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mercoledì 12 giugno 2019
N. 137 SENTENZA 17 aprile - 6 giugno 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Tutela della salute - Organizzazione dei servizi sanitari - Obblighi vaccinali - Individuazione, mediante deliberazione della Giunta regionale, dei reparti ai quali possono accedere i soli operatori sanitari che si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale - Sanzioni amministrative - Attribuzione alle direzioni sanitarie ospedaliere o territoriali del potere di imporre, in particolari condizioni epidemiologiche o ambientali, trattamenti vaccinali non previsti dalla legislazione nazionale. - Legge della Regione Puglia 19 giugno 2018, n. 27 (Disposizioni per l'esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori sanitari), artt. 1, commi 1 e 2; 4 e 5, nonche' l'intero testo. - (GU n.24 del 12-6-2019 )
N. 137 SENTENZA 17 aprile - 6 giugno 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Tutela della salute - Organizzazione dei servizi sanitari - Obblighi
vaccinali - Individuazione, mediante deliberazione della Giunta
regionale, dei reparti ai quali possono accedere i soli operatori
sanitari che si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale
di prevenzione vaccinale - Sanzioni amministrative - Attribuzione
alle direzioni sanitarie ospedaliere o territoriali del potere di
imporre, in particolari condizioni epidemiologiche o ambientali,
trattamenti vaccinali non previsti dalla legislazione nazionale.
- Legge della Regione Puglia 19 giugno 2018, n. 27 (Disposizioni per
l'esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori
sanitari), artt. 1, commi 1 e 2; 4 e 5, nonche' l'intero testo.
-
(GU n.24 del 12-6-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, commi
1 e 2; 4 e 5, nonche' dell'intero testo, della legge della Regione
Puglia 19 giugno 2018, n. 27 (Disposizioni per l'esecuzione degli
obblighi di vaccinazione degli operatori sanitari), promosso dal
Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il
13-20 agosto 2018, depositato in cancelleria il 17 agosto 2018,
iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2018 e pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale,
dell'anno 2018.
Visto l'atto di costituzione della Regione Puglia;
udito nella udienza pubblica del 16 aprile 2019 il Giudice
relatore Marta Cartabia;
udito l'avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Isabella Fornelli per la
Regione Puglia.
Ritenuto in fatto
1.- Con ricorso notificato il 13-20 agosto 2018 e depositato il
successivo 17 agosto (reg. ric. n. 48 del 2018), il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, ha impugnato la legge della Regione Puglia 19
giugno 2018, n. 27 (Disposizioni per l'esecuzione degli obblighi di
vaccinazione degli operatori sanitari), per intero e con riguardo
agli artt. 1, commi 1 e 2; 4 e 5.
2.- Il ricorrente riassume le finalita' della legge reg. Puglia
n. 27 del 2018 e il contenuto delle disposizioni censurate. In
particolare, il ricorso riferisce che l'art. l impugnato dispone, al
comma 1, che, con deliberazione della Giunta regionale, sono
individuati i reparti ai quali possono accedere i soli operatori
sanitari che abbiano osservato le indicazioni del Piano nazionale di
prevenzione vaccinale (PNPV) vigente per soggetti a rischio per
esposizione professionale e, al comma 2, stabilisce che, «in
particolari condizioni epidemiologiche o ambientali, le direzioni
sanitarie ospedaliere o territoriali, sentito il medico competente,
valutano l'opportunita' di prescrivere vaccinazioni normalmente non
raccomandate per la generalita' degli operatori».
3.- Nelle parole del ricorso, l'art. 1, comma 1 trasforma di
fatto le vaccinazioni raccomandate dal PNPV in vaccinazioni
obbligatorie, mentre il comma 2 del medesimo art. 1 attribuisce alle
direzioni sanitarie il potere di obbligare, in determinate
circostanze, la generalita' degli operatori sanitari ad effettuare
vaccinazioni normalmente non raccomandate. In tal modo, la
disposizione impugnata imporrebbe obblighi di vaccinazione non
previsti dalla legislazione statale, eccedendo dalle competenze
regionali e intervenendo «in un ambito nel quale sono prevalenti gli
aspetti ascrivibili ai principi fondamentali in materia di salute e
di profilassi internazionale riservati alle competenze legislative
dello Stato, ai sensi dell'art. 117, comma terzo, e comma secondo,
lettera q), della Costituzione». Essa, inoltre, violerebbe il
principio di eguaglianza e di riserva di legge in materia di
trattamenti sanitari di cui agli artt. 3, 32 della Costituzione.
4.- Il ricorrente richiama, a sostegno del proprio assunto, la
giurisprudenza costituzionale per la quale, a sua opinione, la
disciplina degli obblighi vaccinali sarebbe di competenza esclusiva
della legislazione statale (e' citata la sentenza di questa Corte n.
