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mercoledì 12 giugno 2019
N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 febbraio 2019 Ordinanza del 15 febbraio 2019 del Tribunale di Vercelli nel procedimento civile promosso da T. P. contro Prefettura - Ufficio territoriale del Governo di Vercelli e Ministro dell'Interno. Elezioni - Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi - Cariche elettive presso gli enti locali - Sospensione di diritto per coloro che abbiano riportato una condanna non definitiva per taluni delitti - Durata della sospensione. - Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), art. 11, commi 1, lettera a), e 4. (GU n.24 del 12-6-2019 )
N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 febbraio 2019
Ordinanza del 15 febbraio 2019 del Tribunale di Vercelli nel
procedimento civile promosso da T. P. contro Prefettura -
Ufficio territoriale del Governo di Vercelli e Ministro dell'Interno.
Elezioni - Testo unico delle disposizioni in materia di
incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di
Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti
non colposi - Cariche elettive presso gli enti locali - Sospensione
di diritto per coloro che abbiano riportato una condanna non
definitiva per taluni delitti - Durata della sospensione.
- Decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle
disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di
ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze
definitive di condanna per delitti non colposi, a norma
dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190),
art. 11, commi 1, lettera a), e 4.
(GU n.24 del 12-6-2019 )
TRIBUNALE ORDINARIO DI VERCELLI
sezione civile
Il Tribunale di Vercelli, in composizione collegiale, nella
persona dei magistrati:
dott. Giovanni Campese Presidente;
dr.ssa Simona Francese Giudice;
dr.ssa Maria Elena Ballarini Giudice relatore;
riunito in camera di consiglio all'esito dell'udienza svoltasi in
data 14 febbraio 2019 ha pronunciato la seguente ordinanza nella
causa civile iscritta al numero 2595-2018 del ruolo generale degli
affari contenziosi dell'anno 2015 promossa da:
P T elettivamente domiciliato in Vercelli, Piazza
Bichieri n. 8, presso lo studio dell'avv. Andrea Corsaro dal quale e'
rappresentato e difeso unitamente agli avv.ti Katia Loro e Stefano
Delsignore in virtu' di procura a margine del ricorso ricorrente;
contro Prefettura - Ufficio territoriale del governo di
Vercelli, in persona del Prefetto pro tempore rappresentata e difesa
ex lege dall'avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino presso i
cui uffici e' domiciliata ope legis resistente;
e con l'intervento obbligatorio del Pubblico Ministero
intervenuto;
Visti gli atti e la documentazione prodotta, sentite le parti' ed
il PM
Osserva
Il ricorrente, onorevole P T , nell'ambito del procedimento
rg. 2595/2018 in cui ha chiesto l'annullamento del decreto adottato
dal Prefetto della Provincia di Vercelli n. 35129 del 20 dicembre
2018 che ha disposto la sospensione del medesimo dalla carica di
Sindaco di Borgosesia in applicazione di quanto previsto dall'art. 11
del D.Lgs. n. 235/2012, ha proposto ricorso cautelare ai sensi
dell'art. 700 cpc finalizzato ad ottenere la sospensione degli
effetti dell'impugnato provvedimento.
Sostiene in particolare il ricorrente che il provvedimento
impugnato sarebbe:
a. illegittimo perche' adottato sulla base del solo
dispositivo della sentenza del 24 luglio 2018 della Corte d'Appello
di Torino;
b. illegittimo perche' adottato in violazione dell'art. 11
co. 5 D.lgs. n. 235 del 31 dicembre 2012 a seguito di comunicazione
fatta da un soggetto normativamente non legittimato a compierla;
c. illegittimo per assenza dei requisiti essenziali relativi
alla decorrenza e alla durata della sospensione della carica di
Sindaco di Borgosesia;
d. illegittimo in quanto gli effetti della sospensione dalla
carica di Sindaco di Borgosesia sarebbero cessati a seguito della
pubblicazione della sentenza di assoluzione del Tribunale di Torino
all'albo pretorio e della comunicazione al Consiglio Comunale di
Borgosesia.
