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mercoledì 31 luglio 2019
N. 194 SENTENZA 20 giugno - 24 luglio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Disposizioni varie in materia di diritto di asilo e protezione dello straniero - Soppressione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e contestuale revisione della disciplina dei casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario - Sistema di accoglienza dei richiedenti asilo - Modalita' di iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale. - Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata) - convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 - artt. 1, 12 e 13. - (GU n.31 del 31-7-2019 )
N. 194 SENTENZA 20 giugno - 24 luglio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Disposizioni varie in materia di diritto di asilo e protezione dello
straniero - Soppressione del permesso di soggiorno per motivi
umanitari e contestuale revisione della disciplina dei casi
speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di
carattere umanitario - Sistema di accoglienza dei richiedenti asilo
- Modalita' di iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione
internazionale.
- Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in
materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza
pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata) -
convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132
- artt. 1, 12 e 13.
-
(GU n.31 del 31-7-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI,
Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de
PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA,
Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 12 e 13
del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in
materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza
pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata), convertito,
con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, nonche'
dell'intero decreto-legge, promossi con ricorsi della Regione
autonoma Sardegna e delle Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Basilicata,
Marche, Toscana e Calabria, notificati il 31 gennaio-4 febbraio,
l'1-6 febbraio, il 29 gennaio, l'1-6 febbraio, il 31 gennaio-4
febbraio e l'1 febbraio 2019, depositati in cancelleria l'1, il 4, il
5, il 6 e l'8 febbraio 2019, iscritti rispettivamente ai numeri 9,
10, 11, 12, 13, 17 e 18 del registro ricorsi 2019 e pubblicati nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 10, 11, 12 e 13, prima
serie speciale, dell'anno 2019.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
uditi nella camera di consiglio del 18 giugno 2019 e nell'udienza
pubblica del 19 giugno 2019 i Giudici relatori Marta Cartabia, Daria
de Pretis, Nicolo' Zanon e Augusto Antonio Barbera;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione Umbria,
Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Regione Emilia-Romagna,
Stefano Grassi per la Regione Marche, Marcello Cecchetti per la
Regione Toscana, Giuseppe Naimo e Vincenzo Cannizzaro per la Regione
Calabria e gli avvocati dello Stato Giuseppe Albenzio e Ilia
Massarelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- La Regione Umbria, con ricorso notificato il 31 gennaio-4
febbraio 2019 e depositato il 1° febbraio 2019 (reg. ric. n. 10 del
2019), ha impugnato diverse disposizioni del decreto-legge 4 ottobre
2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione
internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per
la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il
funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre
2018, n. 132, e tra queste gli artt. 1, 12 e 13.
In particolare, dell'art. 1 ha censurato: il comma 1, lettere a),
b), c), d), e), f), i), l), m), n), numero 2), n-bis), o), p), e q);
il comma 2; il comma 3, lettera a), numeri 1) e 2); il comma 6; il
comma 7; il comma 8 e il comma 9.
Dell'art. 12 ha censurato tutte le disposizioni di cui si
compone, a eccezione: del comma 1, lettere a-bis) e a-ter); del comma
2, lettera d), numero 1-bis) e del comma 7.
Dell'art. 13, comma 1, ha censurato: la lettera a), numero 2; la
lettera b) e la lettera c).
La Regione Umbria opera una ricostruzione del complessivo
intervento normativo operato dal d.l. n. 113 del 2018 e, in via
preliminare, si sofferma sull'incidenza «delle norme impugnate nelle
attribuzioni costituzionali» della ricorrente, cui le prime
arrecherebbero «un grave pregiudizio».
A tale proposito, la ricorrente ricorda che l'art. 117, secondo
comma, lettere b) e h), della Costituzione, ricomprende le materie
«immigrazione» e «ordine pubblico e sicurezza» tra quelle assegnate
alla competenza esclusiva dello Stato. Tuttavia, la stessa
Costituzione, all'art. 118, terzo comma, riconoscerebbe
esplicitamente l'esistenza di un profondo legame fra queste materie e
quelle di competenza concorrente, affidate anche alla cura delle
Regioni, tra le quali «tutela e sicurezza del lavoro», «istruzione»,
«tutela della salute», «previdenza complementare e integrativa»,
«coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario»,
tutte considerate rilevanti nel caso di specie.
La ricorrente sostiene che la Corte costituzionale, con
riferimento alla materia «immigrazione», avrebbe riconosciuto la
possibilita' di interventi legislativi delle Regioni in ambiti
diversi da quelli attinenti alle politiche di programmazione dei
flussi d'ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale, quali, ad
esempio, il diritto allo studio o all'assistenza sociale, attribuiti
alla competenza concorrente e residuale delle Regioni (sono citate le
sentenze n. 299 e n. 134 del 2010). Le norme censurate
coinvolgerebbero anche competenze che la Regione Umbria avrebbe gia'
«puntualmente esercitato».
Infine, la ricorrente osserva che «i migranti, oltre che un onere
per le Regioni (a causa dei servizi che esse devono erogare), sono
per esse anche una risorsa, perche' il loro apporto lavorativo e'
necessario per il buon funzionamento dei programmi di sviluppo
regionali. Sottrarre queste risorse senza alcun coinvolgimento delle
Regioni e' dunque in se' violativo della loro sfera di autonomia».
Di qui, l'asserita legittimazione «alla contestazione delle
disposizioni» impugnate.
1.1.- Quanto al merito delle censure, con specifico riferimento
all'art. 1 del d.l. n. 113 del 2018, la ricorrente lamenta la
violazione degli artt. 2, 3, 10, secondo e terzo comma, 117, secondo,
terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.; degli artt. 11 e 117, primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 15, lettera c), e 18 della
direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13
dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi
terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione
internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le
persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria,
nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta; dell'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, 10, comma 1, 17, 23 e
24 del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici
adottato a New York il 16 dicembre 1966, entrato in vigore il 23
marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n.
881, e agli artt. 2, 3 e 8 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955,
n. 848.
Nel ricostruire la disciplina dell'istituto del permesso di
soggiorno per motivi umanitari, la ricorrente sottolinea in
particolare che, prima dell'intervento del decreto-legge impugnato,
l'art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
(Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero),
stabiliva che «[i]l rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno
possono essere altresi' adottati sulla base di convenzioni o accordi
internazionali, resi esecutivi in Italia, quando lo straniero non
soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in uno degli Stati
contraenti, salvo che ricorrano seri motivi, in particolare di
carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o
internazionali dello Stato italiano. Il permesso di soggiorno per
motivi umanitari e' rilasciato dal questore secondo le modalita'
previste nel regolamento di attuazione». Con l'art. 1 del d.l. n. 113
del 2018, l'inciso contenente la clausola di salvaguardia riferita ai
«seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da
obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano» e'
stato soppresso, cosi' come la prevista possibilita' del rilascio del
permesso di soggiorno per motivi umanitari da parte del questore.
A seguito della modifica normativa - prosegue la Regione - il
generale permesso di soggiorno per motivi umanitari e' stato
sostituito da una pluralita' di fattispecie tipizzate dallo stesso
decreto-legge oggetto di censura, e il suo rilascio sarebbe ora
consentito quando lo straniero «possa essere oggetto di persecuzione
per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali,
ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel
quale non sia protetto dalla persecuzione» (art. 19, comma 1, del
t.u. immigrazione); quando vi siano «fondati motivi» che egli possa
«essere sottopost[o] a tortura» (art. 19, comma 1.1); per «cure
mediche» (art. 19, comma 2, lettera d-bis); per «calamita'» (art.
20-bis); per «atti di particolare valore civile» (art. 42-bis); per
«protezione speciale» (art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28
gennaio 2008, n. 25, recante «Attuazione della direttiva 2005/85/CE
recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai
fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»).
Dal quadro normativo riportato dalla difesa regionale emergerebbe
una situazione tale per cui gli stranieri, che prima avrebbero potuto
godere del permesso di soggiorno per motivi umanitari, per effetto
dell'intervento legislativo in esame risulterebbero irregolari
qualora non si trovassero nelle condizioni di cui all'art. 19, commi
1 e 1.1, del novellato t.u. immigrazione o in quelle ulteriori per le
quali il medesimo testo unico o il d.lgs. n. 25 del 2008 prevedono il
rilascio di un permesso; detta irregolarita' si estenderebbe anche a
chi, gia' in possesso del permesso per motivi umanitari, ne subisca
la revoca oppure non ne ottenga il rinnovo alla luce della novella
legislativa, rispettivamente ai sensi dei commi 1 e 8 dell'impugnato
art. 1.
1.1.1.- Alla luce di quanto dedotto, la ricorrente assume che le
norme censurate incidano illegittimamente, non solo sulle
attribuzioni attinenti alla funzione legislativa ex art. 117, terzo
comma, Cost., ma anche su quelle relative alle funzioni
amministrative ai sensi dell'art. 118, primo comma, Cost., in quanto
la Regione sarebbe costretta a rimodulare dette funzioni, tanto con
riferimento alla loro disciplina, quanto al loro concreto esercizio,
dovendo escludere dalla platea dei destinatari gli stranieri che, in
virtu' della nuova legislazione statale, non potranno piu' ottenere
il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi
umanitari.
1.1.2.- In secondo luogo, ad avviso della Regione Umbria, sarebbe
violato l'art. 3 Cost. e con esso il legittimo affidamento dei
privati: da un lato, quello dei titolari di un permesso di soggiorno
ottenuto in virtu' della precedente disciplina, dall'altro, quello di
coloro che confidavano nel rilascio del permesso sempre alla luce
della disciplina previgente.
La giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea,
quella della Corte europea dei diritti dell'uomo nonche' quella della
Corte costituzionale ammetterebbero l'incidenza su situazioni
soggettive pregresse (cosiddetti diritti quesiti) solo a condizione
che l'intervento legislativo sia necessario, proporzionato e motivato
dal riferimento a interessi costituzionalmente meritevoli di
protezione; condizioni che, tuttavia, non ricorrerebbero nella
specie.
1.1.3.- In terzo luogo, sarebbero violati gli artt. 2 e 3 Cost.
perche' verrebbe operata un'irragionevole distinzione tra coloro che,
a parita' di condizioni di rilascio, dopo l'entrata in vigore del
d.l. n. 113 del 2018, non potranno piu' godere del permesso di
soggiorno e coloro che invece potranno mantenerlo ugualmente alla
luce delle sopravvenienze normative, distinzione tanto piu'
irragionevole se si considera la sua ripercussione sul godimento
delle prestazioni pubbliche.
La disparita' di trattamento rileverebbe anche sotto un altro
profilo. Secondo la giurisprudenza civile e amministrativa, i
requisiti per concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari
riguarderebbero le speciali esigenze relative alla «tutela della
famiglia e dei minori, ricongiungimento familiare, persecuzioni
dovute a ragioni etniche, religiose o politiche» (Consiglio di Stato,
sezione sesta, sentenza 10 settembre 2008, n. 4317), nonche' al
«rischio effettivo di essere sottoposto a pena di morte, tortura o
trattamenti inumani o degradanti» (Corte di cassazione, sezione prima
civile, ordinanza 24 marzo 2011, n. 6879). Poiche' le fattispecie
individuate dalla giurisprudenza non coinciderebbero integralmente
con quelle tipizzate dal legislatore, distinguere coloro che versano
in tali condizioni da coloro che presentano i requisiti per i nuovi
«casi speciali» violerebbe il principio di uguaglianza, in quanto
entrambi i gruppi ricomprenderebbero persone «vulnerabili» secondo la
giurisprudenza della Corte EDU, per le quali lo Stato deve
necessariamente apprestare misure volte a evitare che vengano
sottoposte a trattamenti inumani e degradanti. Conseguentemente,
sarebbe violato anche l'art. 117, primo comma, Cost. «atteso che la
giurisprudenza ora citata fa leva sull'art. 3 CEDU».
1.1.4.- Per la ricorrente, sarebbe altresi' violato l'art. 10,
terzo comma, Cost., che riconosce il diritto di asilo nel territorio
nazionale allo straniero cui sia impedito nel proprio paese
l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche. Il venir meno
della formula «motivi umanitari» a fondamento del rilascio del
permesso di soggiorno - che, si evidenzia nel ricorso, rispondeva
alla necessita', imposta dall'art. 10, terzo comma, Cost., di
approntare ai richiedenti asilo una tutela elastica, in quanto
«consustanziale alla "configurazione ampia del diritto di asilo"»,
secondo le statuizioni della Corte di Cassazione, sezione prima
civile, sentenza 23 febbraio 2018, n. 4455 - avrebbe fatto venir meno
anche la pienezza della relativa tutela, ora relegata a singole
fattispecie tipizzate, per cio' solo inidonee a realizzare le
prescrizioni costituzionali.
1.1.5.- La norma impugnata contrasterebbe poi con gli artt. 11 e
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 15, lettera c), e 18
della direttiva 2011/95/UE, perche' escluderebbe dal regime di
protezione sussidiaria proprio le persone che, ove rientrassero nel
paese di origine, verrebbero esposte alla «minaccia grave individuale
alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza
indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o
internazionale».
1.1.6.- Le norme impugnate violerebbero inoltre gli artt. 2, 10,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in riferimento agli artt.
2, 3 e 8 CEDU, e agli artt. 6, 10, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto
internazionale sui diritti civili e politici. L'allontanamento dal
territorio italiano dei soggetti esclusi dal regime di protezione
comprometterebbe irrimediabilmente il diritto al rispetto della vita
privata e familiare di cui all'art. 8 CEDU e agli artt. 17, 23 e 24
del Patto. A causa della poverta' del paese di provenienza, poi,
sarebbe a rischio anche la loro vita e sicurezza alimentare, in
violazione degli artt. 2 e 3 CEDU e degli artt. 6 e 10, comma 1, del
Patto. Ne deriverebbe l'ulteriore violazione dell'art. 2 Cost.,
perche' verrebbero cosi' compromessi i diritti inviolabili degli
interessati.
1.1.7.- Da ultimo, secondo la Regione, le norme censurate
inciderebbero sugli ambiti di autonomia finanziaria riservati alle
Regioni ai sensi dell'art. 119 Cost. A tal proposito, la ricorrente
osserva che ai sensi dell'art. 35, comma 3, del t.u. immigrazione «le
cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali,
ancorche' continuative, per malattia ed infortunio» e i «programmi di
medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e
collettiva» sono in ogni caso «garantiti ai cittadini stranieri
presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme
relative all'ingresso ed al soggiorno»; gli oneri finanziari che ne
derivano resterebbero comunque a carico delle Regioni, a fronte di un
aumento del numero di stranieri irregolari presenti sul territorio e
della corrispondente riduzione di una loro partecipazione alla spesa
pubblica tramite il versamento di imposte e contributi.
1.1.8.- Infine, la ricorrente formula una specifica censura con
riguardo all'art. 1, comma 1, lettera f), del d.l. n. 113 del 2018,
che, nel novellare l'art. 18-bis del t.u. immigrazione con
l'inserimento del comma 1-bis, ha previsto l'accesso dei titolari di
permesso di soggiorno «speciali» ai (soli) «servizi assistenziali» e
di «studio». In tal modo, ad avviso della Regione, il legislatore
statale avrebbe escluso i titolari di detto permesso dall'accesso a
servizi sociali diversi da quelli espressamente indicati, cosi'
compromettendo manifestamente e illegittimamente le attribuzioni
regionali nelle materie di competenza concorrente, quali la
«formazione professionale», la «promozione e organizzazione di
attivita' culturali», nonche' in quelle di competenza residuale come
le «politiche abitative». Ne deriverebbe la violazione dell'art. 117,
terzo e quarto comma Cost., in quanto le disposizioni impugnate, sia
«autoapplicative» che di dettaglio, non lascerebbero alcun margine di
determinazione discrezionale alle Regioni nell'erogazione delle
prestazioni assistenziali.
Per le stesse ragioni, risulterebbe violato anche l'art. 118
Cost., essendo sottratto alla Regione ogni spazio di esercizio delle
proprie attribuzioni amministrative nelle materie di competenza
concorrente o residuale sopra indicate, con particolare riferimento
al terzo comma dell'art. 118 Cost., in quanto la disciplina statale
non avrebbe previsto alcun obbligo dello Stato di concertare con le
Regioni le modalita' di assistenza nei confronti dei richiedenti
asilo e/o protezione internazionale, nonche' nei confronti dei
soggetti gia' riconosciuti titolari di «protezione umanitaria».
1.2.- Con specifico riferimento all'art. 12 del d.l. n. 113 del
2018, la ricorrente ritiene le disposizioni impugnate contrastanti
con gli artt. 2, 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.,
nonche' con l'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all'art. 3
CEDU.
La ricorrente ricorda che il Sistema di protezione per
richiedenti asilo e rifugiati (d'ora innanzi: SPRAR) e' il servizio
costituito dalla rete di centri di accoglienza gestiti dagli enti
locali, che non si limitano ad accogliere i migranti, ma svolgono
anche progetti e attivita' di istruzione, integrazione sociale,
informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi
individuali e/o collettivi di inserimento socio-economico, sicche' le
funzioni dei centri SPRAR coinvolgerebbero ambiti attribuiti alle
competenze concorrenti e residuali delle Regioni, come quelli del
«diritto allo studio» o all'«assistenza sociale», nonche' delle
«politiche abitative».
Cio' posto, la Regione ricorrente evidenzia che le disposizioni
censurate sono intervenute «sulla platea dei beneficiari dei servizi
di accoglienza sul territorio che sono prestati dagli enti locali»,
in quanto tali servizi sono stati ora riservati ai soli titolari
delle vigenti forme di protezione internazionale, ivi compresi i
permessi speciali introdotti dallo stesso d.l. n. 113 del 2018, oltre
che ai minori stranieri non accompagnati. Sono stati invece esclusi
dalla possibilita' di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la
protezione internazionale, oltre che i possessori dei precedenti
permessi di soggiorno per motivi umanitari, oggi soppressi.
Per tale motivo, si e' provveduto a ridenominare lo SPRAR in
Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per
i minori stranieri non accompagnati (d'ora in avanti: SIPROIMI).
Nel ricostruire la portata delle innovazioni introdotte dall'art.
12 del d.l. n. 113 del 2018, la ricorrente sottolinea che quelle
contenute nel comma 1 hanno modificato l'art. 1-sexies del
decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di
asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari
e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi gia'
presenti nel territorio dello Stato), convertito, con modificazioni,
in legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel senso, gia' innanzi descritto,
di modificare il novero dei destinatari dei servizi territoriali di
accoglienza.
Ricorda, ancora, che, con il comma 2 dell'art. 12 del d.l. n. 113
del 2018 sono state modificate tutte le disposizioni del decreto
legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva
2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti
protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE,
recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca
dello status di protezione internazionale), nel senso di espungere i
frammenti normativi che facevano riferimento ai richiedenti asilo in
relazione alle strutture ex SPRAR, alle quali tali soggetti non hanno
piu' accesso, essendo destinati ad essere ospitati solo nelle
strutture governative disciplinate dagli artt. 9 e 11 del d.lgs. n.
142 del 2015.
Il comma 3 dell'art. 12 ha modificato il d.lgs. n. 25 del 2008,
cancellando dai criteri che definiscono la competenza per territorio
delle commissioni territoriali che esaminano le domande di protezione
internazionale dei richiedenti asilo quello della collocazione nel
centro ex SPRAR, inserendo disposizioni di coordinamento sui
portatori di esigenze speciali.
Il comma 5 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 prevede, con una
norma transitoria, che i richiedenti asilo presenti nel sistema ex
SPRAR alla data di entrata in vigore del decreto-legge, rimangano in
accoglienza fino alla scadenza del progetto in corso, gia'
finanziato.
Il successivo comma 5-bis prevede, invece, per i minori non
accompagnati richiedenti asilo, che al compimento della maggiore eta'
essi rimangano nel sistema SIPROIMI fino alla definizione della
domanda di protezione internazionale.
Il comma 6, infine, detta un'ulteriore norma transitoria per i
titolari della protezione umanitaria presenti nel sistema ex SPRAR,
stabilendo che essi rimangano in accoglienza fino alla scadenza del
periodo temporale previsto dalle disposizioni di attuazione sul
funzionamento del medesimo sistema di protezione, e comunque non
oltre la scadenza del progetto di accoglienza.
Secondo la Regione Umbria, le disposizioni impugnate
produrrebbero un aggravio dei servizi di integrazione e
socio-assistenziali ordinari, dedicati alla generalita' della
popolazione residente, predisposti e finanziati dagli enti locali e
dalle Regioni, rendendo «evidente» la lesione delle competenze
legislative e amministrative regionali.
Sarebbe, infatti, impedito alla Regione di esercitare le proprie
attribuzioni nelle materie di competenza concorrente «istruzione»,
«formazione professionale», «promozione e organizzazione di attivita'
culturali», nonche' nelle materie di competenza regionale residuale
«servizi sociali», «assistenza sociale», «diritto allo studio»,
«politiche abitative», in quanto nei centri governativi, gestiti
dall'amministrazione statale, non sarebbe previsto lo svolgimento di
alcuna attivita' socio-assistenziale: tale circostanza renderebbe
evidente «che le disposizioni in esame cancellano integralmente le
competenze legislative regionali sopra indicate», perche' tali
disposizioni sarebbero «autoapplicative» e dettagliate, sicche' non
lascerebbero alla Regione «alcun margine di discrezionale
determinazione nell'ottica di un adattamento alle specifiche esigenze
della ricorrente», con conseguente violazione dell'art. 117, terzo e
quarto comma, Cost.
Risulterebbe, altresi', violato l'art. 118 Cost., in quanto alla
Regione sarebbe «sottratto ogni spazio di esercizio delle sue
attribuzioni amministrative nelle materie di competenza sopra
indicate».
Sarebbe, infine, specificamente violato l'art. 118, terzo comma,
Cost., in quanto la disciplina in esame non avrebbe previsto
«l'obbligo dello Stato di concertare con le Regioni le modalita' di
assistenza nei confronti dei richiedenti asilo e/o protezione
internazionale, nonche' nei confronti dei soggetti gia' riconosciuti
in stato di "protezione umanitaria"».
I medesimi parametri costituzionali sarebbero violati, in seguito
all'espulsione dal sistema di accoglienza del titolare del precedente
permesso di soggiorno per motivi umanitari senza alcuna verifica
circa la capacita' di sostentarsi, anche in riferimento: alla tutela
dei diritti inviolabili dell'uomo, ex art. 2 Cost., in quanto le
norme impugnate comprometterebbero «il minimo di sostegno sociale
dovuto a qualunque essere umano»; al principio di ragionevolezza, ex
art. 3 Cost., in quanto le disposizioni censurate sarebbero
irragionevoli, trattando allo stesso modo «situazioni personali anche
assai differenziate»; al principio di buon andamento della P.A. ex
art. 97 Cost., in quanto le norme impugnate vanificherebbero «gli
sforzi (anche finanziari) sostenuti dagli enti coinvolti nel sistema
Sprar», scaricando «il costo economico sociale del migrante sugli
ordinari servizi socio-assistenziali approntati e finanziati dalle
Regioni e dagli enti locali»; all'art. 117, primo comma, Cost., in
riferimento all'art. 3 CEDU, perche', a parere della ricorrente,
costituirebbe «trattamento degradante» la cessazione dei servizi di
accoglienza gia' avviati nei confronti di soggetti definiti
«vulnerabili», quali sono i richiedenti asilo e, ancor piu', coloro
che avevano ottenuto il permesso di soggiorno per motivi umanitari
secondo la previgente disciplina.
1.3.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n. 113 del
2018, la Regione Umbria ha impugnato le seguenti disposizioni: comma
1, lettera a), numero 2), lettera b) e lettera c), in riferimento
agli artt. 2, 3, 10, terzo comma, 97, 117, terzo e quarto comma, 118
e 119 Cost.; all'art. 117, primo comma, Cost., anche in relazione
all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che
riconosce taluni diritti e liberta' diversi da quelli che figurano
gia' nella convenzione e nel suo primo protocollo addizionale,
adottato a Strasburgo il 16 settembre 1963, e all'art. 12, comma 1,
del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.
1.3.1.- La Regione ricorrente precisa che l'art. 13, nella parte
oggetto di impugnazione (ad esclusione quindi del comma 1, lettera a,
numero 1), ha modificato gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 142 del 2015 e
ne ha abrogato l'art. 5-bis.