5 del 2018). Si assume, altresi', che la Corte avrebbe affermato che
il diritto della persona di essere curata efficacemente e di essere
rispettata nella propria integrita' fisica e psichica deve essere
garantito in condizione di eguaglianza in tutto il Paese per mezzo di
una legislazione statale «basata sugli indirizzi condivisi dalla
comunita' scientifica nazionale e internazionale» (sono citate le
sentenze di questa Corte n. 169 del 2017, n. 338 del 2003 e n. 282
del 2002). Sicche' non potrebbe che «essere riservato alla
legislazione statale, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, della
Costituzione, il compito di qualificare come obbligatorio un
determinato trattamento sanitario, sulla base dei dati e delle
conoscenze medico-scientifiche disponibili» (in tal senso e' la
citata sentenza di questa Corte n. 5 del 2018). Tale conclusione
sarebbe confermata dal rilievo per cui la profilassi per la
prevenzione della diffusione delle malattie richiede necessariamente
l'adozione di misure omogenee sul territorio nazionale. Pertanto, a
giudizio della difesa statale, la disposizione impugnata, imponendo
obblighi vaccinali non previsti a livello statale, interviene sui
principi fondamentali in materia di tutela della salute, con
invasione della competenza riservata alla legislazione statale
dall'art. 117, terzo comma, della Costituzione.
5.- In secondo luogo, la difesa statale assume che il predetto
art. 1 della legge reg. Puglia n. 27 del 2018 violi anche l'art. 117,
secondo comma, lett. q), Cost. stante la competenza riservata in via
esclusiva allo Stato in materia di disciplina della «profilassi
internazionale». Infatti, nelle parole del ricorso, «le norme in
materia di prevenzione vaccinale servono a garantire uniformita'
anche nell'attuazione, in ambito nazionale, di programmi elaborati in
sede internazionale e sovranazionale» (sono citate le sentenze n. 270
del 2016, n. 173 del 2014, n. 406 del 2005, n. 12 del 2004, anche se
riguardanti il settore veterinario), di modo che ragioni di ordine
logico, prima che giuridico precluderebbero alle Regioni di
intervenire in tale ambito.
6.- In terzo luogo, il Presidente del Consiglio dei ministri
ritiene che l'art. 1, comma 1, della legge reg. Puglia n. 27 del
2018, nel demandare a un atto amministrativo, e, precisamente, a una
deliberazione della Giunta regionale, l'individuazione dei reparti ai
quali possono accedere i soli operatori sanitari che si siano
attenuti alle indicazioni del PNPV, violi la riserva di legge imposta
dall'art. 32 Cost., oltre a collidere con l'art. 44 della legge della
Regione Puglia 12 maggio 2004, n. 7 (Statuto della Regione Puglia),
che attribuisce alla Giunta regionale la potesta' regolamentare con
riferimento ai soli regolamenti esecutivi e ai regolamenti di
attuazione delle leggi regionali.
7.- Infine, secondo la difesa statale, il principio della riserva
di legge in materia di trattamenti sanitari, definita in ricorso come
relativa, sarebbe violato dall'art. 1, comma 2, della legge reg.
Puglia n. 27 del 2018 che stabilisce che e' la direzione sanitaria
ospedaliera o territoriale a stabilire l'obbligatorieta' delle
vaccinazioni, ma, al contempo, non prevede che siano adeguatamente
individuati, a livello di fonte primaria, i presupposti, il contenuto
e i limiti dell'obbligo vaccinale.
8.- Il ricorrente aggiunge che per effetto della dedotta
incostituzionalita' dell'indicato art. 1 sarebbero incostituzionali
anche i successivi artt. 4 e 5.
8.1.- In particolare, l'art. 4 sarebbe incostituzionale perche' -
stabilendo che la Giunta regionale, con apposito provvedimento
deliberativo, provvede a dettagliare le modalita' di attuazione delle
disposizioni contenute nella legge in esame e adotta decisioni
dirette a promuovere le vaccinazioni - demanderebbe a un atto
amministrativo la regolamentazione di una materia in ordine alla
quale l'art. 32 Cost. impone una riserva di legge, cosi' contrastando
anche con l'art. 44 della legge reg. Puglia n. 7 del 2004, che, come
visto, attribuisce alla Giunta regionale la potesta' regolamentare
con riferimento ai soli regolamenti esecutivi e ai regolamenti di
attuazione delle leggi regionali.
8.2.- Dal canto suo, l'art. 5 sarebbe illegittimo perche' -
prevedendo una sanzione amministrativa pecuniaria per «il mancato
adempimento alle prescrizioni di cui all'articolo 1, comma 1» -
contrasterebbe con il principio per cui la determinazione delle
sanzioni e' nella disponibilita' del soggetto al quale e' rimessa la
definizione delle fattispecie da sanzionare; sicche', nel caso in
esame, spetterebbe solo al legislatore statale comminare sanzioni per
il caso di violazione dei divieti e degli obblighi in materia di
vaccini, che, come detto, ricade nella competenza dello Stato (e'
citata la sentenza n. 361 del 2003).
9.- Tutto cio' considerato, il Presidente del Consiglio dei
ministri conclude per la incostituzionalita' degli artt. 1, 4 e 5,
nonche' dell'intero testo della citata legge reg. Puglia n. 27 del
2018 perche', per il suo carattere omogeneo, violerebbe i principi di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e di riserva di legge di cui
all'art. 32 Cost. e invaderebbe «la competenza riservata alla
legislazione statale sia per l'emanazione dei principi fondamentali
in materia di tutela della salute ai sensi dell'articolo 117, comma
terzo, sia per la disciplina della profilassi internazionale,
riservata allo Stato ai sensi dell'articolo 117, comma secondo,
lettera q), della Costituzione».