Il ricorrente approfondendo, poi, il profilo di impugnazione
indicato sub d. solleva:
1. questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11
commi 1 e 6 D.Lgs. 235/2012 in relazione all'art. 3 Cost.;
2. questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11
commi 1 lett. a) e 4 D.Lgs. 235/2012 per violazione degli artt. 3,
13, 27 co. 2, 51 Cost. laddove prevede l'applicazione automatica
della sospensione dalla carica di Sindaco, per la durata fissa di 18
mesi, a seguito di condanna, ancorche' non definitiva, per uno
qualunque dei delitti indicati dall'art. 10, comma 1 lettera a), b) e
c).
Quanto al periculum in mora il ricorrente - dopo aver
sottolineato l'urgenza di ottenere il provvedimento di sospensione
richiesto connessa alla ritenuta fondatezza dei prospettati motivi di
illegittimita' costituzionale, atteso che in difetto di un
provvedimento di sospensione si vanificherebbe l'utilita' di
un'eventuale pronuncia favorevole della Corte Costituzionale - ha
sottolineato l'esistenza di importanti adempimenti per la comunita'
di Borgosesia da compiersi nei prossimi mesi puntualmente elencati
nel ricorso introduttivo del presente giudizio, nonche' le
difficolta' tecniche e personali dell'attuale vicesindaco, dr.ssa B
, nel concreto adempimento degli incombenti richiesti dallo
svolgimento della funzione di sindaco.
Nel termine concesso si sono costituiti il Prefetto di Vercelli e
l'Amministrazione dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore,
contestando puntualmente quanto dedotto da controparte e chiedendo il
rigetto del ricorso cautelare.
All'udienza del 17.1.2019 parte resistente ha depositato
controdeduzioni del Ministero dell'interno - Dipartimento per gli
affari interni e territoriali. Il ricorrente si e' opposto
all'acquisizione di tali controdeduzioni.
Le controdeduzioni in parola non possono essere acquisite atteso
che parte resistente aveva gia' depositato memoria difensiva nel
termine concesso e tali controdeduzioni costituiscono un'integrazione
della memoria difensiva gia' depositata.
A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 17.1.2019,
e' stata fissata nuova udienza svoltasi in data 7.2.2019 davanti al
Collegio, nel corso della quale sono state altresi' assunte le
conclusioni del Pubblico Ministero che ha chiesto il rigetto del
ricorso alla luce delle argomentazioni svolte dalle parti.
Concesso breve termine alle parti per il deposito di brevi
memorie, il Collegio ha riservato la decisione all'esito dell'udienza
del 14.2.2019.
Preliminarmente, occorre ribadire l'ammissibilita' del ricorso
cautelare proposto ai sensi dell'art. 700 c.p.c. nell'ambito del
presente procedimento che, a seguito della sentenza della Corte di
Cassazione a Sezioni unite n. 11131/2015, e' stato ritenuto di
competenza dell'autorita' giudiziaria ordinaria e ricondotto tra le
controversie previste e disciplinate dall'art. 22 D.Lgs. n. 150/2011,
controversie regolate dal rito sommario di cognizione.
Infatti, come sottolineato anche dal Tribunale di Napoli con
l'ordinanza n. 323 del 22 luglio 2015, la tutela cautelare prevista
dall'art. 700 c.p.c. e' compatibile con il rito sommario di
cognizione di cui all'art. 702 bis c.p.c., atteso che esso e' un
procedimento a cognizione piena, mentre la sommarieta' attiene solo
alla deformalizzazione.
Segnatamente nel procedimento sommario di cognizione la
sommarieta' non riguarda il contenuto dell'accertamento posto a base
della decisione, la quale deve tendere alla verifica della fondatezza
delle allegazioni di parte in termini di verita' (processuale) e non
gia' di mera verosimiglianza, attraverso un'attivita' istruttoria
che, seppur deformalizzata, conduce ad una pronuncia idonea a
divenire cosa giudicata ex art. 2909 del codice civile. La
sommarieta' del procedimento cautelare e' invece connessa al diverso
tipo di accertamento prodromico all'emanazione del provvedimento
cautelare richiesto: la verifica della sussistenza del fumus bonis
iuris e del periculum in mora.
