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lunedì 31 luglio 2023

Corte d'Appello 2023-“ mancata autorizzazione al godimento di ferie maturate”

 

Corte d'Appello 2023-“ mancata autorizzazione al godimento di ferie maturate”


Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 08/02/2023 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE D'APPELLO DI ROMA 

Sezione Lavoro e Previdenza 

composto dai Sigg. Magistrati: 

dott.ssa Vittoria Di Sario - Presidente 

dott. Vincenzo Selmi - Consigliere rel. 

dott. Vito Riccardo Cervelli - Consigliere 

all'esito dell'udienza del 12.1.2023 ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1495 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell'anno 2020 vertente 

TRA 

x

-APPELLANTE - 

COMUNE DI OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall'avvocato x

-APPELLATO- 

OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Velletri n. 612 depositata in data 18.6.2020 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione 

Con la sentenza impugnata il Tribunale Velletri, in funzione di giudice del lavoro, rigettava il ricorso presentato da O.A. al fine di ottenere, previo accertamento dell'insussistenza dei rilievi disciplinari contestati dal Comune di OMISSIS con note nn. (...) del 28/10/2015, (...) del 23/02/2018 e (...) del 29/11/2018 nonché dell'illegittimità degli ordini di servizio nn. (...) del 01/02/2018 e (...) del 07/03/2018 e della nota n. (...) prot. del 05/12/2018 (concernente la mancata autorizzazione al godimento di ferie maturate), la responsabilità del Comune di OMISSIS e per esso dei propri dirigenti e funzionari ai sensi dell'art. 2087 c.c. per le condotte vessatorie subite, con conseguente condanna dell'ente intimato al risarcimento dei danni patrimoniale - per la lesione della professionalità - nella misura di Euro 18.000,00 (pari a un'annualità di retribuzione) nonché psicofisico asseritamente subiti (da liquidare in 6 punti percentuali, quantificabili in applicazione delle Tabelle del Tribunale di Milano 2018 in Euro 8.286,17). 

Avverso tale sentenza O.A. presentava appello fondato su più motivi chiedendo accertarsi e dichiararsi la nullità della sentenza impugnata ed insistendo per l'accoglimento delle conclusioni già rassegnate in primo grado. 

Il Comune di OMISSIS si costituiva in giudizio resistendo all'accoglimento del gravame. 

All'odierna udienza, la causa è stata decisa come da separato dispositivo. 

O.A., dipendente del Comune di OMISSIS, con qualifica, da ultimo, di Istruttore Amministrativo (già Agente di polizia locale) - Categoria (...), aveva agito in giudizio allegando l'illegittimità di numerosi ordini di servizio e procedimenti disciplinari adottati nei suoi confronti dall'ente datore nonché la responsabilità di quest'ultimo, ai sensi dell'art. 2087 c.c. (con particolare riferimento alla figura dello straining) rivendicando conseguentemente il proprio diritto al risarcimento del danno patrimoniale alla professionalità nonché psico-fisico quantificato come in ricorso. 

Trattasi in particolare dei seguenti provvedimenti: 

1)- tre provvedimenti di mobilità interna con i quali l'odierna appellante era stata assegnata: 

- dal 1/12/2016, previa sua riclassificazione in Istruttore Amministrativo, all'Ufficio del personale - settore III; 

- dal 15/01/2018 all'Ufficio Relazioni con il Pubblico (U.R.P.) con qualifica di istruttore con delega ad ufficiale di anagrafe; 

- dal 07/01/2019 all'Ufficio Anagrafe con qualifica di istruttore amministrativo; 

2)- la nota n. 24056 del 28/10/2015 con la quale le era stata contestata ai fini disciplinari, in relazione alla sua assenza ad una esibizione della banda musicale della città di Calahorra, l'inosservanza dell'ordine di servizio in data 09/10/2015; 

3)- gli ordini di servizio nn. (...) del 01/02/2018 e (...) del 07/03/2018 con i quali era stata assegnata presso l'ufficio U.R.P. della Frazione di Laghetto rispettivamente nei giorni 13 e 27 febbraio 2018 (n. (...)) e nei giorni 9 e 23 marzo 2018 (n. (...)) e ciò nonostante i benefici derivanti dall'art. 3 comma 3 L. n. 104 del 1992 in ragione dell'esigenza di assistere l'anziana madre; 

4)- le note nn. (...) del 23/02/2018 e (...) del 29/11/2018 con cui le era stata richiesta documentazione giustificativa in relazione alla sua assenza alle visite domiciliari di controllo rispettivamente in data 15/02/2018 ((...)) e 29/11/2018 ((...)); 

5)- le note nn. (...) del 8/3/2018 e (...) del 12/03/2018 con le quali le era stata contestata l'assenza ingiustificata dal servizio, rispettivamente, in data 08/02/2018 ((...)) e dall'8/2/2018 al 20/2/2018 ((...)) in entrambi i casi per la mancata produzione della relativa certificazione medica. 

6)- la nota n. 28152 del 05/12/2018 con la quale le era stata negata la fruizione di venti giorni di ferie maturati nel 2016 per il fatto di aver goduto nel medesimo periodo congedi per malattia e permessi ex L. n. 104 del 1992. 