In particolare, al comma 1 dell'art. 4 - secondo cui «[a]l
richiedente e' rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta
asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile fino
alla decisione della domanda o comunque per il tempo in cui e'
autorizzato a rimanere nel territorio nazionale ai sensi
dell'articolo 35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio
2008, n. 25» - e' stato aggiunto il seguente periodo (che non e'
oggetto dell'odierna impugnazione): «[i]l permesso di soggiorno
costituisce documento di riconoscimento ai sensi dell'articolo 1,
comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28
dicembre 2000, n. 445» (art. 13, comma 1, lettera a, numero 1, del
d.l. n. 113 del 2018).
Dopo il comma 1 dell'art. 4 del d.lgs. n. 142 del 2015 e' stato
aggiunto il comma 1-bis, del seguente tenore: «[i]l permesso di
soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione
anagrafica ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 1989, n. 223, e dell'articolo 6, comma 7, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286» (art. 13, comma 1, lettera a,
numero 2, del d.l. n. 113 del 2018).
e' stato poi sostituito il comma 3 dell'art. 5 del d.lgs. n. 142
del 2015, che oggi risulta cosi' formulato: «[l]'accesso ai servizi
previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul
territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di
domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2». Al comma 4 dello
stesso art. 5 sono state sostituite le parole «un luogo di residenza»
con «un luogo di domicilio» (art. 13, comma 1, lettera b, del d.l. n.
113 del 2018).
Infine, l'art. 13, comma 1, lettera c), del d.l. n. 113 del 2018
ha disposto l'abrogazione dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 142 del 2015,
il quale prevedeva: «1. Il richiedente protezione internazionale
ospitato nei centri di cui agli articoli 9, 11 e 14 e' iscritto
nell'anagrafe della popolazione residente ai sensi dell'articolo 5
del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30
maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente. 2. e' fatto
obbligo al responsabile della convivenza di dare comunicazione della
variazione della convivenza al competente ufficio di anagrafe entro
venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti. 3. La
comunicazione, da parte del responsabile della convivenza anagrafica,
della revoca delle misure di accoglienza o dell'allontanamento non
giustificato del richiedente protezione internazionale costituisce
motivo di cancellazione anagrafica con effetto immediato, fermo
restando il diritto di essere nuovamente iscritto ai sensi del comma
1».
Secondo la ricorrente, dal combinato disposto delle norme sopra
richiamate discenderebbe che il permesso di soggiorno per richiesta
di asilo costituisce un documento di riconoscimento ma non un titolo
per l'iscrizione anagrafica, pertanto il titolare di permesso di
soggiorno per richiesta di protezione internazionale non potra'
essere iscritto all'anagrafe dei residenti. Cio' nondimeno, il
richiedente continuera' ad avere accesso ai «servizi» previsti dal
d.lgs. n. 142 del 2015 e a quelli «comunque erogati sul territorio»
nel luogo di domicilio.
Al riguardo, la difesa regionale rileva come la gran parte dei
servizi previsti dal d.lgs. n. 142 del 2015 sia erogata attraverso il
diretto coinvolgimento di Regioni ed enti locali e intersechi una
pluralita' di materie di competenza concorrente della Regione Umbria.
Tra questi servizi, comunque garantiti ai richiedenti, sono
richiamati: l'assistenza sanitaria (art. 21, comma 1, del d.lgs. n.
142 del 2015); l'istruzione dei minori richiedenti protezione
internazionale e dei minori figli di richiedenti protezione
internazionale (art. 21, comma 2); la possibilita' «di svolgere
l'attivita' lavorativa» (art. 22, comma 1); la partecipazione «ad
attivita' di utilita' sociale» (art. 22-bis). Il riferimento a questi
servizi confermerebbe, secondo la ricorrente, l'ammissibilita' delle
censure prospettate.
1.3.2.- Muovendo dalla prospettiva delle prerogative regionali
asseritamente menomate, l'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018 violerebbe
gli artt. 2, 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.
La norma impugnata imporrebbe alle Regioni «alternativamente» di
«escludere dall'erogazione di servizi e prestazioni i richiedenti
asilo, in violazione dei principi dettati dallo stesso legislatore
statale nel d.lgs. n. 142 del 2015», o di «modificare la
corrispondente normativa regionale in modo da garantire - a spese
delle Regioni medesime, s'intende - determinati servizi e prestazioni
anche ai non iscritti all'anagrafe dei residenti».
Secondo la ricorrente, l'esito sarebbe, in entrambi le ipotesi,
«paradossale» e in ogni caso «violativo» delle prerogative regionali
garantite dall'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
L'illegittimita' della norma impugnata ridonderebbe anche in
lesione dell'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119
Cost. e si porrebbe in contrasto con il principio di economicita'
dell'azione amministrativa, imposto dall'art. 97 Cost. Al riguardo,
la Regione sarebbe tenuta a garantire anche ai richiedenti asilo i
servizi erogati sul proprio territorio, ma - stante l'impossibilita'
della loro iscrizione all'anagrafe - non potrebbe considerarli
«partecipi a pieno titolo, anche sotto il profilo dei doveri
tributari, contributivi, etc., della sua comunita' di residenti».
Sarebbe altresi' violato l'art. 118 Cost. in considerazione del
fatto che il divieto di iscrizione all'anagrafe inciderebbe
sull'esercizio delle funzioni amministrative spettanti ai Comuni
nelle materie di competenza regionale sopra menzionate.
1.3.3.- L'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018 violerebbe, inoltre,
gli artt. 3 e 10, terzo comma, Cost., in quanto il legislatore
statale, impedendo l'iscrizione anagrafica ai richiedenti asilo,
avrebbe riservato un trattamento diverso e deteriore a una
particolare categoria di stranieri, dando vita a una discriminazione
del tutto irragionevole fondata esclusivamente sul diverso tipo di
permesso di soggiorno posseduto. Ne' potrebbe valere a giustificare
siffatta differenza di trattamento «la precarieta' del permesso di
richiesta asilo», richiamata nella relazione di presentazione del
disegno di legge di conversione del d.l. n. 113 del 2018. Al
riguardo, la difesa regionale rileva come la durata semestrale sia
prevista non solo per il permesso di soggiorno in questione ma anche
per quello «per calamita'» (art. 20-bis t.u. immigrazione) e per
quello «per motivi di protezione sociale» (art. 18 t.u.
immigrazione).
1.3.4.- La norma impugnata violerebbe, infine, gli artt. 2, 3 e
117, primo comma, Cost., in riferimento all'art. 2, comma 1, del
Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e all'art. 12, comma 1, del
Patto internazionale relativo ai diritti civili, poiche'
«l'irragionevole preclusione all'iscrizione anagrafica min[erebbe]
irrimediabilmente anche le garanzie previste dalle fonti
sovranazionali richiamate, gravemente compromettendo il diritto
(garantito dagli artt. 2 e 3 Cost.) al riconoscimento pubblico del
reale rapporto tra persona e territorio dello Stato».
1.4.- Da ultimo, la Regione Umbria prospetta, con riferimento
alle disposizioni impugnate, anche la violazione dell'art. 77 Cost. e
del principio di leale collaborazione.
1.4.1.- Ad avviso della ricorrente, le norme censurate, adottate
tramite decreto-legge, sarebbero carenti dei presupposti di
straordinaria necessita' e urgenza. Detta carenza emergerebbe dalla
apoditticita' della relazione di accompagnamento alla legge di
conversione, priva di motivazione in ordine alla situazione di fatto
che avrebbe legittimato il Governo ad intervenire. In generale, le
misure previste dall'atto legislativo sarebbero ordinamentali e di
sistema, «per definizione estrane[e] all'ambito legittimamente
regolabile con un decreto legge».
1.4.2.- Nel dettaglio, le disposizioni censurate sarebbero tutte
eterogenee, riguardando una serie «nutritissima» di oggetti. Con
riferimento all'art. 1, poi, la difesa regionale insiste sulla
«natura meramente fittizia dell'invocazione delle esigenze di urgenza
in ordine a questioni che non hanno nulla a che vedere con il
fenomeno del contrasto all'immigrazione clandestina», cui accenna il
preambolo. Inoltre, in relazione all'art. 12 del decreto-legge
censurato, la Regione precisa come le funzioni dell'ex SPRAR siano
«assai articolate», dunque «non disciplinabili in via di interventi
di (asserita) necessita' e urgenza». Le norme che hanno rivisto detto
sistema non sarebbero di immediata applicabilita', prevedendosi
l'ultrattivita' della precedente disciplina per le persone gia'
collocate nei centri. Anche l'art. 13, relativo all'iscrizione
anagrafica, sarebbe una misura ordinamentale incompatibile con l'atto
fonte utilizzato.
1.5.- La Regione Umbria ritiene violato, inoltre, il principio di
leale collaborazione, alla luce del suo mancato coinvolgimento
durante l'iter legislativo di approvazione del decreto e nel corso
della sua conversione in legge, nonostante l'incidenza dello stesso
sulle prerogative regionali.
Laddove si ritenga che il principio di leale collaborazione non
trovi applicazione in ordine all'esercizio della funzione
legislativa, il vizio denunciato non verrebbe comunque meno,
considerato che il coinvolgimento regionale non e' stato previsto
nemmeno per quegli atti di concreta amministrazione applicativi delle
astratte previsioni del decreto-legge.
2.- La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 1°-6
febbraio 2019 e depositato il 4 febbraio 2019 (reg. ric. n. 11 del
2019), ha impugnato molteplici disposizioni del d.l. n. 113 del 2018,
tra cui gli artt. 1, 12 e 13.
Dell'art. l, in particolare, ha censurato: il comma l, lettere
a), b), d), f), numero 1), i), numero 1), h), o), p), numeri l) e 2);
il comma 2, lettera a); il comma 6, lettere a), b), c) e d); il comma
7, lettere a) e b); il comma 8 e il comma 9.
Dell'art. 12 ha impugnato: il comma 1, lettere a), a-bis),
a-ter), b), c), d); il comma 2, lettere a), numeri 1) e 2), b), c),
d), numeri 1) e 2), f), numeri 1), 2) e 5), g), numeri 1) e 2), h),
numeri 1) e 2), h-bis), l), m); il comma 3, lettera a); i commi 4, 5
e 6.
Dell'art. 13, comma 1, ha censurato: la lettera a), numero 2); la
lettera b), numeri l) e 2); la lettera c).
In ordine alla legittimazione della Regione all'impugnativa, a
tutela delle attribuzioni proprie, unitamente a quelle degli enti
locali, la ricorrente riconosce che le disposizioni censurate sono
ascrivibili a competenze statali esclusive, quali «diritto di asilo»
e «condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti
all'Unione europea» (art. 117, secondo comma, lettera a, Cost.)
nonche' «immigrazione» (art. 117, secondo comma, lettera b, Cost.),
ma premette di agire per salvaguardare l'esercizio di proprie
competenze residuali, tra cui quelle in materia di assistenza sociale
e formazione professionale (art. 117, quarto comma, Cost.), e di
proprie competenze concorrenti, tra cui quelle relative alla tutela
della salute, all'istruzione e alla tutela del lavoro (art. 117,
terzo comma, Cost.).
Negli ambiti di propria competenza da ultimi richiamati, infatti,
la Regione si troverebbe «condizionata [...] a rispettare e
sviluppare le scelte contenute nella legislazione statale», di cui
soprattutto al t.u. immigrazione e da quest'ultimo espressamente
qualificata come normazione di principio per le Regioni (art. 1,
comma 4).
Inoltre, secondo la ricorrente, la stessa giurisprudenza
costituzionale imporrebbe allo Stato di esercitare le proprie
competenze in materia di immigrazione e di condizione giuridica dello
straniero in stretto coordinamento con le Regioni, in quanto
l'intervento pubblico non potrebbe che riguardare anche ambiti -
dall'assistenza all'istruzione, dalla salute all'abitazione -
attribuiti alle competenze regionali, residuali o concorrenti.
Gia' sul piano del riparto costituzionale, osserva la ricorrente,
la presenza di interessi e di competenze regionali anche all'interno
della competenza esclusiva sulla immigrazione sarebbe oggetto di
espresso riconoscimento nell'art. 118, terzo comma, Cost., a mente
del quale «la legge statale disciplina forme di coordinamento fra
Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo
comma dell'art. 117».
Cio' posto, la ricorrente lamenta che lo Stato, nell'esercizio
delle proprie competenze, abbia dettato norme incostituzionali, che
costringerebbero «l'azione regionale in una cornice normativa
illegittima, condizionando e viziando conseguentemente gli stessi
atti legislativi ed amministrativi adottati dall'ente regionale nel
rispetto di quella cornice».
Tale lesione sarebbe evidente con riguardo alle disposizioni
dell'art. l del d.l. n. 113 del 2018, che priverebbero i soggetti -
oggi titolari di permesso di soggiorno per motivi umanitari - di
specifici diritti, quali il godimento dell'assistenza sanitaria in
condizione di parita' con i cittadini italiani, il diritto allo
studio, il diritto al lavoro e alla formazione professionale, in tal
modo interferendo sulle funzioni attualmente svolte dalla Regione: le
posizioni soggettive «eliminate» in capo alle persone titolari di
permesso di soggiorno per motivi umanitari avrebbero, infatti, natura
di «diritti o di interessi pretensivi conformati dalla legislazione
regionale e azionabili, sulla base di tale legislazione, nei
confronti della Regione, degli enti strumentali della Regione o degli
enti locali».
Con particolare riferimento all'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018
sarebbe evidente l'interferenza con le funzioni attualmente svolte
dalla Regione e quindi la lesione indiretta delle competenze di
quest'ultima in tema di assistenza sociale e di quelle amministrative
esercitate dai Comuni ai sensi degli artt. 5 e 118, primo comma,
Cost.
Infine, in relazione all'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018,
concernente la residenza anagrafica, la preclusione, o comunque la
limitazione della possibilita' di ottenerla per i richiedenti asilo,
farebbe si' che queste persone, legittimamente presenti sul
territorio della Regione e dei suoi Comuni, si troverebbero
«impedite» nel godimento di quei servizi per i quali proprio la
residenza costituisce presupposto essenziale.
La Regione dichiara, inoltre, di agire - a cio' autorizzata dalla
giurisprudenza costituzionale - anche a tutela delle attribuzioni
degli enti locali, e segnatamente dei Comuni, che esercitano funzioni
in materia di assistenza e di integrazione sociale dei richiedenti
asilo e, in generale, degli stranieri, sicche' anche gli enti locali
avrebbero interesse «ad ottenere che le funzioni da essi esercitate
per effetto di vincoli costituzionali [...] concretizzati da leggi
regionali e statali, non siano guidate da leggi illegittime».
2.1.- Quanto al merito delle censure, con specifico riferimento
all'art. 1 del d.l. n. 113 del 2018, la ricorrente formula diversi
motivi di ricorso, lamentando in via principale che l'avvenuta
soppressione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e la sua
sostituzione con ipotesi di permesso di soggiorno per «casi speciali»
non sarebbe in grado di ricomprendere tutte le ipotesi di protezione
risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato.
2.1.1.- Ad avviso della Regione, invero, la precedente clausola
generale del permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui
all'art. 5, comma 6, del t.u. immigrazione, in quanto clausola aperta
ed elastica, non sarebbe sostituibile con la previsione di casi
tassativi, i quali, in ragione della loro stessa struttura e
conformazione, non potrebbero garantire la copertura dell'intera area
di accoglienza dovuta in esecuzione di obblighi costituzionali o
internazionali. Pertanto, la nuova disciplina contrasterebbe con gli
artt. 2 e 3 Cost., in ragione della violazione dei principi di
inviolabilita' della persona umana nei suoi diritti fondamentali e
nella sua dignita'; con l'art. 10, secondo e terzo comma, Cost.,
atteso che gli obblighi interni e internazionali di protezione dello
straniero risulterebbero inosservati; con l'art. 97 Cost., per
violazione del principio di ragionevolezza e buon andamento
dell'amministrazione in ragione dell'avvenuta individuazione e
distinzione, all'interno della popolazione regionale, di un gruppo di
persone a condizione giuridica irrimediabilmente degradata; con
l'art. 117, primo comma, Cost., per il dichiarato intento del
legislatore a non sentirsi vincolato all'adempimento degli obblighi
costituzionali e internazionali; con gli artt. 117, terzo e quarto
comma, e 118, primo e secondo comma, Cost., perche' l'intervento
legislativo ridonderebbe sull'esercizio delle competenze regionali in
materia di tutela della salute, del lavoro e della formazione
professionale e dell'assistenza sociale.
2.1.2.- In via subordinata, la Regione Emilia-Romagna censura la
nuova ipotesi di permesso di soggiorno per calamita', introdotta
dall'art. l, comma l, lettera h), del d.l. n. 113 del 2018, nella
parte in cui limita la possibilita' di rilascio di detto titolo ai
soli casi in cui lo stato di calamita' in cui versi il paese di
origine dello straniero sia «contingente ed eccezionale». Tale
limitazione, secondo la Regione, escluderebbe tutte le altre ipotesi
in cui ricorrano ragioni diverse dalla prevista «calamita'
contingente ed eccezionale», che non rendono comunque possibile il
rientro e la permanenza dello straniero in condizioni di sicurezza,
ma sia in ogni caso doveroso il riconoscimento della protezione
umanitaria per obbligo costituzionale o internazionale. Vi sarebbe
pertanto una violazione degli artt. 2, 3, 10 e 117, primo comma,
Cost., ridondante in lesione delle competenze regionali e comunali,
garantite dagli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, primo e
secondo comma, Cost.
2.1.3.- In terzo luogo, la Regione ravvisa un'ulteriore
violazione degli artt. 3, 10, secondo e terzo comma, e 117, primo
comma, Cost., nella parte in cui le disposizioni impugnate eliminano
il riferimento a «motivi di carattere umanitario o risultanti da
obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano», ove
queste siano intese nel senso di precludere il rilascio del permesso
di soggiorno in favore dei soggetti comunque meritevoli del titolo in
esecuzione di obblighi internazionali e costituzionali, anche se non
rientranti nelle circostanze specificamente previste dalle norme sui
permessi per casi speciali, ma comunque collegati alla medesima area
di protezione.
2.1.4.- La Regione Emilia-Romagna ritiene inoltre che
l'abrogazione di ogni riferimento al permesso di soggiorno per motivi
umanitari dal t.u. immigrazione privi i soggetti in possesso di un
permesso di soggiorno per motivi umanitari di una serie di diritti
civili o sociali, quali ad esempio il diritto alla formazione
professionale, al lavoro, all'accesso alle prestazioni sanitarie in
condizione di parita' con i cittadini.
Sotto altro profilo, la ricorrente afferma che l'applicazione
immediata delle disposizioni impugnate avrebbe l'effetto di sottrarre
ai titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari ancora
in corso di validita', una serie di facolta' e prestazioni erogate
dalla Regione o dagli enti locali in materia di tutela del lavoro, di
istruzione, di formazione e di avviamento professionale. Da tanto, la
Regione ricorrente ricava l'illegittimita' di tali norme per
violazione degli artt. 2 e 3 Cost. in ragione della privazione di uno
status legittimamente acquisito, con violazione del principio
dell'affidamento e con incisione di diritti fondamentali della
persona, quali il diritto al lavoro e alla formazione professionale
di cui all'art. 35 Cost., il diritto all'istruzione ex art. 34 Cost.
e il diritto alla salute presidiato dall'art. 32 Cost.
2.1.5.- In quinto luogo, la Regione Emilia-Romagna deduce
altresi' «la illegittimita' costituzionale dell'art. l, commi 8 e 9,
per violazione degli artt. 2 e 10, terzo comma, dell'art. 3 Cost.,
sotto il profilo della tutela dell'affidamento e per disparita' di
trattamento, nonche' dell'art. 117, primo comma, Cost., in relazione
ai principi di certezza del diritto e di tutela dell'affidamento
sanciti dal diritto europeo». In particolare, ad avviso della Regione
ricorrente, il comma 8 sarebbe illegittimo perche' non consentirebbe
il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari in costanza
delle condizioni che lo hanno reso giuridicamente dovuto, mentre il
comma 9, a sua volta, sarebbe illegittimo laddove prevede il rilascio
solo di un permesso per «casi speciali».
Dette disposizioni, laddove applicate retroattivamente nei
confronti degli stranieri che avevano fatto ingresso nel territorio
dello Stato prima del 5 ottobre 2018, contrasterebbero con gli artt.
2, 10, terzo comma, 3 (in relazione ai principi di affidamento e di
certezza del diritto interno), 117, primo comma, Cost. (per
violazione dei principi di affidamento e di certezza del diritto
sanciti dal diritto europeo), trattandosi «di persone gia' presenti
sul territorio regionale e quindi integrate nel sistema di assistenza
e di protezione sociale apprestato dalla rete regionale, i quali per
effetto della interpretazione qui contestata come incostituzionale ne
verrebbero esclusi».
2.2.- Quanto all'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018, la ricorrente
ritiene le impugnate disposizioni lesive degli artt. 2, 3, 4, 5, 11,
35, 97, 114, 117, primo, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 Cost.,
nonche' del principio di leale collaborazione.
Partendo dalla considerazione che l'intervento normativo mira a
limitare l'accoglienza nel sistema SPRAR (rinominato SIPROIMI) ai
soli titolari di protezione internazionale (compresa quella speciale,
sostituitasi, in parte, a quella umanitaria precedentemente
esistente) e ai minori stranieri non accompagnati, il ricorso e'
volto a contestare la legittimita' costituzionale «della sottrazione
agli enti territoriali dell'accoglienza ai richiedenti asilo e delle
risorse destinate ad essa, in quanto tale sottrazione priva le
Regioni e gli enti locali di una parte delle funzioni che ad essi
spettano».
A tal fine, la ricorrente ricostruisce la disciplina previgente
del sistema SPRAR, evidenziando, per quanto qui d'interesse, che esso
e' finanziato da un fondo nazionale alimentato anche da risorse messe
a disposizione dell'Unione europea, da ultimo grazie al Regolamento
(UE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, n.
516 che istituisce il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, che
modifica la decisione 2008/381/CE del Consiglio e che abroga le
decisioni n. 573/2007/CE e n. 575/2007/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio e la decisione 2007/435/CE del Consiglio.
Ricorda che gli enti locali predisponevano un sistema di seconda
accoglienza che costituiva il passaggio successivo rispetto alla
cosiddetta prima accoglienza, espletata dopo le operazioni di primo
soccorso finalizzate a distinguere i richiedenti protezione dai
cosiddetti migranti economici, questi ultimi non ammessi sul
territorio nazionale.
La ricorrente illustra poi le modifiche apportate dal d.l. n. 113
del 2018, come convertito, con le quali sono state profondamente
variate le norme fondamentali di disciplina dell'ex SPRAR contenute
nell'art. 1-sexies del d.l. n. 416 del 1989 e nell'art. 14 del d.lgs.
n. 142 del 2015 - nei sensi gia' descritti con riferimento al ricorso
della Regione Umbria - introducendo anche una disciplina transitoria.
2.2.1.- Il primo motivo di ricorso investe specificamente l'art.
12, comma 1, lettere a), a-ter), b), c), d); comma 2, lettere a),
numeri 1) e 2), b), c), d), numeri 1) e 2), f), numeri 1) e 5), g),
numeri 1) e 2), h), numeri 1) e 2); comma 3, lettera a); comma 4 del
d.l. n. 113 del 2018.
Secondo la Regione Emilia-Romagna, l'accentramento in sedi e
istituzioni statali delle funzioni di accoglienza dei richiedenti
asilo comprometterebbe la facolta' delle Regioni di disciplinare -
rispetto a soggetti che, in attesa di ulteriori decisioni,
legittimamente permangono sul territorio - le forme dell'assistenza
ai richiedenti asilo, ivi compresa l'istituzione di strutture idonee
e l'individuazione delle funzioni degli enti locali nella materia,
ulteriori rispetto a quelle individuate dallo Stato come funzioni
fondamentali (tra cui il sistema locale dei servizi sociali).
La Regione e gli enti locali sarebbero percio' privati di
funzioni (in materia di assistenza a una particolare categoria di
persone, bisognose di accoglienza) di cui sono costituzionalmente
titolari e che la ricorrente avrebbe gia' esercitato, peraltro
attribuendo ai Comuni «rilevantissime funzioni» in materia di
integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati.
Sarebbero, in tal modo, violati gli artt. 5, 114, 117, terzo e
quarto comma e 118, primo comma, Cost., quest'ultimo, in particolare,
perche' le funzioni di seconda accoglienza ai richiedenti asilo erano
correttamente allocate a livello comunale.
