MALATTIA PROFESSIONALE E NESSO
DI CAUSALITÀ. IL CRITERIO DELLA PERSONALIZZAZIONE DEL RISARCIMENTO.
Cassazione
civile, sezione lavoro, sentenza 21.4.2011 n. 9238
(Dr.ssa
Silvana Toriello)
Con questa
sentenza la Suprema Corte ha statuito che è legittima la determinazione del
risarcimento del danno biologico in misura superiore a quella tabellare in base
al criterio della personalizzazione del risarcimento.
XXX,
dipendente della s.p.a. XYXYXY, dopo avere a lungo lavorato in condizioni di
esposizione all'amianto, è stato colpito da una forma tumorale maligna che, dopo
quasi tre anni di malattia, lo ha condotto alla morte. Gli eredi hanno chiesto,
tra l'altro, al Tribunale di Genova di condannare l'azienda al risarcimento del
danno subito dal loro congiunto. Il Tribunale ha accolto le domande e ha
determinato il risarcimento in misura pari al doppio di quanto previsto dalla
tabella normalmente applicata in materia di danno biologico. La decisione è
stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Genova. La Gestione
Liquidazione dell'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la
decisione della Corte genovese, tra l'altro, per avere determinato il
risarcimento in misura superiore a quella tabellare. La Suprema Corte ha
rigettato il ricorso.
Con
riferimento al nuovo modello risarcitorio patrocinato dalle SU con la sentenza
n. 26973 del 2008, la Corte ricorda che, “nello specifico ambito lavoristico,
che costituisce da sempre terreno di elezione per l'emersione ed il
riconoscimento dei danni alla persona, per tali intendendosi il complesso dei
pregiudizi che possono investire l'integrità fisica e la personalità morale del
lavoratore si riscontra "un reticolato di disposizione specifiche volte ad
assicurare una ampia e speciale tutela alla "persona " del lavoratore con il
riconoscimento espresso dei diritti a copertura costituzionale (art. 32 e 37
Cost.)", così come è frequente, al pari che in altri settori processuali, l'uso
di espressioni molteplici per indicare pregiudizi e sofferenze, che possono
essere utilizzati con valore meramente descrittivo e non per indicare tipi
autonomi di danno, data l'unitarietà della categoria del danno non patrimoniale,
quale categoria idonea a ricomprendere "tutti gli interessi inerenti la persona
non connotati da rilevanza economica".
Ne deriva che
l'evocazione di definizioni che trovano la loro origine essenzialmente nella
pratica giudiziaria non può servire, in ogni caso, per una duplicazione ai fini
liquidatori di danno di identico contenuto, fermo restando la funzione del
risarcimento, che è proprio quella di assicurare una doverosa, giusta ed
integrale finalità recuperatoria (v. in particolare Cass. n. 10864/2009).
In tal
contesto, la regola chiave dell'intervento delle SU - che il risarcimento "deve
ristorare interamente il pregiudizio", a condizione che sia superata la soglia
di offensività, posto che il sistema richiede "un grado minimo di tolleranza" -
impone, in presenza di un pregiudizio costituzionalmente qualificato, quale
criterio direttivo essenziale per la liquidazione del danno, una volta esclusa
ogni operazione di mera sommatoria, un criterio di personalizzazione del
risarcimento, che risulti strumentale alla direttiva del "ristoro del danno
nella sua interezza".
Ciò implica,
in primo luogo, che, esclusa ogni duplicazione meramente nominalistica delle
voci e dei titoli di danno, a fronte dell'onnicomprensività che assume la
categoria del torto non patrimoniale, si dovrà, comunque, tener conto
dell'insieme dei pregiudizi sofferti, purchè sia provata nel giudizio
l'autonomia e distinzione degli stessi, atteso che, ove non si realizzasse tale
condizione, verrebbe vanificata la necessità di assicurare l'effettività della
tutela, con la piena reintegrazione della sfera giuridica violata.
Ne discende
che, in presenza della lesione di un diritto fondamentale della persona, la
personalizzazione (id est l'integrità) del risarcimento imporrà la
considerazione per ogni conseguenza del fatto lesivo, ivi compresi i pregiudizi
esistenziali (quali le sofferenze di lungo periodo e il deterioramento
obiettivamente accettabile della qualità della vita, che pur non si accompagnino
ad una contestuale lesione dell'integrità psico - fisica in senso stretto), che
siano riflesso della gravità della lesione e della sua capacità di compromettere
bisogni ed esigenze fondamentali della persona.
Così come ne
deriva che il bisogno, segnalato dalle SU, che i giudici accertino "l'effettiva
entità del pregiudizio" e provvedano "all'integrale riparazione" rende il
criterio della personalizzazione del danno tendenzialmente incompatibile con
metodologie di calcolo puramente automatiche ed astratte (v. ad es. Cass. n.