Affermava la finalità persecutoria e la natura vessatoria di tali provvedimenti in quanto tesi a prevaricare le sue prerogative derivanti dallo stato di invalidità riconosciutole nella misura del 67% (con relativi esoneri ex art. 4, comma 1, lett. c D.P.C.M. n. 206 del 2017) e di lavoratrice beneficiaria di permessi ex L. n. 104 del 1992. 

Allegava l'insussistenza dei rilievi disciplinari contestati e l'infondatezza delle contestazioni relative alla assenza ingiustificata dal servizio nonché l'illegittimità dei provvedimenti di mobilità interna e degli ordini di assegnazione all'ufficio U.R.P. della Frazione di Laghetto evidenziando come questi ultimi fossero stati adottati senza acquisire previamente il suo consenso (necessario in ragione del godimento dei benefici di cui alla L. n. 104 del 1992). 

Lamentava anche l'illegittimità della mancata autorizzazione al godimento delle ferie maturate evidenziando come non vi potesse essere alcuna connessione tra il mancato godimento delle ferie maturate e la fruizione di periodi di malattia e/o permessi ex L. n. 104 del 1992, spettanti per legge e non per concessione dell'ente. 

Il Tribunale rigettava interamente la domanda. 

Escludeva innanzitutto la sussistenza di profili di illiceità in ordine ai provvedimenti di trasferimento interni evidenziando come l'ente datore avesse compiutamente dedotto e provato come l'odierna appellante, già Agente di Polizia Locale cui veniva assegnata, a seguito di giudizio di inidoneità fisica, la qualifica professionale di Istruttore Amministrativo, fosse stata trasferita al Servizio del Personale a seguito del suddetto giudizio di inidoneità, su sua stessa domanda ed evidenziando altresì come in relazione ai successivi provvedimenti di trasferimento interno non fossero stati allegati specifici motivi di eventuale illegittimità e come gli stessi non implicassero alcun demansionamento essendo invece determinati dalle " concrete modalità operative (limitazione a due soli giorni a settimana dello sportello con il pubblico) al contemperamento tra le esigenze della lavoratrice connesse allo stato di salute e quelle organizzative datoriali". 

Escludeva la dedotta illiceità anche con riferimento agli ulteriori provvedimenti contestati. 

Evidenziava, in particolare, come: 

- con riferimento alla nota n. 24056/2015, il Tribunale di Velletri avesse, con sentenza n. 1330/2018, attualmente impugnata, comunque riconosciuto la rilevanza disciplinare della condotta contestata limitandosi a ridurre la sanzione comminata (sospensione dal servizio per un giorno con privazione della retribuzione); 

- con riferimento alle note nn. (...) e (...) evidenziava come fosse piena facoltà dell'ente datore disporre visite fiscali e come, con riferimento alla nota 4882/2018, fosse stato dedotto e documentato come il certificato giustificativo dell'assenza dal proprio domicilio fosse stato inviato dalla Olivieri, il 2/3/2018, solo 16 giorni dopo a fronte della richiesta di giustificativo del 23/2/2018; 

Con riferimento alla nota (...) il Tribunale escludeva, disattendendo quanto sostenuto in proposito dall'appellante, la possibilità di attribuire alla lavoratrice un generale esonero dagli obblighi di reperibilità durante i periodi di malattia, in forza dello stato di invalidità civile del 67% che le era stato riconosciuto. 

Con riferimento alle note nn. (...) e (...) osservava come il procedimento disciplinare che ne era scaturito non aveva condotto ad alcun provvedimento sanzionatorio con conseguente insussistenza dell'interesse ad agire della ricorrente in ordine all'accertamento della loro illegittimità. 

Escludeva inoltre l'illegittimità della nota n. 28152/2018 (concernente la mancata autorizzazione al godimento di ferie maturate). 

Premesso che l'odierna appellante aveva, con nota del 3/12/2018 lamentato la mancata fruizione di ben 80 giorni di ferie, relativi alle pregresse annualità 2016 (n.16), 2017 (n. 32) e 2018 (n. 32), a causa degli asseriti "continui dinieghi" opposti dal Responsabile del Servizio Urp, rilevava come quest'ultima avesse, con la nota (...), chiarito che solo per due giorni vi era stato un diniego di ferie per ragioni organizzative esplicitate nei singoli provvedimenti richiamati ( esigenza di assicurare personale allo sportello, avendo già assicurato nei giorni 29 ottobre e 15 novembre l'assenza per ferie di altro dipendente) e come degli 80 giorni di ferie mancate 17 erano stati regolarmente autorizzati e i restanti 63 erano stati imputati ad assenze per altre ragioni (permessi ex L. n. 104 del 1992, ecc.), invitando quindi la ricorrente a presentare un piano ferie. 

Evidenziava quindi come l'appellante, su invito dell'ente, avesse poi presentato, in data 17/12/2018, istanza di ferie per il periodo dal 24/12/2018 al 17/1/2019, e che tale istanza era stata comunque accolta in data 4/1/2019 con cui era stata autorizzata la fruizione di ferie a partire da tale data. 