10.- Con atto depositato il 28 settembre 2018 si e' costituita
nel presente giudizio la Regione Puglia, concludendo per la
inammissibilita' o la infondatezza della questione siccome promossa.
La difesa regionale osserva che il ricorso muove da una lettura
parziale e fuorviante della legge reg. Puglia n. 27 del 2018, cosi'
incorrendo in un erroneo assunto, ossia quello di ritenere che la
Regione Puglia abbia voluto imporre pratiche vaccinali, prescindendo
dalla volonta' statale in materia, quando, invece, la legge impugnata
stabilisce unicamente interventi di ordine organizzativo tesi a
perseguire l'obiettivo della sicurezza dei pazienti e degli stessi
operatori delle strutture sanitarie. Si tratta di interventi -
prosegue la Regione Puglia - coerenti con le vigenti disposizioni in
materia stabilite a livello statale e perfettamente conformi alla
giurisprudenza costituzionale che riconosce attribuzioni regionali in
materia di organizzazione dei servizi sanitari e di identificazione
degli organi competenti a verificare e sanzionare le violazioni (e'
citata la sentenza n. 5 del 2018).
10.1.- Su tali basi la difesa regionale sostiene che le
disposizioni impugnate non introducono in via diretta un obbligo
vaccinale a carico degli operatori sanitari, bensi' si limitano a
prescrivere che, sulla base delle indicazioni contenute nel PNPV,
siano individuati determinati reparti delle strutture sanitarie nei
quali l'assolvimento delle indicazioni vaccinali previste a livello
nazionale si configura quale requisito di idoneita' lavorativa nelle
strutture sanitarie. Pertanto, richiamati testualmente alcuni passi
del PNPV, l'ente regionale ribadisce di non aver arbitrariamente
introdotto ulteriori tipologie vaccinali, bensi' di aver dato
attuazione al PNPV, attenendosi, per un verso, alle indicazioni ivi
contenute e, per altro profilo, alla normativa in materia di
sicurezza dei luoghi di lavoro citata nel predetto PNPV.
11.- Sotto tale profilo la memoria di costituzione richiama il
decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'art. 1
della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute
e della sicurezza nei luoghi di lavoro) e, in particolare, gli artt.
18, comma 1, 41 e 279 ivi contenuti, da cui ricava complessivamente
l'obbligo del datore di lavoro di sottoporre i lavoratori alla
sorveglianza sanitaria nei casi previsti dalla legge e, nell'affidare
compiti agli stessi, di tener conto delle capacita' e delle loro
condizioni in rapporto alla loro salute e sicurezza. Da tali
previsioni la Regione ricava la sussistenza di un obbligo specifico
di sorveglianza sanitaria volto a verificare la compatibilita'
dell'attivita' che il lavoratore dovra' svolgere e ad accertare che
non vi siano controindicazioni al lavoro, onde giungere a un giudizio
d'idoneita' alla mansione specifica: con stretto riferimento ai
rischi legati all'esposizione degli agenti biologici, un ruolo
decisivo va riconosciuto al presidio vaccinale, che costituisce,
nelle parole della memoria, «una delle misure di protezione
necessarie per la tutela della salute dei lavoratori che il datore di
lavoro e' tenuto ad adottare».
11.1.- Sempre in tale ottica, la Regione Puglia richiama altresi'
l'art. 2087 del codice civile, che impone al datore di lavoro non
soltanto il semplice rispetto della normativa antinfortunistica, ma
anche l'adozione degli ulteriori presidi, fra cui, per quanto qui
interessa, i vaccini imposti dalle legge e, in mancanza di
disposizioni legislative, in via sussidiaria, i vaccini disponibili
in base al concetto della «prevedibilita' del rischio». Pertanto,
posto che le vaccinazioni da adottare nel campo della medicina del
lavoro sono quelle obbligatorie e quelle prescritte dal medico
competente in base alla tipologia di rischio biologico (in tal senso
e' citato l'art. 279, comma 2, del d.lgs. n. 81 del 2008), non
sussiste in tale ambito il limite della necessita' del consenso
libero e consapevole al trattamento sanitario. Cosi' ricostruito il
quadro complessivo, nelle parole della memoria, il datore di lavoro
ha l'obbligo di richiamare disciplinarmente il lavoratore che,
esposto a rischio biologico, rifiuti di vaccinarsi e cosi' tenga una
condotta che pregiudica la posizione di garanzia del datore di lavoro
richiesta dall'art. 2087 cod. civ. Dunque, a parere della difesa
regionale, proprio il combinato disposto degli artt. 2087 cod. civ. e
279 del d.lgs. n. 81 del 2008 supera ogni dubbio posto con riguardo
alla riserva di legge stabilita dall'art. 32 Cost.
