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venerdì 24 novembre 2023

Tar 2023-“ Ciò posto va evidenziato che l'art. 6 D.P.R. n. 737 del 1981 si limita a stabilire che l'amministrazione può, ma non è tenuta, ad applicare la sanzione della sospensione dal servizio in caso di condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti l'interdizione dai pubblici uffici. Qualora, infatti, ritenga che la condotta in contestazione integri le diverse e più gravi violazioni contenute nel successivo art. 7, infatti, potrà darsi applicazione della sanzione della destituzione.”

 


Tar 2023-“ Ciò posto va evidenziato che l'art. 6 D.P.R. n. 737 del 1981 si limita a stabilire che l'amministrazione può, ma non è tenuta, ad applicare la sanzione della sospensione dal servizio in caso di condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti l'interdizione dai pubblici uffici. Qualora, infatti, ritenga che la condotta in contestazione integri le diverse e più gravi violazioni contenute nel successivo art. 7, infatti, potrà darsi applicazione della sanzione della destituzione.”


T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., (ud. 07/11/2023) 15-11-2023, n. 17097 

 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio 

(Sezione Prima Quater) 

ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

sul ricorso numero di registro generale 1434 del 2023, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato x

contro 

Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12; 

per l'annullamento 

-del provvedimento del Ministero dell'Interno - Dipartimento di Pubblica Sicurezza - di destituzione dal servizio dell'-OMISSIS- in -OMISSIS- -OMISSIS-, datato 7 novembre 2022 e notificato il 23 novembre 2022, trasmesso con nota 333/ISP/Sez.3^/47616/8.4 (Mipg 37391) (doc.1); 

- di ogni altro atto presupposto, compresa la delibera del Consiglio di Disciplina del 30 settembre 2022 (doc. 1 bis) e/o conseguente. 

Visti il ricorso e i relativi allegati; 

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno; 

Visti tutti gli atti della causa; 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 novembre 2023 la dott.ssa Caterina Lauro e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione 

1. Con decreto Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale per le Risorse Umane Servizio Sovrintendenti, Assistenti ed Agenti, Divisione Prima Sezione Disciplina, del 7 novembre 2022, n. 333/ISP/Sez.3^/47616/8.4 (Mipg 37391) - notificato all'interessato in data 23 novembre 2022 l'amministrazione resistente ha inflitto al sig. -OMISSIS- (già -OMISSIS- della Polizia di Stato) la sanzione disciplinare della destituzione a decorrere dal 30 novembre 2011 ai sensi dell'art. 7, nn. 2 e 4 D.P.R. n. 737 del 1981 per "aver compiuto in più occasioni atti che rivelano mancanza dell'onore e del senso morale, in grave contrasto con i doveri assunti col giuramento, arrecando con tale condotta grave pregiudizio all'Amministrazione della pubblica sicurezza. In particolare il -OMISSIS- maltrattava la moglie e i figli minori, i quali subivano direttamente aggressioni morali e fisiche fatte di insulti intimidazioni e botte, percuotendo in più occasioni la moglie, talvolta alla presenza dei figli, minacciando la stessa di morte." 

1.1. Parte ricorrente ha premesso in fatto di essere stato sottoposto ad un procedimento penale per maltrattamenti in famiglia a danno della moglie e dei figli minori, conclusosi con sentenza resa dalla Corte di Appello di -OMISSIS-, n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, di non doversi procedere per intervenuta prescrizione e che, a causa del procedimento penale in questione, era stato sospeso cautelarmente dal servizio con provvedimento del Ministero dell'Interno - Dipartimento di Pubblica Sicurezza, del 22 dicembre 2010, e, poi, riammesso con Provv. del 29 gennaio 2016. Successivamente, in data 23 febbraio 2017, il ricorrente è stato poi dispensato dal servizio per fisica inabilità, in quanto veniva ritenuto "non idoneo permanente al servizio d'Istituto". In data 15 marzo 2022 ha ricevuto la contestazione addebiti ex art. 13 e segg. D.P.R. n. 737 del 1981 per l'asserita violazione dell'art. 7, comma 2, D.P.R. n. 737 del 1981: 1) per atti che rivelino mancanza del senso dell'onore o del senso morale; 2) per atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento; 3) per dolosa violazione dei doveri che abbia arrecato grave pregiudizio allo Stato, all'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, ad enti pubblici o privati. 

