Atto Camera
Interrogazione a risposta scritta 4-05204
presentato daInterrogazione a risposta scritta 4-05204
NESCI Dalila
testo di
Giovedì 19 giugno 2014, seduta n. 249
NESCI e DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
il 4 marzo 2014, il vice capo vicario dellapolizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, con una delegazione composta anche dal direttore dell'ufficio per le relazioni sindacali vice prefetto Ricciardi e dal direttore centrale degli affari generali prefetto Truzzi, ha illustrato le linee guida del progetto di spending review riguardante il comparto di sicurezza;
il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio» comporterebbe la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia;
in particolare il piano porterebbe alla chiusura di 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di PS, 73 Uffici di poliziaferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni di polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni sommozzatori, 50 squadre nautiche oltre agli accorpamenti e alla rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
secondo quanto denunciato dai sindacati di categoria, «non si rinviene un solo criterio, una sola garanzia o anche una sola parola con riferimento alle tante specifiche professionalità acquisite nel tempo e alle migliaia di uomini e donne che dovrebbero essere ricollocati e che si celano dietro la freddezza di quei numeri»;
tra i vari reparti interessati, quello sottoposto a maggior rischio è la polizia postale: secondo lo schema, si passerà dagli attuali 101 presidi ai 28 previsti, col taglio di ben 73 sezioni provinciali sulle attuali 80;
operativa da circa 30 anni, la polizia postale è ormai un indispensabile apporto contro il crimine informatico che registra un crescente aumento di reati quali transazioni finanziarie illecite, gioco d'azzardo illegale, hacking, e-commerce, phishing,stalking, cyber-bullismo e pedopornografia;
il 10 giugno 2014, in occasione della relazione annuale del Garante per la privacy, il presidente dell’authority Antonello Soro ha affermato che quella della criminalità cibernetica «è un'emorragia stimata in 500 miliardi di dollari l'anno tra identità violate, segreti aziendali, portali messi fuori uso e moneta virtuale sottratta»;
la cifra di cui parla Soro emerge anche da uno studio del Center for strategic and International Studies (Csis) secondo cui le perdite dovute al cybercrimine oscillano, più precisamente, tra i 375 e i 575 miliardi di euro annui. A riguardo l'Italia è il Paese dove i costi di recupero per un'impresa che ha subito un attacco hacker i più elevati in assoluto: nel giro di un solo anno in Italia le perdite dovute ad attacchi hacker sono state di 875 milioni di dollari, ma i costi di «pulizia» sono stati di 8 miliardi e mezzo di dollari;
secondo quanto denunciato ancora dai sindacati, si vorrebbero far passare due concetti, completamente infondati: secondo il primo i reati di cui si occupa la polizia postale, a livello giudiziario, sono di competenza delle procure distrettuali che semplicemente delegano le sezioni del loro territorio. Questo non risulta vero, dato che i reati per i quali si delega la polizia postale non sono solo quelli di competenza delle procure distrettuali ma tutti i reati che avvengono tramite l'utilizzo di qualsiasi sistema di comunicazione moderno;
ancora, si dice che il personale attualmente impiegato nelle sezioni da chiudere, verrà poi «assorbito» dalle questure, in nuovi uffici/sezioni, dove avrà modo di continuare a svolgere lo stesso servizio. Anche quest'assunto, però, è duramente contestato da sindacati e agenti: il personale delle sezioni, assorbito nelle questure, perderebbe la sua specializzazione e, in caso di necessità, sarebbe comunque impiegato in servizi di non competenza, cioè distolti dalla loro attività principale, cosa che significherebbe perdita di efficacia della loro attività specifica;
a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
a parere dell'interrogante, il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente i diritti previsti dalla Costituzione;
l'emissione della moneta è connessa al signoraggio, che è l'insieme dei redditi che ne derivano;
il premio Nobel per l'economia Paul Robin Krugman, in un suo testo scritto con Maurice Obstfeld, definisce il signoraggio come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;