12.- La Regione Puglia precisa altresi' che, nel caso di
vaccinazioni verso malattie a possibile contagio interumano,
l'esigenza di tutelare la salute individuale e collettiva e'
sufficiente a legittimare su un piano costituzionale l'imposizione di
vaccinazioni anche nel campo della sicurezza del lavoro, tanto piu'
che la sicura compatibilita' della terapia vaccinale prevista nel
PNPV vigente e' asseverata dalla previsione della sua obbligatorieta'
per la generalita' della popolazioni prevista dal decreto-legge 7
giugno 2017, n. 73 (Disposizioni urgenti in materia di prevenzione
vaccinale) convertito, con modificazioni, in legge 31 luglio 2017, n.
119. Peraltro, secondo la difesa regionale, la sentenza di questa
Corte n. 218 del 1994 conferma la conclusione che l'esecuzione delle
vaccinazioni per particolari categorie di lavoratori possa essere
prevista come un requisito di idoneita' al lavoro. Tale
considerazione, sempre seguendo la medesima linea di ragionamento,
vale anche per la previsione contenuta nell'art. 1, comma 2, della
legge reg. Puglia n. 27 del 2018 di ulteriori prescrizioni vaccinali,
le quali sono condizionate alla sussistenza di «particolari
condizioni epidemiologiche o ambientali», per cui rientrano nella
gestione della sicurezza sanitaria sui luoghi di lavoro di cui al
d.lgs. n. 81 del 2008.
13.- La difesa regionale deduce altresi' che la tesi difensiva
dell'Avvocatura generale dello Stato, in ultima analisi, svuoterebbe
la competenza concorrente delle Regioni come delineata dall'art. 117,
comma terzo, Cost., in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In
altri termini, seguendo le argomentazioni del ricorrente si
giungerebbe a un completo riaccentramento in capo a organi statali
delle competenze sulla vigilanza e si altererebbe il legame fra
prevenzione e vigilanza oggi incardinato in capo alle Regioni ai
sensi del d.lgs. n. 81 del 2008. Inoltre, la Regione sostiene che
l'Avvocatura statale tralascia di considerare le ricadute della legge
8 marzo 2017, n. 24 (Disposizioni in materia di sicurezza delle cure
e della persona assistita, nonche' in materia di responsabilita'
professionale degli esercenti le professioni sanitarie), il cui art.
1 prevede che la sicurezza delle cure si realizza anche mediante
l'insieme di tutte le attivita' finalizzate alla prevenzione e alla
gestione del rischio connesso all'erogazione delle prestazioni
sanitarie, di modo che non puo' che riconoscersi all'ente regionale
la possibilita' di attuare le iniziative, anche di carattere
legislativo, finalizzate a garantire la sicurezza delle cure,
comprensiva della sicurezza dei luoghi di lavoro.
14.- Non fondata sarebbe anche la ritenuta violazione dell'art.
117, comma secondo, lettera q), Cost. sulla profilassi
internazionale, posto che le disposizioni impugnate non hanno un
effetto generale e indifferenziato sulla popolazione pugliese, ma
hanno un ambito di applicazione circoscritto alla tutela della salute
degli operatori sanitari in coerenza con la normativa nazionale sulla
sicurezza nei luoghi di lavoro.
15.- Parimenti non fondata sarebbe per la Regione Puglia la
censura promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri, per cui i
poteri attribuiti alla Giunta regionale violerebbero i limiti
istituzionali codificati dall'art. 44 dello statuto regionale. Al
riguardo, il resistente sostiene che la disposizione impugnata non
dia luogo a un fenomeno di delegificazione, bensi' attribuisca
unicamente alla Giunta regionale il compito, di mero dettaglio, di
individuare i reparti ritenuti rischiosi e al cui accesso correlare
la terapia vaccinale prevista dal Ministero della salute a tutela dei
lavoratori nonche' di coloro che con essi interagiscono. Si tratta,
dunque, di compiti di mera amministrazione consentiti dal citato art.
44.
16.- Ne' tantomeno, assume la Regione Puglia, potrebbe dirsi
violato l'art. 32 Cost., posto che la disposizione impugnata si
colloca nel solco degli obblighi normativamente imposti ai datori di
lavoro ex d.lgs. n. 81 del 2008, il cui art. 279 legittima il datore
di lavoro ad adottare le precauzioni che, secondo il medico
competente, sono necessarie per la tutela dei luoghi di lavoro in
situazioni eccezionali, non prevedibili a monte.
17.- Allo stesso modo la difesa regionale ritiene non fondata
l'asserita violazione dell'art. 3 Cost., poiche' la paventata
disomogeneita' del trattamento vaccinale sul territorio nazionale
sarebbe escluso dalla ricorrenza, nella fattispecie, di situazioni
intrinsecamente eterogenee rispetto alle quali e' ragionevole una
disciplina normativa differenziata.
18.- Circa la derivata illegittimita' costituzionale delle
ulteriori norme, la difesa regionale osserva che la censura relativa
all'art. 4 muove dall'erroneo presupposto che la Giunta regionale
possa, con propria deliberazione, regolamentare la materia sottoposta
a riserva di legge. Considerazione, a suo giudizio, smentita dal
rilievo per cui le vaccinazioni oggetto del controllo di osservanza
sono quelle gia' previste dal PNPV, sicche' la deliberazione della
Giunta regionale si limiterebbe ad attuare le disposizioni contenute
nella normativa statale.