1.2. Il procedimento disciplinare così avviato si è concluso con il provvedimento di destituzione dal servizio oggetto della presente impugnazione. A sostegno della propria decisione, l'amministrazione - dopo aver dato atto di quanto emerso durante l'istruttoria svolta in sede disciplinare - ha osservato, tra l'altro, che, in base all'orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa le è consentito assumere le risultanze fattuali emerse in sede penale, seppur in presenza di una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato contestato, aggiungendo che i comportamenti censurabili sono anche quelli che, pur estranei al servizio, sono lesivi del suo prestigio e decoro. Ha quindi ritenuto che le condotte addebitate al ricorrente fossero caratterizzate da particolare gravità desumibile, tra gli altri elementi, anche dalla violazione della misura cautelare applicatagli del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa che ne aveva comportato l'aggravamento con la misura degli arresti domiciliari. Ha quindi ritenuto che i precedenti disciplinari non fossero comparabili con le condotte in ragione della loro gravità e quantità anche in considerazione del precipuo ruolo svolto dal ricorrente - repressione di reati contro la persona - e del risvolto mediatico che la vicenda aveva assunto e, quindi, congruo applicare la sanzione della destituzione dal servizio a maggioranza del 3/5 dei componenti del Consiglio di disciplina. 

2. Con l'atto introduttivo del presente giudizio, il ricorrente ha impugnato il provvedimento disciplinare adottato nei suoi confronti dal Ministero resistente (in uno con la presupposta delibera del Consiglio di disciplina del 30 settembre 2022) e ne ha chiesto l'annullamento - previa sospensione cautelare - sulla base dei seguenti motivi: 1) violazione di legge, nullità del procedimento disciplinare e provvedimento di sospensione cautelare dal servizio - informativa ex art. 129, disp. att. c.p.p. inviata prima dell'esercizio dell'azione penale; 2) violazione di legge art. 103 del T.U. 3/1957 art. 9, co. 6, D.P.R. n. 737 del 1981 - eccesso di potere - decadenza/improcedibilità dell'azione disciplinare; 3) violazione di legge artt. 19 e 20 D.P.R. n. 737 del 1981 - invalidità procedimento disciplinare - violazione termine fissazione sedute successive alla prima e violazione termine durata inchiesta; 4) collocamento a riposo per inabilità fisica - -OMISSIS- - impossibilità di procedere con la contestazione di addebiti e con l'irrogazione di sanzioni; 5) nullità del provvedimento ministeriale di destituzione dal servizio - violazione art. 3 L. n. 241 del 1990 - inesistenza motivazione; 6) eccesso di potere - violazione di legge art. 13 D.P.R. n. 737 del 1981 - mancato vaglio delle giustificazioni dell'interessato e delle testimonianze di -OMISSIS- e del dott. -OMISSIS- - difetto di motivazione; 7) insussistenza delle violazioni disciplinari- difetto di istruttoria - eccesso di potere - travisamento dei fatti; 7.1) travisamento del fatto - mancato accertamento del fatto reato - mancanza prova maltrattamenti; 7.2) insussistenza violazione art. 7, co. 2, D.P.R. n. 737 del 1981 n. 2) condotta contraria agli obblighi assunti con la formula del giuramento - insussistenza atti contrari al dovere di fedeltà alle istituzioni; 7.3) insussistenza violazione art. 13 D.P.R. n. 782 del 1985 condotta fuori dal servizio non conforme alla dignità delle funzioni - insussistenza violazione art. 7, comma 2, del D.P.R. n. 737 del 1981 mancanza del senso dell'onore o del senso morale; 7.4) inesistenza riflesso mediatico con asserito grave pregiudizio dell'amministrazione della pubblica sicurezza - perdita di prestigio - insussistenza violazione art. 7, comma 2, del D.P.R. n. 737 del 1981 n. 4); 8) violazione art. 1, 7 e 13 D.P.R. n. 737 del 1981 - insussistenza requisiti per la destituzione - manifesta illogicità - manifesta irragionevolezza - contraddittorietà - violazione principi di gradualità proporzionalità, adeguatezza della sanzione. 

3. In data 28 gennaio 2023, l'amministrazione resistente si è costituita, allegando documentazione. 

4. Con memoria del 14 febbraio 2022, parte ricorrente ha insistito per l'accoglimento della domanda cautelare, rappresentando, quanto al periculum in mora, che il ricorrente, nelle more della trattazione dell'istanza, aveva ricevuto comunicazione da parte dell'Ufficio amministrativo contabile della Questura di -OMISSIS- in cui si rappresentava, con riferimento alla sua posizione pensionistica, che il provvedimento di destituzione dal servizio aveva caducato e reso improduttivo di effetti il D.M. 17 febbraio 2017, che lo aveva dispensato dal servizio per fisica inabilità dal 15.2.2017, e che alla data di decorrenza del provvedimento di destituzione il sig. -OMISSIS- poteva far valere una anzianità contributiva utile di -OMISSIS-, con età anagrafica di -OMISSIS- e pertanto, "non possedeva i requisiti contributivi ed anagrafici per l'attribuzione della pensione ordinaria". 