«il signoraggio moderno – rilevò il deputato Renato Cambursano, nella sua interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-05147 del 20 luglio 2011 – è eclissato nella contabilità dall'azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota», cioè essa dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);
le banche centrali sono le istituzioni che raccolgono la ricchezza e il profitto da signoraggio, che dovrebbero essere trasferiti, coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;
tale signoraggio, definito primario, deriva dall'abilità che possiede la singola banca centrale di emettere moneta, stampandola e immettendola nel mercato;
il signoraggio secondario, invece, è – per come riassunto con chiarezza nel succitato atto parlamentare dal menzionato deputato Cambursano – «il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l'offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l'introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio, i derivati»;
l'articolo 1 della Costituzione repubblicana sancisce che «la sovranità appartiene al popolo», sicché del popolo è anche la sovranità monetaria;
poiché il popolo produce, consuma e lavora, la moneta, sin dall'emissione della singola banca centrale, dovrebbe diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata studiata dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini, che ha condensato le sue conclusioni nel volume La banca, la moneta e l'usura, edizione Controcorrente, Napoli, 2001;
secondo Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi della sovranità monetaria, che avrebbe permesso di svolgere una politica socioeconomica non limitata da influenze esterne e, soprattutto, al di fuori di qualsivoglia indebitamento;
anche il professor Giacinto Auriti, accademico fondatore della facoltà di giurisprudenza dell'università di Teramo, compì diversi studi sulla sovranità monetaria e sul signoraggio, sostenendo che l'emissione di moneta senza riserve e titoli di Stato quali garanzie per la realizzazione di opere pubbliche non produrrebbe inflazione, in quanto sarebbe compensata da eguale aumento della ricchezza reale;
Auriti sostenne pure che le banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, così originando il debito pubblico;
lo stesso studioso denunciò l'assenza di una norma giuridica sulla proprietà dell'euro all'atto dell'emissione;
il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto «fiscal compact», il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, come più sopra visto, tuttavia in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita di servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
l'approvazione del «fiscal compact» e degli atti collegati è opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento Cinque Stelle e di Sinistra, Ecologia e Libertà, che non erano in parlamento nella XVI legislatura;
il 9 maggio 2010 fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (articolo 136);
le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di organizzazione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità di 125.395.900.000 euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del riunione del 30 marzo 2012 dell'Eurogruppo, dovrà essere versato entro la metà del 2014;
alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e presto disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolte all'intera popolazione degli Stati membri, in larga parte esclusa dalla conoscenza di trattati e dispositivi che nella pratica ne limitano in misura non più controllabile la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
è recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti il 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pil, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento egovernance nell'unione economica e monetaria»;
nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
la riforma delle pensioni cosiddetta «Fornero», dal nome del Ministro responsabile, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la quale – arrivata in un contesto di crisi economica su cui, a parere dell'interrogante, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause – ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono il lavoro nero e il lavoro mafioso, dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pil), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