Con riguardo al potere sanzionatorio previsto dall'art. 5,
infine, l'ente regionale reputa la censura destituita di fondamento,
in quanto basata sul presupposto della violazione delle competenze
statali, in realta' insussistente in quanto tale potere sanzionatorio
accede a materia su cui essa Regione Puglia ha correttamente
legiferato.
19.- In prossimita' dell'udienza, sia il Presidente del Consiglio
dei ministri sia la Regione Puglia hanno depositato memorie
illustrative in cui hanno reiterato le rispettive tesi difensive onde
sentire accogliere le conclusioni gia' formulate.
Considerato in diritto
1.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la
legge della Regione Puglia 19 giugno 2018, n. 27 (Disposizioni per
l'esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori
sanitari), per intero e con riguardo agli artt. 1, commi 1 e 2; 4 e
5, per violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3
della Costituzione, della riserva di legge di cui all'art. 32 Cost.,
nonche' della competenza riservata alla legislazione statale sia per
l'emanazione dei principi fondamentali della materia di tutela della
salute, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., sia per la
disciplina della profilassi internazionale, ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lettera q), Cost.
2.- Occorre preliminarmente dichiarare l'inammissibilita' della
questione avente a oggetto l'intera legge reg. Puglia n. 27 del 2018.
In proposito si deve osservare che il ricorso sviluppa specifiche
motivazioni solo in ordine alle singole questioni riferite
partitamente a ciascuna delle disposizioni censurate. Quanto
all'intero testo della legge regionale, invece, il ricorso si limita
a farne oggetto di censura in ragione del suo «carattere normativo
omogeneo», senza addurre ulteriori argomentazioni. E' ben vero che
questa Corte ha, in piu' occasioni, reputato ammissibili le questioni
vertenti su un intero testo di legge caratterizzato da normative
omogenee (sentenza n. 247 del 2018, n. 261 del 2017 e n. 131 del
2016); ma e' vero altresi' che secondo una giurisprudenza costante
«e' inammissibile l'impugnativa di una intera legge ove cio' comporti
la genericita' delle censure» (sentenza n. 195 del 2015) o «quando le
censure adeguatamente motivate riguardino solo singole disposizioni,
mentre quella indirizzata all'intero testo normativo sia del tutto
generica» (sentenza 64 del 2007), come avviene nel caso in esame.
3.- Per la loro stretta interconnessione, e' opportuno esaminare
congiuntamente le questioni relative agli artt. 1, comma 1, 4 e 5,
della legge reg. Puglia n. 27 del 2018, promosse in riferimento agli
artt. 3, 32, 117, secondo comma, lettera q), in materia di profilassi
internazionale, e 117, terzo comma, Cost., in materia di tutela della
salute.
Le questioni non sono fondate.
3.1.- L'art. 1, comma 1 prevede che «al fine di prevenire e
controllare la trasmissione delle infezioni occupazionali e degli
agenti infettivi ai pazienti, ai loro familiari, agli altri operatori
e alla collettivita'», la Giunta regionale, con apposito
provvedimento deliberativo (ai sensi del successivo art. 4),
individua «i reparti dove consentire l'accesso ai soli operatori che
si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione
vaccinale vigente per i soggetti a rischio per esposizione
professionale».
Il richiamato art. 4 affida alla Giunta regionale il compito di
emanare, entro un mese dalla entrata in vigore della legge impugnata,
apposito provvedimento deliberativo volto a «dettagliare le modalita'
di attuazione delle disposizioni ivi previste».
Il successivo art. 5 prevede apposite sanzioni amministrative,
tra l'altro, per il «mancato adempimento delle prescrizioni di cui
all'art. 1, comma 1».
3.2.- Secondo il ricorrente, le suddette disposizioni
renderebbero di fatto obbligatorie le vaccinazioni che, invece, il
Piano nazionale di prevenzione vaccinale (PNPV) vigente si limita a
raccomandare. Il legislatore regionale sarebbe percio' intervenuto
«in un ambito nel quale sono prevalenti gli aspetti ascrivibili ai
principi fondamentali in materia di salute e di profilassi
internazionale riservati alle competenze legislative dello Stato, ai
sensi dell'art. 117, comma terzo, e comma secondo, lettera q), della
Costituzione». Inoltre, per la difesa statale, atteso che la scelta
tra terapie ammesse e non ammesse deve essere riservata alla
legislazione statale anche per ragioni di eguaglianza e omogeneita'
dei trattamenti sanitari sul territorio nazionale, sarebbero altresi'
violati il principio di eguaglianza e la riserva di legge in materia
di trattamenti sanitari, di cui rispettivamente agli artt. 3 e 32
Cost.
3.3.- Tutte le doglianze si fondano sul presupposto che le
disposizioni impugnate impongono obblighi vaccinali ulteriori
rispetto a quelli stabiliti dal legislatore statale, sulla base di
deliberazioni della Giunta regionale e con previsioni assistite da
sanzioni amministrative che ne rafforzano la cogenza. Di qui
discenderebbe, anzitutto, la violazione dei limiti alle competenze
legislative regionali lamentata nel ricorso e la conseguente
interferenza con i principi fondamentali stabiliti dal legislatore
statale in materia di tutela della salute, nonche' con la materia
della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato.