Inoltre nel rito sommario, a differenza del procedimento
cautelare uniforme, non e' previsto un contradditorio anticipato e
pertanto non sono previsti provvedimenti inaudita altera parte, ma
deve essere fissata la comparizione delle parti. La Corte di
Cassazione ha altresi' escluso che il rito sommario di cognizione
abbia natura cautelare, nonostante la collocazione delle norme ad
esso inerenti nella stessa sezione del codice, essendo esclusa per la
sua instaurazione il periculum in mora ed essendo la natura cognitiva
risultante esplicitamente dalla rubrica del capo III bis del codice
di procedura civile introdotto dall'art. 51 della legge n. 69/9009
(cfr. Cass. Civ. a Sezione Unite n. 11512/12).
Deve altresi' essere preliminarmente ribadita la necessita' che
la presente pronuncia cautelare sia assunta dal Tribunale in
composizione collegiale e con la partecipazione necessaria del
Pubblico Ministero.
Si richiama sul punto quanto gia' affermato dal Tribunale di
Napoli con la richiamata ordinanza n. 323 del 22 luglio 2015, dove si
specifica che il necessario intervento del Pubblico Ministero
comporta la riserva di cognizione collegiale del rito sommario ex
art. 702 bis c.p.c. e quindi anche del ricorso cautelare in corso di
causa, attesa anche la mancanza della figura del giudice istruttore
nel rito sommario di cognizione collegiale.
Passando ai profili sostanziali, si osserva che in data
20.12.2018 la Prefettura di Vercelli ha notificato al Segretario
Comunale di Borgosesia il provvedimento n. 35129, prot. n. 0035131,
con il quale e' stato dichiarato l'accertamento della sussistenza di
una causa di sospensione dalla carica di Sindaco nei confronti
dell'odierno ricorrente ai sensi dell'art. 11 comma 1 lettera a)
D.Lgs. 31.12.2012 n. 235.
Nel caso di specie, in particolare, il ricorrente era stato
assolto dall'imputazione di concorso in peculato, di cui agli arti.
110, 314 c.p.. dal Tribunale di Torino, Terza Sezione Penale, con
sentenza n. 4978/2016 depositata in data 5.1.2017, "perche' il fatto
non sussiste" ex art. 530 c.p.p.
Successivamente la Corte d'Appello di Torino, IV Sezione, in data
24.7.2018, in riforma della predetta sentenza, ha condannato
l'odierno ricorrente, ritenendo l'ipotesi accusatoria fondata solo in
relazione a taluni dei fatti oggetto di contestazione.
Ora, sostiene il ricorrente che l'art. 11 comma 6 del D.Lgs. n.
235/2012 sia incostituzionale nella parte in cui prevede un'identica
disciplina della sospensione dalla carica di sindaco per due
situazioni diverse: sia per il caso in cui la sentenza di condanna
venga pronunciata dal giudice penale all'esito del primo grado di
giudizio, sia per il caso in cui la condanna sopravvenga, all'esito
del giudizio di appello, in riforma di una precedente pronuncia
assolutoria.
Secondo il ricorrente si tratterebbe di due situazioni
significativamente diverse, ma trattate dal legislatore in modo
identico cosi' violando il principio di ragionevolezza di cui
all'art. 3 della Costituzione.