Ancora, la concentrazione delle funzioni di accoglienza per i
richiedenti asilo nelle strutture governative sarebbe irragionevole e
metterebbe a repentaglio basilari diritti riconosciuti dall'art. 2
Cost., per la prospettiva «di sicure violazioni dei diritti umani dei
soggetti ospitati», essendo «notorio» che, nei centri statali, le
condizioni di accoglienza sarebbero peggiori rispetto a quelle
assicurate nelle strutture ex SPRAR, ponendosi al di sotto degli
standard imposti dalle norme europee.
2.2.2.- Il secondo motivo di ricorso censura specificamente il
comma 1, lettera a-bis), e il comma 2, lettera f), numero 2),
dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
Tali disposizioni avrebbero riformulato la disciplina dei
finanziamenti ai progetti di accoglienza nel sistema ex SPRAR,
precludendo l'accesso degli enti locali al Fondo nazionale per le
politiche e i servizi dell'asilo, comprendente anche fondi di
provenienza europea relativamente all'accoglienza dei richiedenti
protezione internazionale. Inoltre, sarebbe stato ridotto il ruolo
spettante alla Conferenza unificata, la quale, a fronte del
precedente compito di interlocuzione nel momento dell'emanazione del
decreto ministeriale di ripartizione dei fondi, oggi concorrerebbe
solo al decreto ministeriale con il quale sono definititi i criteri e
le modalita' per la presentazione da parte degli enti locali delle
domande di contributo per la realizzazione e la prosecuzione dei
progetti finalizzati all'accoglienza dei soggetti ammessi al
SIPROIMI.
In tal modo, sarebbero violati gli artt. 117 e 119 Cost. e 11 e
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 5, comma l, lettera
b), del regolamento n. 516/2014/UE, in quanto, eliminando il canale
di finanziamento per gli ex SPRAR relativamente all'accoglienza dei
richiedenti protezione, gli enti locali sarebbero privati di
qualunque via per accedere ai finanziamenti per tale tipologia di
servizio, che pure sarebbero competenti - insieme alla Regione - a
svolgere, nonche' esclusi dai fondi europei.
Sarebbero altresi' violati gli artt. 3, 97, 120 Cost. e il
principio di leale collaborazione, per il ridimensionamento del ruolo
assunto dalla Conferenza unificata.
2.2.3.- Il terzo motivo di ricorso colpisce specificamente il
comma 2, lettera h-bis), dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
La disposizione prevede, in relazione ai minori non accompagnati,
che nel caso di indisponibilita' di strutture governative, essi siano
accolti temporaneamente dai Comuni in cui si trovano, ma «senza
alcuna spesa o onere a carico del Comune interessato
all'accoglienza».
La censura e' avanzata in via cautelativa, ove la disposizione
dovesse essere interpretata nel senso di limitare la possibilita' dei
Comuni, nell'esercizio di funzioni proprie, di finanziare liberamente
le proprie attivita'. In tal caso, infatti, risulterebbe lesa, a
parere della ricorrente, l'autonomia finanziaria degli enti locali,
oltre che il principio di buon andamento dell'amministrazione, in
violazione degli artt. 97, 118 e 119 Cost.
2.2.4.- Il quarto motivo di ricorso investe specificamente il
comma 2, lettera l), dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
La norma abroga la disposizione che prevedeva la possibilita',
per i richiedenti asilo che in precedenza usufruivano dei servizi
SPRAR, di frequentare corsi di formazione professionale.
A parere della ricorrente, la disposizione censurata violerebbe
l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in connessione con l'art. 35
Cost., ove interpretata nel senso di istituire un divieto in capo
alla Regione e agli enti locali di organizzare attivita' di
formazione professionale alle quali i richiedenti protezione
internazionale possano partecipare.
2.2.5.- Il quinto motivo di ricorso censura specificamente il
comma 2, lettera m), dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
La disposizione riserva ai gia' titolari di protezione
internazionale l'impiego in attivita' di utilita' sociale in favore
delle collettivita' locali, promosse dai prefetti, d'intesa con i
Comuni e le Regioni.
Ove interpretata come un divieto rispetto alla possibilita', per
Comuni e Regioni, di organizzare tali attivita' in relazione ai
richiedenti asilo, violerebbe le competenze regionali in materia di
formazione professionale e tutela del lavoro e, dunque, l'art. 117,
terzo e quarto comma, Cost., in connessione con gli artt. 4 e 35
Cost.
2.2.6.- Il sesto motivo di ricorso investe specificamente il
comma 5 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
La disposizione pone la scadenza del progetto quale limite alla
permanenza in accoglienza negli ex SPRAR dei richiedenti asilo.
Secondo la ricorrente, sarebbero violati gli artt. 3, 11, 117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU in
materia di tutela della vita privata e familiare, in quanto, in
lesione del principio di ragionevolezza, si porrebbe in diretta
violazione dei diritti dei soggetti in accoglienza, i quali da un
giorno all'altro si ritroverebbero «privi di qualunque tipo di
sostegno ed espulsi dal contesto di vita nel quale erano inseriti».
Sarebbe leso, altresi', l'art. 117, terzo e quarto comma, nonche'
il principio di sussidiarieta' di cui agli artt. 5, 114 e 118 Cost.,
che al terzo comma prevede forme di coordinamento proprio in materia
di immigrazione, e ancora il principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 Cost., in quanto la disposizione costringerebbe gli enti
locali a espellere i richiedenti asilo dai propri centri, quand'anche
le risorse economiche dell'ente oppure quelle fornite dalla Regione
nell'ambito delle proprie competenze risultassero perfettamente
sufficienti.
2.2.7.- Il settimo motivo di ricorso investe specificamente il
comma 6 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
La norma pone la scadenza del progetto quale limite alla
permanenza in accoglienza negli ex SPRAR per i titolari di protezione
umanitaria, oggi soppressa.
Secondo la ricorrente, tali soggetti sarebbero espulsi dal
sistema dell'accoglienza, con conseguente aggravamento, senza
ragione, delle condizioni di permanenza temporanea sul territorio.
Sarebbero, percio', violati gli artt. 3, 11 e 117, primo comma,
Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU in materia di tutela
della vita privata e familiare, in quanto, in lesione del principio
di ragionevolezza, la disposizione impugnata si porrebbe in diretta
violazione dei diritti dei soggetti in accoglienza, i quali da un
giorno all'altro si ritroverebbero privi di qualunque tipo di
sostegno ed espulsi dal contesto di vita nel quale erano inseriti.
2.3.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n. 113 del
2018, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato le seguenti
disposizioni: comma 1, lettera a), numero 2), lettera b) e lettera
c), in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 32, 34, 35, 97, 117 e 118
Cost.
2.3.1.- La ricorrente, dopo aver illustrato il quadro normativo,
afferma che con la norma impugnata e' stata «dimezzata la funzione
del [permesso di soggiorno per richiesta asilo] che vale ai fini del
riconoscimento, ma non (piu'), invece, ai fini dell'iscrizione
anagrafica presso il Comune».
La difesa regionale ricorda che la residenza e' il luogo in cui
la persona ha la dimora abituale (art. 43 del codice civile) e che,
pertanto, essa corrisponde «ad una situazione di fatto». Rammenta,
altresi', che la giurisprudenza di legittimita' ha, da molti anni,
riconosciuto che quello all'iscrizione anagrafica e' «un diritto
soggettivo perfetto» (e' citata la sentenza della Corte di
cassazione, sezioni unite civili, 19 giugno 2000, n. 449).
La ricorrente passa, poi, a esaminare due diverse interpretazioni
delle disposizioni impugnate, entrambe comunque non esenti da profili
di incostituzionalita'.
Secondo una lettura radicale, le norme impugnate impedirebbero
l'identificazione e la qualificazione dei richiedenti asilo come
residenti. In tal caso, i richiedenti asilo sarebbero soggetti privi
di residenza, non identificati nella comunita' territoriale in cui si
trovano; avrebbero soltanto un domicilio, cioe' una sede di affari e
interessi, «ma non un luogo nel quale essi, come persone, siano
riconosciuti trovarsi abitualmente». In altre parole, le norme
impugnate «creerebbero delle persone istituzionalmente di serie B,
veri fantasmi sociali, privi persino del diritto di essere
ufficialmente considerat[i] come residenti in un luogo», con evidente
violazione sia dell'art. 2 Cost., sia del principio di eguaglianza di
cui all'art. 3 Cost., «nel senso piu' classico e primordiale del
termine, con riferimento in questo caso alla discriminazione in base
alle "condizioni personali e sociali"». Dal canto loro, le comunita'
interessate sarebbero private «della possibilita' di riconoscere chi
ne e' di fatto parte stabile e conseguentemente della possibilita' di
utilizzare il luogo di residenza quale presupposto dell'esercizio
delle loro funzioni sia normative che ancor piu' amministrative».
La ricorrente sostiene che quest'ultima considerazione «risolv[a]
in radice anche il problema della ridondanza della questione di
legittimita' qui posta sulle funzioni regionali»; sarebbe dunque
evidente «la violazione di tutte le disposizioni costituzionali che
consentono e impongono tali attivita' di governo e di
amministrazione», e in particolare degli artt. 5, 97, 117 e 118 Cost.
e ancora prima dell'art. 3 Cost. «quale fondamento del principio di
ragionevolezza».
In base alla seconda interpretazione, invece, le norme impugnate
non sarebbero volte a privare alcuno del diritto alla residenza ma
comporterebbero «"soltanto" l'impossibilita' di utilizzare il
permesso di soggiorno quale documento utile a determinare la
residenza». Permarrebbero, dunque, la possibilita' e il diritto di
ottenere l'iscrizione anagrafica in base ad altri documenti idonei a
provare «il fatto della residenza come dimora abituale». Analogamente
resterebbe fermo il dovere delle autorita' comunali di accertare lo
stesso fatto della residenza, iscrivendo ogni residente nei registri
dell'anagrafe. In base a questa diversa interpretazione, le
disposizioni impugnate non creerebbero «una categoria di esseri umani
privi del diritto e del dovere di essere riconosciuti quali residenti
in un luogo», ma non sarebbero comunque esenti dalle censure di
illegittimita' costituzionale.
Le norme impugnate risulterebbero, infatti, «completamente
irragionevoli» in quanto finirebbero con l'ostacolare, piuttosto che
con il favorire, «il processo di accertamento della residenza», non
potendo essere utilizzato il permesso di soggiorno al fine di
ottenere l'iscrizione anagrafica. Parimenti irrazionale risulterebbe
l'abrogazione dell'obbligo dei responsabili dei centri di accoglienza
di comunicare i nominativi delle persone accolte ai fini
dell'accertamento e dell'attestazione della loro residenza. Di qui
deriverebbe la violazione del principio di ragionevolezza (art. 3
Cost.) e del principio di buon andamento dell'amministrazione (art.
97 Cost.).
2.3.2.- L'eliminazione dell'iscrizione anagrafica comporterebbe,
inoltre, «conseguenze rilevanti» sull'attivita' svolta dai Comuni
della Regione Emilia-Romagna e da quest'ultima. Infatti,
l'amministrazione regionale e quella comunale organizzano i servizi
inerenti alla sanita', all'istruzione e all'accesso all'impiego
tramite l'iscrizione anagrafica. Pertanto, il divieto di iscrizione
anagrafica renderebbe impossibile procedere alla programmazione dei
servizi sociali. Verrebbero, inoltre, complicate le funzioni di
monitoraggio della popolazione e della sicurezza locale, demandate
agli enti comunali. Infine, la mancanza dell'iscrizione anagrafica
arrecherebbe una lesione «a funzioni legislative gia' esercitate
nella pienezza delle sue competenze da parte della Regione
Emilia-Romagna».
2.3.3.- Oltre che «dal punto di vista degli enti», le norme
impugnate risulterebbero irragionevoli anche se considerate «dalla
prospettiva del richiedente». In proposito, la ricorrente richiama la
giurisprudenza costituzionale nella quale si e' affermato che «lo
straniero e' anche titolare di tutti i diritti fondamentali che la
Costituzione riconosce spettanti alla persona» (e' citata la sentenza
n. 148 del 2008). Tra questi diritti rientra sicuramente il diritto
alla salute (art. 32 Cost.), quello all'istruzione (art. 34 Cost.),
quello al lavoro (art. 35 Cost.) e, in generale, tutti i diritti
tutelati dall'art. 2 Cost.
L'impossibilita' di iscrizione ai registri anagrafici renderebbe
molto piu' difficoltoso l'esercizio di questi diritti e l'accesso ai
servizi connessi, con conseguente violazione dei parametri
costituzionali sopra indicati.
2.3.4.- Da ultimo, le norme impugnate sarebbero contradditorie e
generative di disparita' di trattamento alla luce di quanto disposto
dall'art. 6, comma 7, del t.u. immigrazione, secondo cui, tra
l'altro, «[l]e iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero
regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni
dei cittadini italiani con le modalita' previste dal regolamento di
attuazione».
La disparita' di trattamento risiederebbe nel fatto che il
permesso di soggiorno per i richiedenti asilo e' l'unico a non dare
accesso all'iscrizione anagrafica e quindi, tra tutti gli stranieri
regolarmente soggiornanti, i richiedenti asilo sarebbero i soli che
non possono ottenere l'iscrizione anagrafica e che non possono
beneficiare dei servizi connessi.
Sempre in relazione all'art. 6, comma 7, del t.u. immigrazione,
vi sarebbero profili ulteriori di disparita'. Infatti, il secondo
periodo di questa disposizione stabilisce che «[i]n ogni caso la
dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di
documentata ospitalita' da piu' di tre mesi presso un centro di
accoglienza». Pertanto, mentre per i titolari della protezione
internazionale (che hanno diritto all'iscrizione anagrafica) sara'
rilevante la loro dimora abituale ex art. 6, comma 7, del t.u.
immigrazione, la medesima situazione di fatto non potra' rilevare per
i richiedenti asilo.
3.- La Regione Marche, con ricorso notificato il 1°-6 febbraio
2019 e depositato il 5 febbraio 2019 (reg. ric. n. 13 del 2019), ha
impugnato l'intero testo del decreto-legge, nonche' singole
disposizioni del d.l. n. 118 del 2013, e tra queste, gli artt. 1, 12
e 13.
Dell'art. 1, in particolare, ha impugnato: il comma 1, lettera
b), numero 2), lettere e), f), g), h), i), o) e p), numero 1); il
comma 2 e il comma 8.
Dell'art. 12 ha impugnato: il comma 1, lettere a), b) e c); il
comma 2, lettere f), numero 1), l) e m).
Dell'art. 13, comma 1, ha censurato: le lettere a), numero 2), e
c).
La ricorrente ricostruisce il complesso intervento normativo
portato dal d.l. n. 113 del 2018, nei termini che si sono ampiamente
in precedenza gia' illustrati, con riferimento ai ricorsi presentati
dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna.
In ordine alla legittimazione della Regione all'impugnativa, a
tutela delle attribuzioni proprie, unitamente a quelle degli enti
locali, la ricorrente ricorda che il decreto-legge in esame
inciderebbe sulle potesta' normative, amministrative e organizzative
nelle materie che l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost. assegna
alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni.
A queste ultime, infatti, la Costituzione affiderebbe la
competenza a regolare e organizzare lo svolgimento di funzioni
essenziali per la gestione del fenomeno migratorio, implicanti
l'erogazione di molteplici servizi in favore della popolazione
straniera stabilitasi nel proprio territorio. Verrebbero in rilievo,
in particolare, i servizi per la tutela della salute, la tutela del
lavoro e le politiche attive del lavoro, la formazione professionale,
l'istruzione, l'assistenza sociale, l'edilizia residenziale pubblica
e, in generale, i servizi riferiti a tutte le prestazioni volte a
garantire l'inclusione e l'integrazione degli immigrati nel tessuto
socio-economico regionale. Tutti settori di intervento rientranti,
secondo la ricorrente, nelle materie di competenza legislativa
concorrente o residuale delle Regioni e oggetto di una distribuzione
multilivello - tra Stato, Regioni ed enti locali - delle
corrispondenti funzioni amministrative (ai sensi dell'art. 118, primo
comma, Cost.).
La Regione Marche avrebbe esercitato le competenze sopra
richiamate sia con atti legislativi sia con attivita' amministrative.
Secondo la ricorrente, le disposizioni del d.l. n. 113 del 2018
rischierebbero di «vanificare del tutto» gli interventi regionali
volti a garantire l'ordinata gestione degli effetti, sul territorio e
sulla convivenza sociale, dei fenomeni migratori, con conseguente
grave pregiudizio per le Regioni e gli enti locali, chiamati a far
fronte alle situazioni di disagio sociale ed economico, degrado
urbano ed emarginazione che si verificherebbero laddove venissero
meno le «misure di mitigazione».
In particolare, l'abrogazione dell'istituto generale del permesso
di soggiorno per motivi umanitari determinerebbe il rischio concreto
di un notevole incremento della popolazione straniera irregolarmente
presente sul territorio nazionale, con conseguente preclusione
dell'erogazione di tutti quei servizi a cui in precedenza i soggetti
interessati avevano legittimamente accesso.
A seguito della riforma, i legislatori regionali sarebbero
obbligati a introdurre modifiche rilevanti nella legislazione e
nell'organizzazione amministrativa riferita all'erogazione dei
servizi di accoglienza agli stranieri, «sostenendone i relativi costi
(ivi compresa la perdita degli effetti positivi delle misure fin qui
adottate)».
In quest'ottica, oltre alle competenze innanzi indicate, verrebbe
in rilievo anche la competenza regionale residuale in materia di
«polizia amministrativa locale», con particolare riguardo alla
sicurezza urbana.
Per questi motivi, le modifiche introdotte dal cosiddetto decreto
sicurezza presenterebbero molteplici profili di incostituzionalita'
ridondanti «senz'altro in lesione delle competenze costituzionali
attribuite alla Regione e che quest'ultima ha fino a oggi
concretamente esercitato con la sua attivita' legislativa e con
l'organizzazione dei servizi predisposti a favore degli stranieri
titolari dei relativi permessi di soggiorno».
3.1.- Quanto al merito dell'impugnativa, la Regione Marche
prospetta, in primo luogo, l'illegittimita' costituzionale
dell'intero testo del d.l. n. 113 del 2018, per violazione dell'art.
77 Cost.
Ad avviso della ricorrente, mancherebbe nel preambolo un'adeguata
motivazione in grado di giustificare l'ampiezza di una riforma
ordinamentale realizzata tramite decretazione d'urgenza. Inoltre, il
decreto-legge in esame avrebbe un contenuto eterogeneo, riguardando
plurimi profili che spaziano dall'immigrazione alla protezione
internazionale, dalla cittadinanza alla sicurezza, dal contrasto
della criminalita' organizzata all'organizzazione amministrativa
dell'autorita' nazionale e locale di pubblica sicurezza. Infine,
l'immigrazione viene ritenuta, dalla Regione Marche, un fenomeno
ormai ordinario, dinanzi al quale non potrebbero ricorrere i
presupposti di straordinaria necessita' e urgenza legittimanti
l'intervento governativo.
3.2.- Quanto alle singole disposizioni impugnate, con particolare
riguardo alle censure rivolte nei confronti dell'art. 1, la
ricorrente deduce numerosi profili di incostituzionalita',
articolandoli in tre motivi di ricorso.
3.2.1.- Con il primo motivo, la Regione censura il combinato
disposto di cui all'art. 1, comma 1, lettera b), numero 2), comma 2 e
comma 8, nonche' il comma 1, lettere e), f), g), h), i), o), p),
numero 1), di detto articolo, per violazione, diretta e indiretta, di
diversi parametri costituzionali.
Per effetto delle disposizioni sopra indicate, il
ridimensionamento della tutela umanitaria riguarderebbe non solo i
richiedenti detta protezione dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 113
del 2018, ma anche i titolari del "vecchio" permesso di soggiorno
che, pur a condizioni invariate, non potranno piu' ottenerne il
rinnovo e per i quali dovra' invece valutarsi la sussistenza delle
condizioni previste dall'art. 19, commi 1 e 1.1, del t.u.
immigrazione o la ricorrenza dei «casi speciali». Di qui, l'asserito
contrasto con l'art. 2 Cost. e il connesso principio di dignita'
umana, poiche' la novella legislativa escluderebbe dal regime di
protezione internazionale soggetti che, costretti a rientrare nel
proprio paese d'origine, si vedrebbero lesi nel godimento di diritti
fondamentali che concorrono a qualificare la dignita' dell'uomo in
quanto tale.
Sarebbero altresi' violati gli artt. 2 e 3 Cost. sotto il profilo
dell'irragionevole lesione della posizione acquisita dagli stranieri
in virtu' della previgente disciplina e che, senza adeguata normativa
transitoria, si ritroverebbero in condizione di irregolarita'. Vi
sarebbe inoltre una disparita' di trattamento tra coloro i quali, a
parita' di condizioni di rilascio, dopo l'entrata in vigore del d.l.
n. 113 del 2018, non potranno piu' godere del permesso di soggiorno e
coloro che potranno mantenerlo, con conseguente discriminazione sul
piano del godimento dei diritti e delle prestazioni collegate.
Violato sarebbe poi l'art. 10, terzo comma, Cost., perche' la
normativa impugnata escluderebbe soggetti che, secondo la
giurisprudenza di legittimita', sono titolari del diritto di asilo
riconosciuto dalla citata disposizione costituzionale.
Secondo la Regione, poi, le disposizioni impugnate
contrasterebbero anche con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. in
riferimento agli artt. 15, lettera c) e 18 della direttiva
2011/95/UE, perche' sarebbero esclusi dal regime di protezione ivi
disciplinato soggetti che invece avrebbero diritto alla protezione
sussidiaria, in quanto esposti, in caso di rimpatrio, alla «minaccia
grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante
dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato
interno o internazionale».
Parimenti, in violazione degli artt. 10, secondo comma, e 117,
primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 6, 10, comma 1, 17, 23
e 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e agli
artt. 2, 3 e 8 CEDU, sarebbero esclusi dal regime di protezione ivi
disciplinato soggetti esposti a un serio rischio per la propria vita
e sicurezza alimentare, nonche' per il loro diritto fondamentale al
rispetto della vita privata e familiare.
Ad avviso della Regione Marche, gli evidenziati profili di
incostituzionalita' sarebbero ancora piu' gravi in considerazione del
fatto che la novella legislativa interviene su un sistema di
protezione internazionale «attuato per dare seguito necessario ai
principi di cui all'art. 10 Cost. Si deve, infatti considerare che le
disposizioni impugnate nel presente ricorso abrogano una disciplina
"costituzionalmente obbligatoria", in quanto sistema normativo che,
anche nell'interpretazione giurisprudenziale, ha avuto la funzione di
rendere effettivi i diritti fondamentali della persona». Pertanto, si
tratterebbe di norme che, una volta venute a esistenza, secondo
quanto affermato dalla Corte costituzionale (e' citata la sentenza n.
49 del 2000), possono essere oggetto di modifica legislativa, ma non
di abrogazione pura e semplice, «cosi' da eliminare la tutela
precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo
precetto costituzionale delle cui attuazione costituiscono
strumento».
Le disposizioni impugnate, in quanto incostituzionali,
inciderebbero illegittimamente sulle attribuzioni legislative
regionali riguardanti i servizi erogati in favore degli stranieri in
materia di tutela della salute, istruzione, formazione professionale,
governo del territorio, ex art. 117, terzo comma Cost., nonche' su
quelle concernenti i servizi erogati in materia di assistenza sociale
di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. e sulle relative funzioni
amministrative ex art. 118 Cost., con la conseguente necessita' di
rimodulazione delle stesse funzioni, cosi' da escludere gli stranieri
non piu' qualificabili come «regolarmente soggiornanti» dal godimento
delle prestazioni concernenti i servizi sopra elencati, essenziali
per la corretta gestione degli effetti sociali e territoriali del
fenomeno migratorio.
La Regione ricorrente ritiene dunque evidente la ridondanza dei
denunciati profili di incostituzionalita' nella lesione delle
attribuzioni regionali, che si concretizzerebbe proprio laddove le
norme adottate dal legislatore nazionale - nel caso di specie,
ritenute dalla ricorrente espressione della competenza esclusiva
statale in materia di «diritto di asilo e condizione giuridica dei
cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea», nonche' di
«immigrazione» - pur non contrastando con le regole costituzionali in
tema di riparto di competenze tra Stato ed enti territoriali,
nondimeno obblighino le Regioni, nell'esercizio delle proprie
attribuzioni, a conformarsi a una disciplina legislativa
incostituzionale sotto altri profili (richiama, a tal fine, la
sentenza n. 145 del 2016). Cio' accadrebbe nel caso in esame, poiche'
le norme impugnate vincolerebbero illegittimamente le Regioni nella
regolamentazione ed erogazione dei servizi di accoglienza in favore
degli stranieri, come quello sanitario e quello concernente
l'istruzione superiore e la formazione professionale, per i quali
alla Regione sarebbe preclusa la determinazione autonoma del volume e
delle modalita' organizzative delle prestazioni.
