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martedì 7 giugno 2011

Cassazione "...nella qualità  di  genitori  esercenti  la  potestà  sul  figlio   minore     M.,  convenivano, davanti al tribunale di Perugia, il Ministero della  sanità  chiedendone  la condanna al  risarcimento  del  danno derivato   al  figlio  ed  ai  suoi  genitori  dalle  gravi   lesioni conseguenti  alla   vaccinazione obbligatoria antipolio  praticata  il (OMISSIS) al minore...."

RESPONSABILITA' CIVILE - SANITA' E SANITARI
Cass. civ. Sez. III, Sent., 27-04-2011, n. 9406
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
1.                   #################### e             ####################, in proprio  e  nella qualità  di  genitori  esercenti  la  potestà  sul  figlio   minore     M.,  convenivano, davanti al tribunale di Perugia, il Ministero della  sanità  chiedendone  la condanna al  risarcimento  del  danno derivato   al  figlio  ed  ai  suoi  genitori  dalle  gravi   lesioni conseguenti  alla   vaccinazione obbligatoria antipolio  praticata  il (OMISSIS) al minore.
Il Ministero si costituiva contestando la fondatezza della domanda.
Il  tribunale, con sentenza in data 8.2.2002, accoglieva  la  domanda proposta   dal         S.  e  dalla         M.,  quali   genitori esercenti  la potestà sul minore, condannando il convenuto Ministero al  risarcimento  dei  danni in favore degli attori,   nella  qualità indicata,  quantificati  in  L. 302.790.900.  Rigettava,  invece,  la domanda proposta in proprio dagli attori.
A  diversa conclusione perveniva la Corte d'Appello che, sull'appello principale proposto dal Ministero e su quello incidentale proposto da                  ####################  e               ####################,  con  sentenza   del 20.9.2005, accoglieva il principale rigettando la domanda, e riteneva assorbito l'appello incidentale.
Hanno   proposto  ricorso  per  cassazione  affidato  a  tre   motivi illustrati da memoria                 #################### e             ####################.
Resiste con controricorso il Ministero della salute, il quale propone anche ricorso incidentale condizionato affidato  a due motivi.Motivi della decisione
2.   Il  ricorso  per cassazione è stato proposto per  impugnare  una sentenza  depositata (20.9.2005) anteriormente all'entrata in  vigore del  D.Lgs. n. 40 del 2006, non soggetto, pertanto, alle norme  -  in particolare l'art. 366 bis c.p.c. - dallo stesso previste.
2.1. Ricorso principale.
Con  il  primo  motivo  i  ricorrenti denunciano  la  nullità  della sentenza  per  violazione  delle norme  sul  processo  civile  ed  in particolare  per  violazione dell'art. 112 c.p.c. per  ultrapetizione (art. 360 c.p.c., n. 4).
Affermano che la Corte di merito, con la sentenza  impugnata,  avrebbe dovuto  statuire soltanto in ordine alla domanda proposta in  proprio dal         S. e dalla        M. "in primo luogo perchè chiamati in giudizio e costituitisi nello stesso esclusivamente in proprio; in secondo  luogo,  perchè la domanda del Ministero  della  Salute  era diretta  a chiedere il rigetto della pretesa attorea per infondatezza solo  ed  esclusivamente nella veste propria assunta nel processo  di appello dai ricorrenti".
Il motivo non è fondato per le ragioni che seguono.
A tal fine, è opportuno ripercorrere l'iter processuale.
Il  tribunale,  nel  giudizio di primo grado, aveva  riconosciuto  il danno  -  morale  e  biologico  -  soltanto  in  favore  del  minore, escludendo, invece, il risarcimento del danno in favore dei genitori.