Escludeva pertanto la possibilità di poter ravvisare nella condotta dell'ente datore profili di illegittimità, evidenziando come la nota contestata non potesse interpretarsi come diniego assoluto di concessione di ferie (successivamente infatti concesse) ma di sollecitazione alla presentazione di un piano di smaltimento non essendo sufficiente a tale scopo il ritardo nella risposta dell'amministrazione. 

Evidenziava inoltre come la mera illegittimità di tale singolo atto, valutata l'insussistenza delle altre condotte asseritamente vessatorie ascritte alla parte datoriale, non potesse reputarsi significativa non solo di quella sistematicità dei fatti ipoteticamente avvinti dall'intento vessatorio nella fattispecie del cd. mobbing ma neppure della ravvisabilità di quella piu' lieve dello straining. 

Escludeva pertanto la sussistenza di elementi tali da poter affermare l'eventuale sussistenza di un ambiente lavorativo riferito come stressogeno imputabile alla condotta datoriale. 

Con un primo motivo l'appellante eccepisce la nullità della gravata sentenza, pronunciata a seguito di trattazione scritta, per violazione degli artt. 420 e 429 c.p.c. in riferimento all'art. 83, comma 7, lett. h, D.L. n. 18 del 2020 nonché per violazione, derivante dalla trattazione scritta della causa, del diritto di difesa e al legittimo contraddittorio. 

Lamentava in particolare l'illegittimità della decisione a seguito di trattazione scritta in assenza di discussione orale attività che, sostiene l'appellante, anche in ragione del tenore letterale degli artt. 420, comma 4, c.p.c. e dell'art. 429, comma 1, c.p.c. non potrebbe essere surrogata da "note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni" e che deve reputarsi doveroso presupposto ai fini della decisione della causa. 

Evidenzia di avere, nelle note depositate nel primo termine assegnato dal Giudice, richiesto di essere ammessa alla discussione orale della causa, eventualmente tramite videoconferenza, richiesta immotivatamente denegata e chiede di annullare la gravata sentenza rimettendo la causa innanzi al giudice di prime cure in diversa composizione. 

Il motivo non può trovare accoglimento alla stregua delle assorbenti considerazioni che seguono. 

E' appena il caso di osservare preliminarmente che, in ogni caso, anche in ipotesi di sua fondatezza, così come in quella di fondatezza degli ulteriori profili di contestazione formale prospettati nell'atto di impugnazione (per omessa o carente motivazione ed omessa pronuncia), non potrebbe comunque trovare accoglimento la richiesta dell'appellante di "rimettere la causa dinanzi al Tribunale di Velletri, in diversa composizione" non rientrando nessuno di tali profili di contestazione nelle ipotesi rimessione della causa al primo giudice tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c. 

Tanto premesso si osserva che, così come risulta dagli atti di causa, il Tribunale, aveva disposto, con Provv. in data 28 aprile 2020, che la decisione della presente causa dovesse avvenire nelle forme della trattazione scritta ex art. 83, comma 7, lett. h D.L. n. 18 del 2020. 

Trattasi di modalità di decisione della causa espressamente prevista dal legislatore, con portata applicativa generale, in ragione della situazione di emergenza verificatasi a seguito della pandemia COVID. 

Ne consegue la legittimità delle statuizioni adottate a tale scopo dal Tribunale in quanto conformi alla legislazione allora vigente 

Deve peraltro escludersi la possibilità di ravvisare nel presente caso di specie la lamentata violazione delle garanzie difensive dell'appellante e ciò non solo alla luce dell'ampia esplicazione delle proprie difese effettuata, di fatto, da tale parte (anche con specifico riferimento alle richieste di prova orale) con le note del 5/6/2020 e in quelle di replica del 12/6/2020 (depositate nel termine assegnato dal Tribunale con il Provv. del 28 aprile 2020) ma anche alla luce della possibilità concessa a tale parte di replicare ampiamente alle difese esplicate dall'ente resistente nella comparsa di costituzione di primo grado nel corso della prima udienza di trattazione celebratasi alla presenza delle parti in data 28/11/2019. 

Con due ulteriori motivi l'appellante eccepisce la nullità della sentenza, per omessa o carente motivazione, e conseguente violazione dell'art. 132 comma 2 nn. 3 e 4 c.p.c. lamentando come il Tribunale avesse completamente omesso di esporre i fatti di causa e, seppure concisamente, le richieste delle parti omettendo di statuire anche sulle sue richieste istruttorie. 

Anche tali motivi, che si ritiene di esaminare congiuntamente, stante la loro reciproca connessione, sono infondati. 

Si osserva alla stregua dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità che l'omessa trascrizione delle conclusioni delle parti non è di per sé causa di nullità della sentenza, assumendo rilevanza solo se ed in quanto accompagnata dalla mancata considerazione delle stesse da parte del giudice (Cass. n . 11150 del 09/05/2018) e che risulta nulla, per violazione dell'art. 132, n. 4, c. p. c. solo la sentenza in cui sia totalmente omessa, per materiale mancanza, la parte della motivazione riferibile ad argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. 