La Regione ricorrente ricorda che a essa spetta la facolta' di
approvare norme di maggior favore nei confronti degli stranieri nelle
materie di propria competenza, alla luce delle direttive europee che
riconoscono al legislatore nazionale la possibilita' di introdurre
disposizioni piu' favorevoli (ricorda, a tal fine, l'art. 2 della
direttiva 2011/95/UE e l'art. 4 della direttiva 2013/33/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme
relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) e
del potere di concorrere all'attuazione del diritto europeo
attribuitole dall'art. 117, quinto comma, Cost. L'esercizio di detta
facolta', ad avviso della ricorrente, verrebbe precluso dalla
riduzione del novero dei soggetti ammessi a fruire dei servizi
assistenziali, operata a livello statale.
Infine, la Regione afferma che la normativa statale, «in quanto
illegittima costituzionalmente, incide negativamente anche
sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost.», con
particolare riguardo a quella in materia sanitaria, tenuto conto che
gli oneri delle prestazioni indicate all'art. 35, comma 3, lettere
a), b), c), d) e), del t.u. immigrazione, spettanti alle Regioni,
aumenteranno in ragione dell'aumento del numero degli stranieri
irregolari, analogamente a quanto accadra' per gli oneri da sostenere
per i servizi sociali e assistenziali per la formazione professionale
e l'edilizia residenziale pubblica.
3.2.2.- Con un secondo motivo di ricorso, la Regione Marche
censura l'art. 1, comma 1, lettere e), f), numeri 1) e 2), g), h),
i), numeri 1) e 2), del d.l. n. 113 del 2018, nella parte in cui,
modificando i permessi di soggiorno umanitari di cui agli artt. 18,
comma 2, 18-bis, comma 1, e 22, comma 12-quater, del t.u.
immigrazione, e prevedendo ulteriori ipotesi di permesso di soggiorno
tipiche con durate e disciplina differenziate, non sarebbe in grado
di ricomprendere, nel proprio campo di applicazione, tutte le
manifestazioni del diritto di alloggio e del diritto alla formazione
che richiedono il possesso di un titolo di permanenza nel territorio
nazionale «almeno biennale» (mentre i casi tipici hanno durata piu'
esigua). Cio' determinerebbe, per la ricorrente, una violazione degli
artt. 2 e 3 Cost., con riguardo agli stranieri titolari del permesso
di soggiorno di cui all'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008.
Tale illegittimita' si risolverebbe altresi' in lesione indiretta
delle attribuzioni regionali relative alle materie cui si riferiscono
i diritti non contemplati dalle norme impugnate (ovvero, «formazione
professionale», «tutela del lavoro», «assistenza sociale», «edilizia
residenziale pubblica»), di cui all'art. 117, terzo e quarto comma,
Cost., nonche' delle relative competenze amministrative spettanti
alla Regione in base all'art. 118, primo comma, Cost.
Inoltre, la normativa statale inciderebbe negativamente anche
sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost., per
le medesime ragioni gia' illustrate con riferimento ai ricorsi di
Umbria ed Emilia-Romagna.
3.2.3.- Infine, con un diverso motivo, la Regione censura il
combinato disposto dell'art. 1, comma 1, lettera g), del d.l. n. 113
del 2018, con il comma 2 del medesimo articolo, per violazione degli
artt. 2, 3 e 32 Cost., in quanto lo speciale permesso di soggiorno
per cure mediche, introdotto dalle norme impugnate, non potrebbe
essere rilasciato a chi versi in una situazione di salute grave «ma
non di particolare o eccezionale gravita'», con conseguente lesione
indiretta delle attribuzioni regionali relative alla materia «tutela
della salute», nonche' delle rispettive competenze amministrative,
atteso che la Regione sarebbe costretta a negare i servizi essenziali
alla persona agli stranieri che, pur versando in gravi situazioni di
salute, non rientrino nel campo di operativita' di cui al comma 1,
lettera g), dell'art. 1.
3.3.- Quanto all'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018, esso e'
censurato nelle parti in cui ha escluso la possibilita' che la rete
ex SPRAR eroghi i servizi di accoglienza ai soggetti che hanno
formulato richiesta di protezione internazionale, ma sono ancora in
attesa del pronunciamento dell'autorita' amministrativa sulla
richiesta medesima.
La ricorrente ritiene le elencate disposizioni lesive degli artt.
2, 3, 10, secondo e terzo comma, 11, 117, primo comma, Cost.,
quest'ultimo in riferimento alla direttiva 2103/33/UE, con
conseguente lesione indiretta delle attribuzioni legislative in
materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro», «istruzione»,
«formazione professionale», «governo del territorio», con riferimento
all'edilizia residenziale pubblica, «assistenza sociale», nonche'
delle relative funzioni amministrative, che gli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 118 Cost., riconoscono alla Regione, nonche' per
lesione indiretta dell'autonomia finanziaria regionale garantita
dall'art. 119 Cost. e per lesione indiretta delle attribuzioni che
l'art. 118 Cost., anche in relazione agli artt. 114 e 117, sesto
comma, Cost., riconosce in favore dei Comuni, in riferimento alle
indicate materie di competenza legislativa regionale.
Ricorda che la direttiva 2013/33/UE, in particolare con i
considerando n. 26 e n. 27, stabilisce l'opportunita' di incoraggiare
un appropriato coordinamento tra le autorita' competenti per quanto
riguarda l'accoglienza dei richiedenti, e di promuovere, per questo,
«relazioni armoniose» tra le comunita' locali e i centri di
accoglienza, evidenziando la centralita' degli enti territoriali
nella gestione del fenomeno migratorio. Del resto, ricorda ancora la
ricorrente, le norme costituzionali prescrivono che lo svolgimento
delle funzioni e dei servizi pubblici avvenga al livello piu' vicino
possibile rispetto al destinatario della funzione o del servizio
medesimi, salvo che per ragioni di differenziazione, sussidiarieta' e
adeguatezza risulti necessario lo svolgimento di tali attivita' a un
livello organizzativo superiore (art. 118 Cost).
Le disposizioni impugnate avrebbero, invece, «radicalmente
precluso» alle Regioni e agli enti locali di esercitare le proprie
competenze costituzionalmente garantite nel settore dei servizi di
accoglienza in favore degli stranieri richiedenti asilo, sopprimendo
drasticamente la rete di interventi precedentemente garantiti a tali
soggetti dal sistema SPRAR e conseguentemente accentrando in capo
allo Stato le relative competenze.
Ancora, secondo la Regione Marche, i richiedenti asilo, per i
quali - in attuazione dell'art. 8 della direttiva 2013/33/UE - non e'
prevista alcuna limitazione della liberta' di circolazione
nell'attesa della definizione della loro domanda di protezione,
sarebbero liberi di stabilirsi nel territorio regionale e cio'
«imporra' agli enti territoriali di attuare misure volte a garantire
la salute pubblica e la sicurezza locale», oltre che il decoro urbano
e l'ordine pubblico, in cio' impediti dalle disposizioni impugnate,
che li priverebbero delle risorse finanziarie del Fondo nazionale per
le politiche e i servizi dell'asilo, sicche' ogni misura di sostegno
agli stranieri dovra' essere attuata dalle amministrazioni locali
mediante impiego di risorse proprie, con conseguente lesione
dell'autonomia finanziaria garantita dall'art. 119 Cost.
Secondo la ricorrente, inoltre, l'esclusione della possibilita'
di ricomprendere i richiedenti asilo in programmi di formazione
professionale volti all'inserimento lavorativo e di impiego in lavori
socialmente utili contrasterebbe con le norme della citata direttiva
2013/33/UE: sarebbero, cosi', violati gli artt. 2, 3, 10, secondo e
terzo comma, 11 e 117, primo comma, Cost., con incisione sulle
competenze spettanti, in materia di accoglienza degli stranieri, alle
Regioni e ai Comuni, «costretti ad adeguarsi a una normativa
incostituzionale e, dunque, a negare» tali provvidenze ai
richiedenti.
3.4.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n. 113 del
2018, la Regione Marche ha promosso questioni di legittimita'
costituzionale delle disposizioni di cui al comma 1, lettera a),
numero 2), e lettera c), in riferimento agli artt. 3, 10, terzo
comma, 114, 117, terzo, quarto e sesto comma, 118 e 119 Cost.;
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 2, comma 1,
del Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e all'art. 12, comma 1, del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici; agli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione alla direttiva
2013/33/UE.
La ricorrente sottolinea, preliminarmente, come la residenza
rappresenti «il principale criterio di collegamento tra cittadino e
territorio, con rilevanti implicazioni sulla platea dei potenziali
beneficiari di misure socio-assistenziali, nonche' di quelle rivolte
a favorire l'autonomia del cittadino».
3.4.1.- In particolare, la difesa regionale ritiene che la
disposizione di cui all'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), «per
la parte in cui si debba intendere nel senso di vietare e dunque
escludere l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo», si ponga in
contrasto con vari parametri costituzionali.
Innanzitutto, sarebbero violati gli artt. 3 e 10, terzo comma,
Cost., in quanto si realizzerebbe «una irragionevole e sproporzionata
disparita' di trattamento rispetto ad altri stranieri in condizioni
del tutto analoghe», quali i titolari di permessi speciali previsti
dall'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008 e dallo stesso d.l.
n. 113 del 2018.
Sarebbe violato anche l'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4 della Convenzione
per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'
fondamentali, e all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale
relativo ai diritti civili e politici. Alla luce delle citate norme
internazionali, infatti, i richiedenti asilo, che sono titolari di un
diritto all'ingresso nel territorio dello Stato e che quindi si
trovano legalmente nel territorio italiano, avrebbero il diritto di
fissare all'interno di tale territorio la propria residenza.
Ulteriori ragioni di incostituzionalita' sarebbero rinvenibili
nella violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in
relazione alla direttiva 2013/33/UE, nella parte in cui quest'ultima
riconosce al richiedente asilo il diritto di fruire delle condizioni
di accoglienza concernenti la scolarizzazione e l'istruzione dei
minori (art. 14 della direttiva), l'accesso al mercato del lavoro
(art. 15), la formazione professionale (art. 16), l'assistenza
sanitaria e l'alloggio (artt. 17, 18 e 19).
3.4.2.- La ricorrente aggiunge che l'interpretazione
dell'impugnato art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), nel senso di
precludere l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, inciderebbe
senz'altro sulle attribuzioni regionali, legislative e
amministrative, in materia di tutela della salute, di tutela del
lavoro, di istruzione, di formazione professionale, di governo del
territorio con riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e di
assistenza sociale (artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.). La
denunciata lesione delle attribuzioni regionali deriverebbe dal fatto
che l'iscrizione anagrafica costituisce il presupposto necessario per
l'accesso ai servizi e alle prestazioni concernenti le anzidette
materie; inoltre, la norma impugnata imporrebbe alla Regione di
modificare la propria legislazione vigente.
Le lesioni delle attribuzioni delle Regioni ridonderebbero anche
in una lesione delle competenze amministrative spettanti ai Comuni
quanto alla tenuta e alla gestione dei registri anagrafici della
popolazione residente sul territorio (artt. 114 e 118 Cost.).
3.4.3.- La norma di cui art. 13, comma 1, lettera a), numero 2),
impedirebbe, inoltre, ai Comuni di erogare ai richiedenti asilo
molteplici servizi essenziali per garantire la loro integrazione
socio-economica. Al riguardo, la difesa regionale ricorda che
l'iscrizione anagrafica costituisce il presupposto per l'accesso
all'assistenza sociale, per la concessione di sussidi e agevolazioni
basati sulle condizioni di reddito, per la priorita' di accesso ai
servizi, per l'applicazione di tariffe inferiori a quelle massime,
per la concessione di contributi a parziale o totale copertura delle
rette, per l'esenzione della contribuzione al costo dei servizi e per
usufruire del reddito di inclusione.
Inoltre, la mancata iscrizione anagrafica inciderebbe sulle
politiche attive del lavoro e, in particolare, sulla possibilita' per
lo straniero di ottenere il riconoscimento dello stato di
disoccupazione ai sensi del decreto legislativo 14 settembre 2015, n.
150 (Disposizioni per il riordino della normativa in materia di
servizi per il lavoro e di politiche attive, ai sensi dell'articolo
1, comma 3, della legge 10 dicembre 2014, n. 183). A sua volta,
l'assenza dello stato di disoccupazione precluderebbe l'accesso a
tutti i servizi di politica attiva del lavoro finanziati dal Fondo
Sociale Europeo.
A quanto detto, la difesa regionale aggiunge l'irragionevolezza
del sistema normativo derivante dall'art. 13 del d.l. n. 113 del
2018, posto che, da un lato, le norme vigenti riconoscono ai
richiedenti asilo il diritto a un alloggio (art. 18 della direttiva
2013/33/UE), mentre, dall'altro lato, la norma impugnata nega agli
stessi soggetti la possibilita' di ottenere l'iscrizione anagrafica.
In questo modo sarebbe inciso anche il buon andamento nell'esercizio
delle funzioni dei singoli Comuni, i quali, per svolgere i loro
compiti, necessitano di conoscere esattamente il numero dei soggetti
stabilmente presenti nel proprio territorio.
Infine, la norma impugnata inciderebbe anche sull'autonomia
finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost., «particolarmente
sotto il profilo dell'autonomia di spesa in relazione ai servizi
erogati per l'integrazione degli immigrati».
4.- La Regione Toscana, con ricorso notificato il 31 gennaio-4
febbraio 2019 e depositato il 6 febbraio 2019 (reg. ric. n. 17 del
2019), ha impugnato, tra gli altri, l'art. 1, comma 1, lettere b) e
f), e comma 8, nonche' l'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del
d.l. n. 113 del 2018, per violazione degli artt. 2, 3, 10, 32, 97,
117 primo, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
4.1.- La Regione evidenzia come le suddette norme incidano su
molteplici attribuzioni costituzionali della stessa e che numerosi
Comuni toscani hanno altresi' chiesto alla medesima di far valere
anche la lesione delle attribuzioni degli enti locali, in ragione
della «stretta connessione - in particolare nelle materie
dell'assistenza sociale, dell'istruzione e dell'edilizia residenziale
pubblica - tra le attribuzioni costituzionali regionali e quelle
delle autonomie locali, la quale "consente di ritenere che la lesione
delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una
vulnerazione delle competenze regionali"» (vengono citate le sentenze
n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).
4.1.1.- Con il primo motivo di ricorso, la Regione censura, in
particolare, l'illegittimita' costituzionale del comma 1, lettera b),
e del comma 8, dell'impugnato art. 1, per violazione degli artt. 2,
3, 10, 32, 117, primo comma, Cost., nella parte in cui, eliminando
l'istituto del generale permesso di soggiorno per motivi umanitari e
individuando solo ipotesi tipiche e tassative di permesso di
soggiorno, determinerebbero un significativo numero di stranieri
irregolari, cosi' causando «una lesione indiretta sulle attribuzioni
legislative e amministrative regionali di cui agli artt. 117, terzo e
quarto comma, e 118 Cost., in materia di tutela della salute,
istruzione, politiche attive del lavoro, assistenza sociale, servizi
sociali e formazione professionale».
Secondo la ricorrente, la legislazione e la programmazione
regionale che, fino a ora, hanno disciplinato e previsto molteplici
misure e interventi in favore dell'integrazione e inclusione sociale
dei titolari di permessi di soggiorno umanitario sarebbero fortemente
incise dalla novella legislativa, costringendo il legislatore
regionale ad adeguarsi alle nuove previsioni. Evidenzia altresi' come
i nuovi permessi speciali, tipizzati dal decreto-legge, abbiano una
durata ridotta a un anno, se non addirittura inferiore, cosi' di
fatto escludendo i titolari di detti permessi da alcune prestazioni
invece finora erogate (assistenza sociale, accesso agli alloggi di
edilizia residenziale pubblica o l'iscrizione al servizio sanitario
nazionale).
Quanto sopra detto proverebbe, a dire della Regione, la rilevanza
e l'intreccio con materie di sicura competenza regionale, sia
concorrente che residuale, come altresi' riconosciuto dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale (di cui ricorda le sentenze
n. 61 del 2011, n. 299 e n. 269 del 2010, n. 156 del 2006 e n. 300
del 2005).
Le disposizioni impugnate, quindi, vanificherebbero la
legislazione regionale e gli interventi che, sulla base di questa,
sono stati programmati ed erogati, con conseguente lesione delle
attribuzioni costituzionali nelle materie di cui all'art. 117, terzo
e quarto comma, Cost., nonche' delle relative funzioni amministrative
spettanti ai sensi dell'art. 118 Cost. La Regione sarebbe infatti
costretta a rimodulare dette funzioni con esclusione di soggetti
«fino a ieri pienamente regolari e fruitori di politiche regionali
volte a favorirne l'inclusione sociale, i quali sono divenuti o sono
destinati a divenire inesorabilmente irregolari».
Per gli stessi motivi, anche il comma 8 dell'art. 1 - che regola
la disciplina transitoria dei permessi umanitari gia' riconosciuti,
stabilendo che alla scadenza potra' essere rilasciato un permesso di
soggiorno speciale di durata annuale, rinnovabile, ma non
convertibile in permesso per motivi di lavoro - risulterebbe
costituzionalmente illegittimo, giacche' non permetterebbe al
titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in corso di
validita' di ottenerne il rinnovo a condizioni di rilascio invariate.
Ad avviso della Regione, il permesso di soggiorno per motivi
umanitari, rilasciabile ai sensi dell'art. 5, comma 6, del t.u.
immigrazione nel testo previgente, trovava fondamento negli artt. 2,
3 e 10 Cost., perche' consentiva di riconoscere a tutte le persone i
diritti inviolabili dell'uomo nel rispetto del dovere di
solidarieta', nonche' di evitare discriminazioni arbitrarie e
irragionevoli (la ricorrente ricorda, a tal fine, la sentenza n. 381
del 1999 in merito a «seri motivi umanitari»).
Tale permesso umanitario sarebbe altresi' lo strumento per
attuare il diritto di asilo costituzionalmente garantito dall'art.
10, terzo comma, Cost., e darebbe piena attuazione a norme
internazionali convenzionali ed europee (artt. 3 e 8 CEDU).
In ragione dei vincoli previsti negli artt. 10, secondo e terzo
comma, e 117, primo comma, Cost., secondo la ricostruzione operata
dalla Regione ricorrente, non sarebbe pertanto possibile, per il
legislatore nazionale, abrogare l'istituto del permesso di soggiorno
per motivi umanitari sostituendolo con altri che non garantiscano
piu' un'attuazione completa ed esaustiva ai suddetti parametri.
Trattasi, per la Regione, di «leggi costituzionalmente obbligatorie»
che possono essere modificate o sostituite, ma «senza arretramenti
delle tutele».
Da quanto detto, discenderebbe inoltre la violazione dell'art. 32
Cost. per le restrizioni all'iscrizione al Servizio sanitario
regionale.
La ricorrente ritiene che la violazione degli artt. 2, 3 e 10
Cost. sia ancora piu' accentuata dalla considerazione del particolare
impatto delle norme impugnate sui minori stranieri non accompagnati,
i quali non potrebbero piu' beneficiare di un permesso di soggiorno
di due anni rinnovabile e convertibile al raggiungimento dei 18 anni
o allorche' risultino essere in affidamento ai servizi sociali.
Per le considerazioni svolte, la Regione ritiene che le norme
impugnate incidano sulle materie della «tutela della salute»,
dell'«istruzione», delle «politiche attive del lavoro»,
dell'«assistenza sociale» e dei «servizi sociali», della «formazione
professionale» e dunque sulle attribuzioni costituzionalmente
garantite alla Regione ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto comma,
Cost., nonche' sulle relative funzioni amministrative spettanti agli
enti regionali e locali ex art. 118 Cost. Detta incidenza
determinerebbe che stranieri oggi regolari e fruitori degli
interventi e delle misure che la Regione Toscana ha attuato sul
proprio territorio nelle materie sopra elencate, diverranno
irregolari «senza che sia reale [...] la possibilita' della loro
espulsione», con l'effetto di comportare alcuni obblighi conformativi
sulle attribuzioni regionali.
4.1.2.- Con un secondo motivo di ricorso, la Regione Toscana
denuncia poi l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
lettera f), del d.l. n. 113 del 2018 per violazione degli artt. 2 e 3
Cost., nella parte in cui, nel consentire l'accesso ai servizi
assistenziali e allo studio, nonche' l'iscrizione nell'elenco
anagrafico ai titolari del permesso di soggiorno speciale per
stranieri vittime di violenza domestica (art. 18-bis del t.u.
immigrazione), lascerebbe fuori dal suo campo applicativo il diritto
all'alloggio e alla formazione, cosi' incidendo sulla competenza
regionale in materia di «formazione professionale» e «edilizia
residenziale pubblica».
Escludendo dal diritto di alloggio e di formazione gli stranieri
vittime di violenza domestica, la disposizione censurata
discriminerebbe la posizione di questi ultimi, in possesso di un
permesso di soggiorno speciale, rispetto a quella dei titolari di un
permesso di soggiorno ex art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008,
e in generale rispetto allo straniero regolarmente soggiornante,
cosi' violando gli artt. 2 e 3 Cost.
4.2.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n. 113 del
2018, la Regione Toscana ha impugnato il comma 1, lettera a), numero
2), in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 97, 117, terzo e quarto
comma, e 118 Cost.; all'art. 117, primo comma, Cost. in relazione
all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,
all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti
civili e politici, all'art. 7 della direttiva 2013/33/UE, all'art. 14
CEDU e all'art. 26 della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951,
ratificata e resa esecutiva con legge 24 luglio 1954, n. 722.
4.2.1.- Preliminarmente, la difesa regionale sottolinea che la
norma impugnata si riferisce ai richiedenti asilo, i quali, sino alla
definizione della procedura a opera della commissione territoriale (o
sino alla decisione del ricorso avverso la pronuncia sulla richiesta
di asilo), sono titolari di un permesso di soggiorno e vengono
sistemati nelle strutture di prima accoglienza. Al riguardo, la
ricorrente precisa che questo procedimento non e' di breve durata,
tenuto conto che le commissioni impiegano circa due anni per la
relativa definizione, cui vanno sommati i tempi dell'eventuale
contenzioso.
Pertanto, alla luce delle richiamate norme internazionali, i
richiedenti asilo, in quanto soggiornanti legalmente nel territorio
italiano, avrebbero il diritto di fissare all'interno di tale
territorio la propria residenza.
Inoltre, la norma impugnata, non avendo abrogato l'art. 6, comma
7, del t.u. immigrazione, creerebbe «una situazione di assoluta
incertezza sulla normativa applicabile ai richiedenti asilo
regolarmente presenti, a danno della efficienza dell'azione
amministrativa delle amministrazioni regionali e locali», con
conseguente violazione dell'art. 97 Cost.
4.2.2.- La ricorrente aggiunge che l'iscrizione anagrafica e' il
presupposto per l'accesso all'assistenza sociale, per la concessione
di sussidi o agevolazioni previste dalla legislazione statale e
regionale basate sulle condizioni di reddito verificate mediante
l'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). A sua
volta, presupposto per ottenere l'ISEE e' la residenza anagrafica.
Inoltre, il richiedente asilo non potra' maturare i requisiti di
durata della residenza necessari per l'accesso al reddito di
inclusione (REI) di cui al decreto legislativo 15 settembre 2017, n.
147 (Disposizioni per l'introduzione di una misura nazionale di
contrasto alla poverta'), cosi' come a tutte le altre prestazioni
statali, regionali e locali che vengono condizionate dalla durata
della residenza.
La norma impugnata inciderebbe anche sulle politiche attive del
lavoro, essendo prevista la residenza per l'iscrizione allo stato di
disoccupazione di cui al d.lgs. n. 150 del 2015.
Quindi, nella misura in cui sarebbe vietata l'iscrizione
anagrafica dei richiedenti asilo, si precluderebbe alle Regioni e
agli enti locali di programmare interventi a loro favore nelle
materie dell'assistenza sociale, della formazione professionale, del
lavoro, con conseguente violazione degli artt. 117, terzo e quarto
comma, e 118 Cost. Peraltro, limitatamente alle materie di potesta'
concorrente, la norma impugnata non potrebbe ritenersi espressione di
un principio fondamentale, non avendo alcuna attinenza con gli ambiti
delle politiche attive del lavoro e dell'istruzione.