Nel   giudizio  di  appello,  il  Ministero  conveniva  gli   attuali ricorrenti  inizialmente  "quali esercenti  la  patria  potestà  sul figlio     M." (così si legge nell'atto di appello), chiedendo che fosse  dichiarata la nullità della sentenza di primo grado per vizio di  ultrapetizione, avendo la stessa riconosciuto la  responsabilità del  Ministero della salute ai sensi dell'art. 2043 c.c. diversamente dalla domanda proposta di riconoscimento dell'indennità di cui  alla L.  n. 210 del 1992; in ogni caso, per la mancanza di prova in ordine alla   ricorrenza  della  fattispecie  di  cui  all'art.  2043  c.c., concludendo  come  segue "... in accoglimento del  presente  gravame, dichiarare  nulla la sentenza impugnata per violazione dell'art.  112 c.p.c.; in subordine rigettare la pretesa attorea per infondatezza".
               S.M.   e                ####################,   nel   costituirsi, contestavano  i motivi dell'appello principale ed, al   tempo  stesso, proponevano appello incidentale per l'accoglimento della  domanda  di risarcimento  del  danno  in  proprio,  non  riconosciuto  dal  primo giudice,   concludendo  con  la  richiesta  di  rigetto  dell'appello proposto  dal  Ministero  della sanità e di  condanna  dello  stesso Ministero  "al  pagamento dell'ulteriore somma di Euro 104.732,28  in favore di                #################### e            ####################........".
La  Corte d'Appello, in parziale accoglimento dell'appello principale proposto  dal Ministero della salute, così pronunciava "respinge  la domanda  proposta  da                 #################### e             ####################  in proprio e nella qualità di genitori esercenti la potestà sul figlio minore             S.M.".
Gli  attuali ricorrenti, però, con il motivo, contestano l'efficacia della  sentenza  impugnata nei confronti del loro   figlio  in  quanto questi,  nelle  more  del  giudizio  di  primo  grado,  era  divenuto maggiorenne, con la conseguente necessità della sua vocatio in ius.
Argomento  evidentemente fondato alla stregua dei  fatti  processuali sopra richiamati, e non oggetto di controversia.
Il  vizio  di  ultrapetizione lamentato, però, seppure  sussistente, come  si è visto, non può essere sollevato dagli attuali ricorrenti per essere, gli stessi, privi di legittimazione attiva.
A  ben  vedere, la Corte di merito, rigettando la  domanda nei termini che  precedono,  ha  accolto l'impugnazione  proposta  dal  Ministero perchè,  pur  riconoscendo la sussistenza della  fattispecie  di  cui all'art. 2043 c.c. e la sufficienza della prova fornita dagli  attori ai sensi dell'art. 2697 c.c. in ordine al fatto della vaccinazione ed alla  sua  efficienza  causale  rispetto al fatto  delle  lesioni,  ha affermato  che  sarebbe mancata la prova della  colpa  da  parte  del Ministero convenuto (pagg. 8 - 9 della sentenza).
2.2.  Con  il  secondo motivo denunciano la violazione dell'art.  328 c.p.c.  per  omessa notificazione dell'atto di appello al  ricorrente divenuto  maggiorenne alla data del 16.12.1998 ed effettuata  ai  soli genitori  in  data  9  luglio 2002 - con conseguente  nullità  della sentenza 350/2005 - (art. 360 c.p.c., n. 4).
Anche questo motivo non è fondato.
Trattasi,  sotto  altro  profilo, dello stesso  tema  affrontato  con l'esame del primo motivo.
I ricorrenti affermano che, con il raggiungimento  della maggiore età del  minore  nelle more del giudizio di primo grado,   questi  avrebbe dovuto  essere chiamato in giudizio personalmente "avendo i  genitori perso la rappresentanza legale dello stesso".
Di  qui la nullità della sentenza di appello, per  avere statuito  in merito alla posizione di un soggetto non evocato in giudizio, e su di un punto della sentenza dì primo grado ormai passato in giudicato.
Anche  in  questo caso, il vizio non può essere fatto  valere  dagli odierni ricorrenti, perchè privi di legittimazione attiva.
Avrebbe  dovuto,  infatti,  essere                S.M.  a  proporre autonomamente  ricorso  per  cassazione  facendo  valere  il   vizio, denunciato,  invece,  dai  suoi  genitori,  privi,  a   tal  fine,  di legittimazione  attiva  (v. in questo senso, specie  in   motivazione, Sez. Un. 28 luglio 2005, n. 15783).
