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lunedì 13 giugno 2011

Malattia professionale e nesso di causalità. Il criterio della personalizzazione del risarcimento. (a cura della Dott.ssa Silvana Toriello)







MALATTIA PROFESSIONALE E NESSO DI CAUSALITÀ. IL CRITERIO DELLA PERSONALIZZAZIONE DEL RISARCIMENTO.

Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza 21.4.2011 n. 9238

(Dr.ssa Silvana Toriello)

Con questa sentenza la Suprema Corte ha statuito che è legittima la determinazione del risarcimento del danno biologico in misura superiore a quella tabellare in base al criterio della personalizzazione del risarcimento.
XXX, dipendente della s.p.a. XYXYXY, dopo avere a lungo lavorato in condizioni di esposizione all'amianto, è stato colpito da una forma tumorale maligna che, dopo quasi tre anni di malattia, lo ha condotto alla morte. Gli eredi hanno chiesto, tra l'altro, al Tribunale di Genova di condannare l'azienda al risarcimento del danno subito dal loro congiunto. Il Tribunale ha accolto le domande e ha determinato il risarcimento in misura pari al doppio di quanto previsto dalla tabella normalmente applicata in materia di danno biologico. La decisione è stata confermata, in grado di appello, dalla Corte di Genova. La Gestione Liquidazione dell'azienda ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione della Corte genovese, tra l'altro, per avere determinato il risarcimento in misura superiore a quella tabellare. La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Con riferimento al nuovo modello risarcitorio patrocinato dalle SU con la sentenza n. 26973 del 2008, la Corte ricorda che, “nello specifico ambito lavoristico, che costituisce da sempre terreno di elezione per l'emersione ed il riconoscimento dei danni alla persona, per tali intendendosi il complesso dei pregiudizi che possono investire l'integrità fisica e la personalità morale del lavoratore si riscontra "un reticolato di disposizione specifiche volte ad assicurare una ampia e speciale tutela alla "persona " del lavoratore con il riconoscimento espresso dei diritti a copertura costituzionale (art. 32 e 37 Cost.)", così come è frequente, al pari che in altri settori processuali, l'uso di espressioni molteplici per indicare pregiudizi e sofferenze, che possono essere utilizzati con valore meramente descrittivo e non per indicare tipi autonomi di danno, data l'unitarietà della categoria del danno non patrimoniale, quale categoria idonea a ricomprendere "tutti gli interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica".
Ne deriva che l'evocazione di definizioni che trovano la loro origine essenzialmente nella pratica giudiziaria non può servire, in ogni caso, per una duplicazione ai fini liquidatori di danno di identico contenuto, fermo restando la funzione del risarcimento, che è proprio quella di assicurare una doverosa, giusta ed integrale finalità recuperatoria (v. in particolare Cass. n. 10864/2009).
In tal contesto, la regola chiave dell'intervento delle SU - che il risarcimento "deve ristorare interamente il pregiudizio", a condizione che sia superata la soglia di offensività, posto che il sistema richiede "un grado minimo di tolleranza" - impone, in presenza di un pregiudizio costituzionalmente qualificato, quale criterio direttivo essenziale per la liquidazione del danno, una volta esclusa ogni operazione di mera sommatoria, un criterio di personalizzazione del risarcimento, che risulti strumentale alla direttiva del "ristoro del danno nella sua interezza".
Ciò implica, in primo luogo, che, esclusa ogni duplicazione meramente nominalistica delle voci e dei titoli di danno, a fronte dell'onnicomprensività che assume la categoria del torto non patrimoniale, si dovrà, comunque, tener conto dell'insieme dei pregiudizi sofferti, purchè sia provata nel giudizio l'autonomia e distinzione degli stessi, atteso che, ove non si realizzasse tale condizione, verrebbe vanificata la necessità di assicurare l'effettività della tutela, con la piena reintegrazione della sfera giuridica violata.
Ne discende che, in presenza della lesione di un diritto fondamentale della persona, la personalizzazione (id est l'integrità) del risarcimento imporrà la considerazione per ogni conseguenza del fatto lesivo, ivi compresi i pregiudizi esistenziali (quali le sofferenze di lungo periodo e il deterioramento obiettivamente accettabile della qualità della vita, che pur non si accompagnino ad una contestuale lesione dell'integrità psico - fisica in senso stretto), che siano riflesso della gravità della lesione e della sua capacità di compromettere bisogni ed esigenze fondamentali della persona.