5. Con atto del 18 febbraio 2022 l'amministrazione ha depositato memoria nella quale ha articolato le proprie difese. In particolare, l'amministrazione ha sostenuto l'infondatezza delle censure di parte ricorrente, rilevando la correttezza e la tempestività del procedimento disciplinare, svoltosi nel rispetto della normativa di riferimento e la proporzionalità della sanzione inflitta. 

6. Con ordinanza Tar Lazio, sez. I-quater, n. -OMISSIS-, questo Tribunale ha rigettato l'istanza cautelare ritenendone insussistenti i presupposti, tenuto conto dei contrapposti interessi e delle questioni dibattute la cui soluzione avrebbe richiesto una approfondita disamina incompatibile con la sommarietà della cognizione cautelare. 

7. Con successiva memoria del 5 ottobre 2023, parte ricorrente ha insistito nelle proprie richieste, chiedendo l'annullamento del provvedimento impugnato. 

9. All'udienza pubblica del 7 novembre 2023 il ricorso è stato trattenuto in decisione. 

10. All'esame approfondito proprio della fase di merito, il Collegio ritiene che tutti i motivi di gravame contenuti nel ricorso sono infondati per le motivazioni di seguito illustrate. 

11. É in primo luogo infondato il primo motivo di ricorso con il quale il ricorrente deduce la nullità del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio in quanto l'informativa ex art. 129, disp. att. c.p.p. sarebbe stata inviata prima dell'esercizio dell'azione penale. 

11.1. Al riguardo è sufficiente osservare che oggetto del presente gravame è il provvedimento di destituzione dal servizio, mentre quello avente ad oggetto la sospensione cautelare non risulta mai stato oggetto di impugnativa e di contestazione, con la conseguenza che ogni doglianza sollevata avverso il suddetto provvedimento si palesa come tardiva e, in quanto tale, irricevibile. 

11.2. In ogni caso valga la pena di osservare che dalla documentazione in atti si ricava che la richiesta di rinvio a giudizio a firma del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS- è datata 17 giugno 2010, mentre la relativa informativa ai sensi dell'art. 129, disp. att. c.p.p. risale al successivo 22 giugno 2010 con ogni conseguenza che ne deriva. 

12. Analogamente non meritevole di accoglimento è il secondo motivo di ricorso, con cui parte ricorrente ha lamentato che l'amministrazione avrebbe avviato il procedimento disciplinare oltre il termine di 120 giorni previsto dall'art. 9, comma 6, D.P.R. n. 737 del 1981. 

12.1. L'art. 9, comma 6, D.P.R. n. 737 del 1981, con riferimento ai termini di avvio di procedimento disciplinare connesso a procedimento penale, stabilisce che: "quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione di pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all'Amministrazione". 

A tal proposito, questo Tribunale ha già avuto modo di chiarire che "la norma recata dall'art. 9, comma 6 è chiara nel condizionare il decorso del termine per l'esercizio dell'azione disciplinare dalla definitività della sentenza penale e dalla conoscenza attuale e qualificata della stessa, avvenuta con mezzi ufficiali e formali" (cfr. Tar Lazio, sez. I-quater, sentt. nn. 15526/2022 e 11842/2023). 

12.2. Il successivo art. 11 del D.P.R. n. 737 del 1981 prevede che "quando l'appartenente alla Polizia di Stato . . . "viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato". Una corretta esegesi della norma consente di concludere che, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, è rimesso all'amministrazione se esercitare o meno l'azione disciplinare in pendenza del giudizio penale, a condizione che - qualora ciò avvenga - il procedimento disciplinare debba essere sospeso in attesa della definizione del processo penale con sentenza irrevocabile. Appare, quindi, in linea con la citata disciplina la decisione dell'amministrazione di attendere prudentemente la definizione della vicenda penale prima di avviare il procedimento disciplinare che, in ogni caso, avrebbe dovuto essere sospeso. 