Ritiene questo Collegio che non sia manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale sollevata dal ricorrente
anche se per motivazioni parzialmente differenti rispetto a quelle
indicate nel ricorso introduttivo del presente giudizio e nella
memoria autorizzata. Il Collegio ritiene, infatti, che sia non
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 11, commi 1 lett. a) e 4, D.Lgs. 235/2012 in relazione
all'art. 3 Cost., nella parte in cui prevede la sospensione dalle
cariche indicate al comma 1 dell'art. 10 per la durata di diciotto
mesi anche a carico di coloro che, essendo stati assolti con sentenza
di primo grado, abbiano riportato in appello una condanna non
definitiva per uno dei delitti indicati dall'art. 10, comma 1, lett.
a), b) e c) del D.Lgs. 235/2012.
Si tratta di una questione nuova rispetto a quelle sino ad oggi
esaminate dalla Corte Costituzionale.
Tale questione deve essere valutata nell'ambito di un
procedimento cautelare promosso in corso di causa:
sull'ammissibilita' della proposizione di una questione di
legittimita' costituzionale nell'ambito di un procedimento cautelare
si veda quanto chiarito dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20
maggio 2008 n. 161.
Quanto alla rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale.
Va premesso che, nell'ambito del giudizio preliminare di filtro
affidato al giudice a quo per l'accesso alla giurisdizione della
Corte Costituzionale ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87,
il requisito della rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale sollevata esprime l'indissolubile suo legame con
l'esercizio della funzione giurisdizionale, potendo il giudice delle
leggi essere investito soltanto di questioni relative a norme
legislative di cui il giudice a quo debba necessariamente fare
applicazione ai fini della definizione del giudizio dinanzi a lui
pendente.
La questione e' certamente rilevante nel presente giudizio.
Ed invero il provvedimento prefettizio impugnato dal ricorrente
non ha indicato la durata del periodo di sospensione dalla carica di
sindaco. Cio' non rende illegittimo il provvedimento, in quanto esso
rimane integrato dal disposto del comma 4 dell'art. 11, il quale,
tuttavia, applicato al caso di specie, comporta una irragionevole
disparita' di trattamento per le motivazioni di seguito indicate.
Quanto alla non manifesta infondatezza.
Affermata la sussistenza del requisito preliminare della
rilevanza della questione prospettata, occorre accertare l'ulteriore
requisito previsto dall'art. 23 della legge n. 87/1953, ossia la non
manifesta infondatezza del motivo stesso, intesa quale delibazione
(non della probabile incostituzionalita', ma) della mera esistenza
del dubbio di costituzionalita' della norma impugnata, senza la
possibilita' di una risoluzione della questione sul piano
interpretativo.
Non puo' sottacersi in proposito che il giudice a quo non ha il
compito di sindacare le norme censurate, ma solo di verificare che i
rilievi sollevati non siano del tutto pretestuosi o del tutto privi
di fondamento.
Cio' premesso, si osserva che il provvedimento prefettizio
impugnato dal ricorrente non ha indicato la durata del periodo di
sospensione dalla carica di sindaco. Tale circostanza non rende
illegittimo il provvedimento, in quanto esso rimane integrato dal
disposto del comma 4 dell'art. 11, il quale prevede speeificatamente
e in misura fissa la durata della sospensione. Ai sensi di detto
comma, infatti, "la sospensione cessa di diritto di produrre effetti
decorsi diciotto mesi".
Peraltro il medesimo comma 4 prosegue stabilendo che "nel caso in
cui l'appello proposto dall'interessato avverso la sentenza di
condanna sia rigettato anche con sentenza non definitiva, decorre un
ulteriore periodo di sospensione che cessa di produrre effetti
trascorso il termine di dodici mesi dalla sentenza di rigetto",
Viene cosi' delineato un assetto normativo nel quale la condanna
in grado di appello per uno dei delitti richiamati dal comma 1 lett.
a) dell'art. 11 (tra cui, appunto, il peculato) comporta una
sospensione dalla carica di durata differente, secondo che
l'amministratore pubblico in primo grado sia gia' stato condannato
per lo stesso reato ovvero sia stato assolto. In caso di precedente
condanna la sospensione e' di soli dodici mesi, mentre in caso di
precedente assoluzione e' di diciotto mesi.