Lo stesso              S.M. - sussistendo le condizioni di legge  - potrà   fare   accertare,   nella   sede   competente,   l'eventuale definitività - nei suoi confronti - della sentenza di  primo  grado, per  la  sua mancata corretta vocatio in ius nel giudizio di appello;
od,  invece, impugnare la sentenza di primo grado ai sensi  dell'art. 327 c.p.c., comma 2. 2.3.  Con  il  terzo  motivo  i ricorrenti denunciano  la  violazione dell'art. 2050 c.c. per mancata applicazione al caso di specie  (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).
Il motivo è fondato nei termini e per le ragioni che seguono.
Gli odierni ricorrenti principali lamentano il mancato riconoscimento di  un danno subito quali genitori - quindi in proprio - per l'evento lesivo occorso al figlio     M..
Tale  danno  non  è stato riconosciuto nei loro confronti,  nè  dal primo  giudice - che pure ne aveva affermato la ricorrenza in  favore dell'allora  minore  - nè dalla Corte di merito che,  sugli  appelli proposti  dal  Ministero della salute e da                  ####################  e               ####################,  aveva  rigettato  la  domanda  originariamente proposta.
La  Corte di merito afferma che, nella specie, ricorre un'ipotesi  di responsabilità  aquiliana  ai sensi  dell'art.  2043  c.c.,  per  la lesione  del  diritto alla salute, negando, invece,  l'applicabilità della   norma  di  cui  all'art.  2050  c.c.  in  tema  di  attività pericolosa,  ulteriormente sostenuta, in sede di appello incidentale, dagli odierni ricorrenti principali.
La  Corte  rigetta,  poi, la domanda perchè, pur avendo  gli  attori "provato  il  fatto  della vaccinazione e la sua  efficienza  causale rispetto  al  fatto  dannoso delle lesioni", "non  hanno  provato  la colpa"  del  Ministero, affermando che questa  "non  può  consistere dalla  semplice  derivazione del danno  dal  fatto  della  P.A.",  ma "..Occorre   invece  che  sia  allegata  e  provata  una  negligenza, imprudenza o imperizia presente nella condotta causativa del danno".
I  ricorrenti,  nel  censurare l'erroneità  della  sentenza  per  la mancata  applicazione  della norma dell'art. 2050  c.c.,   contestano, però,  nell'illustrazione  dello stesso  motivo,  anche  il  mancato riconoscimento  del  danno a titolo di responsabilità  aquiliana  ex art.  2043  c.c.  (come si desume dalle pagg. 19  e  20  del  ricorso principale)  per il difetto dell'elemento soggettivo della  colpa  da parte   del  Ministero  della  Salute  (all'epoca  dei  fatti,  della Sanità), con il  conseguente, ammissibile esame, in questa sede,  del motivo sotto tale profilo.
Per esaminare il motivo, occorre focalizzare il tipo di attività che sarebbe  alla  base della responsabilità del Ministero della  salute per attività pericolosa.
Le  Sezioni Unite di questa Corte hanno operato -  con la sentenza  n. 576  del  2008,  in materia di responsabilità civile  per  danni  da emoderivati  -  una  fondamentale  distinzione  di  problemi:  a)  il problema della qualificazione come attività pericolosa ex art.  2050 c.c.  dell'attività di produzione, commercializzazione ed  effettiva trasfusione  sui singoli pazienti del sangue; b) il diverso  problema dei  contenuti  e  dei profili di responsabilità dell'attività  del Ministero  in  tale settore, che attiene alla sfera non  direttamente gestionale, ma piuttosto di supervisione e controllo.