12.3. A tali considerazioni occorre aggiungere che, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, il momento da cui far decorrere il termine di 120 giorni per l'avvio dell'azione disciplinare non è né quello della pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di -OMISSIS-, né quello del deposito della sentenza da parte della Corte di Appello di -OMISSIS-. Ai fini del decorso del termine, infatti, occorre avere riguardo al momento in cui l'amministrazione ha ricevuto copia della sentenza con attestazione relativa al passaggio in giudicato della stessa (ovvero il 10 febbraio 2022, cfr. doc. 15, allegato alla costituzione dell'amministrazione). Si è affermato infatti in proposito che "in riferimento alla decorrenza del termine, tale norma deve necessariamente essere interpretata in modo tale da garantire che l'azione amministrativa si svolga secondo i canoni del giusto procedimento e del buon andamento, che suggeriscono di individuare il dies a quo del termine in questione dalla data di conoscenza della pronunzia penale. Diversamente opinando, si perverrebbe alla conclusione, illogica e contraddittoria, di sottoporre l'esercizio del potere disciplinare al termine decadenziale in questione senza che l'Amministrazione competente abbia alcuna conoscenza degli elementi fattuali emersi in sede penale e suscettibili di legittimare il procedimento sanzionatorio." (Consiglio di Stato, sez. IV, sent. 25 marzo 2014, n. 1458, Consiglio di Stato, sez. IV, sent. n. 2942 del 2011). 

12.4. Né - al fine di addivenire a una conclusione diversa - può assumere rilievo il fatto che l'amministrazione abbia chiesto informazioni circa il passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello di -OMISSIS- solo in data 18 gennaio 2021 (v. ancora doc. 14, allegato alla costituzione dell'amministrazione). Infatti, il dovere della p.a. di monitore i procedimenti disciplinari che interessano i propri dipendenti (ancorché cessati dal servizio) non può risolversi in un onere di compulsare, in continuazione, le cancellerie dei diversi Tribunali al fine di acquisire notizie su ogni procedimento penale collegato a un procedimento disciplinare (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, sent. 1 agosto 2022, n. 6726); - per altro verso, si osserva che "a presidio della certezza e della speditezza dei tempi del relativo procedimento disciplinare è consentito all'interessato, che è necessariamente a conoscenza degli esiti del processo penale che lo riguardano, la possibilità di notificarne la sentenza conclusiva" (cfr. ancora Consiglio di Stato, sez. II, sent. n. 6726/2022), circostanza, nella specie, mai avvenuta. 

A tali considerazioni si aggiunge anche che il ricorrente non ha evidenziato nessun pregiudizio, in termini di esercizio del diritto di difesa, che gli sarebbe derivato dal mancato asserito tempestivo avvio del procedimento disciplinare. 

12.5. Dalle considerazioni che precedono si ricava che il procedimento disciplinare iniziato con comunicazione di addebiti del 15 marzo 2022 è stato tempestivamente avviato avuto riguardo al momento di piena conoscenza della sentenza irrevocabile della Corte di Appello di -OMISSIS-, avvenuta con comunicazione del 10 febbraio 2022, con conseguente infondatezza della relativa doglianza. 

13. Parimenti infondato è il terzo motivo di gravame, con cui il ricorrente contesta la violazione del rispetto dei termini che caratterizzano il procedimento disciplinare. 