La mancanza di motivazione costituisce in particolare motivo di nullità della sentenza solo quando non sia possibile individuare gli elementi di fatto considerati o presupposti nella decisione, stante il principio della strumentalità della forma, per il quale la nullità non può essere mai dichiarata se l'atto ha raggiunto il suo scopo (art. 156, comma 3, cod. proc. civ.), e considerato che lo stesso legislatore, nel modificare l'art. 132 cit., ha espressamente stabilito un collegamento di tipo logico e funzionale tra l'indicazione in sentenza dei fatti di causa e le ragioni poste dal giudice a fondamento della decisione (in tal senso Cass. n. 22845 del 10/11/2010. In tal senso anche Cass. n. 920 del 20/01/2015). 

Tali ipotesi non possono ritenersi ravvisabili nel presente caso di specie ove il Tribunale, sia pure sinteticamente, così come risulta anche dalla esposizione che precede, ha esposto il contenuto delle rivendicazioni della parte (con conseguente esclusione della possibilità di ravvisare la lamentata nullità per violazione dell'art. 132, n. 3 c.p.c.) fornendo una analitica motivazione delle ragioni poste a fondamento della sua decisione di rigetto integrale (essendo le ragioni poste a fondamento della decisione sufficientemente significative anche del mancato accoglimento delle richieste di prova orale avanzate dall'appellante, evidentemente ritenute non necessarie fini della decisione e in quanto tali implicitamente respinte) elementi questi che rendono la decisione comunque valida sotto il profilo formale ed idonea a rendere comprensibili le ragioni poste dal Tribunale a fondamento della sua decisione. 

L'appellante contesta inoltre nel merito le motivazioni poste a fondamento della decisione impugnata. 

Contesta in particolare quanto affermato con la gravata sentenza con riferimento ai provvedimenti di mobilità interna in ordine a non essere stato contestato che tali provvedimenti siano stati adottati su istanza della odierna appellante, istanza di trasferimento di cui non vi sarebbe prova, lamentando a tale proposito anche l'avvenuto fraintendimento dei motivi di doglianza esposti nel ricorso introduttivo ed evidenziando come tali atti di mobilità interna fossero stati contestati non in quanto applicazione, ancorché distorta, dell'autonomia organizzativa dell'ente quanto piuttosto come espressione della sua condotta prevaricatrice. 

Contesta inoltre, quanto affermato nella gravata sentenza : 

- con riferimento alla nota n. (...) rilevando che il richiamo alla suddetta sanzione disciplinare non era finalizzato al riesame giudiziale della questione costituendo invece presupposto di fatto della lamentata vessatorietà del trattamento subito; 

- con riferimento alle note nn. (...) e (...) in ordine alla insussistenza del suo interesse ad agire al fine di fare accertare l'illegittimità dei provvedimenti datoriali, evidenziando come a tale interesse dovesse attribuirsi rilievo quale elemento costitutivo della responsabilità addebitata all'ente datore sensi dell'art. 2087 c.c. quale conseguenza della strategia persecutoria e comunque vessatoria asseritamente adottata in suo danno; 

- con riferimento alle note nn. (...) e (...) lamentava essere state ignorate dal giudice di prime cure le circostanze di fatto specificamente allegate nella precedente fase del giudizio, in ordine al tempestivo invio telematico dei certificati di malattia e della relativa prognosi evidenziando, con riferimento alla seconda di tali note, l'assenza di obbligo di previo avviso dell'assenza nella fascia di reperibilità. Contesta altresì la contraddittorietà e l'erroneità delle motivazioni addotte dal Tribunale nel ritenerla non legittimata ad avvalersi dei benefici di cui all'art. 4, comma 1, lett. c D.P.C.M. n. 206 del 2017 evidenziando di avere prodotto verbale di riconoscimento della sua invalidità civile, fondato su patologie che sosteneva essere in stretta correlazione con quelle che avevano determinato la sua assenza per malattia; 

- con riferimento alla nota 28152/2018 contesta quanto affermato dal Tribunale in ordine alla assenza relativamente a tale provvedimento di profili di illegittimità. Evidenzia come la risposta alla richiesta di congedo ordinario presentata il 17/12/2018 fosse stata vistata dalla dirigente del servizio solo in data 4/1/2019, senza specificazione del periodo effettivamente godibile (se non a seguito di apposita richiesta in tal senso) e comunque non esaustiva in quanto priva di espressa autorizzazione al congedo. Lamenta la scarsa comprensibilità e l'incoerenza della motivazione resa con i fatti dedotti in causa. 

Contesta inoltre l'omessa statuizione da parte del Tribunale sulla domanda di illegittimità degli ordini di servizio nn. 2696/2018 e 5720/2018 di assegnazione presso l'ufficio U.R.P. della Frazione di Laghetto. 

Con un ulteriore motivo l'appellante contesta la gravata sentenza nella parte in cui aveva escluso la possibilità di ravvisare nella condotta datoriale l'intento vessatorio proprio delle fattispecie della mobbing e dello straining, fattispecie la cui sussistenza ribadiva (con particolare riferimento alla figura dello straining) insistendo per l'accoglimento della proposta domanda risarcitoria. 