Una siffatta diversita' evidenzia una irragionevole disparita' di
trattamento, che appare confliggere con i principi di uguaglianza e
di ragionevolezza sanciti dall'art. 3 Cost.
Come piu' volte ribadito dalla Corte Costituzionale, il
legislatore ben puo' dettare disposizioni particolari e
differenziate, ma queste devono essere giustificate in base alle
condizioni soggettive e oggettive alle quali le norme giuridiche si
riferiscono. Ne consegue che il principio di uguaglianza risulta
violato non solo allorche' vengono regolate in modo differenziato
situazioni analoghe, ma anche quando il legislatore assoggetta a una
disciplina indifferenziata situazioni che egli stesso considera e
dichiara diverse.
Al principio di uguaglianza e' coessenziale il principio di
ragionevolezza della legge, in virtu' del quale le disposizioni
normative contenute in atti aventi valore di legge devono essere
adeguate e congruenti rispetto alla finalita' perseguita dal
legislatore. In quanto tale il principio di ragionevolezza
costituisce un limite alla discrezionalita' del legislatore. Esso e'
violato quando emerga che la disposizione legislativa e'
contraddittoria rispetto all'interesse pubblico perseguito.
Orbene, come reso evidente anche dai lavori preparatori, la
finalita' perseguita dal legislatore con l'introduzione delle norme
contenute nel D.Lgs. 235/2012 e' stata quella di allontanare
dall'amministrazione della cosa pubblica - anche in via cautelare
mediante la sospensione dalla carica, in attesa della definitivita'
della condanna - chi per effetto della commissione di determinati
reati (tra cui, in particolare, i delitti contro la pubblica
amministrazione) si sia reso moralmente indegno o comunque inidoneo
ad assicurare una corretta e onorevole gestione della cosa pubblica.
Questa esigenza di tutela della pubblica amministrazione va,
tuttavia, contemperata con un altro diritto di rango costituzionale,
garantito dall'art. 51 Cost., ossia il diritto di accesso alle
cariche elettive e di esercizio delle funzioni connesse alla carica
conseguita in virtu' di libere elezioni.
In relazione agli scopi perseguiti dal legislatore con D.Lgs.
235/2012, si deve rilevare che la posizione di chi sia stato assolto
in primo grado e condannato in appello per la commissione di un reato
quale peculato non e' certamente piu' censurabile, ne' piu'
pericolosa per la pubblica amministrazione, rispetto a quella di chi
sia stato condannato per lo stesso reato tanto in primo quanto in
secondo grado.
Appare dunque irragionevole prevedere che, per effetto della
pronuncia della sentenza di condanna in appello, l'allontanamento
dalla carica pubblica sia di dodici mesi per chi ha gia' riportato
una precedente condanna e di diciotto mesi per chi sia stato assolto
in primo grado.
In tal modo, a seguito della condanna in appello,
all'amministratore con la posizione processuale piu' lieve viene
consentito di rientrare nell'esercizio della carica sei mesi dopo
l'amministratore con la posizione processuale piu' gravosa.
Cio' appare contraddittorio e confligge con la finalita' di
tutela della cosa pubblica perseguita dal D.Lgs. 235/2012.
In tal modo, inoltre, l'amministratore pubblico che ha riportato
un'assoluzione e una condanna viene sottoposto a
un'ingiustificatamente eccessiva compressione del diritto
all'elettorato passivo garantito dall'art. 51 Cost.
La costituzionalita' della disciplina in esame non puo' neppure
essere giustificata considerando l'esigenza di evitare a chi abbia
gia' riportato una sospensione dalla carica per diciotto mesi a
seguito della condanna in primo grado l'infiizione di una nuova
sospensione di pari durata. Se infatti la previsione puo' essere
ragionevole avendo riguardo alla complessiva posizione di colui che
riporta una doppia condanna, permane comparativamente
l'irrazionalita' della disposizione normativa che infligge al
condannato soltanto in secondo grado una sospensione maggiore (di
diciotto mesi, anziche' dodici).