La disposizione censurata si porrebbe in contrasto anche con
l'art. 3 Cost., poiche' discriminerebbe in modo irragionevole i
richiedenti asilo sia rispetto ai cittadini sia rispetto alle altre
categorie di stranieri regolarmente presenti sul territorio, cui
l'iscrizione anagrafica non e' preclusa.
Inoltre, in considerazione del fatto che l'iscrizione anagrafica
e' un diritto soggettivo, espressione dell'art. 2 Cost., la sua
negazione ai richiedenti asilo violerebbe l'art. 14 CEDU, il quale
vieta ogni discriminazione tra cittadini degli Stati membri e
stranieri regolarmente soggiornanti. Parimenti violato sarebbe l'art.
26 della Convenzione di Ginevra, dal cui contrasto discenderebbe la
violazione dell'art. 10, secondo comma, Cost. e dell'art. 117, primo
comma, Cost., perche' la disposizione impugnata non sarebbe conforme
alle norme e ai trattati internazionali attinenti alla condizione
giuridica dello straniero.
La difesa regionale precisa che la violazione degli artt. 2, 3,
10, 97 e 117, primo comma, Cost. puo' essere fatta valere dalla
Regione ricorrente in quanto ridondante sulle competenze legislative
regionali in materia di politiche attive del lavoro, di assistenza
sociale e servizi sociali, di formazione professionale e istruzione
(artt. 117, terzo e quarto comma, Cost.) e sulle relative funzioni
amministrative spettanti alle regioni e agli enti locali (art. 118
Cost.).
Secondo la ricorrente l'abrogazione del diritto all'iscrizione
anagrafica dei richiedenti asilo, oltre a rappresentare un atto
discriminatorio, imporrebbe al legislatore regionale la modifica
della vigente legislazione, determinando l'oggettiva impossibilita',
per gli enti locali e per la Regione, di avere contezza del numero
effettivo delle persone regolarmente presenti sul territorio e quindi
di programmare e organizzare i servizi necessari, e di fondare
l'accesso al sistema di welfare sulla residenza.
Inoltre, la norma impugnata avrebbe l'effetto di scorporare i
richiedenti asilo dall'insieme degli stranieri regolarmente
soggiornanti sul territorio, quanto alla possibilita' di accedere ai
servizi e agli interventi sociali.
Sempre a detta della difesa regionale, i suddetti profili di
incostituzionalita' non sarebbero superati dalla disposizione di cui
all'art. 13, comma 1, lettera b), numero 1), del d.l. n. 113 del
2018, la quale dispone che «[l]'accesso ai servizi previsti dal
presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai sensi
delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio» comunicato
alla questura o corrispondente all'indirizzo del centro presso cui il
richiedente si trova.
Questa disposizione, infatti, non consentirebbe di superare la
previsione (contenuta nella legislazione regionale) della residenza
come condizione di accesso al sistema di assistenza sociale; inoltre,
l'eliminazione della residenza anagrafica per i richiedenti asilo
imporrebbe all'amministrazione regionale e agli enti locali che
erogano i servizi socio-sanitari l'organizzazione sulle piattaforme
informatiche di due diverse procedure, che complicheranno la gestione
e faranno crescere i costi.
Infine, la variabilita' del domicilio, rispetto alla stabilita'
della residenza, renderebbe piu' difficile organizzare i controlli
sui soggetti presenti sul territorio e quindi programmare i servizi
socio-sanitari necessari, con il rischio di ingenerare «inefficienze
contrarie al principio di buon andamento» di cui all'art. 97 Cost.
5.- La Regione Calabria, con ricorso notificato il 1° febbraio
2019 e depositato l'8 febbraio 2019 (reg. ric. n. 18 del 2019), ha
impugnato, tra gli altri, l'art. l, commi 1, 2, 3, 6, 7, 8 e 9;
l'art. 12 e l'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018.
Dopo aver ricostruito gli effetti dell'intervento normativo - nei
termini gia' ampiamente illustrati in precedenza - la Regione
Calabria deduce che le disposizioni impugnate comporterebbero
«sensibili condizionamenti sull'autonomia legislativa e
amministrativa regionale a causa dalle scelte imposte dalle nuove
norme statali».
5.1.- Con specifico riferimento all'art. 1, del d.l. n. 113 del
2018, la ricorrente sottolinea come l'abolizione del permesso
umanitario, prevista dalla disposizione impugnata, violerebbe diverse
previsioni del testo costituzionale.
Sarebbe in primo luogo violato il diritto di asilo ex art. 10,
terzo comma, Cost., impedendo all'ente territoriale di assicurare
prestazioni in favore di individui che avrebbero un titolo
costituzionale a riceverle.
Risulterebbe altresi' violato l'art. 3 Cost., in quanto la nuova
disciplina statale determinerebbe una discriminazione «fra i soggetti
titolari della protezione internazionale e sussidiaria e i soggetti
titolari di protezione costituzionale», cosi' vincolando la Regione a
effettuare tale discriminazione nell'erogazione delle prestazioni
assistenziali; parimenti lesi sarebbero gli artt. 31, 32, 34 e 35
Cost., in quanto la nuova normativa «impedisce alle Regioni di
fornire, ai soggetti titolari del diritto costituzionale di asilo, le
prestazioni assistenziali che costituiscono attuazione di tali
disposizioni».
Inoltre, l'impugnato art. 1 contrasterebbe con l'art. 117, primo
comma, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU, atteso che lo Stato e le
Regioni devono esercitare la funzione legislativa nel rispetto degli
obblighi internazionali ed europei, mentre la nuova disciplina
imporrebbe alle Regioni di non applicare la propria normativa in tema
assistenziale in favore di soggetti che potrebbero essere ben
radicati nella societa', al punto che un loro allontanamento
violerebbe il rispetto della vita privata e familiare.
Ad avviso della ricorrente, la nuova normativa, in luogo di un
approccio individualizzato, che prenda in considerazione l'esigenza
di non pregiudicare in maniera sproporzionata (rispetto alle esigenze
di sicurezza e ordine pubblico) il diritto convenzionale al rispetto
della vita privata e familiare e il grado di radicamento sociale nel
territorio del singolo straniero, avrebbe invece stabilito un
illegittimo regime fondato sul divieto generalizzato di rilascio e
rinnovo di permessi di soggiorno per motivi umanitari, prevedendo un
meccanismo di eccezione fondato su casi tipizzati e particolarmente
ristretti.
Infine, in ragione dell'intreccio di competenze statali e
regionali in materia di immigrazione, l'intervento legislativo
avrebbe richiesto, ad avviso della ricorrente, l'attivazione di
strumenti cooperativi, per lo meno nella forma della consultazione,
oltre alla previsione di una regolamentazione transitoria di
carattere integrato, alla cui formazione avrebbero dovuto partecipare
anche le Regioni. L'unilaterale riforma del diritto di asilo
violerebbe pertanto il principio di leale collaborazione, che si
impone ai sensi degli artt. 5 e 120 Cost. in ambiti caratterizzati da
un concorso di competenze inestricabilmente connesse (e' richiamata
la sentenza n. 251 del 2016).
5.2.- Quanto all'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018, la ricorrente
ritiene la disposizione lesiva degli artt. 2, 3, 10, 11 e 117, primo
comma - con riferimento agli standard internazionali ed europei di
accoglienza - terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonche' del
principio di leale collaborazione.
La ricorrente premette che l'oggetto e le finalita'
dell'intervento legislativo sarebbero individuabili nell'intento di
delineare una netta differenziazione tra gli investimenti in termini
di accoglienza e integrazione da destinare a coloro che hanno titolo
definitivo a permanere sul territorio nazionale, da una parte, e i
servizi di prima accoglienza e assistenza, da erogare a coloro che
sono in temporanea attesa della definizione della loro posizione
giuridica, dall'altra.
La riforma del sistema di accoglienza avrebbe, percio',
accentrato in capo allo Stato le competenze legislative ed
amministrative in tema di accoglienza ai richiedenti asilo: lungi dal
programmare i flussi d'ingresso degli stranieri, la disposizione
mirerebbe a promuovere l'inclusione sociale e il superamento della
fase di assistenza, tipiche attivita' - quelle dell'assistenza e dei
servizi sociali - rientranti nelle competenze residuali regionali,
che sarebbero, cosi', compresse in violazione del principio di leale
collaborazione.
Tale compressione sarebbe, infatti, evidenziata dal nuovo schema
di capitolato d'appalto per la gestione dei centri di accoglienza,
approvato con decreto del Ministro dell'interno del 20 novembre 2018,
il quale avrebbe radicalmente riformato il sistema dei servizi da
riservare ai soggetti ospitati nei centri di prima accoglienza,
disciplinando il tema dell'accoglienza e dell'integrazione in maniera
cosi' dettagliata da non lasciare spazio alcuno alle competenze
regionali o degli enti locali, riducendo tutti i servizi alla
persona. La ricorrente ricorda che la legislazione regionale include
provvedimenti specificamente tesi a determinare lo standard di
accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
Quanto al merito, secondo la Regione Calabria il nuovo regime di
accoglienza violerebbe gli standard internazionali ed europei in
materia di accoglienza, assistenza e integrazione dei richiedenti,
imponendo alle Regioni di esercitare le proprie competenze in
difformita' rispetto alle regole costituzionali che ne impongono
l'osservanza.
La Convenzione di Ginevra del 1951, infatti, non opererebbe
alcuna distinzione tra rifugiati e richiedenti asilo, in quanto il
provvedimento di riconoscimento dello status di rifugiato avrebbe
natura solo dichiarativa, sicche' l'imposizione a carico delle
Regioni di limitare la fornitura di prestazioni assistenziali solo
alle misure di prima accoglienza, assimilando i richiedenti asilo ai
migranti irregolari, produrrebbe una irragionevole discriminazione
fra soggetti in possesso del medesimo status.
Allo stesso modo, la direttiva 2013/33/UE imporrebbe una
valutazione personalizzata delle esigenze degli individui in
condizione di vulnerabilita' e dei minori, laddove il nuovo
capitolato per i servizi di accoglienza non contemplerebbe tale
possibilita' nell'ambito dei centri governativi.
5.3.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n. 113 del
2018, la Regione Calabria ha impugnato le disposizioni di cui al
comma 1, lettera a), numero 2), lettera b) e lettera c), in
riferimento agli artt. 2, 3, 10, terzo comma, 11 e 117, primo terzo e
quarto comma, Cost.
Preliminarmente, la difesa regionale sottolinea che, sebbene
l'anagrafe rientri nelle materie di competenza esclusiva statale, ai
sensi dell'art. 117, primo (recte: secondo) comma, Cost., l'esercizio
della competenza in questa materia ben puo' interferire con gli
ambiti rimessi alla potesta' legislativa delle Regioni, oltre che con
le competenze amministrative degli enti locali.
La ricorrente afferma, altresi', che l'iscrizione anagrafica e'
necessaria per il rilascio del certificato di residenza e del
documento di identita', e che tali documenti sono il presupposto per
il godimento di alcuni diritti. Al riguardo, la previsione dell'art.
13, comma 1, lettera b), numero 1), non ricomprenderebbe l'intera
gamma di diritti previsti dall'ordinamento italiano spettanti
all'individuo sulla base della residenza anagrafica.
D'altra parte, secondo la difesa regionale, la stessa relazione
illustrativa del disegno di legge di conversione del d.l. n. 113 del
2018 sembrerebbe escludere tale possibilita', limitandosi a
sottolineare che «l'esclusione dall'iscrizione anagrafica si
giustifica per la precarieta' del permesso per richiesta di asilo e
risponde alla necessita' di definire preventivamente la condizione
giuridica del richiedente».
La ricorrente precisa che, ai fini del presente ricorso, rilevano
solo i casi di privazione di diritti connessi alla residenza che
rientrano nell'ambito delle competenze regionali, fra i quali va
ricompreso il diritto all'abitazione, e quindi l'accesso all'edilizia
residenziale pubblica, nonche' il diritto a ottenere tariffe
agevolate per l'accesso a servizi regionali.
Da questo punto di vista, le leggi della Regione Calabria nelle
materie sopra indicate costituirebbero attuazione del principio di
non discriminazione tra rifugiati e richiedenti asilo che emerge
dalla Convenzione di Ginevra e, in particolare, dal suo art. 21 che
assicura ai rifugiati legalmente presenti nel territorio dello Stato
un trattamento non meno favorevole di quello assicurato ad altri
stranieri nell'accesso all'abitazione.
Secondo la difesa regionale, l'illegittimita' costituzionale
delle norme impugnate si «accentua» alla luce della giurisprudenza
costituzionale, secondo cui sono irragionevoli le disposizioni che
limitano la platea dei beneficiari di un diritto in ragione di
elementi irrazionali o arbitrari (e' citata la sentenza n. 306 del
2008).
6.- La Regione autonoma Sardegna, con ricorso notificato il 31
gennaio-4 febbraio 2019 e depositato il 1° febbraio 2019 (reg. ric.
n. 9 del 2019), ha impugnato diverse disposizioni del d.l. n. 113 del
2018 e, tra queste, gli artt. 1, 12 e 13.
In particolare, dell'art. 1 ha censurato: il comma 1, lettere a),
b), c), d), e), f), i), l), m), n), numero 2), n-bis), o), p), q); il
comma 2; il comma 3, lettera a), numeri 1) e 2); il comma 6; il comma
7; il comma 8 e il comma 9.
Dell'art. 12 ha censurato tutte le disposizioni di cui si
compone, a eccezione: del comma 1, lettere a-bis) e a-ter); del comma
2, lettera d), numero 1-bis); del comma 7.
Dell'art. 13, comma 1, ha censurato: la lettera a), numero 2; la
lettera b); la lettera c).
7.- La Regione Basilicata, con ricorso notificato il 29 gennaio
2019 e depositato il 4 febbraio 2019 (reg. ric. n. 12 del 2019), ha
impugnato gli artt. 1 e 13 del d.l. n. 113 del 2018.
8.- In tutti i giudizi si e' costituito il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni promosse siano
dichiarate inammissibili e infondate, con argomentazioni non
dissimili tra i vari atti di costituzione, che possono essere quindi
riassunte unitariamente.
In via preliminare, secondo l'Avvocatura generale i ricorsi
sarebbero inammissibili, in ragione della mancanza di un'«adeguata
motivazione in merito alla asserita lesione della sfera di competenza
regionale, in quanto non suffragata da alcuna argomentazione che non
sia apoditticamente fondata sul riparto costituzionale di competenze
legislative».
La difesa statale ritiene poi che, secondo la giurisprudenza
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 140 del 2015, n. 79,
n. 44 e n. 36 del 2014), le Regioni possono invocare parametri
diversi da quelli relativi al riparto delle rispettive competenze
legislative, soltanto qualora la violazione di tali parametri
comporti una compromissione delle attribuzioni regionali
costituzionalmente garantite, tali cioe' da provocare la ridondanza
delle asserite violazioni sul relativo riparto, e siano indicate le
specifiche competenze ritenute lese e le ragioni della lamentata
lesione. Nel caso di specie, invece, le ricorrenti, nell'indicare le
competenze asseritamente lese, si sarebbero limitate a richiamare le
leggi regionali in materia senza tuttavia enucleare specificamente le
ragioni del dedotto vulnus.
Secondo la difesa statale, «se si seguissero le tesi dell[e]
region[i] ricorrent[i], sarebbe sufficiente la presenza di una
disposizione regionale attuativa di una normativa statale per
impedirne la modifica in eterno».
8.1.- Quanto ai motivi di ricorso relativi all'art. 1 del d.l. n.
113 del 2018, la difesa statale evidenzia come il decreto-legge
impugnato investirebbe materie, quale - per quello che qui rileva -
l'immigrazione, riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera b), Cost., e le eventuali
ricadute sulle competenze delle Regioni, «che pure potrebbero
profilarsi rispetto alle attuali legislazioni regionali, declinate su
un assetto definito a livello statuale diverso da quello di recente
introdotto», non potrebbero tradursi in un limite al legislatore
statale rispetto a materie rientranti nella sua competenza esclusiva.
In particolare - sostiene il Presidente del Consiglio dei
ministri - l'impugnato art. 1 sarebbe intervenuto a tipizzare,
«analogamente a quanto accade in altri Paesi europei» e in linea con
quanto previsto dalla direttiva 2011/95/UE, le forme di tutela di
esigenze di carattere umanitario complementare alla protezione
internazionale (nelle due ipotesi di status di rifugiato e di quello
beneficiario di protezione sussidiaria) i cui presupposti sono
esaustivamente individuati dalla direttiva stessa, cui da' attuazione
il d.lgs. n. 251 del 2007, le cui norme (in particolare gli artt. 14
e 17) non sarebbero state minimamente incise dal decreto-legge
impugnato. Ne deriverebbe, sotto questo profilo, il carattere
apodittico e infondato della censura avversa secondo cui l'indicato
art. 1 violerebbe gli artt. 15, lettera c) e 18 della direttiva
2011/95/UE.
La difesa statale evidenzia altresi' come le norme introdotte dal
d.l. n. 113 del 2018 si sostituiscano a una precedente generica
definizione normativa (contenuta nel previgente art. 5, comma 6, del
t.u. immigrazione), dai contorni non sufficientemente determinati,
«seri motivi di carattere umanitario», che in sede di applicazione
aveva portato nel tempo a uno «snaturamento» dell'istituto del
permesso di soggiorno umanitario, con l'attrazione di situazioni non
tutte riconducibili al comune denominatore della tutela dei diritti
fondamentali. La nuova disciplina si porrebbe dunque l'intento di
ridisegnare la tutela delle esigenze temporanee di carattere
umanitario attraverso l'adozione di criteri positivi, integrativi di
quelli gia' rinvenibili nella legislazione vigente, «idonei ad
orientare l'attivita' valutativa dell'autorita' competente».
In tale ottica, e' stata quindi individuata una nuova ipotesi di
protezione (art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008, come
novellato dall'art. 1, comma 1, lettera a, del d.l. n. 113 del 2018)
che correda di uno specifico permesso di soggiorno (per «protezione
speciale») il divieto di refoulement gia' previsto dall'art. 19,
commi 1 e 1.1, del t.u. immigrazione. Detto divieto sarebbe
inderogabile e avrebbe una portata piu' ampia del divieto di
espulsione previsto dall'art. 33 della Convenzione di Ginevra del
1951 sui rifugiati.
Il potere e l'obbligo di valutare la ricorrenza di
controindicazioni al rimpatrio rimarrebbe quindi attribuito alle
competenti commissioni territoriali, allorche' non ravvisino i
requisiti per il riconoscimento dello status di rifugiato o di
beneficiario di protezione sussidiaria. La protezione derivante dal
divieto di refoulement opererebbe anche nei confronti di chi ha gia'
ottenuto la protezione internazionale, in sede di revoca o cessazione
di detto status, spettando alla Commissione nazionale per il diritto
d'asilo la stessa valutazione sulla necessita' di una protezione
speciale ai sensi dell'art. 33 del d.lgs. n. 25 del 2008, che
richiama espressamente il novellato art. 32, comma 3, del medesimo
decreto legislativo.
Accanto alla «protezione speciale», il resistente ricorda gli
altri «casi speciali» di rilascio di un permesso di soggiorno per
esigenze di carattere umanitario: alcuni di essi gia' presenti
nell'ordinamento ed oggetto di ridefinizione a opera dell'impugnato
decreto-legge che ne avrebbe lasciato immutate la portata, la durata
e le facolta' connesse; altri disciplinati per la prima volta dallo
stesso d.l. n. 113 del 2018.
A conferma del livello di tutela accordato dal legislatore alle
nuove ipotesi di permesso di soggiorno per esigenze di carattere
umanitario, la difesa statale evidenzia come le sezioni specializzate
in materia di protezione internazionale e immigrazione istituite
presso i tribunali ordinari abbiano competenza anche per le
controversie in materia di rifiuto di rilascio, diniego di rinnovo e
revoca di tali permessi, «proprio in considerazione della loro
riconducibilita' ad obblighi internazionali e costituzionali e della
loro natura di diritti soggettivi».
Sottolinea inoltre l'Avvocatura generale che le nuove norme non
sarebbero intervenute in tema di permessi di soggiorno per minori
stranieri non accompagnati, ne' in materia di diritto all'unita'
familiare e alla vita privata e familiare, ambiti che continuerebbero
a trovare copertura normativa e autonoma disciplina nelle specifiche
disposizioni del t.u. immigrazione.
La difesa statale ribadisce la riconducibilita' delle norme
censurate agli ambiti di competenza legislativa statale esclusiva di
cui all'art. 117, secondo comma, lettere a) e b), Cost., evidenziando
altresi' come la circostanza che la materia dell'immigrazione
proietti i suoi effetti su ambiti materiali di competenza regionale,
come quelli richiamati nei ricorsi, non renderebbe per cio' solo
sindacabili dalle Regioni le scelte del legislatore nazionale in
materia di disciplina dell'ingresso e soggiorno dei cittadini
stranieri e della loro condizione giuridica.
A tal fine, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama la
giurisprudenza costituzionale (in primis, la sentenza n. 61 del
2011), che ha riconosciuto come l'intervento pubblico concernente gli
stranieri non possa limitarsi al mero controllo dell'ingresso e del
soggiorno sul territorio nazionale, dovendo necessariamente
considerare altri ambiti, quali l'assistenza sociale, l'istruzione,
la salute o l'abitazione, che coinvolgono diverse competenze
normative, sia statali che regionali. In tale contesto, si e' pero'
precisato che la disciplina dei presupposti per la legittima
permanenza dello straniero nel territorio nazionale e delle modalita'
di regolarizzazione della sua presenza compete esclusivamente allo
Stato, pur potendo le Regioni, nell'esercizio delle competenze a esse
spettanti, estendere anche agli stranieri irregolari quegli
interventi sociali che attengono alla sfera dei diritti inviolabili
dell'uomo, di cui all'art. 2 Cost., senza che cio' possa legittimarne
in qualche modo la presenza sul territorio nazionale.
Tale assetto, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri,
non sarebbe assolutamente inciso dalle norme introdotte col
decreto-legge impugnato e troverebbe conferma sia nei principi che
nelle singole disposizioni del t.u. immigrazione.
Da quanto detto, emergerebbe chiaramente che, seppur
intersecanti, le competenze legislative statali e regionali sarebbero
nettamente distinte, sicche' le Regioni non avrebbero titolo a
ricorrere, poiche' la regolamentazione dei presupposti per la
legittima permanenza in Italia non invaderebbe le competenze
regionali.
Tutte le censure sarebbero inammissibili in ragione della mancata
configurabilita' di violazioni di prerogative regionali e della
carenza di adeguata motivazione.
In subordine, dette censure sarebbero comunque infondate alla
luce del quadro di tutele garantito dall'ordinamento ai diritti
fondamentali dei cittadini stranieri, in parte preesistente e
confermato dall'impugnato decreto-legge, in parte da questo riscritto
«nel rispetto degli obblighi costituzionali e internazionali dello
Stato».
8.2.- Quanto alle censure rivolte contro l'art. 12 del d.l. n.
113 del 2018, l'Avvocatura generale, in primo luogo, traccia la
cornice normativa di riferimento ricavabile dal diritto europeo,
individuando, in particolare, la relativa fonte in materia di
accoglienza dei richiedenti asilo nella direttiva 2013/33/UE ed
evidenziando che i diritti assicurati a coloro che hanno gia'
ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale trovano
invece la propria regolamentazione nella diversa direttiva
2011/95/UE. A parere della difesa statale, le suddette fonti
dimostrerebbero che, in sede europea, la posizione del richiedente
asilo e', pertanto, differenziata da quella del titolare di
protezione, con l'indicazione espressa delle condizioni di
accoglienza da riservare ai richiedenti asilo e dei diritti da
assicurare ai titolari di protezione.
Conseguentemente, nell'ordinamento nazionale, le misure di
accoglienza vengono disciplinate dal d.lgs. n. 142 del 2015, che da'
attuazione alla direttiva 2013/33/UE, mentre i diritti del titolare
di protezione sono elencati nel d.lgs. n. 251 del 2007. Non avrebbe,
dunque, «alcun fondamento la pretesa equiparazione delle due
differenti posizioni, quanto ai diritti, prestazioni e servizi, in
specie quelli finalizzati all'inclusione e integrazione, in quanto
non supportata dalle fonti normative europee ed internazionali».