Il presupposto interpretativo da cui muove il ricorrente non e'
corretto alla luce dei criteri ripetutamente enunciati dalla costante
giurisprudenza di questa Corte, per cui, ai fini dell'individuazione
della materia in cui si colloca la disposizione impugnata, si deve
tener conto dell'oggetto, della ratio e della finalita' della stessa,
tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi, cosi' da
identificare correttamente e compiutamente anche l'interesse tutelato
(ex plurimis sentenze n. 116 del 2019, n. 108 del 2017, n. 175 del
2016, n. 245 e n. 140 del 2015, e n. 167 del 2014).
In base a tali principi, non puo' essere assegnata una rilevanza
decisiva al titolo della legge impugnata - «Disposizioni per
l'esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori sanitari»
-, ne' al tenore della rubrica del suo primo articolo - «Obbligo
vaccinale» -, che fanno entrambi riferimento all'obbligo di
vaccinazione. Va invece dato risalto a un insieme di elementi che
inducono a ritenere che le disposizioni in esame possono essere
ricondotte all'ambito della organizzazione sanitaria, parte
integrante della competenza legislativa regionale in materia della
tutela della salute di cui al terzo comma del citato art. 117 Cost.
(ex plurimis sentenze n. 54 del 2015 e n. 371 del 2008), che la
Regione ha esercitato in modo non eccentrico rispetto alle previsioni
contenute nella disciplina statale in materia di obblighi vaccinali,
e in particolare rispetto al decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73
(Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale)
convertito, con modificazioni, in legge 31 luglio 2017, n. 119,
nonche' al Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente.
Muovendo dal dato testuale, si deve rilevare, anzitutto, che
l'art. 1, comma 1 della legge regionale in esame non si rivolge alla
generalita' dei cittadini, ma si indirizza specificamente agli
operatori sanitari che svolgono la loro attivita' professionale
nell'ambito delle strutture facenti capo al servizio sanitario
nazionale, allo scopo di prevenire e proteggere la salute di chi
frequenta i luoghi di cura: anzitutto quella dei pazienti, che spesso
si trovano in condizione di fragilita' e sono esposti a gravi
pericoli di contagio, quella dei loro familiari, degli altri
operatori e, solo di riflesso, della collettivita'.
Tale finalita' perseguita dal legislatore regionale, sia detto
per inciso, e' del resto oggetto di attenzione da parte delle
societa' medico-scientifiche, che segnalano l'urgenza di mettere in
atto prassi adeguate a prevenire le epidemie in ambito ospedaliero,
sollecitando anzitutto un appropriato comportamento del personale
sanitario, per garantire ai pazienti la sicurezza nelle cure.
Letto in questa prospettiva, l'intervento del legislatore
regionale non ha per oggetto la regolazione degli obblighi vaccinali
- che chiamerebbe in causa la competenza statale in tema di
determinazione dei principi fondamentali della materia di tutela
della salute (sentenza n. 5 del 2018) - ma l'accesso ai reparti degli
istituti di cura. La sua finalita' e' prevenire le epidemie in ambito
nosocomiale, rimanendo cosi' all'interno delle competenze regionali
che in materia di vaccinazioni «continuano a trovare spazi non
indifferenti di espressione, ad esempio con riguardo
all'organizzazione dei servizi sanitari e all'identificazione degli
organi competenti a verificare e sanzionare le violazioni», come
questa Corte ha di recente rilevato (sentenza n. 5 del 2018).
Infatti, come si evince dall'esame dei lavori preparatori, la
definitiva formulazione del disposto impugnato ha espunto dal disegno
di legge originario ogni riferimento all'assolvimento di presunti
obblighi vaccinali per i soggetti a rischio per esposizione
professionale e al soddisfacimento dei medesimi come requisito di
idoneita' lavorativa. Nella sua formulazione definitiva, l'art. 1,
comma 1, si limita a precisare che il rispetto delle indicazioni del
PNPV costituisce un onere per l'accesso degli operatori sanitari ai
reparti individuati con la delibera della Giunta, di cui all'art. 4
della legge regionale impugnata. Cosi' prevedendo, la disposizione
impugnata si muove nel solco del PNPV vigente, il quale infatti
indica per gli operatori sanitari alcune specifiche vaccinazioni in
forma di raccomandazione, sulla base della fondamentale
considerazione che un adeguato intervento di immunizzazione degli
operatori sanitari non solo protegge gli interessati, ma svolge un
ruolo di «garanzia nei confronti dei pazienti ai quali», date le loro
particolari condizioni di vulnerabilita', «l'operatore potrebbe
trasmettere l'infezione determinando gravi danni e persino casi
mortali» (PNPV 2017-2019, p. 67).
Peraltro, sul punto, occorre rimarcare, come gia' affermato dalla
sentenza n. 5 del 2018, che «nell'orizzonte epistemico della pratica
medico-sanitaria la distanza tra raccomandazione e obbligo e' assai
minore di quella che separa i due concetti nei rapporti giuridici. In
ambito medico, raccomandare e prescrivere sono azioni percepite come
egualmente doverose in vista di un determinato obiettivo (tanto che
sul piano del diritto all'indennizzo le vaccinazioni raccomandate e
quelle obbligatorie non subiscono differenze: si veda, da ultimo la
sentenza n. 268 del 2017)».