Non si vede, infatti, alcuna ragione perche', all'esito della
pronuncia di una condanna in grado di appello, l'assolto in primo
grado sia trattato piu' severamente del condannato anche in primo
grado.
Alla ravvisata ingiustificata disparita' di trattamento non puo'
ovviarsi neppure mediante una interpretazione costituzionalmente
orientata del comuta 4 dell'art. 11 del D.Lgs. 235/2012.
In effetti il giudice investito dell'impugnazione del decreto che
dispone la sospensione dalla carica non ha la possibilita' di
modificare o graduare la durata della medesima, in quanto questa e'
prevista dalla norma in misura fissa e predeterminata.
Gli altri profili di incostituzionalita' sollevati dal ricorrente
appaiono invece privi del requisito della non manifesta infondatezza.
Non si ritiene, infatti, corretta l'interpretazione della norma
in esame fornita dal ricorrente per cui nell'ipotesi di condanna solo
in appello per i reati richiamati dalla lettera a) dell'art. 11 del
D.Lgs. 235/2012 non dovrebbe operare la sospensione o essa dovrebbe
cessare per effetto della sentenza di assoluzione pronunciata in
primo grado.
Infatti, l'art. 11 comma 1 lett. a) parla genericamente di
condanna non definitiva, sicche' il dato normativo non consente di
distinguere tra sentenze di condanna pronunciate in primo grado e
sentenze di condanna pronunciate in secondo grado.
Cio' si desume altresi' dalla lett. b) del comma in esame dove il
legislatore ha espressamente considerato la possibilita' di disporre
la sospensione per i reati ivi indicati e considerati di minore
lesivita' sociale solo qualora la sentenza di primo grado sia stata
confermata in appello per la stessa imputazione.
Il legislatore, poi, volutamente non parla di giudicato con
riferimento alle ipotesi disciplinate dall'art. 11, comma 1 lett. a),
sicche' non e' possibile distinguere tra condanna in primo grado
seguita da una condanna in secondo grado e assoluzione in primo grado
seguita da una condanna in grado di appello.
Cio' posto dalla lettura della norma si ricava che per i soggetti
condannati per i reati richiamati dal comma 1 lettera a) la
sospensione di diritto debba operare tanto nell'ipotesi in cui gli
stessi siano stati condannati all'esito del primo grado di giudizio
quanto nell'ipotesi in cui gli stessi siano stati condannati
all'esito del secondo grado di giudizio.
Non si ritiene, inoltre, fondata l'interpretazione fornita dai
ricorrenti per cui la sospensione cesserebbe di diritto di produrre
effetti anche qualora la sentenza di assoluzione fosse stata
pronunciata in primo grado, in applicazione di quanto previsto
dall'art. 11 comma 6 del D.Lgs. n. 235/2012.
Preliminarmente si osserva che la norma in esame non puo' trovare
applicazione nel caso di specie, atteso che la sentenza di
assoluzione n. 4978/2016 del 5.1.2017 del Tribunale di Torino e'
stata pubblicata all'albo pretorio del Comune di Borgosesia in data
14.12.2018 e comunicata al Consiglio Comunale in data 17.12.2018, e
quindi in data antecedente rispetto alla notificazione del
provvedimento di sospensione al Segretario Comunale avvenuta solo in
data 20.12.2018.
La sentenza n. 4978/2016, dunque, non puo' spiegare alcun effetto
interruttivo di una sospensione non ancora decorsa.
Si osserva poi che, dovendo essere disposta la sospensione in
presenza di una sentenza di condanna non definitiva, la sentenza di
assoluzione che comporta la cessazione degli effetti della
sospensione non puo' che essere successiva.
E analogamente, sotto un profilo logico prima ancora che
giuridico, tutti i provvedimenti elencati dal comma 6 dell'art. 11
D.Lgs. n. 235/2012 possono far cessare la sospensione solo qualora
essa sia gia' stata disposta.