a parere dell'interrogante, i diritti fondamentali e inviolabili previsti nella Costituzione repubblicana sono seriamente in pericolo, sulla base di quanto qui detto sulla sovranità monetaria, sottratta al popolo costituzionalmente sovrano, di quanto poi significato sulle cause reali del debito pubblico, di quanto accennato sulla sostanziale perdita di rappresentatività democratica – visto che i processi decisionali decisivi sono rimessi, per l'Europa, a organismi non elettivi – e infine di quanto articolato in materia di strumenti che si assumono di stabilizzazione delle finanze pubbliche;
oltre a quanto appena opinato, a parere dell'interrogante la riassunta spending reviewprevista per il comparto sicurezza, che tra l'altro penalizzerebbe in profondità la Polizia postale, nuocerebbe alle figure professionali interessate e ai cittadini, non più tutelati dalla presenza capillare delle forze di polizia sul territorio –:
se intenda riesaminare il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio», soprattutto in merito ai tagli di cui è oggetto lapolizia postale, al fine di non compromettere i livelli essenziali di sicurezza e il corso della giustizia. (4-05204)
il 4 marzo 2014, il vice capo vicario dellapolizia di Stato, prefetto Alessandro Marangoni, con una delegazione composta anche dal direttore dell'ufficio per le relazioni sindacali vice prefetto Ricciardi e dal direttore centrale degli affari generali prefetto Truzzi, ha illustrato le linee guida del progetto di spending review riguardante il comparto di sicurezza;
il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio» comporterebbe la chiusura di 261 presidi territoriali di polizia;
in particolare il piano porterebbe alla chiusura di 11 commissariati distaccati che espletano le funzioni di autorità locale di PS, 73 Uffici di poliziaferroviaria, 73 sezioni di polizia postale, 27 sezioni di polizia stradale, 4 nuclei artificieri, 11 squadre a cavallo, 4 sezioni sommozzatori, 50 squadre nautiche oltre agli accorpamenti e alla rimodulazione delle competenze di alcuni compartimenti in ambito stradale, ferroviario e della zona di polizia di frontiera;
secondo quanto denunciato dai sindacati di categoria, «non si rinviene un solo criterio, una sola garanzia o anche una sola parola con riferimento alle tante specifiche professionalità acquisite nel tempo e alle migliaia di uomini e donne che dovrebbero essere ricollocati e che si celano dietro la freddezza di quei numeri»;
tra i vari reparti interessati, quello sottoposto a maggior rischio è la polizia postale: secondo lo schema, si passerà dagli attuali 101 presidi ai 28 previsti, col taglio di ben 73 sezioni provinciali sulle attuali 80;
operativa da circa 30 anni, la polizia postale è ormai un indispensabile apporto contro il crimine informatico che registra un crescente aumento di reati quali transazioni finanziarie illecite, gioco d'azzardo illegale, hacking, e-commerce, phishing,stalking, cyber-bullismo e pedopornografia;
il 10 giugno 2014, in occasione della relazione annuale del Garante per la privacy, il presidente dell’authority Antonello Soro ha affermato che quella della criminalità cibernetica «è un'emorragia stimata in 500 miliardi di dollari l'anno tra identità violate, segreti aziendali, portali messi fuori uso e moneta virtuale sottratta»;
la cifra di cui parla Soro emerge anche da uno studio del Center for strategic and International Studies (Csis) secondo cui le perdite dovute al cybercrimine oscillano, più precisamente, tra i 375 e i 575 miliardi di euro annui. A riguardo l'Italia è il Paese dove i costi di recupero per un'impresa che ha subito un attacco hacker i più elevati in assoluto: nel giro di un solo anno in Italia le perdite dovute ad attacchi hacker sono state di 875 milioni di dollari, ma i costi di «pulizia» sono stati di 8 miliardi e mezzo di dollari;
secondo quanto denunciato ancora dai sindacati, si vorrebbero far passare due concetti, completamente infondati: secondo il primo i reati di cui si occupa la polizia postale, a livello giudiziario, sono di competenza delle procure distrettuali che semplicemente delegano le sezioni del loro territorio. Questo non risulta vero, dato che i reati per i quali si delega la polizia postale non sono solo quelli di competenza delle procure distrettuali ma tutti i reati che avvengono tramite l'utilizzo di qualsiasi sistema di comunicazione moderno;