Affermano, in particolare, le Sezioni Unite: "La pericolosità  della pratica  terapeutica della trasfusione del sangue  e   dell'uso  degli emoderivati non rende ovviamente pericolosa l'attività ministeriale, la  cui  funzione apicale è solo quella di controllare e vigilare  a tutela   della   salute  pubblica.  Anche  gli  interventi   per   la distribuzione e ripartizione del plasma tra le strutture sanitarie  o le   autorizzazioni  per  l'importazione  del  plasma   non   possono considerarsi  elementi  di  conferma di un'attività  in  senso  lato imprenditoriale   -  ritenuto  da  parte  della  dottrina,   elemento necessario per la responsabilità ex art. 2050 c.c. -, in  quanto  si tratta   di   incombenze   meramente   complementari   e   funzionali all'organizzazione   generale   di   un   settore   vitale   per   la collettività".
Affermano, invece, che la responsabilità del Ministero della  salute per  i  danni conseguenti ad infezioni da HIV e da epatite, contratte da   soggetti   emotrasfusi   per   l'omessa   vigilanza   esercitata dall'Amministrazione   sulla  sostanza   ematica   negli   interventi trasfusionali  e  sugli emoderivati è inquadrabile nella  violazione della clausola generale di cui all'art. 2043 c.c..
Principi  analoghi,  pur con le precisazioni dovute  alle  diversità della  fattispecie  in  esame,  valgono  anche  per  l'attività   di controllo e vigilanza esercitata dal Ministero della salute  in  tema di vaccinazioni obbligatorie, come quella antipoliomielitica.
Rilevante, a tal fine, è che il Ministero - sotto  questo  profilo  - non   svolge  in  concreto  attività  imprenditoriale  in  relazione all'acquisto  e distribuzione di prodotto  immunizzato  antipolio,  ma soltanto di controllo e vigilanza a tutela della salute pubblica.
Al  che consegue l'insussistenza di una sua eventuale responsabilità per attività pericolosa, ai sensi dell'art. 2050 c.c..
In  questa ottica, va ricordato quel complesso normativo che,  specie dopo  il  trasferimento di alcune funzioni statali in tema di sanità dal  Ministero della salute alle regioni, in attuazione della riforma dell'art.  117  Cost. operata dalla Legge Costituzionale  18  ottobre 2001,  n.  3,   -successiva, peraltro, ai fatti oggetto  del  presente giudizio (v. sul punto anche Sez. Un. 11 gennaio 2008, n. 584)  -  ed alle  USL  e,  poi,  alle  ASL, avalla il  carattere  generale  e  di indirizzo  proprio  delle competenze ministeriali rispetto  a  quelle direttamente  operative delle regioni: 1) così  la  L.  23  dicembre 1978,  n.  833, art. 6 (istitutiva del servizio sanitario nazionale), che  riserva allo Stato compiti di carattere generale e di indirizzo;
2)  così  il  successivo art. 7, comma 2 in base al  quale  sono  le regioni  che  "provvedono all'approvvigionamento di sieri  e  vaccini necessari  per  le  vaccinazioni  obbligatorie"  ed  in  base  ad  un programma  concordato  con il Ministero della  sanità",   con  sub  - delega  delle funzioni delegate dallo stesso articolo ai  comuni;  3) così  l'art.  53  della  medesima legge che riserva  al  Governo  la proposizione   del  Piano  Sanitario  Nazionale,  contenente    "linee generali   di   indirizzo",   da  sottoporre   all'approvazione   del parlamento, rimesse, dall'art. 55, per l'attuazione alle regioni.
Deve,   però  subito  osservarsi  che,  in  ogni  caso,  è  rimasto all'amministrazione  centrale,  non  solo  un  ruolo  primario  nella programmazione, ma anche un ruolo centrale di controllo, che si attua attraverso il servizio sanitario nazionale.
Affermata,  quindi,  l'insussistenza  dì  una  responsabilità   del Ministero  della salute per attività pericolosa, si  deve passare  ad esaminare la fattispecie sotto il profilo dell'art. 2043 c.c. In  questa  prospettiva va ribadito che al Ministero  della  sanità, prima, ed ora al Ministero della salute spettano compiti di vigilanza e controllo preventivo, istituzionalmente attribuitigli.