Le disposizioni di cui all'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 si
inquadrerebbero nell'ambito di una rivisitazione complessiva del
sistema statale di accoglienza, nell'ottica di una razionalizzazione
dei servizi, diretta ad assicurare ai richiedenti asilo condizioni
materiali adeguate a garantire una vita dignitosa, garantendone il
sostentamento e la tutela della salute, e a riservare i percorsi di
inclusione sociale, funzionali al conseguimento di un'effettiva
autonomia personale, ai titolari di protezione internazionale, oltre
che ai minori stranieri non accompagnati e ai soggetti per i quali
sussistono specifiche esigenze umanitarie.
La limitazione dei servizi da rendere attraverso la rete del
SIPROIMI ai titolari di protezione internazionale risiederebbe,
dunque, nell'esigenza di riservare prioritariamente l'accesso al
sistema finalizzato all'integrazione a quei soggetti la cui
condizione e' connotata dal requisito della stabilita', rispetto ad
altre condizioni di carattere temporaneo.
Tale riorganizzazione del sistema dell'accoglienza, dunque,
risponderebbe a criteri di ragionevolezza, ponendosi nell'ottica «di
una visione globale del fenomeno migratorio», che tenga anche conto
della configurazione dei flussi di ingresso.
8.2.1.- Con specifico riferimento alle norme transitorie di cui
ai commi 5 e 6 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018, la difesa
statale sostiene che esse mirerebbero proprio a non interrompere i
progetti di accoglienza in corso, non solo per i richiedenti asilo
(comma 5), ma anche per i titolari di protezione umanitaria (comma 6)
gia' presenti' nel sistema di protezione alla data di entrata in
vigore del decreto-legge, secondo le disposizioni di attuazione sul
funzionamento del sistema che fissano in ogni caso dei limiti
temporali predeterminati all'accoglienza dei beneficiari di
protezione.
Osserva, ancora, la difesa statale che il sistema di seconda
accoglienza resterebbe inalterato nelle sue connotazioni strutturali
e funzionali, in quanto: continua a essere imperniato sugli enti
locali; resta invariato il complesso di prestazioni erogate agli
ospiti delle strutture che ne fanno parte; restano altresi' invariati
il meccanismo e la fonte di finanziamento, risultando modificata
esclusivamente la platea dei soggetti destinatari dei servizi resi.
Quanto al presunto ridimensionamento del ruolo della Conferenza
unificata prospettato dalla Regione Emilia-Romagna, l'Avvocatura
generale deduce che il ricorso non chiarisce in quale modo sarebbero
state lese prerogative costituzionalmente riservate alla Regione o
agli enti locali (apparendo pertanto, sotto questo profilo, la
censura inammissibile); sarebbe evidente, piuttosto, che la riforma,
attraendo l'intervento della Conferenza unificata «al ben piu'
qualificato momento» della definizione dei criteri e delle modalita'
per la presentazione da parte degli enti locali delle domande di
contributo per la realizzazione e la prosecuzione dei progetti
finalizzati all'accoglienza, non sminuirebbe affatto il contributo
della Conferenza stessa.
Infine, la difesa statale evidenzia che la lettera h-bis) del
comma 2 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018, disposizione alla
quale la Regione Emilia-Romagna imputa possibili effetti
pregiudizievoli di un'autonoma capacita' di spesa comunale per le
politiche di integrazione dei minori stranieri non accompagnati, e'
stata abrogata dall'art. 1, comma 769, della legge 30 dicembre 2018,
n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario
2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021).
8.3.- Quanto ai motivi di ricorso relativi all'art. 13 del d.l.
n. 113 del 2018, la difesa statale ritiene che la norma in questione
sia riconducibile alla competenza legislativa statale in materia di
anagrafe (art. 117, secondo comma, lettera i, Cost.); inoltre, i
compiti di vigilanza sull'anagrafe sono assegnati al Ministero
dell'interno dall'art. 14 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n.
300 (Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo
11 della legge 15 marzo 1997, n. 59). Quello dell'anagrafe sarebbe,
quindi, un servizio di competenza statale e le relative funzioni sono
delegate al sindaco quale ufficiale di Governo, ai sensi dell'art. 54
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali).
Secondo l'Avvocatura, l'esclusione dell'iscrizione all'anagrafe
per i richiedenti asilo si fonderebbe sulla «temporaneita' del
predetto permesso di soggiorno, in attesa della definizione della
posizione giuridica del richiedente». In particolare, l'obiettivo
perseguito dal legislatore sarebbe quello di scongiurare «il
sovraccarico di iscrizioni anagrafiche di richiedenti asilo presso
Comuni di piccole dimensioni sul cui territorio si trovano centri di
accoglienza, con i conseguenti adempimenti anche in termini di
cancellazioni e di ripetuti accertamenti in caso di irreperibilita',
e soprattutto per eliminare l'anomalia del rilascio di carte
d'identita' con validita' decennale a cittadini stranieri la cui
posizione giuridica sul territorio non e' stata ancora definita».
Sarebbe quindi giustificato un trattamento differenziato rispetto
agli altri cittadini stranieri regolarmente soggiornanti la cui
posizione giuridica e' gia' definita.
Alla luce di queste considerazioni non sarebbe pertinente il
richiamo dell'art. 6, comma 7, del t.u. immigrazione, in
considerazione della specialita' della norma prevista per i
richiedenti asilo. Inoltre, dall'esclusione dell'iscrizione
anagrafica non discenderebbe alcun pregiudizio ai diritti di questi
ultimi, che sono riconosciuti sulla base della titolarita' del
permesso di soggiorno; in particolare, l'art. 34 dello stesso testo
unico elenca il permesso per richiesta di asilo tra quelli che
prevedono l'iscrizione obbligatoria al servizio sanitario nazionale.
Inoltre, l'impugnato art. 13 fissa nel domicilio il criterio di
collegamento idoneo all'accesso ai servizi erogati sul territorio.
Sarebbe dunque esclusa la violazione dell'art. 117, secondo (recte:
terzo) e quarto comma, Cost.
Parimenti infondate sarebbero anche le censure mosse rispetto
agli artt. 2, 3 e 10 Cost.: l'art. 2 Cost. non sarebbe violato
perche' verrebbe comunque assicurata la tutela dei diritti
fondamentali; non vi sarebbe contrasto con l'art. 3 Cost. in
considerazione della diversa posizione degli stranieri titolari di
altre tipologie di permesso di soggiorno e soprattutto dei cittadini
europei; sarebbe esclusa anche la violazione dell'art. 10 Cost., in
quanto le norme europee (e' citata la direttiva 2013/33/UE) non
impongono modalita' di registrazione della presenza sul territorio
degli Stati membri, diverse dal rilascio di un'autorizzazione al
soggiorno valida per la durata del procedimento di esame della
domanda. Peraltro, la disciplina europea (art. 2, comma 1, del
Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali) e quella internazionale
(art. 12, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti
civili e politici) presuppongono la legale presenza dello straniero
nel territorio dello Stato, sicche' sarebbe assurdo richiamare queste
disposizioni per censurare una normativa intesa a rendere regolare e
legittima la permanenza degli stranieri nel territorio nazionale.
Non si ravviserebbe una violazione dei parametri costituzionali
indicati dalle ricorrenti nemmeno in relazione al fatto che il
periodo trascorso regolarmente dal richiedente asilo non potra'
essere computato ai fini della eventuale successiva richiesta di
concessione della cittadinanza; a tal fine, infatti, la legge 5
febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza) prenderebbe in
considerazione solo la persona a cui lo status di rifugiato e' gia'
stato riconosciuto.
8.4.- Quanto alla denunciata illegittimita' costituzionale, per
violazione dell'art. 77 Cost., delle disposizioni contenute nel
decreto-legge, la difesa statale avanza, anzitutto, una duplice
eccezione di inammissibilita' nei confronti dell'impugnazione rivolta
al decreto-legge nella sua interezza.
In primo luogo, la questione sarebbe inammissibile perche'
verrebbe «sottoposto a censura l'intero testo normativo, adottato
dallo Stato nell'esercizio delle proprie competenze, e censurato ex
adverso in dettaglio solo per alcuni profili». L'impugnazione
regionale di un atto legislativo nella sua interezza, per violazione
dei presupposti di cui all'art. 77 Cost., non sarebbe ammissibile,
posto che la Regione sarebbe pur sempre sottoposta «ai vincoli di
attinenza» connessi alla ripartizione costituzionale di competenze.
Inoltre, e piu' nello specifico, la ricorrente non avrebbe
adeguatamente motivato in ordine alla asserita lesione delle
competenze regionali derivante dalla insussistenza dei presupposti di
necessita' ed urgenza e, dunque, alla ridondanza del vizio sulle
attribuzioni che la Costituzione riserva alle Regioni.
Nel merito, la difesa statale insiste sulla non fondatezza delle
censure. L'Avvocatura generale riporta a sostegno della sua tesi la
giurisprudenza costituzionale che ha affermato come «il sindacato
sulla legittimita' dell'adozione da parte del Governo di un
decreto-legge vada limitato ai casi di evidente mancanza dei
presupposti di straordinaria necessita' o di manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' della loro valutazione» (si
richiamano, ex plurimis, le sentenze n. 287 e n. 244 del 2016, n. 32
del 2014, n. 22 del 2012, n. 128 del 2008 e n. 171 del 2007). Tale
manifesta mancanza non parrebbe ravvisarsi nel caso di specie,
poiche' il decreto impugnato «anche quando e' caratterizzato da
disposizioni a contenuto plurimo, articolato e differenziato al suo
interno, nondimeno appare fornito di intrinseca coerenza, in quanto
le disposizioni che lo compongono presentano una sostanziale
omogeneita' di scopo».
8.5.- Con riguardo, infine, alla asserita violazione del
principio di leale collaborazione, l'Avvocatura generale rileva come
non sarebbe individuabile alcun obbligo di consultazione delle
Regioni durante la fase di adozione dei decreti-legge, data la
peculiarita' dei casi in cui questi possono essere adottati e la
celerita' dei termini per la presentazione degli stessi alle Camere
(vengono richiamate le sentenze n. 298 del 2009, n. 275 del 2005 e n.
196 del 2004).
9.- La Regione autonoma Sardegna e la Regione Basilicata,
rispettivamente in data 5 e 10 giugno 2019, hanno depositato atto di
rinuncia al ricorso, accettata, per entrambe le Regioni, dal
Presidente del Consiglio dei ministri con atto depositato il 13
giugno 2019.
10.- In prossimita' dell'udienza le Regioni Umbria,
Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria, e il Presidente del
Consiglio dei ministri hanno depositato memorie nelle quali insistono
nelle conclusioni gia' rassegnate, rispettivamente, nei ricorsi e
negli atti di costituzione.
Considerato in diritto
1.- Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Basilicata, Marche,
Toscana e Calabria e la Regione autonoma Sardegna hanno promosso
plurime questioni di legittimita' costituzionale con riguardo
all'intero decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti
in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza
pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata), convertito,
con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, nonche' ad
alcune sue disposizioni, fra le quali gli artt. 1, 12 e 13.
2.- Riservata a separata pronuncia la decisione delle questioni
vertenti sulle altre disposizioni impugnate con i ricorsi indicati in
epigrafe, i giudizi aventi a oggetto gli artt. 1, 12 e 13, nonche'
l'intero decreto-legge, devono essere riuniti, in ragione della
parziale connessione oggettiva e della parziale identita' delle
questioni all'esame della Corte.
3.- Nelle more del giudizio, la Regione autonoma Sardegna e la
Regione Basilicata, rispettivamente in data 5 e 10 giugno 2019, hanno
depositato atto di rinuncia al ricorso, accettata, per entrambe le
Regioni, dal Presidente del Consiglio dei ministri con atto
depositato il 13 giugno 2019.
Ai sensi dell'art. 23 delle Norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale deve essere pertanto dichiarata
l'estinzione dei giudizi promossi dalle anzidette Regioni (ex
plurimis, sentenza n. 201 del 2018).
4.- Quanto alle questioni promosse dalle altre ricorrenti, questa
Corte e' chiamata preliminarmente a verificare le ragioni addotte
dalle Regioni a giustificazione della lamentata incidenza diretta o
indiretta di siffatte questioni sulle competenze legislative e
amministrative di cui sono titolari esse stesse e gli enti locali, a
tutela delle cui attribuzioni le prime possono agire dinanzi a questa
Corte (sentenze n. 205 e n. 29 del 2016, n. 220 del 2013, n. 311 del
2012, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005, n.
196 del 2004).
5.- Devono essere anzitutto esaminate le censure relative
all'art. 77 Cost., avanzate dalla Regione Marche in relazione
all'intero testo del decreto-legge, poiche' l'eventuale accoglimento
di esse assorbirebbe ogni altra censura.
In particolare, ad avviso della Regione Marche, mancherebbe nel
preambolo un'adeguata motivazione in grado di giustificare il ricorso
alla decretazione d'urgenza per una cosi' ampia riforma a carattere
ordinamentale. Inoltre, il decreto-legge in esame avrebbe un
contenuto eterogeneo. Infine, l'immigrazione viene ritenuta, dalla
Regione Marche, un fenomeno ormai ordinario, in relazione al quale
non potrebbero ricorrere i presupposti di straordinaria necessita' e
urgenza legittimanti l'intervento governativo in base all'art. 77
Cost. La mancanza dei presupposti di straordinaria necessita' ed
urgenza vizierebbe l'intero decreto rendendo illegittima per vizio in
procedendo anche la relativa legge di conversione.
5.1.- In via preliminare, questa Corte e' chiamata a pronunciarsi
sulle eccezioni di inammissibilita' avanzate dalla difesa statale.
5.2.- In primo luogo, l'Avvocatura generale ritiene inammissibile
l'impugnazione dell'intero decreto-legge, perche' verrebbe
«sottoposto a censura l'intero testo normativo, adottato dallo Stato
nell'esercizio delle proprie competenze, e censurato ex adverso in
dettaglio solo per alcuni profili».
L'eccezione non e' fondata. Questa Corte ritiene ammissibili le
questioni, avanzate in via principale, avverso interi atti
legislativi, purche' l'impugnativa non «comporti la genericita' delle
censure che non consenta la individuazione della questione oggetto
dello scrutinio di costituzionalita'», e sempre che le leggi
impugnate siano «caratterizzate da normative omogenee e tutte
coinvolte dalle censure» (sentenze n. 247 del 2018, n. 14 del 2017 e
n. 195 del 2015).
Poiche' la Regione Marche ha contestato diversi profili del
decreto-legge n. 113 del 2018, tutti riconducibili alla violazione
dell'art. 77 Cost, non vi e' dunque contraddizione, ne'
disomogeneita' rispetto all'oggetto dell'impugnazione regionale
dell'intero decreto. La ricorrente ha, infatti, ampiamente motivato
in ordine alle possibili ragioni di incostituzionalita' dell'atto
impugnato in relazione alla carenza dei presupposti di necessita' ed
urgenza.
5.3.- In secondo luogo, la difesa statale ritiene inammissibile
l'impugnazione dell'intero decreto-legge perche' la ricorrente non
avrebbe adeguatamente motivato la asserita lesione delle competenze
regionali derivante dalla pretesa insussistenza dei presupposti di
necessita' ed urgenza. Non sarebbe stata dimostrata, quindi, la
ridondanza del vizio sulle attribuzioni che la Costituzione riserva
alle Regioni.
L'eccezione e' fondata.
In piu' occasioni, questa Corte ha avuto modo di affermare che
«le Regioni possono evocare parametri di legittimita' costituzionale
diversi da quelli che sovrintendono al riparto di competenze fra
Stato e Regioni solo a due condizioni: quando la violazione
denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite [...] e quando le
Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla
ridondanza della lamentata illegittimita' costituzionale sul riparto
di competenze, indicando la specifica competenza che risulterebbe
offesa e argomentando adeguatamente in proposito» (ex multis,
sentenza n. 198 del 2018). L'esigenza di evitare un'ingiustificata
espansione dei vizi censurabili dalle Regioni nel giudizio in via
d'azione e, quindi, la trasformazione della natura di tale rimedio
giurisdizionale obbliga le Regioni stesse a dare conto, in maniera
puntuale e dettagliata, della effettiva sussistenza e della portata
del «condizionamento» prodotto dalla norma statale impugnata.
5.4.- Il ricorso della Regione Marche appare carente sotto il
profilo della motivazione.
Il vizio in ridondanza deve, infatti, essere illustrato in modo
da soddisfare un duplice requisito: per un verso, non deve risultare
generico, e quindi difettare dell'indicazione delle competenze
asseritamente violate; per un altro, non deve essere apodittico, e
deve dunque essere adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza,
nel caso oggetto di giudizio, di un titolo di competenza regionale
rispetto all'oggetto regolato dalla legge statale.
Nel caso di specie, non e' sufficiente sostenere, come fa la
Regione ricorrente, che le disposizioni del decreto-legge «incidono
sull'esercizio delle funzioni proprie delle Regioni nei settori della
"tutela della salute", della "tutela del lavoro", dell'"istruzione",
della "formazione professionale", del "governo del territorio", con
riferimento all'edilizia residenziale pubblica, e dell'"assistenza
sociale", nonche' sulle corrispondenti funzioni amministrative
regionali e locali». Di fronte a un atto legislativo, quale il d.l.
n. 113 del 2018, a contenuto normativo differenziato, che incide su
diversi settori dell'ordinamento giuridico, tutti riferibili, come si
vedra' a breve, alla competenza esclusiva dello Stato, la ridondanza
del vizio sulle competenze regionali e locali deve essere argomentata
in relazione allo specifico contenuto normativo del decreto e alla
idoneita' dello stesso a obbligare la Regione a esercitare le proprie
attribuzioni in conformita' a una disciplina legislativa statale in
contrasto con norme costituzionali.
6.- Occorre ora passare allo scrutinio delle altre questioni
promosse nei confronti degli artt. 1, 12 e 13 del d.l. n. 113 del
2018.
7.- L'art. 1 del d.l. n. 113 del 2018 reca «[d]isposizioni in
materia di permesso di soggiorno per motivi umanitari e disciplina di
casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di
carattere umanitario». Per effetto di tale articolo, il legislatore
ha soppresso l'istituto generale e atipico del permesso di soggiorno
per motivi umanitari, di cui all'art. 5, comma 6, del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero), e in sua vece ha contestualmente previsto alcuni
«speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere
umanitario».
Secondo le Regioni ricorrenti la sostituzione di un permesso di
soggiorno di carattere generale con alcune fattispecie tipizzate
determinerebbe una restrizione dell'ambito di applicazione della
protezione per motivi umanitari, con conseguente violazione di
numerosi parametri costituzionali (artt. 2, 3, 10, 31, 32, 34, 35 e
97 Cost., oltre all'art. 77 Cost.), europei e internazionali (e
quindi anche degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.) e con
ricadute, sia pure indirette, sulle competenze concorrenti e
residuali delle Regioni in materia di assistenza sociale e sanitaria,
di formazione e politiche attive del lavoro, di istruzione ed
edilizia residenziale pubblica, oltre che sulle funzioni degli enti
locali, in violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, 118 e
119 Cost.
7.1.- Lo scrutinio delle censure prospettate nei confronti
dell'art. 1 del d.l. n. 113 del 2018 impone, secondo la costante
giurisprudenza costituzionale (tra le piu' recenti, sentenze n. 116 e
n. 100 del 2019, n. 246 e n. 148 del 2018), l'individuazione
dell'ambito materiale al quale vanno ascritte le disposizioni
impugnate, tenendo conto della loro ratio, della finalita', del
contenuto e dell'oggetto della disciplina. Allo scopo si rende dunque
necessario ricostruire sinteticamente l'istituto della protezione
umanitaria, prima e dopo l'impugnato intervento statale.
7.2.- Il sistema della protezione dello straniero in Italia e'
articolato su tre livelli: il riconoscimento dello status di
rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.
Mentre le prime due forme di protezione trovano fonte diretta
nelle normative internazionali ed europee, la protezione umanitaria
e' un istituto riconducibile a previsioni dell'ordinamento interno.
Lo status di rifugiato e' regolato dalla Convenzione di Ginevra
del 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva in Italia con la
legge 24 luglio 1954, n. 722, esplicitamente richiamata dalle
rilevanti direttive dell'Unione europea come «pietra angolare della
disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei
rifugiati» (direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004,
recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti
bisognosa di protezione internazionale, nonche' norme minime sul
contenuto della protezione riconosciuta, poi abrogata dalla direttiva
2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre
2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o
apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione
internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le
persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria,
nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta). Tale status e'
riconosciuto a chi si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza
o la dimora abituale e non voglia farvi ritorno «per il timore
fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione,
nazionalita', opinione politica o appartenenza a un determinato
gruppo sociale» (art. 2, lettera d, della direttiva 2011/95/UE che
riprende la Convenzione di Ginevra).
La «protezione sussidiaria» e' regolata dalle citate direttive UE
ed e' accordata a chi non possiede i requisiti per essere
riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono fondati
motivi per ritenere che, se ritornasse nel paese di origine,
correrebbe «un rischio effettivo di subire un grave danno» (art. 2,
lettera f, della direttiva 2011/95/UE), con cio' intendendosi la pena
di morte o l'essere giustiziato, la tortura o altra forma di pena o
trattamento inumano o degradante, ovvero la minaccia grave e
individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza
indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o
internazionale (art. 15 della direttiva 2011/95/UE).
Quanto alla «protezione umanitaria», l'art. 6, paragrafo 4, della
direttiva 115/2008/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16
dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli
Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui
soggiorno e' irregolare, prevede la possibilita' - non gia' l'obbligo
- per gli Stati membri di estendere l'ambito delle forme di
protezione tipiche sino a ricomprendere «motivi umanitari,
caritatevoli o di altra natura», rilasciando allo scopo un apposito
permesso di soggiorno. A detta facolta', gli Stati membri hanno dato
attuazione nei modi piu' vari.
Dunque, lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria,
specificazione della medesima voce «protezione internazionale», sono
accordati in osservanza di obblighi europei e internazionali: il
primo per proteggere la persona da atti di persecuzione; la seconda
per evitare che questa possa subire un grave danno. Viceversa, la
protezione umanitaria e' rimessa in larga misura alla
discrezionalita' dei singoli Stati, per rispondere a esigenze
umanitarie, caritatevoli o di altra natura.
Col decreto-legge in esame, il legislatore nazionale e'
intervenuto solo sull'istituto della protezione umanitaria, senza
incidere su quella dovuta in base a obblighi europei e
internazionali.
7.3.- Nell'ordinamento italiano, la protezione umanitaria fu
immessa per la prima volta a opera dell'art. 14, comma 3, della legge
30 settembre 1993, n. 388, recante «Ratifica ed esecuzione: a) del
protocollo di adesione del Governo della Repubblica italiana
all'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i Governi degli Stati
dell'Unione economica del Benelux, della Repubblica federale di
Germania e della Repubblica francese relativo all'eliminazione
graduale dei controlli alle frontiere comuni, con due dichiarazioni
comuni; b) dell'accordo di adesione della Repubblica italiana alla
convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione del summenzionato
accordo di Schengen, con allegate due dichiarazioni unilaterali
dell'Italia e della Francia, nonche' la convenzione, il relativo atto
finale, con annessi l'atto finale, il processo verbale e la
dichiarazione comune dei Ministri e Segretari di Stato firmati in
occasione della firma della citata convenzione del 1990, e la
dichiarazione comune relativa agli articoli 2 e 3 dell'accordo di
adesione summenzionato; c) dell'accordo tra il Governo della
Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica francese relativo
agli articoli 2 e 3 dell'accordo di cui alla lettera b); tutti atti
firmati a Parigi il 27 novembre 1990», che ha modificato le
condizioni di soggiorno degli stranieri regolate dal decreto-legge 30
dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di
ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari e di
regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed apolidi gia'
presenti nel territorio dello Stato), convertito, con modificazioni,
in legge 28 febbraio 1990, n. 39.
Il citato art. 14 della legge n. 388 del 1993 configurava la
protezione umanitaria come ipotesi di deroga al rigetto (e alla
revoca) della domanda di permesso di soggiorno, deroga consentita
appunto quando ricorressero seri motivi di carattere umanitario. Tale
articolo, infatti, prevedeva che un provvedimento di rifiuto o di
revoca del permesso di soggiorno potesse essere adottato quando lo
straniero non soddisfacesse le condizioni di soggiorno applicabili
nel territorio di uno degli Stati contraenti, salvo che ricorressero
«seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da
obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano» (art.
4, comma 12-ter, del d.l. n. 416 del 1989).