13.1. L'art. 19, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, stabilisce in proposito che: "L'istruttoria per irrogare la sospensione dal servizio o la destituzione deve svolgersi attraverso le seguenti fasi: il capo dell'ufficio o il comandante del reparto che abbia notizia di un'infrazione commessa da un dipendente, per la quale sia prevista una sanzione più grave della deplorazione, se il trasgressore appartiene a qualifica dirigenziale o direttiva o, comunque, è in servizio presso il dipartimento della pubblica sicurezza, ne dà comunicazione all'autorità centrale competente a infliggere la sanzione; se invece appartiene al restante personale, informa il questore della provincia in cui lo stesso presta servizio. Le predette autorità, ove ritengano che l'infrazione comporti l'irrogazione della sospensione dal servizio o della destituzione, dispongono che venga svolta inchiesta disciplinare affidandone lo svolgimento ad un funzionario istruttore che appartenga a servizio diverso da quello dell'inquisito, e che rivesta qualifica dirigenziale o direttiva superiore a quella dell'incolpato. Per il funzionario istruttore valgono le norme sulla astensione e sulla ricusazione dei componenti i consigli di disciplina. Egli provvede, entro dieci giorni, a contestare gli addebiti al trasgressore invitandolo a presentare le giustificazioni nei termini e con le modalità di cui all'art. 14 e svolge, successivamente, tutti gli altri accertamenti ritenuti da lui necessari o richiesti dall'inquisito. L'inchiesta dev'essere conclusa entro il termine di quarantacinque giorni, prorogabile una sola volta di quindici giorni a richiesta motivata dell'istruttore.". Il successivo art. 20 dispone al primo comma "Il consiglio centrale o provinciale di disciplina è convocato dall'organo indicato nell'art. 16 entro dieci giorni dalla ricezione del carteggio. Nella prima riunione il presidente ed i membri del consiglio esaminano gli atti e ciascuno di essi redige dichiarazione per far constatare tale adempimento; indi il presidente nomina relatore uno dei membri e fissa il giorno e l'ora della riunione per la trattazione orale e per la deliberazione del consiglio che dovrà aver luogo entro quindici giorni dalla data della prima riunione del consiglio stesso. Il segretario, appena terminata la prima riunione, notifica per iscritto all'inquisito che dovrà presentarsi al consiglio di disciplina nel giorno e nell'ora fissati, avvertendolo che ha facoltà di prendere visione degli atti dell'inchiesta o di chiederne copia entro dieci giorni e di farsi assistere da un difensore appartenente all'Amministrazione della pubblica sicurezza, comunicandone il nominativo entro tre giorni; lo avverte inoltre che, se non si presenterà, né darà notizia di essere legittimamente impedito, si procedera' in sua assenza." 

13.2. Ebbene, come affermato costantemente dalla giurisprudenza, anche di questa Sezione (si veda, in proposito Tar Lazio, sez. I-quater, sent. n. 15526/22), i termini di cui all'art. 19, 20 e 21 del D.P.R. n. 737 del 1981, previsti, rispettivamente, per la conclusione dell'inchiesta disciplinare, per la prima convocazione del Consiglio di Disciplina e per la notifica del decreto inflittivo hanno carattere ordinatorio con la conseguenza che la loro inosservanza non ha effetti invalidanti dell'atto che irroga la sanzione. 

Difatti, le fasi fondamentali del procedimento disciplinare vanno individuate in quella degli accertamenti preliminari e nella fase del procedimento disciplinare propriamente detto, che ha inizio con la contestazione degli addebiti e si conclude con l'adozione del provvedimento sanzionatorio o con il proscioglimento dell'incolpato, e all'interno di quest'ultima, vanno distinti i termini inderogabili, che sono quelli posti a garanzia dell'inquisito, cioè quelli previsti per la presentazione delle giustificazioni, per la presa visione degli atti, per il preavviso di trattazione davanti alla Commissione, da quelli sollecitatori, che sono i termini restanti (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 luglio 2011, n. 3963; Tar Campania, Napoli, sez. VI, 15 marzo 2021, n. 1683). 

Pertanto ha carattere ordinatorio e non perentorio il termine di 45 giorni per la conclusione dell'inchiesta disciplinare, che per la complessità dell'istruttoria può richiedere tempi eccedenti la durata ritenuta dalla norma regolamentare in via generale congrua per la sua definizione (cfr. TAR Lazio Roma, sez. I quater, 23-09-2021, n. 9880). 

13.3. Ciò premesso, venendo all'esame delle singole doglianze, si deve osservare che, come correttamente rilevato dalla difesa erariale, nella convocazione dell'incolpato disposta con nota del 1 giugno 2022 del segretario del Consiglio Provinciale di disciplina (all. 34 alla costituzione dell'amministrazione) era chiaramente indicato che il difensore dovesse essere un appartenente all'Amministrazione della pubblica sicurezza; ciò nonostante il ricorrente ha nominato difensore un avvocato di libero foro non appartenente alla Polizia di Stato; non può quindi sostenersi che l'invito a presentarsi inviato il giorno 8 giugno 2022 indirizzato allo studio legale Mazzucco (all. 35 alla costituzione dell'amministrazione) avesse lo scopo di legittimare tale nomina, essendo piuttosto una conseguenza di detta erronea designazione. 

Per quanto riguarda le ulteriori deduzioni valga appena il caso di osservare che se è vero che è stato assegnato al ricorrente un termine di tre giorni per individuare un nuovo difensore appartenente all'amministrazione della pubblica sicurezza, è vero anche che la successiva riunione si è tenuta il 12 luglio 2022 e, quindi, a distanza di oltre un mese da quella originariamente prevista, lasso temporale tale da consentire al nuovo difensore di elaborare la sua strategia difensiva. 