E  la  fonte  normativa  che integra la norma  primaria  del  neminem laedere,  da  cui  ricavare l'esistenza di tali  doveri  in  capo  al Ministero  della sanità, è costituita dalla L. 13  marzo  1958,  n. 296, art. 1 che gli attribuisce "il compito di provvedere alla tutela della  salute pubblica", di "sovrintendere ai servizi sanitari svolti dalle  amministrazioni autonome dello Stato e  dagli  enti  pubblici, provvedendo  anche ad emanare, per la tutela della  salute  pubblica, istruzioni  obbligatorie per tutte le amministrazioni  pubbliche  che provvedono a servizi sanitari...".
Ora le indicazioni normative, di rango primario e  secondario, che  si sono  susseguite  nel  tempo,  con  riferimento  alla  materia  della vaccinazione antipoliomielitica - e di cui è opportuno dare conto  - sono  le  seguenti:  1)  L. 30 luglio 1959, n 695  Provvedimenti  per rendere integrale la vaccinazione antipoliomielitica" e la successiva L.  4  febbraio  1966,  n.  51  "Obbligatorietà  della  vaccinazione antipoliomielitica"   che   ha  abrogato   la   precedente   rendendo obbligatoria la vaccinazione antipoliomielitica; 2) il D.M. 25 maggio 1967   "Disposizioni  relative  alla  quantità  e  tipo  di  vaccino antipoliomielitico", con il quale espressamente si prescriveva che la vaccinazione contro la poliomielite "è temporaneamente  sospesa  nei confronti  dei  soggetti  che presentano manifestazioni  di  malattia acuta, febbrile o diarrea e dovrà essere ripresa appena
scomparso lo stato  di controindicazione"; 3) il D.M. 14 gennaio 1972 "Nuove norme in  materia  di  vaccinazione  antipoliomielitica";  4)  il  D.M.  25 novembre 1982: Modificazioni al D.M. 14 gennaio 1972 "Nuove norme  in materia  di  vaccinazione antipoliomielitica"; 5) il D.M.  19  aprile 1984  "Impiego del vaccino antipoliomielitico inattivato tipo  Salk";
6)   Circolare  n.  11/97  "Completamento  della  schedula  vaccinale antipolio   mediante   impiego   di   vaccini   iniettabili    aventi caratteristiche  diverse"; 7) D.M. 7 aprile  1999  "Nuovo  calendario delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate per l'età evolutiva";
Circolare n. 5 del 7 aprile 1999 "Nuovo calendario delle vaccinazioni obbligatorie e raccomandate per l'età evolutiva"; 8) D.M. 18  giugno 2002 "Nuovo Calendario della Vaccinazione antipolio"; 9) Circolare  6 agosto    2002   "Piano  per  il  mantenimento  della  situazione   di eradicazione  della poliomielite; 10) Circolare del  Ministero  della Salute  -  20/02/2004 Eradicazione della Polio -  Sorveglianza  della paralisi  flaccida acuta nel 2003; D.M. 15 luglio 2005  "Modifica  al calendario delle vaccinazioni antipoliomielitiche per adeguamento  al Nuovo Piano nazionale Vaccini 2005-2007".
L'excursus   effettuato  rende  evidente  come,  nel   tempo,   siano intervenuti cambiamenti nei tipi e qualità di vaccino da impiegare e nei  tempi  e  modi della sua somministrazione, che hanno determinato modifiche   della  "schedula  vaccinale  antipolio"  "con  l'utilizzo esclusivo  di vaccino antipoliomielitico inattivato (IPV), alla  luce dell'evoluzione della situazione epidemiologica nazionale, europea  e globale  di tale malattia" (D.m. salute del 18 giugno 2002 pubblicato sulla G.U. n. 163 del 13 luglio 2002).
In  particolare il D.M. 14 gennaio 1972 "Nuove norme  in  materia  di vaccinazione  antipoliomielitica ", applicato ratione temporis  nella specie per essere state le vaccinazioni effettuate nel 1981 prevedeva che  "A  partire  dal  28 febbraio 1912 la vaccinazione  obbligatoria contro  la  poliomielite viene eseguita gratuitamente dagli  appositi servizi  istituiti dai comuni a mezzo del vaccino  a  base  di  virus attenuati secondo Sabin, del tipo trivalente", stabilendo modalità e tempi della somministrazione.
