti per agire in regresso nei riguardi della datrice di lavoro.
3.
Il secondo motivo di appello verte "Sulla sindacabilità dell'indennizzo di infortuni e malattie professionali svolto dall'INAIL da parte del datore di lavoro, in tema di azione di rivalsa", ritenendo l'appellante che l'eccezione di avere l'INAIL pagato un debito prescritto impingerebbe inammissibilmente sulla discrezionalità amministrativa istituzionale dell'Istituto.
L'esame è assorbito dall'accoglimento del primo motivo.
4.
Il terzo motivo di appello riguarda la "presunta solidarietà del credito fra INAIL e datore di lavoro insorto in capo al lavoratore a seguito di malattia professionale per il ristoro dei danni alla salute da questo patiti e sull'applicazione dell'art.1310 c.c. co. 3 a tale credito": a detta dell'appellante, affermare che l'obbligo "indennitario" che vede l'INAIL debitore nei confronti di un lavoratore tecnopatico sia un debito solidale con quello risarcitorio che grava sul datore di lavoro per il medesimo evento nei confronti del medesimo creditore/lavoratore, sarebbe un grave errore in quanto solo il primo è pubblicistico e indennitario, indisponibile, prescinde da colpa, ed è "tabellare": pertanto, a differenza dell'omologo rapporto fra il danneggiante e un ente assicurativo privato, qui difetta quella che è la principale caratteristica perché un'obbligazione sia definibile come solidale, vale a dire la omogeneità del credito.
Anche l'esame di questo motivo è assorbito dall'accoglimento del primo motivo, sia consentito però aggiungere, a sostegno della sua fondatezza, che anche Cass.lav. n. 27669/2017 ha chiarito che, in effetti, indennizzo INAIL e risarcimento del danno divergono sotto il profilo strutturale e funzionale. In particolare, in quella occasione, la S.C. ha puntualizzato che l'indennizzo di cui all'art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000, ispirato a logiche solidaristiche, è svincolato dalla sussistenza di un illecito, sia esso di natura contrattuale o aquiliano e può essere disposto anche a prescindere dall'elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità. Inoltre, mentre la rendita INAIL cessa con la morte del lavoratore, il diritto al risarcimento si trasferisce agli eredi. Pertanto, solo per evitare duplicazioni risarcitorie, e non già perché si tratti di debiti omogenei, è previsto che la quota di indennizzo vada decurtata dall'ammontare complessivo del danno richiesto al datore di lavoro, ferma restando la possibilità, appunto, dell'azione di regresso. Ed anche la sentenza n. 13061/2016, citata dalla P. e dalla stessa sentenza gravata, richiamando la precedente pronuncia n. 5160/2015, ha puntualizzato che l'INAIL, con l'azione di regresso prevista dal D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 10 ed 11 cit., agendo contro il datore di lavoro dell'assicurato infortunato, fa valere in giudizio un diritto proprio, nascente direttamente dal rapporto assicurativo; ed è vincolato a rigorosi parametri e criteri legali.
Per cui, anche sotto questo distinto profilo, la sentenza gravata merita riforma.
5.
Con appello incidentale la P. censura il passaggio della sentenza gravata che riconosce l'accertamento della responsabilità del datore di lavoro per la tecnopatia occorsa al C. sulla base della sentenza penale in atti, resa all'esito del procedimento penale a carico di S.G., all'epoca legale rappresentante della P. Spa: in quanto ivi il Tribunale penale non ha condannato la G., bensì ha accertato l'estinzione per prescrizione del reato contestato. Replica l'INAIL che ben avrebbe potuto, la G., rinunciare alla prescrizione per ottenere una assoluzione nel merito degli addebiti.
La questione pare mal posta, da parte dell'Istituto, nondimeno l'appello incidentale è infondato, dal momento che gravi indizi della colpevolezza datoriale sono presenti in atti.
In particolare, già il Tribunale penale, oltre a dichiarare la prescrizione del reato, ha avuto modo di precisare che non vi fossero i presupposti per una migliore formula, come l'assoluzione nel merito.
Inoltre, anche diversamente opinando, occorre tenere conto del principio di autonomia fra processo civile e processo penale. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 1768 del 2011), cui si sono uniformate le successive sentenze n. 21299 del 2014 e n. 14570 del 2017 hanno chiarito che nel caso di sentenza meramente dichiarativa della intervenuta prescrizione - tenuto conto del fatto che non sempre la prescrizione importa l'accertamento della sussistenza del fatto materiale costituente reato, anche se in questo caso si ritiene sia stato accertato - il giudice civile non solo può, ma deve procedere autonomamente all'accertamento ed alla valutazione dei fatti, anche se non può escludersi la facoltà di utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte nel giudizio penale, ponendo a base delle proprie conclusioni gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede e sottoponendoli al proprio vaglio critico, mediante il confronto con gli elementi probatori emersi nel giudizio civile.