29191/2008, per la quale "vanno esclusi i meccanismi semplificativi di
liquidazione di tipo automatico"), e cioè che non tengano conto, nell'ambito di
una valutazione esaustiva e complessa e pur facendo ricorso a criteri
predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della
gravità della lesione e quindi della particolarità del caso concreto e della
reale entità del danno.
Resta fermo,
in ogni caso, che spetta al giudice di merito accertare, ove il danno determini
un vulnus per interessi oggetto di copertura costituzionale, i criteri che
consentano, attraverso una adeguata personalizzazione del risarcimento,
l'integrale riparazione del pregiudizio, e tale valutazione, se assistita da
motivazione adeguata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi che
regolano la materia, resta esente dal sindacato di legittimità.
Deve, quindi,
in sintesi affermarsi che, in presenza della lesione di un diritto fondamentale
della persona, la regola per cui il risarcimento deve ristorare interamente il
pregiudizio impone di tener conto dell'insieme dei pregiudizi sofferti, purchè
sia provata nel giudizio l'autonomia e distinzione degli stessi, e che, a tal
fine, il giudice deve provvedere all'integrale riparazione secondo un criterio
di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di
liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell'ambito di criteri
predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della
gravità della lesione, e quindi della particolarità del caso concreto e della
reale entità del danno. Nel caso in esame la corte territoriale, facendo
corretta applicazione di tali principi, ha determinato la misura del
risarcimento (quantificato in misura pari al doppio del danno biologico),
tenendo conto delle ripercussioni, "massimamente penalizzanti", che la malattia
aveva avuto sulla vita del danneggiato, e valorizzando, pertanto, nell'ottica di
un risarcimento personalizzato, la penosità della sofferenza, le quotidiane
difficoltà, le cure estenuanti e l'assenza di ogni prospettiva di guarigione,
proprie di una persona affetta da una grave forma tumorale maligna ad esito
infausto, che lo aveva condotto alla morte dopo quasi tre anni di malattia. La
motivazione adottata dei giudici di merito individua le fonti di convincimento e
giustifica in modo logicamente plausibile ed in assenza di errori di diritto la
decisione, sicchè si sottrae ad alcuna censura in sede di legittimità. 2.3 Con
il quarto motivo la società ricorrente prospetta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c.,
n. 3 ulteriore violazione dell'art. 2059 c.c., per costituire duplicazione non
consentita del danno la attribuzione agli eredi di un danno non patrimoniale
iure hereditatis (per invalidità temporanea totale e relativa personalizzazione)
ed il contestuale riconoscimento iure proprio di un danno non patrimoniale per
la morte del congiunto. Il motivo è infondato.
Ha ritenuto
correttamente la corte territoriale che i resistenti vennero ad essere
direttamente danneggiati per il fatto di essere stati privati rispettivamente
del marito e del padre, subendo la lesione di interessi tutelati dalla legge, in
quanto membri di un nucleo familiare, privato dell'apporto affettivo ed
economico del capo famiglia, quando ancora quest'ultimo era in giovane età e gli
stessi si trovavano in una fase della loro vita (il figlio aveva al tempo
ventidue anni e conviveva con i genitori) nella quale potevano, secondo quanto
normalmente avviene in casi simili, far conto ancora a lungo della sua presenza.
Nessuna
duplicazione di titoli risarcitori è, pertanto, prospettabile, risalendo gli
eventi di danno alla violazione di interessi distinti.
In particolare
viene qui in rilievo la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i
diritti inviolabili della famiglia (artt 2 29 30 Cost ) a abbiano visto lesi i
diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29, 30 Cost.) a seguito della
perdita del rapporto parentale; situazione dalla quale palesemente possono
emergere danni non patrimoniali tutelabili ex art. 2059 c.c. e per la cui
liquidazione devono essere considerati un complesso di elementi (età della
vittima, grado di parentela, particolari condizioni della famiglia, convivenza
ed età dei familiari) idonei a dimensionare il risarcimento all'effettiva entità
del pregiudizio sofferto (cfr. ad es. Cass. n. 8827/2003, 8827/2003; Cass. n.
8828/2003, 8828/2003; Cass. n. 28407/2008).
Tali elementi
sono stati puntualmente esaminati dalla corte territoriale con adeguata
motivazione, ed il danno è stato determinato in relazione alla gravità delle
conseguenze che la perdita del congiunto aveva determinato per il contesto
familiare.
Nessuna
censura, pertanto, può essere mossa alla sentenza impugnata, sia per ciò che
attiene al riconoscimento del diritto che ai criteri di liquidazione adottati.”
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