I restanti rinvii del 21 luglio 2022 e del 10 agosto 2022 sono stati disposti dal Consiglio di disciplina allo scopo di consentire l'espletamento di supplementi istruttori richiesti dallo stesso ricorrente, a garanzia del suo diritto al contraddittorio, dal che è derivato lo slittamento delle riunioni successive. 

13.4. Il motivo, pertanto, non è meritevole di accoglimento. 

14. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente sostiene che, essendo stato dispensato dal servizio a decorrere dal 15 febbraio 2017 non avrebbe dovuto essere sottoposto a procedimento disciplinare. 

Anche la suddetta doglianza è priva di pregio. 

14.1. In proposito si osserva che secondo il consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza amministrativa "il procedimento disciplinare nei confronti del pubblico dipendente ben può essere avviato o proseguito anche dopo la cessazione del rapporto di impego, anche al solo fine di conferire carattere di definitività ai provvedimenti medio tempore assunti ed incidenti sul rapporto, come la sospensione cautelare, e ciò anche nell'interesse dello stesso dipendente, onde definire con carattere di stabilità le conseguenze (in senso positivo o negativo) dei provvedimenti medesimi sullo status giuridico ed economico del dipendente." (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, sent. 7 febbraio 2023, n. 4575). Del resto, come osservato dalla difesa erariale, la sopravvenuta cessazione del rapporto d'impiego non esclude il potere/dovere dell'Amministrazione, al fine precipuo di regolare i rapporti anche economici sorti a seguito del provvedimento di sospensione cautelare a suo tempo intervenuto, di procedere disciplinarmente. 

15. Quanto al quinto motivo di ricorso con cui parte ricorrente ha lamentato l'assoluta carenza di motivazione del provvedimento impugnato si osserva quanto segue. 

15.1. L'art. 3 della L. n. 241 del 1990, nella parte in cui afferma, in materia di motivazione per relationem, che essa è legittima a condizione che siano indicati e resi disponibili gli atti cui si fa rinvio, va inteso nel senso che all'interessato deve essere garantita la possibilità di prenderne visione, di richiederne e ottenerne copia in base alla normativa sul diritto di accesso ai documenti amministrativi e di chiederne la produzione in giudizio, con la conseguenza che non sussiste per la pubblica amministrazione l'obbligo di notificare all'interessato tutti gli atti richiamati nel provvedimento, ma soltanto di indicarne gli estremi e di metterli a disposizione su richiesta dell'interessato (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. III, 15 marzo 2022, n. 1803 e sez. VI, 02/01/2023, n. 27). 

15.2. Ciò posto, il provvedimento impugnato ha legittimamente rinviato, per relationem, alla delibera del Consiglio di disciplina, puntualmente richiamata. Parte ricorrente lamenta che, al momento della notificazione dell'atto il suddetto parere non risultava allegato. Ebbene, il parere è stato poi reso disponibile in seguito all'esercizio del diritto di accesso agli atti effettuato in data 9 gennaio 2023, quando ha acquisito la delibera in argomento, con conseguente infondatezza della censura. 

16. Con il sesto e il settimo motivo di ricorso il ricorrente contesta - in sintesi - che l'amministrazione avrebbe adottato il provvedimento disciplinare all'esito di un'istruttoria carente, muovendo unicamente dalle contraddittorie motivazioni espresse in sede di processo penale e non esprimendo alcuna autonoma valutazione. 

16.1. A tal riguardo, il Collegio osserva, preliminarmente, che per consolidata giurisprudenza gli atti di un procedimento penale sfociato in una pronuncia di non doversi procedere per prescrizione possono essere utilizzati in sede disciplinare e, che, in tali casi "la sanzione disciplinare è legittimamente irrogata all'esito di una autonoma e necessaria rivalutazione, al fine di accertarne il rilievo disciplinare, dei fatti che hanno costituito oggetto del giudizio penale." (cfr. Consiglio di Stato, sez. II, sent. 16 febbraio 2022, n. 1163). 

I fatti accertati nella sede penale, pertanto, sono rilevanti nel procedimento disciplinare, specie nel caso in cui assumano una valenza oggettiva chiara e inequivocabile, dovendo quindi essere oggetto di una diversa valutazione soltanto in merito alla loro rilevanza sotto il profilo disciplinare (cfr. Consiglio di Stato, IV, 20 ottobre 2016, n. 4381). In tale contesto "il riferimento nella motivazione del provvedimento impugnato alle sentenze penali, che hanno dichiarato il reato estinto per prescrizione, non comporta che l'Amministrazione abbia fatto discendere automaticamente da queste l'applicazione della sanzione, ma deve ritenersi compiuto per evidenziare come le condotte accertate in sede istruttoria ben possano reputarsi disciplinarmente rilevanti in quanto l'offensività delle stesse e la loro riconducibilità all'interessato non sono state escluse, ma sono state in certa misura evidenziate nel giudizio penale." (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 marzo 2020, n. 1689). 