Tutto cio' considerato, puo' ragionevolmente giungersi a un
approdo esegetico che valorizza la genesi delle disposizioni
impugnate, il loro dato testuale, il loro contenuto, la loro ratio
oggettiva e la loro finalita' come espressione della competenza della
Regione in materia di organizzazione del servizio sanitario e,
dunque, di tutela della salute ex art. 117, terzo comma, Cost.
In definitiva, nell'attribuire alla Giunta regionale la facolta'
di individuare i reparti in cui consentire l'accesso ai soli
operatori sanitari che si siano attenuti alle indicazioni del PNPV
vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale e nel
prevedere le relative sanzioni amministrative per i trasgressori, gli
impugnati art. 1, comma 1, e artt. 4 e 5 della legge reg. Puglia n.
27 del 2018 dettano esclusivamente una disciplina sull'organizzazione
dei servizi sanitari della Regione, senza discostarsi dai principi
fondamentali nella materia «tutela della salute» riservati alla
legislazione statale ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost.,
senza introdurre obblighi vaccinali di nuovo conio e, comunque, senza
imporre obbligatoriamente cio' che a livello nazionale e' solo
suggerito o raccomandato.
3.4.- Dalle considerazioni che precedono consegue che neppure
possono ritenersi violati gli altri parametri evocati dalla difesa
statale e, segnatamente, gli artt. 3 e 32 della Costituzione, tenuto
anche conto della possibilita' di esenzione ammessa dall'art. 2 della
legge reg. impugnata, in caso di accertato pericolo concreto per la
salute dell'operatore sanitario in relazione a specificita' cliniche.
Quanto alla asserita violazione del principio di eguaglianza,
basti osservare che, cosi' come sopra interpretate, le disposizioni
impugnate non introducono alcun obbligo vaccinale ulteriore rispetto
a quelli gia' indicati a livello statale e dunque non determinano
alcuna asimmetria sul territorio nazionale.
Quanto alla riserva di legge di cui all'art. 32 Cost., la
paventata violazione non sussiste, ne' per effetto dell'art. 1, comma
1, ne' ad opera dell'art. 4 (dal primo richiamato): una volta
escluso, alla luce delle considerazioni appena esposte, che la legge
in esame imponga agli operatori sanitari l'effettuazione di
trattamenti vaccinali non previsti dalla legislazione statale,
nessuna censura puo' muoversi alla determinazione del legislatore
regionale di demandare a un atto amministrativo, ossia alla delibera
della Giunta regionale menzionata dall'art. 4, il compito di
«dettagliare le modalita' di attuazione» di una legge che, come si e'
visto, attiene all'organizzazione sanitaria regionale e che,
comunque, non tocca l'ambito dei trattamenti sanitari obbligatori e
non incide sulla liberta' di auto-determinazione dell'individuo in
materia di tutela della salute. Per le medesime ragioni nessun
contrasto potrebbe ravvisarsi con l'art. 44 della legge della Regione
Puglia 12 maggio 2004, n. 7 (Statuto della Regione Puglia), pure
evocato dalla difesa statale, pur non costituendo parametro del
presente giudizio, il quale riconosce alla Giunta la «potesta'
regolamentare nella forma dei regolamenti esecutivi, di attuazione,
l'integrazione nonche' dei regolamenti delegati».
3.5.- E' appena il caso di aggiungere che parimenti infondata e'
la censura promossa in riferimento all'art. 5 della medesima legge
impugnata, che prevede l'irrogazione di una sanzione amministrativa
per il caso di mancato adempimento delle prescrizioni di cui
all'articolo 1, comma 1.
Una volta ricondotta la disposizione di cui al richiamato art. 1,
comma 1, all'ambito dell'organizzazione del servizio sanitario
regionale - che la Regione ha legittimamente disciplinato in forza
della sua competenza in materia di tutela della salute e nel rispetto
dei principi fondamentali stabiliti dal legislatore statale - ne
deriva che la previsione di sanzioni per le violazioni alle
prescrizioni da esso stabilite non eccede dalle competenze regionali.
In virtu' del principio del parallelismo tra il potere di
determinazione della fattispecie da sanzionare e il potere di
individuare la sanzione, costantemente affermato dalla giurisprudenza
costituzionale (sentenze n. 5 del 2018, n. 94 del 2011 e n. 253 del
2006), la Regione ha legittimamente corredato la disciplina di cui
all'art. 1, comma 1, con la previsione delle sanzioni amministrative
pecuniarie, di cui all'art. 5.
Naturalmente la condotta sanzionata non puo' che coincidere con
l'accesso, da parte di operatori sanitari che non si siano attenuti
alle indicazioni del PNPV, ai reparti individuati con la
deliberazione della Giunta, piu' volte richiamata; mentre deve
escludersi che possa essere sanzionato l'eventuale rifiuto opposto
dai medesimi operatori sanitari di sottoporsi ai trattamenti
vaccinali raccomandati dal PNPV per i soggetti a rischio per
esposizione professionale. Il che ovviamente non incide sugli
ordinari obblighi ricadenti sul datore di lavoro in tema di sicurezza
che restano, appunto, quelli delineati dalla disciplina statale sul
punto, dettata in primo luogo dalla clausola generale di cui all'art.