Così come ne deriva che il bisogno, segnalato dalle SU, che i giudici accertino "l'effettiva entità del pregiudizio" e provvedano "all'integrale riparazione" rende il criterio della personalizzazione del danno tendenzialmente incompatibile con metodologie di calcolo puramente automatiche ed astratte (v. ad es. Cass. n. 29191/2008, per la quale "vanno esclusi i meccanismi semplificativi di liquidazione di tipo automatico"), e cioè che non tengano conto, nell'ambito di una valutazione esaustiva e complessa e pur facendo ricorso a criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione e quindi della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno.
Resta fermo, in ogni caso, che spetta al giudice di merito accertare, ove il danno determini un vulnus per interessi oggetto di copertura costituzionale, i criteri che consentano, attraverso una adeguata personalizzazione del risarcimento, l'integrale riparazione del pregiudizio, e tale valutazione, se assistita da motivazione adeguata, coerente sul piano logico e rispettosa dei principi che regolano la materia, resta esente dal sindacato di legittimità.
Deve, quindi, in sintesi affermarsi che, in presenza della lesione di un diritto fondamentale della persona, la regola per cui il risarcimento deve ristorare interamente il pregiudizio impone di tener conto dell'insieme dei pregiudizi sofferti, purchè sia provata nel giudizio l'autonomia e distinzione degli stessi, e che, a tal fine, il giudice deve provvedere all'integrale riparazione secondo un criterio di personalizzazione del danno, che, escluso ogni meccanismo semplificato di liquidazione di tipo automatico, tenga conto, pur nell'ambito di criteri predeterminati, delle condizioni personali e soggettive del lavoratore e della gravità della lesione, e quindi della particolarità del caso concreto e della reale entità del danno. Nel caso in esame la corte territoriale, facendo corretta applicazione di tali principi, ha determinato la misura del risarcimento (quantificato in misura pari al doppio del danno biologico), tenendo conto delle ripercussioni, "massimamente penalizzanti", che la malattia aveva avuto sulla vita del danneggiato, e valorizzando, pertanto, nell'ottica di un risarcimento personalizzato, la penosità della sofferenza, le quotidiane difficoltà, le cure estenuanti e l'assenza di ogni prospettiva di guarigione, proprie di una persona affetta da una grave forma tumorale maligna ad esito infausto, che lo aveva condotto alla morte dopo quasi tre anni di malattia. La motivazione adottata dei giudici di merito individua le fonti di convincimento e giustifica in modo logicamente plausibile ed in assenza di errori di diritto la decisione, sicchè si sottrae ad alcuna censura in sede di legittimità. 2.3 Con il quarto motivo la società ricorrente prospetta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3 ulteriore violazione dell'art. 2059 c.c., per costituire duplicazione non consentita del danno la attribuzione agli eredi di un danno non patrimoniale iure hereditatis (per invalidità temporanea totale e relativa personalizzazione) ed il contestuale riconoscimento iure proprio di un danno non patrimoniale per la morte del congiunto. Il motivo è infondato.
Ha ritenuto correttamente la corte territoriale che i resistenti vennero ad essere direttamente danneggiati per il fatto di essere stati privati rispettivamente del marito e del padre, subendo la lesione di interessi tutelati dalla legge, in quanto membri di un nucleo familiare, privato dell'apporto affettivo ed economico del capo famiglia, quando ancora quest'ultimo era in giovane età e gli stessi si trovavano in una fase della loro vita (il figlio aveva al tempo ventidue anni e conviveva con i genitori) nella quale potevano, secondo quanto normalmente avviene in casi simili, far conto ancora a lungo della sua presenza.
Nessuna duplicazione di titoli risarcitori è, pertanto, prospettabile, risalendo gli eventi di danno alla violazione di interessi distinti.
In particolare viene qui in rilievo la tutela riconosciuta ai soggetti che abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt 2 29 30 Cost ) a abbiano visto lesi i diritti inviolabili della famiglia (artt. 2, 29, 30 Cost.) a seguito della perdita del rapporto parentale; situazione dalla quale palesemente possono emergere danni non patrimoniali tutelabili ex art. 2059 c.c. e per la cui liquidazione devono essere considerati un complesso di elementi (età della vittima, grado di parentela, particolari condizioni della famiglia, convivenza ed età dei familiari) idonei a dimensionare il risarcimento all'effettiva entità del pregiudizio sofferto (cfr. ad es. Cass. n. 8827/2003, 8827/2003; Cass. n. 8828/2003, 8828/2003; Cass. n. 28407/2008).
Tali elementi sono stati puntualmente esaminati dalla corte territoriale con adeguata motivazione, ed il danno è stato determinato in relazione alla gravità delle conseguenze che la perdita del congiunto aveva determinato per il contesto familiare.
Nessuna censura, pertanto, può essere mossa alla sentenza impugnata, sia per ciò che attiene al riconoscimento del diritto che ai criteri di liquidazione adottati.”

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