Tali motivi che si ritiene opportuno esaminare congiuntamente stante la loro reciproca connessione non possono trovare accoglimento alla stregua delle assorbenti considerazioni che seguono. 

L'odierno appellante aveva agito in giudizio lamentando l'illegittimità della condotta datoriale e la conseguente sua responsabilità ex art. 2087 c.c. in relazione alla molteplicità di condotte precedentemente evidenziate, non perché intrinsecamente illegittime ma in quanto espressione di un medesimo intento vessatorio e persecutorio (riferibile, in particolare, alla sua condizione di invalidità e di soggetto beneficiario, in ragione della necessità di prestare assistenza all'anziana madre, dei benefici previsti dalla L. n. 104 del 1992). 

Tale interpretazione della domanda trova riscontro non solo nel complessivo contenuto dell'atto di impugnazione ma anche in quanto specificato dalla stessa odierna appellante nel corso della prima udienza di trattazione in primo grado (cfr. verbale di udienza del 28/11/2019) ove dichiarava di non avere "impugnato i singoli provvedimenti in termini di illegittimità intrinseca ma in quanto produttivi di danno" precisando chiaramente, quindi, come la domanda fosse finalizzata esclusivamente all'accertamento della responsabilità datoriale sotto tale profilo. 

Alla stregua di tali premesse l'appello non può trovare accoglimento non potendo ravvisarsi nel caso di specie, nemmeno con riferimento alla sua figura attenuata dello straining, la dedotta responsabilità per mobbing da intendersi quest'ultima come condotta del datore di lavoro protratta nel tempo e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, ed, eventualmente, anche leciti) diretti alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa - in violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 cod. civ. - la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica. In ordine a tale nozione di mobbing cfr. Cass. n. 22858 del 09/09/2008 nonché Cass. n. 3785 del 17/02/2009). 

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro a titolo di mobbing, sono, infatti, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio (Cass. n. 3785 del 17/02/2009. Nello stesso senso Cass. n. 17698 del 6/8/2014 e Cass, n. 24029 del 24/11/2016. In ordine alla necessità della contemporanea sussistenza dell'elemento obiettivo, integrato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, e di quello soggettivo dell'intendimento persecutorio del datore medesimo, cfr., recentemente, Cass. n. 12437 del 21/05/2018). 

La giurisprudenza di legittimità ha anche affermato che ai sensi dell'art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico e suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute sia dei principi di correttezza e buona fede cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro, il datore è tenuto ad astenersi da iniziative che possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante l'adozione di condizioni lavorative "stressogene" (cd. "straining"), e a tal fine il giudice del merito, pur se accerti l'insussistenza di un intento persecutorio idoneo ad unificare gli episodi in modo da potersi configurare una condotta di "mobbing", è tenuto a valutare se, dagli elementi dedotti - per caratteristiche, gravità, frustrazione personale o professionale, altre circostanze del caso concreto - possa presuntivamente risalirsi al fatto ignoto dell'esistenza di questo più tenue danno (Cass. n. 3291 del 19/02/2016). 

Nel presente caso di specie non può ritenersi sufficientemente dimostrata la sussistenza di una condotta qualificabile come mobbing o straining. 

Ritiene infatti il Collegio che debba escludersi la possibilità di ravvisare tale ultima fattispecie nell'ipotesi in cui la situazione stressogena, anche se rapportata ad episodi singolarmente considerati, non sia conseguenza di un atteggiamento ostile da parte del datore di lavoro essendo invece riconducibile nel più ampio contesto di ordinarie dinamiche e conflittualità proprie della vita lavorativa o da scelte organizzative che risultino comunque funzionali ai fini dello svolgimento dell'attività datoriale (cfr., ad es. Cass. n. 2676 del 04/02/2021 la quale ha escluso la ravvisabilità di tale fattispecie nelle ipotesi in cui la situazione di amarezza, determinata ed inasprita dal cambio della posizione lavorativa, sia determinata dai processi di riorganizzazione e ristrutturazione che abbiano coinvolto l'intera azienda). 

Tanto premesso si osserva che i provvedimenti datoriali contestati dalla lavoratrice sono riconducibili fondamentalmente a quattro tipologie: 

1) Provvedimenti di mobilità interna consistenti nell'assegnazione stabile dell'appellante ad uffici amministrativi, in particolare all'esito della sua riclassificazione, a seguito di giudizio di inidoneità, agente di polizia locale in istruttore amministrativo nonché due ordini di servizio (n. 2696 del 1/2/2018 e n. 5720 del 7/3/2018) di assegnazione temporanea, per un totale di quattro giornate nei mesi di febbraio e marzo 2018 all'ufficio URP della Frazione di Laghetto. 

2) Tre provvedimenti di contestazione disciplinare. 

Trattasi in particolare di un singolo provvedimento di contestazione disciplinare (24056 del 28/10/2015) per assenza ad una esibizione della banda musicale in violazione dell'ordine di servizio espressamente impartito dall'amministrazione datrice in data 9/10/2015 e a seguito della quale risulta essere stata impartita alla lavoratrice la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per un giorno. 