E' opportuno anche, per la prossimità temporale ai fatti oggetto del presente  giudizio, menzionare il D.M. 19 aprile  1984  "Impiego  del vaccino  antipoliomielitico inattivato tipo Salk"  con  il  quale  il Ministero    della    sanità,   ribadendo   che   la    vaccinazione antipoliomielitica  continuava  ad  essere  effettuata  con    vaccino attenuato   orale   tipo  Sabin,  emanava,  però,  indicazioni   che prevedevano  l'impiego del vaccino inattivato parenterale  tipo  Salk per   la  immunizzazione  contro  la  poliomielite  di  soggetti  con riscontrato  stato di controindicazione duratura all'uso del  vaccino attenuato   orale   tipo   Sabin   precisandone   le   condizioni   e ricomprendendovi le situazioni di immunodeficienza.
Quanto,  poi,  alle  conoscenze dei due tipi di vaccini,  delle  loro caratteristiche, delle loro potenzialità e delle loro indicazioni  e controindicazioni all'assunzione, la comunità scientifica -  per  la fondamentale  importanza della vaccinazione - ha compiuto,  da  tempo risalente  (fin  dal  loro apparire sulla scena  mondiale),  ricerche accurate  e  su  larga scala, pervenendo a risultati condivisi  dalla comunità  scientifica mondiale; dando atto dei risultati  raggiunti, che  potevano ritenersi condiviso e comune patrimonio mondiale;  come tali  conosciuti  o  conoscibili  da parte  delle  singole  comunità nazionali.
Le  premesse  normative così esposte conducono  ad  una  successione logicamente concatenata di domande, articolabili come segue:  a)  se, all'epoca dei fatti, sul Ministero gravasse un obbligo giuridico,  la cui  violazione  poteva  condurre -  con  il  concorso  di  ulteriori elementi  -  all'affermazione di una sua responsabilità;  b)  se  la condotta omissiva del Ministero (nel caso di  risposta affermativa  al primo  quesito) abbia avuto efficacia causale rispetto all'evento  di danno  (c.d.  causalità dell'omissione); c) se in tale  omissione  - qualora la si ritenga dotata di efficacia causale -  siano ravvisabili i  profili della colpa (colpevolezza dell'omissione),  e se tale colpa sia  stata  a  sua  volta causale rispetto al danno (c.d.  causalità della colpa).
La  sentenza impugnata ha risposto positivamente a tutte  le  domande tranne l'ultima.
Infatti,  il  motivo  di  ricorso concerne  esclusivamente  il  punto relativo alla colpevolezza dell'omissione.
Così  circoscritto  il  thema decidendum,  va  osservato  che  -  in mancanza  di  fattori  eccezionali che abbiano impedito  di  compiere l'azione doverosa - il contenuto dell'omissione ed il contenuto della colpa finiscono per sovrapporsi.
A tal fine, consideriamo alcune informazioni cruciali.
La  prima  è  che  -  alla  stregua della consulenza  in  atti,  non controversa  -  il  danno  al  minore fu  certamente  derivato  dalla somministrazione del vaccino.
Pertanto   -  operando  un  ragionamento  controfattuale  -  l'omessa somministrazione del vaccino avrebbe scongiurato l'evento.
In altri termini, se il Ministero della sanità avesse proibito - per la   ricorrenza   di   precise  controindicazioni   tale   forma   di vaccinazione, l'evento non si sarebbe verificato.
Dunque, la condotta omissiva del Ministero, che non ha proibito  tale somministrazione  (ma  può  dubitarsi  che  si  tratti  di  condotta omissiva  e non attiva: invero, a rigore, la condotta causale  è  la somministrazione del vaccino, disposta dal Ministero della Salute) è stato un antecedente causale dell'evento.
La  seconda informazione - trascurata dalla sentenza impugnata  -  è che, già all'epoca, era conosciuta la pericolosità di tale vaccino, e  vi erano statistiche accreditate sui gravi effetti collaterali che esso poteva provocare.