Questo originario riferimento alle esigenze di carattere
umanitario, suscettibili di evitare il rifiuto o la revoca del
permesso di soggiorno, e' stato testualmente ripreso dall'art. 5,
comma 6, della legge 6 marzo 1998, n. 40 (Disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), per poi
sedimentarsi nell'art. 5, comma 6, del t.u. immigrazione, il cui
testo prevedeva, fino all'entrata in vigore del decreto-legge in
esame, che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno potessero
essere adottati quando lo straniero non soddisfacesse le condizioni
di soggiorno salva la ricorrenza di «seri motivi, in particolare di
carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o
internazionali dello Stato italiano». Il permesso di soggiorno per
motivi umanitari era rilasciato dal questore secondo le modalita'
previste nel regolamento di attuazione.
A seguito dell'introduzione della protezione internazionale (a
opera del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, intitolato
«Attuazione della direttiva 2004/83/CE recante norme minime
sull'attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della
qualifica del rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di
protezione internazionale, nonche' norme minime sul contenuto della
protezione riconosciuta»), nelle due forme del riconoscimento dello
status di rifugiato e di beneficiario di protezione sussidiaria, era
altresi' previsto che, in caso di non accoglimento della domanda di
protezione internazionale, le competenti commissioni territoriali
trasmettessero gli atti al questore per l'eventuale rilascio del
permesso di soggiorno ai sensi dell'art. 5, comma 6, del t.u.
immigrazione, qualora sussistessero «gravi motivi di carattere
umanitario» (art. 32, comma 3, del decreto legislativo 28 gennaio
2008, n. 25, intitolato «Attuazione della direttiva 2005/85/CE
recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai
fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»).
Per completare il quadro normativo immediatamente precedente
all'entrata in vigore della disposizione impugnata, occorre ancora
menzionare che, accanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari
di cui all'art. 5, comma 6, il t.u. immigrazione prevedeva altresi'
alcune fattispecie particolari di permesso di soggiorno (per motivi
di protezione sociale, ex art. 18; per particolare sfruttamento
lavorativo, ex art. 22, comma 12-quater; per le vittime di violenza
domestica, ex art. 18-bis), in cui erano comunque evidenti le
esigenze di carattere umanitario sottese alle singole fattispecie.
7.4.- La protezione umanitaria ha ricevuto ampia applicazione
nella prassi giurisprudenziale, che ne ha via via precisato i
contorni, grazie all'attivita' interpretativa della giurisprudenza di
merito e di legittimita' che ha assicurato l'effettivita' del quadro
normativo ora brevemente descritto alla luce delle esigenze di tutela
dei diritti fondamentali della persona, garantiti dalla Costituzione
e dagli altri strumenti di tutela europea e internazionale.
Secondo la Corte di cassazione, in particolare, il permesso di
soggiorno per motivi umanitari si collega al diritto di asilo
costituzionale, di cui all'art. 10, terzo comma, Cost., oltre che
alla «protezione complementare» che la normativa europea consente
agli Stati membri di riconoscere, anche per motivi umanitari o
caritatevoli, alle persone che non possono rivendicare lo status di
rifugiato e neppure beneficiare della protezione sussidiaria, benche'
siano minacciate nei propri diritti fondamentali in caso di rinvio
nel paese d'origine (cosi', tra le molte, Cassazione civile, sezioni
unite, sentenze 11 dicembre 2018, n. 32177 e n. 32044). Inoltre,
nella giurisprudenza di legittimita' immediatamente anteriore alle
modifiche introdotte dal decreto impugnato, i «seri motivi umanitari»
erano tutti accomunati dallo scopo di tutelare situazioni di
vulnerabilita' attuali o accertate, con giudizio prognostico, come
conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di
un'esigenza concernente la salvaguardia di diritti umani fondamentali
protetti a livello costituzionale e internazionale (Corte di
cassazione, sezione prima civile, ordinanza 12 novembre 2018, n.
28996).
7.5.- In tale cornice normativa, e' intervenuto l'impugnato art.
1 del d.l. n. 113 del 2018 che ha eliminato dall'art. 5, comma 6, del
t.u. immigrazione il riferimento ai «seri motivi di carattere
umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali
dello Stato italiano» e, piu' in generale, ha espunto
dall'ordinamento ogni riferimento al permesso di soggiorno «per
motivi umanitari» contenuto in diversi testi normativi. Tuttavia, la
medesima disposizione ha contestualmente delineato una serie di «casi
speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di
carattere umanitario».
In sintesi, per effetto dell'impugnato art. 1 del d.l. n. 113 del
2018, il permesso di soggiorno per motivi umanitari, che scompare
come istituto generale e atipico, viene sostituito dai seguenti
permessi di soggiorno: a) permessi di soggiorno per «casi speciali»
(ipotesi di cui agli artt. 18, 18-bis e 22, comma 12-quater, del t.u.
immigrazione); b) permesso di soggiorno per «cure mediche» (ipotesi
di cui all'art. 19, comma 2, lettera d-bis); c) permesso di soggiorno
per calamita' (ipotesi di cui all'art. 20-bis); d) permesso di
soggiorno per motivi di particolare valore civile (ipotesi di cui
all'art. 42-bis).
I permessi di soggiorno per «casi speciali» (ipotesi di cui agli
artt. 18, 18-bis e 22, comma 12-quater, del t.u. immigrazione),
sostituiscono i precedenti permessi di soggiorno «per motivi di
protezione sociale», «per vittime di violenza domestica» e «per
particolare sfruttamento lavorativo», dei quali mantengono
sostanzialmente invariata la portata.
In particolare, lo speciale permesso di cui all'art. 18 del t.u.
immigrazione e' rilasciato dal questore quando siano accertate
situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno
straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumita' per
effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di
un'organizzazione criminale dedita allo sfruttamento della
prostituzione, al fine di consentirgli di sottrarsi alla violenza e a
detti condizionamenti nonche' di partecipare a un programma di
assistenza e integrazione sociale.
Il permesso di cui al successivo art. 18-bis e' rilasciato dal
questore a fronte di accertate situazioni di violenza o abuso per
consentire alla vittima di sottrarsi alla violenza domestica, con
cio' intendendosi «uno o piu' atti, gravi ovvero non episodici, di
violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano
all'interno della famiglia o del nucleo familiare o tra persone
legate, attualmente o in passato, da un vincolo di matrimonio o da
una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l'autore di
tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la
vittima».
Il permesso di cui all'art. 22, comma 12-quater, e' rilasciato
dal questore nelle ipotesi di particolare sfruttamento lavorativo,
allo straniero che abbia presentato denuncia e cooperi nel
procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro.
Il permesso di soggiorno per «cure mediche» (di cui all'art. 19,
comma 2, lettera d-bis) e' rilasciato dal questore agli stranieri che
versino in condizioni di salute di particolare gravita', accertate
mediante idonea documentazione proveniente da una struttura sanitaria
pubblica o da un medico convenzionato con il Servizio sanitario
nazionale, e tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute
degli stessi in caso di rientro nel paese di origine o di
provenienza.
Il permesso di soggiorno per calamita' (di cui all'art. 20-bis)
e' rilasciato dal questore quando il paese verso il quale lo
straniero dovrebbe fare ritorno versa in una situazione di
contingente ed eccezionale calamita' che non consente il rientro e la
permanenza in condizioni di sicurezza.
Il permesso di soggiorno per atti di particolare valore civile
(di cui all'art. 42-bis), infine, deve essere autorizzato dal
Ministro dell'interno, su proposta del prefetto competente, ed e'
rilasciato nei casi in cui lo straniero abbia compiuto atti di
particolare valore civile.
Accanto a dette ipotesi, il legislatore, modificando l'art. 32,
comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008, ha poi introdotto un nuovo
permesso di soggiorno per «protezione speciale» per i casi in cui non
si accolga la domanda di protezione internazionale dello straniero e
al contempo ne sia vietata l'espulsione o il respingimento,
nell'eventualita' che questi «possa essere oggetto di persecuzione
per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali,
ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel
quale non sia protetto dalla persecuzione» (art. 19, comma 1, del
t.u. immigrazione), oppure esistano fondati motivi di ritenere che
rischi di essere sottoposto a tortura (art. 19, comma 1.1., del t.u.
immigrazione).
In sintesi, con l'impugnato art. 1 del d.l. n. 113 del 2018 il
legislatore e' intervenuto sulle qualifiche che danno titolo ai
permessi di soggiorno sul territorio nazionale specificando, in un
ventaglio di ipotesi nominate, i «seri motivi di carattere
umanitario» prima genericamente enunciati all'art. 5, comma 6, del
t.u. immigrazione.
7.6.- Non vi e' alcun dubbio che tale intervento sia esercizio di
competenze legislative esclusive dello Stato, ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, Cost.
Come osservato dalle stesse ricorrenti, viene innanzitutto in
rilievo la materia «immigrazione», di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera b), Cost. Essa infatti comprende, come la
giurisprudenza di questa Corte ha gia' chiarito, non solo gli
«aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di
ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale» (sentenza n. 2 del
2013, cosi' come sentenze n. 61 del 2011, n. 299 del 2010 e n. 134
del 2010), ma, ed e' cio' che qui rileva, le condizioni per il
rilascio del permesso di soggiorno (sentenza n. 156 del 2006).
Questa Corte ha anche piu' volte precisato che il legislatore
statale gode di «ampia» discrezionalita' nella disciplina di detta
materia (sentenze n. 277 del 2014, n. 202 del 2013 e n. 172 del
2012), dato che essa e' «collegata al bilanciamento di molteplici
interessi pubblici» (tra le molte, sentenze n. 172 del 2012 e n. 250
del 2010); e che, pur disponendo di tale ampia discrezionalita', il
legislatore naturalmente resta sempre tenuto al rispetto degli
obblighi internazionali, sulla base dell'art. 117, primo comma,
Cost., e costituzionali (sentenze n. 202 del 2013, n. 172 del 2012 e
n. 245 del 2011), compreso il criterio di ragionevolezza intrinseca
(tra le altre, sentenza n. 172 del 2012).
Le medesime disposizioni impugnate, peraltro, sono anche
espressione della competenza legislativa statale in materia di
«diritto di asilo», di cui all'art. 117, secondo comma, lettera a),
Cost., che nell'ordinamento costituzionale italiano copre uno spettro
piu' ampio rispetto al diritto dei rifugiati di cui alla citata
Convenzione di Ginevra. Per la definizione del contenuto di tale
materia, infatti, ci si deve riferire all'art. 10, terzo comma,
Cost., che appunto riconosce il «diritto d'asilo nel territorio della
Repubblica» come diritto fondamentale dello straniero «al quale sia
impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta'
democratiche garantite dalla Costituzione italiana».
A favore di un inquadramento delle disposizioni impugnate nella
materia «diritto di asilo» depone la consolidata giurisprudenza di
legittimita' che, in riferimento alla disciplina previgente, aveva
ritenuto che il diritto di asilo costituzionale ex art. 10, terzo
comma, Cost. avesse ricevuto integrale attuazione grazie al concorso
dei tre istituti concernenti la protezione dei migranti: la tutela
dei rifugiati, la protezione sussidiaria di origine europea e la
protezione umanitaria (tra le molte, Corte di Cassazione, sezione
prima civile, ordinanza 15 maggio 2019, n. 13082; sezione sesta
civile, ordinanza 19 aprile 2019, n. 11110; sezione sesta civile,
ordinanza 4 agosto 2016, n. 16362). Di conseguenza, ogni intervento
legislativo che, indipendentemente dal suo contenuto, incida, come
quello oggetto delle presenti questioni di costituzionalita',
sull'uno o sull'altro dei tre istituti che danno vita nel loro
complesso alla disciplina dell'asilo costituzionale deve per cio'
stesso essere ascritto alla materia denominata «diritto di asilo», di
esclusiva competenza dello Stato, in base all'art. 117, secondo
comma, lettera a), Cost.
7.7.- La circostanza che si tratti di disposizioni adottate dallo
Stato nell'esercizio di proprie competenze legislative esclusive fa
si' che non siano configurabili violazioni dirette del riparto di
competenze disegnato dal Titolo V, Parte II, della Costituzione;
tuttavia cio' non implica che le Regioni non possano denunciare la
violazione di parametri costituzionali diversi da quelli relativi al
riparto di competenze, assumendo la lesione indiretta di proprie
attribuzioni costituzionalmente garantite (sentenze n. 139, n. 73 e
n. 17 del 2018, e n. 412 del 2001).
Con riguardo alle disposizioni in esame, in effetti, le Regioni
prospettano lesioni indirette alle loro competenze, lamentando che le
modalita' attraverso le quali lo Stato ha esercitato le proprie
competenze legislative, in quanto asseritamente viziate da
illegittimita' costituzionale, per la violazione dei parametri
costituzionali e internazionali sopra richiamati, condizionerebbero
l'esercizio di numerose competenze legislative regionali sia di tipo
concorrente che di tipo residuale, in materia di assistenza sociale,
tutela della salute, formazione e politiche attive del lavoro,
istruzione ed edilizia residenziale pubblica. In particolare, le
ricorrenti ritengono che la disposizione impugnata restringerebbe
illegittimamente la platea delle persone regolarmente soggiornanti
sul territorio e con essa anche quella dei destinatari delle
prestazioni sociali garantite dalle Regioni, costringendo queste
ultime, al pari degli enti locali di cui esse affermano essere
sostituti processuali, a esercitare le loro competenze in contrasto
con la Costituzione.
Come gia' ricordato, questa Corte ha costantemente affermato che
le questioni sollevate dalle Regioni in riferimento a parametri non
attinenti al riparto delle competenze statali e regionali sono
ammissibili quando la disposizione statale, pur conforme al riparto
costituzionale delle competenze, obbligherebbe le Regioni -
nell'esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative o
finanziarie - a conformarsi a una disciplina legislativa
asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto,
estranei a tale riparto (tra le altre, sentenze n. 5 del 2018, n. 287
e n. 244 del 2016). Tuttavia, in presenza di un intervento normativo
ascrivibile all'esercizio di potesta' legislativa esclusiva spettante
allo Stato, affinche' una censura basata sulla violazione indiretta
delle competenze regionali sia ammissibile, occorre che essa sia
adeguatamente argomentata.
7.8.- Alla luce dei suddetti criteri, le questioni aventi a
oggetto l'art. 1 del d.l. n. 113 del 2018 non sono ammissibili.
Il vizio di incostituzionalita' della legge statale lamentato
dalle ricorrenti consisterebbe in una illegittima restrizione dei
titoli di soggiorno e nella conseguente illegittima esclusione di una
quota di persone dal novero della popolazione regolarmente residente
sul territorio e beneficiaria delle prestazioni sociali erogate dalle
Regioni (e dagli enti locali). Tutte le censure danno per certo che
l'effetto concreto delle disposizioni impugnate sia quello di ridurre
il numero dei titolari di un regolare permesso di soggiorno. Tuttavia
tale motivazione non e' sufficiente a dimostrare la ridondanza in
concreto sulle competenze regionali, alla luce del dato normativo
come sopra illustrato. Gli argomenti addotti dalle ricorrenti si
basano sull'assunto indimostrato che il passaggio da un permesso di
soggiorno generale e atipico, per «seri motivi di carattere
umanitario», a una serie di «casi speciali», comporti di per se' una
restrizione della protezione complementare contraria a Costituzione.
Invero, l'effettiva portata dei nuovi permessi speciali potra'
essere valutata solo in fase applicativa, nell'ambito della prassi
amministrativa e giurisprudenziale che andra' formandosi, in
relazione alle esigenze dei casi concreti e alle singole fattispecie
che via via si presenteranno. In proposito, e' appena il caso di
osservare che l'interpretazione e l'applicazione dei nuovi istituti,
in sede sia amministrativa che giudiziale, sono necessariamente
tenute al rigoroso rispetto della Costituzione e dei vincoli
internazionali, nonostante l'avvenuta abrogazione dell'esplicito
riferimento agli «obblighi costituzionali o internazionali dello
Stato italiano» precedentemente contenuto nell'art. 5, comma 6, del
t.u. immigrazione.
In questo senso, del resto, si e' espresso, in sede di emanazione
del decreto impugnato, il Presidente della Repubblica il quale, nella
lettera indirizzata al Presidente del Consiglio dei ministri il 4
ottobre 2018, ha sottolineato che «restano "fermi gli obblighi
costituzionali e internazionali dello Stato", pur se non
espressamente richiamati nel testo normativo, e, in particolare,
quanto direttamente disposto dall'art. 10 della Costituzione e quanto
discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia». Anche la
stessa relazione illustrativa del disegno di legge di conversione
conferma che l'intervento legislativo si muove nel solco tracciato
dagli obblighi costituzionali e internazionali della Repubblica, da
esso, appunto, in nessun modo menomati.
La doverosa applicazione del dato legislativo in conformita' agli
obblighi costituzionali e internazionali potrebbe rivelare che il
paventato effetto restrittivo rispetto alla disciplina previgente sia
contenuto entro margini costituzionalmente accettabili. Diversamente
questa Corte potra' essere adita in via incidentale, restando
ovviamente impregiudicata, all'esito della presente pronuncia, ogni
ulteriore valutazione di legittimita' costituzionale della
disposizione in esame.
Dato quindi il carattere ipotetico e meramente eventuale delle
questioni, cosi' come prospettate dalle ricorrenti, non puo' dirsi
dimostrato l'illegittimo condizionamento indiretto delle competenze
regionali denunciato nei ricorsi.
7.9.- Va ricordato, infine, che, anche qualora le norme statali
impugnate producessero l'effetto di escludere una parte delle persone
che in precedenza avrebbe avuto diritto al permesso umanitario dal
godimento dei nuovi permessi speciali, non sarebbe comunque impedito
oggi alle Regioni di continuare a offrire alle medesime persone le
prestazioni in precedenza loro assicurate nell'esercizio delle
proprie competenze legislative concorrenti o residuali.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, le Regioni
possono erogare prestazioni anche agli stranieri in posizione di
irregolarita' e possono farlo senza che cio' interferisca in alcun
modo con le regole per il rilascio del permesso di soggiorno, che
restano riservate alla legge statale sulla base della competenza
esclusiva in materia di «immigrazione» e «diritto di asilo» (in
particolare le sentenze n. 61 e del 2011 e n. 269 del 2010) Le
Regioni, del resto, non offrono elementi concreti «in relazione
all'entita' della compressione finanziaria» (sentenza n. 79 del 2018)
che potrebbe derivare da scelte di questo tipo.
Anche sotto questi profili, dunque, le ragioni addotte dalle
ricorrenti a sostegno della "ridondanza" non consentono di superare
il vaglio di ammissibilita'.
8.- Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Marche e Calabria
promuovono questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 12 del
d.l. n. 113 del 2018, avanzando censure variamente articolate,
illustrate nel Ritenuto in fatto.
8.1.- Come gia' evidenziato in relazione all'art. 1 del d.l. n.
113 del 2018, lo scrutinio di tali censure impone l'individuazione
dell'ambito materiale al quale va ascritta la disposizione impugnata.
Cio' implica la necessita' di una, sia pur sintetica,
ricostruzione della disciplina normativa del sistema italiano di
accoglienza dei richiedenti asilo.
8.2.- Prima delle modifiche apportate dal cosiddetto decreto
sicurezza, l'accoglienza dei richiedenti asilo - all'esito di un
percorso evolutivo caratterizzato dalla necessita' di gestire "in
emergenza" afflussi massicci di cittadini stranieri sul territorio
nazionale - era imperniata, in forza delle previsioni del decreto
legislativo 18 agosto 2015, n. 142 (Attuazione della direttiva
2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti
protezione internazionale, nonche' della direttiva 2013/32/UE,
recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca
dello status di protezione internazionale), su un sistema articolato
in piu' fasi e finanziato dal Fondo nazionale per le politiche e i
servizi dell'asilo (d'ora innanzi: FNPSA), istituito dall'art.
1-septies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti
in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini
extracomunitari e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari
ed apolidi gia' presenti nel territorio dello Stato), convertito, con
modificazioni, in legge 28 febbraio 1990, n. 39, e successivamente
modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla
normativa in materia di immigrazione e di asilo).
Una fase iniziale, dedicata al soccorso, all'assistenza immediata
e all'identificazione, si svolgeva nell'ambito di centri governativi
situati in corrispondenza dei luoghi maggiormente interessati dagli
afflussi (art. 8, comma 2, del d.lgs. n. 142 del 2015). A essa
seguiva una fase di prima accoglienza, riservata alla verbalizzazione
della domanda di protezione e all'avvio della procedura di esame
della stessa, nonche' all'accertamento delle condizioni di salute del
cittadino straniero: pure tale fase si svolgeva in centri governativi
(art. 9 del d.lgs. n. 142 del 2015), anche istituiti in via
straordinaria (art. 11 del d.lgs. n. 142 del 2015). La procedura
contemplava, infine, il passaggio alla fase di cosiddetta seconda
accoglienza: gli stranieri che avessero formalizzato la domanda di
asilo e fossero privi di mezzi di sussistenza adeguati, venivano
avviati (ai sensi dell'art. 14 del d.lgs. n. 142 del 2015) nelle
strutture territoriali che costituivano il Sistema di protezione per
i richiedenti asilo e i rifugiati (d'ora innanzi: SPRAR), previsto
dall'art. 1-sexies del d.l. n. 416 del 1989, come convertito e
successivamente modificato. Tale sistema era affidato agli enti
locali, aderenti a esso su base volontaria, previa approvazione di
progetti finanziati quasi per intero dal Ministero dell'interno e
finalizzati all'inclusione ed integrazione sociale dei soggetti
ospitati, grazie ad attivita' e servizi la cui erogazione era
comunque limitata nel tempo, anche per la scarsita' dei posti a
disposizione rispetto ai soggetti in accoglienza.
L'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 modifica tale sistema, con un
complesso reticolo di innovazioni incidenti sia sul d.l. n. 416 del
1989 sia sul d.lgs. n. 142 del 2015.
In linea generale, puo' affermarsi che lo scopo dell'intervento
legislativo e' quello di riservare i progetti di integrazione e
inclusione sociale, attivati nell'ambito della cosiddetta seconda
fase del sistema di accoglienza territoriale previsto dall'articolo
1-sexies del d.l. n. 416 del 1989, come convertito e successivamente
modificato, esclusivamente ai soggetti gia' titolari di protezione
internazionale, ai minori stranieri non accompagnati nonche' ai
titolari di specifici permessi di soggiorno individuati dal
cosiddetto decreto sicurezza, che hanno sostituito, come si e' visto,
il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
L'accoglienza dei richiedenti asilo, invece, e' assicurata
esclusivamente dai centri governativi attivati ai sensi degli
articoli 9 e 11 del d.lgs. n. 142 del 2015.
Il comma 1 dell'art. 12 interviene sull'art. 1-sexies del d.l. n.
416 del 1989, modificandone, in particolare, il primo comma, nel
senso di restringere la platea di coloro che possono accedere ai
servizi territoriali locali (cosiddetti di seconda accoglienza), ora
limitata agli stranieri che abbiano un titolo tendenzialmente stabile
e definitivo a permanere sul territorio dello Stato.
Viene riformulato anche il comma 2 dell'art. 1-sexies del citato
d.l. n. 416 del 1989, che disciplina il finanziamento dei progetti
presentati dagli enti locali: la nuova disposizione stabilisce, in
particolare, che, con decreto del Ministro dell'interno, sentita la
Conferenza unificata (che si specifica debba esprimersi entro trenta
giorni) sono definiti i criteri e le modalita' per la presentazione
da parte degli enti locali delle domande di contributo per la
realizzazione e la prosecuzione dei progetti di accoglienza; sempre
con decreto del Ministro dell'interno si provvede poi all'ammissione
al finanziamento dei progetti presentati dagli enti locali, nei
limiti delle risorse disponibili del FNPSA.
Si provvede, inoltre, a ridenominare lo SPRAR in «Sistema di
protezione per titolari di protezione internazionale e per i minori
stranieri non accompagnati» (d'ora innanzi: SIPROIMI).
Il comma 2 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 interviene
invece sul d.lgs. n. 142 del 2015, in modo da ristrutturare
l'impianto complessivo del sistema di accoglienza, nel senso di
espungere i frammenti normativi che facevano riferimento ai
richiedenti asilo in relazione alle strutture ex SPRAR, alle quali
tali soggetti non hanno piu' accesso.