16.2. Ciò chiarito, il Collegio ritiene che nessun difetto di istruttoria possa riscontrarsi nel caso di specie: dagli atti del procedimento disciplinare, infatti, si evince che la p.a. resistente ha svolto una articolata istruttoria; ha acquisito i documenti relativi al procedimento penale che ha interessato il ricorrente; ha assentito alle sue richieste istruttorie, con audizione della figlia e del dott. -OMISSIS- e ha proceduto a un'autonoma valutazione della loro valenza probatoria in ordine agli addebiti contestati ed alla responsabilità del ricorrente, dando puntualmente conto delle ragioni su cui poggia la gravata determinazione. 

16.3. Quanto alla valenza degli atti del procedimento penale deve premettersi che, come noto, i processi con imputazione di maltrattamenti in famiglia sono sempre ed inevitabilmente fondati unicamente sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, senza necessità che, per fondare un'eventuale condanna, delle stesse sia fornito un riscontro esterno. Ciò posto, si osserva che sulla base degli atti di indagine, tanto il GIP, quanto il Tribunale del Riesame avevano disposto nei confronti del ricorrente misure cautelari, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza consistenti non solo nelle dichiarazioni della persona offesa e dei suoi familiari ed amici ma anche nei referti medici comprovanti le percosse dalla stessa subite; la misura è stata in seguito aggravata per essere stata violata dal ricorrente medesimo. É stato poi disposto incidente probatorio per l'esame delle persone offese e il Tribunale di -OMISSIS- ha condannato il ricorrente in primo grado. Ancora più significativamente la Corte di Appello di -OMISSIS- ha ritenuto di non poter emettere una sentenza ai sensi dell'art. 129, comma 2, c.p.p., con ampia e articolata motivazione ( si veda il passaggio della sentenza di non doversi procedere in cui la Corte di Appello osserva "sono proprio le articolazioni della motivazione della sentenza impugnata e degli atti di impugnazione ...a dar conto della certa insussistenza delle condizioni di evidenza ictu oculi che, appunto, sola consentirebbe il proscioglimento ex art. 129, co. 2, c.p.p." e ancora "l'appello e i motivi nuovi sollecitano l'approfondita rivisitazione del complessivo contenuto probatorio del contenuto probatorio del fascicolo, oggetto di un corrispondente attento articolato apprezzamento del Tribunale. È situazione del tutto agli antipodi di alcuna evidenza ictu oculi."). 

16.4. A tali considerazioni deve aggiungersi che, all'esito dell'adeguata istruttoria espletata, l'amministrazione ha non irragionevolmente ritenuto che quanto dedotto in sede procedimentale da parte ricorrente non era idoneo a mettere in discussione i fatti contestati, osservando tra l'altro, quanto alle testimonianze rese dalla figlia dell'incolpato e da parte del teste -OMISSIS-, che le stesse non erano idonee a giustificare o, quantomeno, a fornire una attenuazione della gravità dei comportamenti contestati (si veda il verbale della seduta del 20 settembre 2022 della Commissione di disciplina a pag. 9 - all. 33 alla costituzione dell'amministrazione -). 

16.5. La specifica valutazione nel corso del procedimento disciplinare si ricava anche dal fatto che l'Amministrazione, oltre ad utilizzare le risultanze istruttorie della sede penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, ha dato rilievo ai fatti contestati anche sotto il profilo disciplinare, valutandoli in tale diversa prospettiva e ritenendo sussistenti la violazione del giuramento e del senso morale e dell'onore che devono accompagnare costantemente i comportamenti degli appartenenti alla Polizia di Stato. 

16.6. In tale logica ha anche tenuto in considerazione i numerosi articoli di stampa in cui veniva riportata la vicenda (v. all. 16 alla costituzione dell'amministrazione), rispetto a cui, come correttamente osservato dalla difesa erariale, non assume alcun rilievo la mancata indicazione del nominativo del ricorrente o lo specifico reparto di appartenenza dello stesso (pur essendovi un espresso riferimento a un poliziotto all'epoca in servizio presso la Questura di -OMISSIS-); ciò che ne è risultato leso, infatti, è il prestigio della Polizia di Stato nella sua interezza, con evidente danno all'immagine che ne è scaturito. 