Trattasi di condotta la cui rilevanza disciplinare risulta essere stata confermata dal Tribunale di Velletri con la sentenza n. 1330/2018, pacificamente impugnata dalla lavoratrice, la quale, pur ritenendo applicabile la sanzione meno grave della multa di 4 ore di retribuzione, aveva tuttavia riconosciuto la rilevanza disciplinare della condotta contestata (cfr. copia della predetta sentenza prodotta come all. 22 della comparsa di costituzione di primo grado). 

Due contestazioni disciplinari per assenza ingiustificata in data 8/2/2018 e dall'8/2/2018 al 20/2/2018 in quanto non comunicata al responsabile del servizio, contestando in particolare la violazione degli obblighi di comunicazione di cui all'art. 21, comma 8, (8. L'assenza per malattia deve essere comunicata all'ufficio di appartenenza tempestivamente e comunque all'inizio dell'orario di lavoro del giorno in cui si verifica, anche nel caso di eventuale prosecuzione dell'assenza, salvo comprovato impedimento) e 23, comma 3, lett. o ( o) in caso di malattia, dare tempestivo avviso all'ufficio di appartenenza, salvo comprovato impedimento) CCNL Comparto Regioni ed autonomie locali (note nn. (...) prot. del 08/03/2018 e (...) prot. del 12/03/2018, cfr. all.ti 13 e 14 del ricorso di primo grado) e ai quali, all'esito dell'audizione personale della lavoratrice in data 18/4/2018, pacificamente non è stato dato alcun seguito in sede disciplinare. 

3) Due inviti a fornire documentazione giustificativa dell'assenza della lavoratrice alla visita domiciliare di controllo in periodo di malattia (note nn. (...) del 23/02/2018 e (...) del 29/11/2018, all.ti 10 e 11 del ricorso di primo grado). 

Trattasi, in entrambi i casi, di meri inviti a fornire documentazione giustificativa ai quali non risulta essere seguita alcuna iniziativa disciplinare. 

4)- nota n. 28152 del 05/12/2018 con la quale, secondo quanto sostenuto dall'appellante, le sarebbe stata negata la fruizione di venti giorni di ferie maturati nel 2016 per il fatto di aver goduto nel medesimo periodo congedi per malattia e permessi ex L. n. 104 del 1992; 

Ciò premesso deve escludersi la possibilità di ravvisare, in ordine agli atti indicati nel ricorso, quella volontà datoriale prevaricatrice o vessatoria allegata dall'odierna appellante a fondamento della sua azione. 

Un tale intento non può essere certamente ravvisabile in ordine ai tre provvedimenti di assegnazione della ricorrente presso vari uffici interni dell'amministrazione datoriale. 

Trattasi di espressione legittima del potere organizzativo datoriale (il provvedimento di assegnazione ad un ufficio amministrativo del 1/12/2016, risulta essere naturale ed inevitabile conseguenza, della attribuzione all'odierna appellante, già agente di polizia locale, effettuata con Provv. n. 96 del 25 novembre 2016, a seguito della accertata parziale inidoneità fisica, della qualifica equivalente di istruttore amministrativo, cfr all. 1 della comparsa di costituzione di primo grado) e relativamente ai quali non è possibile ravvisare alcuna potenzialità lesiva della sfera professionale (non risultano idonee specifiche allegazioni in ordine al carattere demansionante delle mansioni amministrative assegnate in particolare con riferimento alla loro eventuale non riconducibilità alla profilo di inquadramento C1 in possesso dell'appellante) o personale della lavoratrice (anche con riferimento alla sua condizione di invalida o del suo diritto di prestare assistenza alla madre invalida). 

Tali considerazioni sono pienamente estensibili anche ai provvedimenti (non menzionati espressamente nella parte motiva della gravata sentenza ma a cui risultano comunque riferibili le considerazioni ivi effettuate) contenuti negli ordini di servizio n. 2696/2018 e n. 572/2018 di temporanea assegnazione presso l'ufficio U.R.P. della Frazione di Laghetto rispettivamente nei giorni 13 e 27 febbraio 2018 e nei giorni 9 e 23 marzo 2018. 

Trattasi infatti di provvedimenti che, per il loro essere limitati a singoli giorni di servizio (si tratta in particolare di 4 giornate in totale nell'arco di due mesi con assegnazione ad un ufficio comunque distante pochi chilometri dalla sede principale) non possono essere classificati di per sé come provvedimento di trasferimento e, in assenza di specifiche ed idonee allegazioni, nemmeno lesivi del diritto della lavoratrice a prestare assistenza alla anziana madre. 

Così come risulta dalla documentazione prodotta in atti (cfr. provvedimenti impugnati prodotti come all.ti 8 e 9 del ricorso di primo grado) e in conformità a quanto specificamente allegato nella comparsa di costituzione di primo grado dell'ente datore (allegazioni che, sul punto, non sono stati oggetto di contestazione specifica da parte della lavoratrice), trattasi infatti di assegnazione effettuata, a turno, nei confronti di ogni addetto all'ufficio URP e che, peraltro, non precludeva in ogni caso alla lavoratrice di assentarsi legittimamente (evidentemente anche al fine di usufruire dei permessi di cui alla L. n. 104 del 1992), essendo tale possibilità espressamente prevista nello stesso provvedimento di assegnazione impugnato (i piani di turnazione riportano chiaramente la specificazione per cui "nel caso di assenza dal servizio dell'interessato nel giorno del turno, la copertura del turno e' assegnata automaticamente al dipendente indicato nel turno successivo, mentre il turno immediatamente successivo al rientro in servizio sarà coperto automaticamente dal dipendente risultato precedentemente assente"). 