Non risulta, infine, fondata l'ulteriore questione di
illegittimita' costituzionale sollevata dal ricorrente, secondo cui
la disciplina prevista dall'art. 11 D.Lgs. 235/2012 ai commi 1 lett.
a) e 4 - comportando che alla condanna ancorche' non definitiva per i
delitti indicati dall'art. 10 comma 1 lett. a), b), c) del medesimo
decreto legislativo consegue la sospensione di diritto dalla carica
di sindaco - contrasterebbe con il principio di ragionevolezza
enunciato dall'art. 3 Cost. (determinando un trattamento identico per
situazioni tra loro assai disomogenee, in forza di una previsione non
legittimata dall'id quod plerumque accidit), con l'inviolabilita'
della liberta' personale tutelata dall'art. 13 Cost. (prevedendo
l'applicazione di una misura cautelare limitativa della liberta'
personale), con la presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27
comma 2 Cost. (comportando la limitazione di un diritto fondamentale
prima che sia stata accertata una responsabilita' penale), con il
rispetto del diritto di elettorato passivo sancito dall'art. 51 Cost.
(impedendo lo svolgimento del mandato elettivo).
Tale censura non risulta condivisibile, avuto in particolare
riguardo ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale nelle
sentenze che hanno gia' affrontato le questioni di illegittimita'
costituzionale sollevate con riferimento al D.Lgs. n. 235/2012, che
hanno tutte chiaramente affermato la natura non sanzionatoria della
sospensione prevista dall'art. 11.
Infine, quanto al periculum in mora, osserva il Collegio che
qualora dovesse essere ritenuta fondata la questione di legittimita'
costituzionale sollevata in questa sede, ne deriverebbe altresi
l'illegittimita' del provvedimento prefettizio impugnato, atteso che
tale provvedimento - non prevedendo espressamente la durata del
periodo di sospensione - deve essere integrato proprio dalla norma
oggetto di censura di costituzionalita'.
L'applicazione del provvedimento prefettizio, nel dubbio circa la
sua legittimita', comporterebbe un'indebita ed eccessiva restrizione
dell'esercizio dell'elettorato passivo e del libero svolgimento del
mandato elettorale, con conseguente danno per il ricorrente non
riparabile ne' risarcibile, tenuto altresi' conto che il mandato
elettivo e' temporalmente limitato nel tempo.
Si impone pertanto, nell'attesa della decisione della Corte
Costituzionale, la sospensione cautelativa del provvedimento del
Prefetto, con previsione della prosecuzione del giudizio all'udienza
che verra' fissata successivamente alla pronuncia della Corte. Il
regolamento delle spese processuali sara' dettato a conclusione del
giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale
dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 1 lett. a) e 4,
D.Lgs. 31 dicembre 2012 n. 235 in relazione all'art. 3 Cost., nella
parte in cui prevede la sospensione dalle cariche indicate al comma 1
dell'art. 10 per la durata di diciotto mesi anche a carico di coloro
che, essendo stati assolti con sentenza di primo grado, abbiano
riportato in appello una condanna non definitiva per uno dei delitti
indicati dall'art. 10, comma 1, lett. a), b) e c) del D.Lgs. 31
dicembre 2012 n. 235.
Accoglie la domanda cautelare e sospende gli effetti
dell'impugnato provvedimento (decreto del Prefetto della Provincia di
Vercelli del 20 dicembre 2018 n. 35129) fino all'udienza che verra'
fissata successivamente alla definizione della questione di
legittimita' costituzionale.
Dispone la sospensione del giudizio.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di legge e in
particolare:
a) di notificare la presente ordinanza al Presidente dei
Consiglio dei Ministri nonche' di darne comunicazione al Presidente
del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei
Deputati;
b) di notificare la medesima ordinanza alle parti del
presente giudizio, compreso il Pubblico Ministero;
c) di trasmettere gli atti, comprensivi della documentazione
attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e
notificazioni, alla Corte Costituzionale.
Cosi' deciso nella camera di consiglio del 14.2.2019
Il Presidente: Campese
Il Giudice relatore: Ballarini
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