E'  chiaro,  allora, che la sentenza impugnata ha  omesso di  valutare punti   decisivi  della  controversia  così  determinabili:  a)   se all'epoca  della  somministrazione era  conosciuta  o  conoscibile  - secondo  le  migliori  cognizioni  scientifiche  disponibili   -   la pericolosità del vaccino; b) se alla stregua di tali conoscenze,  il rispetto  del  fondamentale  principio di  precauzione  imponesse  di vietare  tale  tipo  di vaccinazione, o di consentirla  con  rigorose modalità tali da minimizzare i rischi ad essa connessi.
L'eventuale esito favorevole delle indagini che il giudice del rinvio andrà  a  compiere, e di cui ai punti a) e b) indicati, costituirà, poi, il presupposto per la riconoscibilità agli odierni ricorrenti - ricorrendone  le condizioni probatorie, di natura anche presuntiva  - del danno lamentato (Sez. Un. 11 novembre 2008, n. 26972 punti 4.8  e 4.9).
3. Ricorso incidentale condizionato.
L'accoglimento  del ricorso principale, nei termini indicati,  impone l'esame di quello incidentale condizionato.
3.1.  Con  il  primo  motivo  il ricorrente incidentale  condizionato denuncia  la  nullità  della sentenza per violazione  dell'art.  112 c.p.c. Il motivo non è fondato.
In  primo  luogo,  deve sottolinearsi che l'esame  del  motivo  appare irrilevante  alla  luce delle conclusioni raggiunte   in  ordine  alla ricorrenza,   nel  caso  in  esame,  della  fattispecie  disciplinata dall'art. 2043 c.c. e non dall'art. 2050 c.c..
Una  volta, infatti, escluso che si tratti di attività pericolosa  - come peraltro riconosciuto anche dalla Corte di merito - stabilire la tardività  o  meno della domanda ex art. 2050 c.c. perchè  proposta soltanto  in  appello  -  a  fronte  di  quella  ex  art.  2043  c.c. introduttiva  del  primo  giudizio - e la  conseguente  omissione  di pronuncia,  da parte della Corte di merito, sulla relativa  eccezione sollevata  dal Ministero in quel grado di giudizio - non  produrrebbe alcun effetto favorevole per il proponente.
L'eventuale   affermazione  di  correttezza  della  tesi   sostenuta, infatti,  -  alla  luce delle conclusioni raggiunte  dalla  Corte  di legittimità in precedenza, in ordine alla sussistenza di  un'ipotesi riconducibile alla generale responsabilità aquiliana  ex  art.  2043 c.c. - non sortirebbe alcuna ricaduta sull'iter processuale, privando la parte dell'utilità degli eventuali risultati favorevoli.
La Corte di merito sul punto così si è espressa: "Indipendentemente dalle  pur  possibili  discussioni sulla novità  della  domanda  ove fondata  sull'art.  2050  c.c. piuttosto che semplicemente  sull'art. 2043 c.c. (l'eccezione è stata puntualmente svolta dall'Avvocatura), è    opinione   della   Corte   che   l'attività   della   Pubblica Amministrazione  volta  all'esecuzione delle  disposizioni  di  legge sulla  vaccinazione  obbligatoria non possa essere  inserita  tra  le attività pericolose ex art. 2050 c.c.".
Ed  ha, quindi, accolto l'appello del Ministero ritenendo che  "  gli attori  hanno provato il fatto della vaccinazione e  la sua efficienza causale rispetto al fatto dannoso delle lesioni, ma non hanno provato la  colpa";  con  ciò  qualificando, evidentemente,  l'azione  quale extracontrattuale derivante dalla clausola generale di  cui  all'art. 2043 c.c. non riconoscendone, però, la fondatezza - diversamente dal primo  giudice  -  per difetto di prova con riferimento  all'elemento soggettivo della colpa.
Fondatezza  della domanda - in termini di violazione  dell'art.  2043 c.c. - affermata, invece, in questa sede di legittimità. 3.2.  Con  il  secondo  motivo il Ministero denuncia  la  motivazione omessa  ovvero insufficiente su un punto decisivo della  controversia prospettato  dalle  parti  nonchè  rilevabile  d'ufficio  (art.  360 c.p.c., n. 5).