Calando tali principi nel caso di specie, appare tranchant il verbale di udienza del 2.10.2014 davanti al Tribunale penale di Velletri, contenente le dichiarazioni della parte offesa, A.C., il quale ha dichiarato che veniva sottoposto a visita periodica lavorativa solo dagli anni Novanta e nemmeno tutti gli anni; che fra le sue mansioni c'era quella di provvedere alla movimentazione dei ricoverati non collaboranti ed era addetto ad un reparto di lungodegenza; che solo negli ultimi anni, dal 1996/97 circa, ciò avveniva tramite un paranco, ma se questo era impegnato, essendo uno solo, occorreva abbracciare il paziente e poi sollevarlo e spostarlo; che nei bagni non si poteva entrare con la carrozzina ma solo trasportando i pazienti a braccia; che i letti dotati di dispositivi automatici per la posizione del paziente sono arrivati in reparto gradualmente, dal 2003. Il verbale contiene anche le dichiarazioni del medico del lavoro, dott. M.L., dirigente del servizio direzione prevenzione e sicurezza della allora A.R.H., che aveva svolto istruttoria sul caso ed eseguito un sopralluogo nel 2011: egli ha riferito che il rischio di movimentazione manuale dei carichi era contemplato ma non valutato né gestito nella documentazione aziendale afferente la sicurezza, se non a partire dal 2001 (laddove il rischio è stato valutato nella intermedia fascia gialla dell'indice MAPO, richiedente specifiche misure di contrasto), e gestito con corsi di formazione; che il C. era stato visitato, in sede di sorveglianza sanitaria, solo nel 2003 (ove già si riscontravano problemi alla schiena) e nel 2005; che le problematiche avevano certamente nell'attività lavorativa un ruolo causale determinante, anche in assenza di specifici fattori predisponenti; che, tenuto conto che il lavoratore operava lì dal 1969 e che i dolori sono iniziati negli anni Novanta, i provvedimenti aziendali in relazione alla detta esposizione a rischio erano stati tardivi e insufficienti, anche tenuto conto che è notoria l'alta esposizione degli infermieri a questo tipo di rischio; che anche l'indicazione del medico aziendale, nel 2003 e nel 2005, di sollevare i pazienti solo con altri operatori appare insufficiente perché in presenza di una discopatia non si potrebbero superare i 5-6 chili di peso, di molto inferiori al peso di un paziente sia pure diviso per due o per tre; che la movimentazione manuale avrebbe dovuto essere, invece, del tutto preclusa al C., e di qui l'aggravamento dal 2007.
Il verbale in atti costituisce dimostrazione ampiamente sufficiente a fondare la responsabilità della P. nella tardiva e insufficiente attività di prevenzione del rischio poi purtroppo concretizzatosi ai danni di A.C..
Ne segue il rigetto dell'appello incidentale.
6.
Conclusivamente, va accolto l'appello e, in totale riforma della gravata sentenza, accertata la responsabilità della P. nella causazione della malattia professionale occorsa al C. (sul punto respingendosi l'appello incidentale), va condannata la P. al pagamento in favore dell'INAIL della somma di Euro 6.766,41 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo.
Le spese del doppio grado vanno riviste in ragione della soccombenza complessiva della P. e devono liquidarsi come in dispositivo.
Infine, deve darsi atto che per l'appellante incidentale sussistono le condizioni richieste dall'art.13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull'appello proposto da INAIL depositato il 17.1.2021, avverso la sentenza del Tribunale del Lavoro di Velletri n. 944/2020, pronunciata il 22.9.2020 nei confronti di P. Spa, nonché sull'appello incidentale di quest'ultima nei confronti di INAIL, così provvede:
- in totale accoglimento dell'appello principale e in totale riforma della gravata sentenza, accertata la responsabilità della P. nella causazione della malattia professionale occorsa a C.A., condanna la P. al pagamento in favore dell'INAIL della somma di Euro 6.766,41 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo;
- respinge l'appello incidentale;
- condanna la P. a rimborsare all'INAIL le spese di lite del doppio grado, liquidate quanto al primo grado in Euro 3.000,00 e quanto al presente grado in Euro 3.000,00, oltre accessori come per legge;
- dà atto che per l'appellante incidentale sussistono le condizioni richieste dall'art.13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 31 maggio 2023.
Depositata in Cancelleria il 30 giugno 2023.
Nessun commento:
Posta un commento