Parimenti non possono reputarsi univocamente significativi di un intento vessatorio o prevaricatore da parte dell'amministrazione datrice i provvedimenti di contestazione disciplinare precedentemente menzionati. 

Mentre, allo stato, deve ritenersi certamente giustificata, in ragione della rilevanza disciplinare della condotta addebitata così come riconosciuta con la menzionata sentenza del Tribunale di Velletri n. 1330/2018 (le cui conclusioni, sul punto, non vi è motivo di disattendere essendosi l'odierno appellante limitato in sostanza ad allegare di avere impugnato la predetta pronuncia giudiziale senza però evidenziare specifici profili di erroneità della stessa), la contestazione disciplinare di cui alla nota 24056 del 28/10/2015, l'intento vessatorio dedotto dalla odierna appellante non può nemmeno essere ravvisato nei due provvedimenti di contestazione disciplinare del 8/3/2018 e del 12/3/2018 (relative all'assenza dal servizio nel periodo dal 8/2/2018 al 20/2/2018). 

In relazione a tali atti (successiva di circa 2 anni e mezzo rispetto alla precedente contestazione disciplinare) non può infatti non ritenersi significativa dell'assenza di tale intento vessatorio, la mancata prosecuzione da parte dell'ente datore, a fronte delle giustificazioni rese dalla lavoratrice in sede di audizione personale del 18/4/2018, dell'azione disciplinare. 

Non possono reputarsi significative in tal senso nemmeno le note (nn. 4822 del 23/02/2018 e 27686 del 29/11/2018) di richiesta di giustificazioni in relazione alla assenza della lavoratrice alle visite domiciliari di controllo avvenute, rispettivamente, in data 15/02/2018 (4822/2018) e 29/11/2018 (27686/2018), in entrambi i casi per la presunta mancata produzione della relativa certificazione medica. 

Trattasi, a ben vedere, non di contestazione disciplinare ma di semplici richieste di giustificazione (a cui, a quanto risulta, non sono seguite iniziative disciplinari o di decurtazione della retribuzione) iniziativa che deve peraltro ritenersi, a fronte del dato oggettivo e non contestato del mancato reperimento della lavoratrice presso il proprio domicilio nella fascia oraria di controllo, non arbitraria ma giustificata dalla necessità di accertare la riconducibilità dell'assenza in concreto ad una patologia che la giustificasse. 

Ciò anche considerando quanto allegato dalla lavoratrice in ordine al proprio esonero dall'obbligo di reperibilità nella fascia oraria di controllo in base a quanto previsto all'art. 4, comma 1, lett. c del D.P.C.M. n. 206 del 2017 ove esclude da tale obbligo i dipendenti per i quali la specifica assenza e' riconducibile ad uno stato patologico sotteso o connesso ad una situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67% (grado di invalidità riconosciuto alla lavoratrice all'esito dell'accertamento effettuato dalla competente Commissione medica in data 26/6/2014, cfr. verbale prodotto come all. 5a del ricorso). 

Così come correttamente rilevato dall'ente appellato non ogni assenza per malattia esenta il dipendente con invalidità civile dall'obbligo di reperibilità, ma unicamente quelle direttamente collegate alle patologie specificamente riferibili alla accertata invalidità civile, riferibilità che, a fronte della molteplicità delle patologie poste a base dell'accertamento del grado di invalidità della lavoratrice, non poteva essere evinto con immediatezza dalla generica indicazione (" intervento di chirurgia orale" o "terapia odontoiatrica indifferibile", cfr. all.ti 25 e 26) contenute nella documentazione inviata all'amministrazione, peraltro, con specifico riferimento all'assenza del 29/11/2018, solo in data 30/11/2018 successivamente alla richiesta di giustificazioni (cfr. lettera in data 30/11/2018 prodotta come all. 25 della comparsa di costituzione di primo grado). 

Deve evidenziarsi peraltro l'inammissibilità delle allegazioni di parte appellante, in quanto effettuate per la prima volta nella presente fase di appello, in ordine alla concreta riconducibilità di tali assenze a patologie riconducibili specificamente ad una di quelle poste a fondamento della invalidità accertata nel 2014. 

L'assenza dell'obbligo di reperibilità era stata infatti genericamente ricollegata nella precedente fase del giudizio, così come correttamente rilevato dal giudice di prime cure, esclusivamente con riferimento alla sola percentuale di invalidità del 67% riconosciuta alla lavoratrice. 

Parimenti l'intento prevaricatore o vessatorio non potrebbe essere ravvisato nemmeno in relazione alla mancata autorizzazione al godimento di ferie maturate. 