ancora, si dice che il personale attualmente impiegato nelle sezioni da chiudere, verrà poi «assorbito» dalle questure, in nuovi uffici/sezioni, dove avrà modo di continuare a svolgere lo stesso servizio. Anche quest'assunto, però, è duramente contestato da sindacati e agenti: il personale delle sezioni, assorbito nelle questure, perderebbe la sua specializzazione e, in caso di necessità, sarebbe comunque impiegato in servizi di non competenza, cioè distolti dalla loro attività principale, cosa che significherebbe perdita di efficacia della loro attività specifica;
a decorrere dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014, l'articolo 81 della Costituzione dispone che «lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico»;
a parere dell'interrogante, il nuovo testo dell'articolo 81 appare limitare pesantemente i diritti previsti dalla Costituzione;
l'emissione della moneta è connessa al signoraggio, che è l'insieme dei redditi che ne derivano;
il premio Nobel per l'economia Paul Robin Krugman, in un suo testo scritto con Maurice Obstfeld, definisce il signoraggio come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi»;
«il signoraggio moderno – rilevò il deputato Renato Cambursano, nella sua interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-05147 del 20 luglio 2011 – è eclissato nella contabilità dall'azione di dubbia legittimità della banca emittente che pone al passivo il valore nominale della banconota», cioè essa dichiara di sostenere per la produzione della carta moneta un costo pari al suo valore facciale (euro 100 per una banconota del taglio di 100 euro);
le banche centrali sono le istituzioni che raccolgono la ricchezza e il profitto da signoraggio, che dovrebbero essere trasferiti, coperti i costi di coniatura, alla collettività rappresentata nello Stato;
tale signoraggio, definito primario, deriva dall'abilità che possiede la singola banca centrale di emettere moneta, stampandola e immettendola nel mercato;
il signoraggio secondario, invece, è – per come riassunto con chiarezza nel succitato atto parlamentare dal menzionato deputato Cambursano – «il guadagno che le banche commerciali ricavano dal loro potere di aumentare l'offerta di moneta estendendo i loro prestiti sui quali ricevono interessi e, negli ultimi decenni, con l'introduzione di nuovi strumenti finanziari quali, ad esempio, i derivati»;
l'articolo 1 della Costituzione repubblicana sancisce che «la sovranità appartiene al popolo», sicché del popolo è anche la sovranità monetaria;
poiché il popolo produce, consuma e lavora, la moneta, sin dall'emissione della singola banca centrale, dovrebbe diventare proprietà di tutti i cittadini che costituiscono lo Stato, il quale però non detiene il potere di emettere moneta;
la distorsione alla base della sovranità monetaria è stata studiata dal procuratore generale della Repubblica Bruno Tarquini, che ha condensato le sue conclusioni nel volume La banca, la moneta e l'usura, edizione Controcorrente, Napoli, 2001;
secondo Tarquini, lo Stato avrebbe avuto i mezzi tecnici per esercitare in concreto il potere di emettere moneta e per riappropriarsi della sovranità monetaria, che avrebbe permesso di svolgere una politica socioeconomica non limitata da influenze esterne e, soprattutto, al di fuori di qualsivoglia indebitamento;
anche il professor Giacinto Auriti, accademico fondatore della facoltà di giurisprudenza dell'università di Teramo, compì diversi studi sulla sovranità monetaria e sul signoraggio, sostenendo che l'emissione di moneta senza riserve e titoli di Stato quali garanzie per la realizzazione di opere pubbliche non produrrebbe inflazione, in quanto sarebbe compensata da eguale aumento della ricchezza reale;
Auriti sostenne pure che le banche centrali ricaverebbero profitti indebiti dal signoraggio sulla cartamoneta, così originando il debito pubblico;
lo stesso studioso denunciò l'assenza di una norma giuridica sulla proprietà dell'euro all'atto dell'emissione;
il 2 marzo 2012 a Bruxelles fu redatto il cosiddetto «fiscal compact», il patto di bilancio europeo che prevede enormi sacrifici;
con l'approvazione del relativo trattato in Italia, avvenuta nell'estate del 2012, il riferito dispositivo è entrato nella Costituzione italiana;
il derivante «pareggio di bilancio» è ormai un obbligo, come più sopra visto, tuttavia in contrasto con i doveri della Repubblica e con i diritti dei cittadini, sempre più sottoposti a tagli e tasse che producono perdita di servizi, di lavoro, di economie, di speranza nel futuro;