Il motivo non è fondato.
La   Corte   di  merito  ha  rigettato  l'appello   sul  punto   della individuazione  della  domanda  proposta  dagli  attuali   ricorrenti principali  nel  giudizio  di  primo grado  così  motivando:  "  ... effettivamente   gli   attori  esordirono   in   giudizio   chiedendo espressamente il risarcimento del danno per lesione  del diritto  alla salute  ex  art.  2043  c.c.";  proseguendo  "Del  resto,  altro  non avrebbero  potuto chiedere, posto che all'epoca non era stata  ancora promulgata la L. n. 210 del 1992 con la quale fu stabilito il diritto all'indennizzo per coloro che avevano riportato lesioni a seguito  di vaccinazioni antipolio".
Ed  ha puntualizzato "Nel corso del giudizio di primo grado non  c'è mai  stato  alcun  esplicito aggiustamento o  riconsiderazione  delle conclusioni  prese nell'atto di citazione, e quindi  non  ha  violato l'art.  112  c.p.c.  il  primo giudice che si  è  pronunciato  sulla pretesa risarcitoria";  concludendo "Infine, nessuna incidenza  sembra avere   portato  nè  sull'ammissibilità  della  domanda,  nè   sui presupposti   per  il  suo   accoglimento,  la  sopravvenienza   della normativa speciale sull'indennizzo".
Il  ricorrente  incidentale condizionato contesta,  invece,  che  gli attuali ricorrenti principali avrebbero inizialmente proposto domanda di  risarcimento  del  danno ai sensi dell'art.  2043  c.c.  per  poi limitarla,   all'udienza  del  28.11.1991  (e  non  29.11.1991   come erroneamente riportato), a quella esclusivamente diretta ad  ottenere l'indennizzo introdotto con la L. n. 210 del 1992;  e su  tale  punto, evidenziato  come  essenziale ai fini della decisione,  la  Corte  di merito sarebbe incorsa in un vizio di motivazione.
Il  rilievo  è  destituito di fondamento per un  duplice  ordine  di ragioni.
Il   ricorrente  incidentale  condizionato  contesta   un'omessa   od insufficiente  motivazione  in ordine al punto   decisivo  prospettato dall'appellante Ministero o rilevabile d'ufficio.
Nessuno dei vizi contestati sussiste.
La  lettura del verbale di udienza, in cui sarebbe stata limitata  la domanda, non è, neppure, riportato in ricorso; con ciò violando  il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.
Ma,  quel  che  è  più rilevante è che la Corte di  merito,  nella qualificazione della domanda - che spetta al giudice  del  merito  -, non è incorsa in alcun vizio, motivando correttamente in ordine alla persistenza  della  domanda di risarcimento del danno  ex   art.  2043 c.c.;   con  ciò, ovviamente, interpretando implicitamente il  tenore del verbale del 28.11.1991 e pervenendo ad escludere l'abbandono o la limitazione dell'originaria domanda di risarcimento dei danni ex art. 2043  c.c.;   non  dando,  a  tale fine, alcuna  rilevanza  preclusiva all'eventuale   puntualizzazione, in ordine ad un  fatto  sopravvenuto (L.  n.  210  del  1992), che nulla toglie - ma anzi  si  aggiunge  - all'originaria domanda.
Conclusivamente,  vanno  rigettati il  primo  e  secondo  motivo  del ricorso principale ed il ricorso incidentale condizionato.
Va accolto, invece, il terzo motivo del ricorso principale.
La  sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte d'Appello di Perugia in diversa composizione.
Le spese vanno rimesse al giudice del rinvio.P.Q.M.
LA  CORTE rigetta  il  primo  e  secondo motivo del ricorso  principale  ed   il ricorso  incidentale  condizionato.  Accoglie  il  terzo  motivo  del ricorso principale. Cassa in relazione e rinvia, anche per le  spese, alla Corte d'Appello di Perugia in diversa composizione.

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