16.7. Quanto sopra, consente di affermare che il provvedimento gravato - oltre ad essere stato adottato all'esito di una compiuta istruttoria - è stato congruamente motivato dalla p.a. 

Da ciò l'infondatezza delle censure spiegate nel sesto motivo di gravame. 

17. Privo di pregio, infine, è anche l'ottavo motivo di ricorso, con cui si lamenta la violazione dell'art. 7 del D.P.R. n. 737 del 1981 per sproporzione della sanzione osservando che, nel caso di condanna con sentenza irrevocabile, l'art. 6 dello stesso D.P.R. prevede come conseguenza la sola sospensione dal servizio, apparendo, quindi, del tutto irragionevole l'applicata destituzione anche in considerazione dell'avvenuto proscioglimento del sig. -OMISSIS-. 

Al riguardo si osserva, in primo luogo, che il ricorrente non è stato assolto ma destinatario di una sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione. 

Ciò posto va evidenziato che l'art. 6 D.P.R. n. 737 del 1981 si limita a stabilire che l'amministrazione può, ma non è tenuta, ad applicare la sanzione della sospensione dal servizio in caso di condanna, con sentenza passata in giudicato, per delitto non colposo che non comporti l'interdizione dai pubblici uffici. Qualora, infatti, ritenga che la condotta in contestazione integri le diverse e più gravi violazioni contenute nel successivo art. 7, infatti, potrà darsi applicazione della sanzione della destituzione. 

Va ancora rimarcato che, nella specie, come già sopra evidenziato, l'amministrazione ha dato compiuta motivazione della scelta di applicare l'art. 7 del D.P.R. in questione, muovendo sì da quanto emerso in sede penale, ma svolgendo anche autonome considerazioni in merito alla rilevanza, anche in sede disciplinare, dei fatti contestati. 

Deriva, quindi, l'inconsistenza della doglianza formulata. 

18. Con l'ultimo motivo di ricorso il ricorrente ha lamentato - in sostanza - la sproporzione della sanzione adottata nei suoi confronti dal Ministero e la mancata valutazione da parte della p.a. di tutte le circostanze di cui all'art. 13, D.P.R. n. 737 del 1981. 

18.1. A tal proposito, il Collegio ritiene innanzitutto necessario ricordare che per granitica giurisprudenza "la p.a. dispone di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare in via autonoma la rilevanza disciplinare dei fatti, di tal ché, una volta valutati gli stessi fatti, l'accertamento della proporzionalità della sanzione all'illecito disciplinare contestato e la graduazione della medesima sanzione, risolvendosi in giudizi di merito da parte della p.a., sfuggono al sindacato del giudice amministrativo, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l'evidente sproporzionalità e il travisamento o la contraddittorietà." (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sentt. 31 dicembre 2021, n. 8740 e IV, 7 giugno 2017, n. 2752). 

18.2. Ciò premesso, il Collegio ritiene che la decisione gravata non sia affetta da alcuno dei gravi vizi sopra elencati (e che l'amministrazione abbia adottato una sanzione che non appare affatto manifestamente sproporzionata), essendo la stessa supportata da una motivazione congrua e ragionevole in ordine alla gravità del disvalore della condotta del ricorrente (così come ragionevolmente ricostruita e valutata dalla p.a. resistente all'esito di adeguata istruttoria, v. supra) sotto il profilo disciplinare, tale da giustificare l'irrogazione della sanzione della destituzione. D'altronde, avuto riguardo a quanto ricostruito dall'amministrazione in sede istruttoria, non pare potersi dubitare del fatto che la condotta tenuta dal ricorrente contrasti gravemente - così come ampiamente notato nel provvedimento gravato - con i doveri istituzionali assunti con il giuramento, nonché con il dovere del personale di polizia di non commettere atti che rivelino mancanza del senso dell'onore o del senso morale o che arrechino un grave pregiudizio allo Stato, all'amministrazione della pubblica sicurezza ad enti pubblici o privati. 

19. Per tutto quanto sopra, il ricorso è infondato e va rigettato. 

20. Le spese processuali - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza. 

P.Q.M. 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge. 

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese legali a favore della p.a. resistente nella misura di € 2.500,00, oltre spese generali e altri oneri di legge. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le parti. 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 novembre 2023 con l'intervento dei magistrati: 

Concetta Anastasi, Presidente 

Agatino Giuseppe Lanzafame, Referendario 

Caterina Lauro, Referendario, Estensore 


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