l'Italia ha dunque ceduto prerogative di giurisdizione nazionale all'Unione europea, così risultando già ipotecate le politiche economiche dei prossimi decenni;
l'approvazione del «fiscal compact» e degli atti collegati è opera dell'attuale maggioranza e dell'attuale opposizione, ad esclusione del Movimento Cinque Stelle e di Sinistra, Ecologia e Libertà, che non erano in parlamento nella XVI legislatura;
il 9 maggio 2010 fu costituito il Fondo europeo di stabilità finanziaria, poi sostituito dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes), detto anche Fondo salva-Stati, finalizzato alla stabilità finanziaria della zona euro e istituito dalle modifiche al Trattato di Lisbona (articolo 136);
le suddette modifiche furono approvate il 23 marzo 2011 dal Parlamento europeo e ratificate dal Consiglio europeo a Bruxelles, il 25 marzo 2011;
il Meccanismo europeo di stabilità ha assunto la veste di organizzazione intergovernativa, col potere di imporre scelte di politica macroeconomica ai Paesi aderenti;
l'Italia ha sottoscritto una partecipazione al Meccanismo europeo di stabilità di 125.395.900.000 euro, capitale che, per quanto deciso nella riunione del riunione del 30 marzo 2012 dell'Eurogruppo, dovrà essere versato entro la metà del 2014;
alle riferite misure europee non corrisponde un'informazione chiara e presto disponibile sui soggetti che le gestiscono, pur se rivolte all'intera popolazione degli Stati membri, in larga parte esclusa dalla conoscenza di trattati e dispositivi che nella pratica ne limitano in misura non più controllabile la capacità di spesa, con soppressioni continue dei servizi pubblici indispensabili, diminuzione dei trasferimenti statali agli enti del territorio, dissesti sempre più frequenti e il concreto rischio di sgretolamento della rappresentatività democratica;
è recente, poi, la proposta di europeizzazione delle quote eccedenti il 60 per cento del rapporto fra debito del singolo Stato membro e Pil, da raggiungere entro 20 anni secondo le previsioni del «Trattato sulla stabilità, coordinamento egovernance nell'unione economica e monetaria»;
nella formulazione corrente, la predetta europeizzazione delle quote eccedenti, denominata «Fondo di redenzione europeo», prevede, come garanzia dal singolo Stato membro, la possibilità di aggredire propri beni demaniali, opere d'arte e riserve auree;
la riforma delle pensioni cosiddetta «Fornero», dal nome del Ministro responsabile, emanata ai sensi dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, la quale – arrivata in un contesto di crisi economica su cui, a parere dell'interrogante, si registra una generale, gravissima menzogna in ordine alle sue cause – ha esteso a tutti i lavoratori il metodo di calcolo contributivo delle pensioni, di fatto condannando le nuove generazioni all'indigenza nella vecchiaia e dimenticando completamente la condizione del Mezzogiorno italiano, in cui persistono il lavoro nero e il lavoro mafioso, dei cui proventi, per l'Istat, si potrà inserire – a partire dal 2014, in coerenza con le linee Eurostat – una stima nei conti (e quindi nel Pil), con riferimento ad attività illegali come traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol);
a parere dell'interrogante, i diritti fondamentali e inviolabili previsti nella Costituzione repubblicana sono seriamente in pericolo, sulla base di quanto qui detto sulla sovranità monetaria, sottratta al popolo costituzionalmente sovrano, di quanto poi significato sulle cause reali del debito pubblico, di quanto accennato sulla sostanziale perdita di rappresentatività democratica – visto che i processi decisionali decisivi sono rimessi, per l'Europa, a organismi non elettivi – e infine di quanto articolato in materia di strumenti che si assumono di stabilizzazione delle finanze pubbliche;
oltre a quanto appena opinato, a parere dell'interrogante la riassunta spending reviewprevista per il comparto sicurezza, che tra l'altro penalizzerebbe in profondità la Polizia postale, nuocerebbe alle figure professionali interessate e ai cittadini, non più tutelati dalla presenza capillare delle forze di polizia sul territorio –:
se intenda riesaminare il «piano di razionalizzazione dei presidi sul territorio», soprattutto in merito ai tagli di cui è oggetto lapolizia postale, al fine di non compromettere i livelli essenziali di sicurezza e il corso della giustizia. (4-05204)
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