2087 del codice civile e dalle previsioni contenute nel decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81 (Attuazione dell'art. 1 della legge
3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della
sicurezza nei luoghi di lavoro) e, nell'ambito di queste, in
particolare per quanto qui interessa, dall'art. 279 in combinato
disposto con gli artt. 17, 18 e 41.
4.- Fondato e', invece, il motivo di impugnazione fatto valere
nei confronti all'art. 1, comma 2, della legge reg. Puglia n. 27 del
2018 in riferimento agli artt. 3, 32, 117, terzo comma, Cost.
4.1.- Tale disposizione stabilisce che, «in particolari
condizioni epidemiologiche o ambientali, le direzioni sanitarie
ospedaliere o territoriali, sentito il medico competente, valutano
l'opportunita' di prescrivere vaccinazioni normalmente non
raccomandate per la generalita' degli operatori». Il Presidente del
Consiglio dei ministri censura detta disposizione in quanto
attribuisce alle direzioni sanitarie il potere di imporre obblighi
vaccinali, in violazione dei limiti di competenza stabiliti dall'art.
117, terzo comma Cost., in violazione del principio di eguaglianza ex
art. 3 Cost. e in violazione dell'art. 32 Cost. perche', senza
prevedere che siano adeguatamente individuati a livello di fonte
primaria i presupposti, il contenuto e i limiti dell'obbligo
vaccinale, trasgredisce alla riserva di legge imposta da tale
disposizione costituzionale nella materia dei trattamenti sanitari
obbligatori.
4.2.- L'inequivocita' dell'ordito normativo, incentrato sul verbo
«prescrivere» -che in ambito medico rimanda al concetto di ordinare
una terapia - e avente a oggetto «vaccinazioni normalmente non
raccomandate», non consente di percorrere sentieri interpretativi
diversi da quello fatto proprio dalla difesa statale, che censura
tale disposizione perche' nella sostanza attribuisce alle direzioni
sanitarie il potere di imporre trattamenti vaccinali non previsti,
ne' come obbligatori ne' come raccomandati, dalla legislazione
nazionale. In effetti, la disposizione in esame conferisce alle
direzioni sanitarie un potere molto ampio e indefinito, consentendo
loro di rendere obbligatorie anche vaccinazioni neppure menzionate a
livello statale, senza nemmeno operare alcun rinvio al PNPV. Ne' vale
a delimitare tale potere la previsione che le direzioni sanitarie
possono attivarsi solo «in particolari condizioni epidemiologiche o
ambientali», giacche' in tal modo verrebbe comunque configurato un
potere di emissione di ordinanze contingibili e urgenti, che
nell'ordinario schema ordinamentale appartengono alla competenza di
altra autorita' - indicata in caso di emergenze sanitarie o di igiene
pubblica a carattere esclusivamente locale dall'art. 50, comma 5, del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali) - e comunque necessitano di una
previsione statale - come disposto dall'art. 93, comma 3, della legge
23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2001), secondo
cui le Regioni, «nei casi di riconosciuta necessita' e sulla base
della situazione epidemiologica locale», possono «disporre
l'esecuzione della vaccinazione antitifica in specifiche categorie
professionali». Per le ragioni sopra esposte sono riscontrabili nel
caso di specie tutte le violazioni costituzionali denunciate dal
ricorrente. Infatti, l'intervento regionale invade un ambito
riservato al legislatore statale, sia in quanto inerente ai principi
fondamentali concernenti il diritto alla salute, come disposto
dall'art. 117, terzo comma, Cost., che riserva allo Stato «il compito
di qualificare come obbligatorio un determinato trattamento
sanitario, sulla base dei dati e delle conoscenze medico-scientifiche
disponibili» (sentenza n. 5 del 2018; analogamente sentenza n. 169
del 2017), sia perche' attinente alla riserva di legge statale in
materia di trattamenti sanitari di cui all'art. 32 Cost., riserva
che, a sua volta, e' connessa al principio di eguaglianza previsto
dall'art. 3 Cost.
Di qui l'illegittimita' dell'art. 1, comma 2, della legge reg.
Puglia n. 27 del 2018.
Restano assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2,
della legge della Regione Puglia 21 giugno 2014, n. 27 (Disposizioni
per l'esecuzione degli obblighi di vaccinazione degli operatori
sanitari);
2) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale dell'intera legge reg. Puglia n. 27 del 2017 promosse,
in riferimento agli artt. 3, 32, 117, commi secondo, lettera q) e
terzo Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il
ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara non fondate le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 1, comma 1, 4 e 5 della legge reg. Puglia
n. 27 del 2017 promosse, in riferimento agli artt. 3, 32, 117, commi
secondo, lettera q) e terzo, Cost., dal Presidente del Consiglio dei
ministri, con il ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 17 aprile 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 giugno 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA
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