Si osserva in particolare che l'odierna appellante aveva, nel ricorso introduttivo del presente giudizio, lamentato l'illegittimità della nota n. 28152 del 5/12/2018 con la quale le sarebbe stata negata la fruizione di ferie maturate nel 2016 per il fatto di aver goduto nel medesimo periodo congedi per malattia e permessi ex L. n. 104 del 1992. 

Allegava nel ricorso di avere fruito, nell'anno 2018, solo 15 giorni di ferie non consecutive lamentando altresì come la richiesta di congedo ordinario avanzata in data 17/12/2018, per il periodo dal 24/12/2018 al 17/1/2019, fosse stata vistata dalla Responsabile del settore solo in data 4/1/2019 senza specificazione del periodo effettivamente godibile se non a seguito di apposita richiesta in tal senso. 

Si osserva che, così come risulta dalla documentazione prodotta in atti, con la menzionata nota del 5/12/2018 (prodotta in forma completa come all. 28 della comparsa di costituzione di primo grado) la Responsabile del servizio URP (presso il quale all'epoca prestava servizio l'odierno appellante) non aveva respinto la richiesta di ferie della lavoratrice invitandola in realtà, dopo aver contestato le doglianze precedentemente effettuate dalla lavoratrice con lettera del 3/12/2018 (in ordine all'accumulo di giorni di ferie arretrati, riferibili agli anni dal 2016 al 2018, e ai continui dinieghi asseritamente ricevuti in proposito dall'ente datore, all. 27 della comparsa di costituzione di primo grado) a "proporre un piano delle ferie spettanti che sarà autorizzato dalla scrivente compatibilmente con le effettive esigenze organizzative del servizio del pari diritto irrinunciabile alla fruizione delle ferie degli altri dipendenti". 

Sempre così come risulta dalla documentazione in atti l'odierna appellante aveva quindi presentato, in data 17/12/2018, la richiesta di poter usufruire di 16 giorni di congedo ordinario relativo all'anno 2016 per il periodo dal 24/12/2018 al 17/1/2019 richiesta che era stata autorizzata dalla Dirigente del servizio solo in data 4/1/2019 (pacificamente al suo rientro dalle ferie) con la successiva specificazione, avvenuta in pari data che il periodo autorizzato (qualora non già autorizzato dal Segretario comunale nel periodo di sostituzione) sarebbe stato il seguente dal 7/1/2019 al 17/1/2019 (cfr. all. 30 della comparsa di costituzione di primo grado). 

Alla stregua di tali premesse deve ritenersi meritevoli di conferma quanto affermato dal giudice di prime cure in ordine alla inidoneità di tale condotta ad integrare gli estremi della richiesta responsabilità ex art. 2087 c.c. dell'ente datore. 

Trattasi infatti di lieve ritardo che, pur essendo effettivamente imputabile a disfunzioni organizzative dell'amministrazione (in particolare con riferimento alla mancata sostituzione, nel periodo feriale, della Responsabile dell'ufficio), non può certamente reputarsi significativo dell'intento persecutorio dell'ente datore né tale da determinare l'intrinseca illegittimità del provvedimento, tanto più alla luce della notoria inesistenza di un diritto assoluto del dipendente ad individuare il proprio periodo di ferie, periodo che, ai sensi dell'art. 2109, comma 2, c.c., deve essere comunque stabilito, pur tenendo conto delle esigenze degli interessi del prestatore di lavoro, dal datore di lavoro. 

Alla stregua delle considerazioni che precedono deve pertanto reputarsi meritevole di conferma la sentenza di primo grado nella parte in cui ha escluso la sussistenza della dedotta responsabilità datoriale in relazione ai provvedimenti e alle condotte oggetto di contestazione con il ricorso di primo grado. 

Trattasi infatti in tutti i casi di provvedimenti relativamente ai quali deve escludersi la sussistenza dell'intento persecutorio dedotto dalla lavoratrice a fondamento delle sue rivendicazioni e che, per il loro costituire ragionevole esercizio dei poteri datoriali (come nel caso dei provvedimenti di mobilità interna, della contestazione disciplinare del 28/10/2015 e delle richieste di giustificazioni in ordine ad assenze alla visita domiciliare di controllo realmente verificatesi) o comunque per il loro carattere episodico e per la limitatezza degli effetti nei confronti della lavoratrice (in particolare per quanto riguarda le isolate contestazioni disciplinari o richieste di chiarimenti precedentemente evidenziate a cui non è stato dato seguito e al ritardo di pochi giorni nella concessione di un periodo di ferie che, comunque, non spettava al lavoratore stabilire autonomamente) risultano comunque insuscettibili, anche a prescindere dalla sussistenza di tale intento persecutorio, di ritenere realizzata nel caso di specie la creazione di un ambiente stressogeno imputabile al datore di lavoro. 

Alla stregua di tali considerazioni l'appello dovrà pertanto essere respinto. 

La regolamentazione delle spese di lite, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza. 

Stante il tenore della decisione deve trovare applicazione l'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. 

P.Q.M. 

La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta l'appello. 

Condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 3.473 oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge. 

Dà atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il raddoppio del contributo unificato se dovuto. 

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2023. 

Depositata in Cancelleria il 8 febbraio 2023. 


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