Per quanto d'interesse in questa sede, viene eliminata, sempre
rispetto ai richiedenti asilo, la distinzione tra la fase di prima
accoglienza assicurata nelle strutture governative e la fase di
seconda accoglienza nelle strutture gestite dagli enti locali, alle
quali ultime i richiedenti protezione internazionale non hanno piu'
accesso.
Viene riformulato l'art. 14 del d.lgs. n. 142 del 2015, sin dalla
sua rubrica, che non e' piu' dedicata alla disciplina del «Sistema di
accoglienza territoriale», ma alle «Modalita' di accesso al sistema
di accoglienza». Vengono puntualmente abrogate le parti concernenti
l'ex SPRAR e, all'esito delle modifiche introdotte, la disposizione
prevede che il richiedente che ha formalizzato la domanda e che
risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualita' di vita
adeguata al sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso,
con questi ultimi, alle misure di accoglienza disciplinate dal
medesimo decreto (ossia a quelle garantite dai centri governativi di
accoglienza di cui agli artt. 9 e 11).
Dell'art. 22 del d.lgs. n. 142 del 2015, che disciplina il lavoro
e la formazione professionale per i richiedenti asilo, viene abrogato
il comma 3, che prevedeva, per questi ultimi, la possibilita' di
frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti
dal programma dell'ente locale nell'ambito del servizio territoriale
di accoglienza.
Infine, ed analogamente, l'art. 22-bis del d.lgs. n. 142 del
2015, che disciplina la partecipazione ad attivita' di utilita'
sociale, viene novellato, con la sostituzione nei commi 1 e 3
dell'espressione «richiedenti protezione internazionale» con
l'espressione «titolari di protezione internazionale».
I commi 5, 5-bis e 6 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018
contengono disposizioni transitorie, dedicate a coloro che fossero
gia' accolti nell'ambito del sistema SPRAR alla data di entrata in
vigore del cosiddetto decreto sicurezza.
Nel caso dei richiedenti asilo (comma 5) si prevede che essi
rimangano nel sistema ex SPRAR fino alla scadenza del progetto di
accoglienza in corso gia' finanziato. Viene ribadita la continuita'
dell'accoglienza per i neo maggiorenni richiedenti asilo (comma
5-bis) fino alla definizione della domanda di protezione
internazionale. Infine, quanto ai titolari di protezione umanitaria
(comma 6), si prevede che essi restino all'interno dell'ex SPRAR fino
alla scadenza del periodo previsto dalle disposizioni di attuazione
sul funzionamento del sistema medesimo e comunque non oltre la
scadenza del progetto di accoglienza.
Il comma 7 dell'art. 12, infine, prevede una clausola di
neutralita' finanziaria.
8.3.- Le Regioni ricorrenti, in generale, ascrivono la disciplina
impugnata alla materia «immigrazione», di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera b), Cost., di competenza esclusiva statale.
Si e' gia' osservato che la giurisprudenza di questa Corte
riconduce alla materia «immigrazione», tra l'altro, gli interventi
pubblici connessi alla programmazione dei flussi di ingresso ovvero
al soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale.
Come illustrato in precedenza - e come confermato dalla relazione
di accompagnamento al disegno di legge di conversione del
decreto-legge - la normativa in esame non gia' si occupa dei flussi
di ingresso degli stranieri sul territorio nazionale, ne'
semplicemente regola le condizioni del loro soggiorno su di esso.
Essa ha invece di mira l'esigenza di riservare prioritariamente
l'accesso al sistema finalizzato all'integrazione a quei soggetti la
cui condizione e' connotata da una tendenziale stabilita', derivante
dall'accoglimento della richiesta di protezione internazionale.
Il filo conduttore delle molteplici disposizioni di cui si
compone il censurato art. 12, in particolare, e' ravvisabile nella
rimodulazione della platea di soggetti legittimati a usufruire dei
servizi di inclusione e integrazione offerti dalle strutture
territoriali, in base ai progetti finanziati, quasi per l'intero, con
le risorse del FNPSA.
L'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018, dunque, presenta alcune
connessioni con il fenomeno migratorio, e le Regioni ricorrenti non
errano quando individuano, come ambito materiale parzialmente
coinvolto, quello dell'«immigrazione» (art. 117, secondo comma,
lettera b, Cost.). Tuttavia, l'intervento normativo di cui si ragiona
deve essere inquadrato soprattutto nelle materie «diritto d'asilo» e
«condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti
all'Unione europea» contemplate dall'art. 117, secondo comma, lettera
a), Cost., sempre di competenza esclusiva statale. Con ogni evidenza,
la disposizione censurata disciplina, infatti, il trattamento di
coloro che - una volta fatto ingresso nel territorio dello Stato -
richiedono all'Italia protezione internazionale.
8.4.- La riconducibilita' dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 a
materie comunque attribuite alla potesta' legislativa esclusiva dello
Stato esclude anche in questo caso la configurabilita' di violazioni
dirette del riparto di competenze disegnato dal Titolo V, Parte II,
della Costituzione.
Vero che, secondo la giurisprudenza costituzionale (da ultimo,
sentenza n. 2 del 2013), in linea di principio, e' riconosciuta la
possibilita' di interventi legislativi delle Regioni e delle Province
autonome con riguardo al fenomeno dell'immigrazione, in relazione ad
ambiti materiali - dall'assistenza sociale all'istruzione, dalla
salute all'abitazione - attribuiti alla competenza concorrente e
residuale delle Regioni (sentenze n. 299 e n. 134 del 2010, n. 156
del 2006, n. 300 del 2005).
Come si e' chiarito, tuttavia, si e' nel caso di specie al
cospetto di un intervento normativo pienamente ascrivibile
all'esercizio di plurime competenze esclusive statali, come, del
resto, riconosciuto dalle stesse Regioni ricorrenti.
Ne consegue che le censure mosse nei confronti dell'art. 12
prospettano, a ben vedere, lesioni indirette di competenza, in
conseguenza della violazione di parametri estranei al Titolo V, Parte
II, della Costituzione.
Tale ricostruzione e', del resto, coerente con l'impianto dei
ricorsi regionali. Tutte le Regioni ricorrenti hanno, infatti,
individuato, in primo luogo, ambiti di propria competenza (o di
competenza degli enti locali, le cui attribuzioni esse sono abilitate
a tutelare nel giudizio costituzionale), nei quali avrebbero
concretamente esercitato funzioni legislative e amministrative. In
cio' risiede la ragione dell'evocazione dei parametri di cui agli
artt. 114, 117, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119 e 120 Cost. In
secondo luogo, lamentano che tali ambiti sarebbero stati
indirettamente incisi dalla normativa impugnata, ritenuta
costituzionalmente illegittima per violazione di parametri estranei
al Titolo V, Parte II, della Costituzione.
I parametri costituzionali evocati sono, oltre all'art. 77, gli
artt. 3 e 97 Cost., che presidiano i principi di ragionevolezza e
buon andamento della pubblica amministrazione; l'art. 2 Cost., che
garantisce tutela ai diritti fondamentali delle persone; gli artt. 4
e 35 Cost., sul diritto al lavoro; gli artt. 10, 11 e 117, primo
comma, Cost. in riferimento al rispetto degli obblighi internazionali
ed europei, e in relazione a diversi parametri interposti, costituiti
da norme della CEDU e da norme di diritto dell'Unione.
8.5.- Cio' posto, tutte le questioni sollevate sono
inammissibili, come eccepito dall'Avvocatura generale dello Stato,
per difetto di motivazione sull'asserita lesione indiretta delle
competenze delle Regioni e degli enti locali.
Secondo la gia' menzionata giurisprudenza costituzionale
(sentenza n. 145 del 2016; in senso analogo, successivamente,
sentenze n. 198 e n. 137 del 2018), le questioni sollevate dalle
Regioni in riferimento a parametri non attinenti al riparto delle
competenze statali e regionali «sono ammissibili al ricorrere di due
concomitanti condizioni: in primo luogo, la ricorrente deve
individuare gli ambiti di competenza regionale - legislativa,
amministrativa o finanziaria - incisi dalla disciplina statale,
indicando le disposizioni costituzionali sulle quali, appunto,
trovano fondamento le proprie competenze in tesi indirettamente lese
(ex plurimis, sentenze n. 83 e n. 65 del 2016, n. 251 e n. 89 del
2015); e, in secondo luogo, la Corte deve ritenere che sussistano
competenze regionali suscettibili di essere indirettamente lese dalla
disciplina impugnata (ex plurimis, sentenze n. 220 e n. 219 del
2013). Cio' si verifica quando la disposizione statale, pur conforme
al riparto costituzionale delle competenze, obbligherebbe le Regioni
- nell'esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative
o finanziarie - a conformarsi a una disciplina legislativa
asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto,
estranei a tale riparto».
Pertanto, come pure gia' detto, affinche' una censura siffatta
sia ammissibile, in presenza di un intervento normativo ascrivibile
all'esercizio di potesta' legislativa esclusiva spettante allo Stato,
occorre che venga enunciata e adeguatamente argomentata la
compressione degli spazi di autonomia pur sempre spettanti alle
Regioni nell'ambito del complesso fenomeno di governo
dell'immigrazione.
Negli odierni giudizi, le Regioni ricorrenti hanno prospettato,
come effetto delle disposizioni impugnate, la lesione indiretta delle
proprie competenze (e di quelle degli enti locali), in particolare in
relazione a una determinata categoria di soggetti, costituita dai
richiedenti asilo, oggi esclusi dal sistema territoriale di
accoglienza. Esse asseriscono che l'esercizio di tali competenze, in
relazione a tale categoria di soggetti, sarebbe del tutto «impedito»,
ovvero «condizionato» - nel senso che sarebbe loro imposto di
esercitare le suddette funzioni in modo costituzionalmente
illegittimo, con lesione di parametri appunto non attinenti al
riparto delle competenze statali e regionali - oppure, ancora,
«aggravato» sul piano finanziario.
Tuttavia, la motivazione che esse adducono a sostegno delle
censure non appare adeguata, alla luce dello stesso dato normativo
come in precedenza illustrato.
Come sottolineato anche dalla difesa statale, a seguito
dell'entrata in vigore della disposizione impugnata, il sistema
territoriale di accoglienza resta, infatti, sostanzialmente
invariato, per quanto riguarda la sua organizzazione, l'ampiezza
della rete territoriale e le modalita' di accesso a tale sistema da
parte degli enti locali.
Oggetto di modifica risulta essere la platea dei soggetti ammessi
a beneficiare dell'accoglienza territoriale. Va da se' che questo
dato e' tutt'altro che secondario o irrilevante, poiche', ora, i
richiedenti asilo non accedono, alle stesse condizioni precedenti,
alla seconda fase del sistema di accoglienza. Su questo aspetto, ogni
ulteriore valutazione di legittimita' costituzionale resta ovviamente
impregiudicata. Quel che in questa sede rileva e' che nessuna delle
norme impugnate importa obblighi, divieti o condizionamenti, a carico
delle Regioni e dei Comuni, tali da impedire loro di esercitare,
anche a favore dei richiedenti asilo - al di fuori del sistema
territoriale di accoglienza - le proprie attribuzioni legislative o
amministrative, nelle (piu' sopra indicate) materie di competenza
concorrente o residuale, ovvero tali da costringerli a esercitare
dette attribuzioni secondo modalita' costituzionalmente illegittime
per lesione di parametri costituzionali non attinenti al riparto
delle competenze statali o regionali.
Restano pienamente in vigore, infatti, tutte le norme del d.lgs.
n. 286 del 1998 che consentono, ed anzi auspicano, interventi
siffatti in favore dei cittadini stranieri in genere.
L'art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998, ad esempio,
autorizza Regioni, Province e Comuni, nell'ambito delle rispettive
attribuzioni e dotazioni di bilancio, ad adottare provvedimenti
concorrenti al perseguimento dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli
che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e degli
interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con
particolare riguardo a quelli inerenti all'alloggio, alla lingua,
all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della
persona umana.
L'art. 40 del medesimo decreto, ancora, dispone che le Regioni,
in collaborazione con le Province e con i Comuni e con le
associazioni e le organizzazioni di volontariato, predispongono
centri di accoglienza destinati a ospitare, anche in strutture per
ospitare cittadini italiani o cittadini di altri Paesi dell'Unione
europea, stranieri regolarmente soggiornanti (quali sono appunto i
richiedenti asilo) per motivi diversi dal turismo, che siano
temporaneamente impossibilitati a provvedere autonomamente alle
proprie esigenze alloggiative e di sussistenza; in tali centri di
accoglienza le Regioni provvedono, ove possibile, ai servizi sociali
e culturali idonei a favorire l'autonomia e l'inserimento sociale
degli ospiti.
Il successivo art. 42, dal canto suo, prevede che lo Stato, le
Regioni, le Province e i Comuni, nell'ambito delle proprie
competenze, anche in collaborazione con le associazioni di stranieri
e con le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore, nonche'
in collaborazione con le autorita' o con enti pubblici e privati dei
Paesi di origine, favoriscono una serie di attivita' di tipo sociale
e assistenziale volte, tra l'altro, all'effettuazione di corsi della
lingua e della cultura di origine, alla diffusione di ogni
informazione utile al positivo inserimento nella societa' italiana
degli stranieri medesimi, alla conoscenza e alla valorizzazione delle
espressioni culturali, ricreative, sociali, economiche e religiose
degli extracomunitari regolarmente soggiornanti.
E' ben vero che Regioni e Comuni, se riterranno di intervenire,
dovranno reperire ulteriori risorse. Da un lato, tuttavia, cio' non
sorprende, poiche' si tratterebbe del necessario ricorso al potere di
spesa, sulla base di scelte di priorita' di natura politica compiute
in ambito regionale; dall'altro, non possono che corrispondentemente
sottrarsi alle censure regionali le pertinenti scelte di priorita' di
spesa compiute dal legislatore statale, in settori di sua esclusiva
competenza.
In ogni caso, anche ad ammettere che scelte statali di questa
natura possano incidere negativamente sulle Regioni, la motivazione
dei ricorsi non raggiunge la soglia che consente l'accesso allo
scrutinio di merito. Anche sotto questo specifico profilo, infatti,
la motivazione che nei ricorsi dovrebbe giustificare la ridondanza,
in termini di lesione dell'autonomia finanziaria presidiata dall'art.
119 Cost., non assurge al livello di completezza sufficiente a
superare la soglia dell'ammissibilita'.
Questa Corte, ancora di recente (sentenza n. 79 del 2018), ha
ritenuto ben possibile motivare anche tramite l'indicazione dell'art.
119 Cost. la ridondanza di questioni sollevate su parametri
costituzionali che non riguardano la ripartizione di competenze tra
Stato e Regioni. Tuttavia, ha ritenuto necessario che, in questi
casi, la Regione ricorrente «argomenti in concreto in relazione
all'entita' della compressione finanziaria lamentata e alla sua
concreta incidenza sull'attivita' di competenza regionale». Ha
percio' dichiarato inammissibili questioni promosse attraverso
censure che lamentavano effetti negativi sulle finanze regionali
meramente «generici e congetturali», poiche' cio' rendeva solo
astrattamente configurata e del tutto immotivata in concreto la
pretesa lesione dell'esercizio delle funzioni amministrative
regionali.
Stante l'assenza, in ciascuno dei ricorsi, di idonee
considerazioni in materia, tali affermazioni sono agevolmente
estensibili anche agli odierni giudizi, sicche' le questioni promosse
nei confronti dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 devono essere
dichiarate inammissibili per difetto di motivazione sull'asserita
lesione indiretta delle competenze delle Regioni e degli enti locali.
9.- Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria
impugnano l'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n. 113
del 2018; le Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Calabria anche le
lettere b) e c) del comma 1 dell'art. 13; la Regione Marche anche la
lettera c) dello stesso comma. Le ricorrenti formulano censure
variamente articolate sia rispetto a parametri relativi al riparto di
competenze tra Stato e Regioni sia in relazione a parametri
ulteriori, per la cui illustrazione si rinvia a quanto riportato nel
Ritenuto in fatto.
Anche in questo caso si rende preliminarmente necessario
individuare l'ambito materiale di pertinenza delle norme impugnate,
al fine di verificare l'ammissibilita' delle censure promosse in
relazione a parametri diversi da quelli relativi al riparto di
competenze. e' dunque opportuna una, sia pure sintetica,
ricostruzione del quadro normativo in cui le disposizioni impugnate
si inseriscono.
9.1.- L'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018 apporta una serie di
modifiche agli artt. 4 e 5 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.
142 (Attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative
all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonche'
della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del
riconoscimento e della revoca dello status di protezione
internazionale), e ne abroga l'art. 5-bis.
In particolare, l'art. 13 impugnato si compone di un solo comma,
che e' articolato, al suo interno, in tre lettere (a, b e c).
La lettera a) modifica l'art. 4 del d.lgs. n. 142 del 2015 e reca
due disposizioni (contraddistinte dai numeri 1 e 2): con la prima
(che non e' oggetto di impugnazione) e' aggiunto il seguente periodo
al comma 1 del citato art. 4: «Il permesso di soggiorno costituisce
documento di riconoscimento ai sensi dell'articolo 1, comma 1,
lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre
2000, n. 445.» (numero 1); con la seconda (che e' impugnata da tutte
le Regioni ricorrenti) e' inserito, dopo il comma 1 del citato art.
4, il comma 1-bis del seguente tenore: «Il permesso di soggiorno di
cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n.
223, e dell'articolo 6, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286.» (numero 2).
La lettera b) modifica l'art. 5 del d.lgs. n. 142 del 2015 e reca
due disposizioni (contraddistinte dai numeri 1 e 2, espressamente
impugnate dalle Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Calabria ma
implicitamente anche dalle altre ricorrenti): con la prima e' cosi'
sostituito il comma 3 del citato art. 5: «L'accesso ai servizi
previsti dal presente decreto e a quelli comunque erogati sul
territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di
domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2.» (numero 1); con la
seconda e' cosi' modificato il comma 4 del citato art. 5: «le parole
"un luogo di residenza" sono sostituite dalle seguenti: "un luogo di
domicilio"» (numero 2).
Infine, la lettera c) dispone l'abrogazione dell'art. 5-bis del
d.lgs. n. 142 del 2015, che disciplinava le modalita' di iscrizione
anagrafica del richiedente protezione internazionale.
9.2.- Dal contenuto sopra descritto delle disposizioni recate
dall'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018, e in particolare di quelle
fatte oggetto di impugnazione, emerge con chiarezza che le stesse
devono essere lette congiuntamente, costituendo, ciascuna, un
frammento di un quadro normativo unitario per ratio e per contenuto,
come confermato dal fatto che le lettere a), b) e c) del comma 1 del
citato art. 13 incidono su tre disposizioni (a loro volta
consecutive) del d.lgs. n. 142 del 2015 (artt. 4, 5 e 5-bis).
Altrettanto chiaramente risulta che le stesse disposizioni vanno
ricondotte agli ambiti di competenza legislativa esclusiva dello
Stato relativi a «diritto di asilo e condizione giuridica dei
cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea» (art. 117,
secondo comma, lettera a, Cost.) e alle «anagrafi» (art. 117, secondo
comma, lettera i, Cost.). Argomenti decisivi in tal senso sono: la
sedes materiae (d.lgs. n. 142 del 2015, relativo, tra l'altro,
all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) in cui si
inseriscono le disposizioni impugnate; lo specifico tenore letterale
dell'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), che richiama la
disciplina dell'iscrizione anagrafica; l'interpretazione sistematica
del Capo II del Titolo I del d.l. n. 113 del 2018, recante
«Disposizioni in materia di protezione internazionale», oltre che
dello stesso Titolo I, recante «Disposizioni in materia di rilascio
di speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di
carattere umanitario nonche' in materia di protezione internazionale
e di immigrazione». D'altra parte, che le norme impugnate siano da
ricondurre a tali competenze legislative statali non e' negato dalle
ricorrenti (ed e' anzi espressamente riconosciuto nel ricorso
dell'Emilia Romagna).
Nemmeno e' rinvenibile una incidenza delle stesse disposizioni
sulle competenze amministrative proprie dei Comuni, posto che i
servizi gestiti dai Comuni in materia di anagrafe restano pur sempre
«servizi di competenza statale» (cosi' la rubrica dell'art. 14 del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico delle leggi
sull'ordinamento degli enti locali») e le relative funzioni sono
esercitate dal sindaco «quale ufficiale di Governo».
Cio' nondimeno, le ricorrenti ritengono che, anche volendo
escludere la sussistenza di una violazione diretta delle competenze
regionali e degli enti locali, le norme impugnate - in ragione del
fatto che la legislazione regionale e quella statale prevedono la
residenza come presupposto per l'accesso e il godimento di taluni
servizi erogati dalle Regioni e dagli enti locali - comportino una
indiretta lesione delle loro competenze e di quelle degli enti locali
e su questo presupposto ne lamentano l'illegittimita' in relazione
all'art. 77 Cost., per quanto riguarda l'impugnazione della Regione
Umbria, e agli artt. 2, 3, 5, 10, terzo comma, 32, 34, 35 e 97 Cost.,
oltre che alle norme del diritto dell'Unione europea e ai trattati
internazionali richiamati sopra.
Le Regioni ricorrenti fondano, dunque, la loro legittimazione a
ricorrere sulla ricaduta indiretta, su ambiti in cui le stesse hanno
competenza, di una normativa, quella concernente le modalita' di
iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale,
riconducibile a materie di potesta' legislativa esclusiva dello
Stato. Tale ricaduta si collegherebbe all'inevitabile condizionamento
che le disposizioni censurate produrrebbero sulla platea dei
destinatari dei servizi previsti dalla normativa regionale a favore
dei residenti (dai quali dovrebbero essere esclusi i richiedenti
asilo).
La motivazione svolta dalle ricorrenti si snoda, quindi,
attraverso un doppio passaggio argomentativo: il primo e' volto a
rappresentare una ricaduta indiretta della normativa impugnata sulle
competenze regionali in materia di salute, istruzione, formazione
professionale, servizi e politiche sociali; il secondo a dimostrare
la violazione di parametri costituzionali diversi da quelli attinenti
al riparto di competenze.
Con riferimento a tale profilo dei gravami regionali - e ribadita
l'impossibilita' di ascrivere le disposizioni censurate ad ambiti
materiali rimessi in tutto o in parte alle Regioni - si deve
richiamare quanto osservato supra con riferimento alle impugnazioni
gia' esaminate, e cioe' che, in astratto, non puo' escludersi che,
nei casi in cui sussista una lesione ancorche' mediata delle loro
attribuzioni costituzionali, le Regioni siano legittimate a
contestare norme statali per violazione di parametri costituzionali
diversi da quelli attinenti al riparto di competenze. Come piu' volte
ricordato, questa Corte ha, infatti, variamente configurato le forme
e i modi della «ridondanza» sulle competenze regionali di questioni
aventi a oggetto una normativa statale, giungendo a ritenere
ammissibili anche questioni promosse avverso disposizioni
riconducibili ad ambiti materiali riservati allo Stato (tra le piu'
recenti, sentenze n. 139, 73 e 17 del 2018, n. 170 del 2017).
In questi casi, tuttavia, come gia' precisato sopra, grava sulla
Regione ricorrente un onere motivazionale particolare, ossia quello
di dimostrare, in concreto, ragioni e consistenza della lesione
indiretta delle proprie competenze, non essendo sufficiente
l'indicazione in termini meramente generici o congetturali di
conseguenze negative per l'esercizio delle attribuzioni regionali.
Questo necessario passaggio argomentativo risulta carente nei
ricorsi introduttivi del presente giudizio, che si limitano a
postulare un'astratta attitudine delle norme contestate a incidere su
ambiti assegnati alla Regione e agli enti locali, ma di tale
incidenza non danno conto in maniera che essa possa essere valutata
da questa Corte. Ne' a tali fini risulta decisivo il fatto
(ripetutamente messo in evidenza nei ricorsi) che numerose leggi
delle Regioni ricorrenti prevedono l'erogazione di servizi a favore
dei residenti, dando con cio' rilievo al requisito della residenza.
Sebbene si tratti di normativa emanata nell'esercizio delle
competenze legislative regionali in materia di sanita', istruzione,
formazione professionale e politiche sociali, resta indimostrata la
ridondanza su tali attribuzioni delle questioni fatte valere nel
presente giudizio, le quali, come visto, attengono allo status del
richiedente protezione internazionale.
Da quanto precede deriva un difetto di motivazione sulla
ridondanza delle prospettate censure sulle competenze regionali e
degli enti locali, con la conseguenza che, restando impregiudicata
ogni altra valutazione della legittimita' costituzionale delle
disposizioni contestate, le stesse censure non superano il vaglio
dell'ammissibilita'.
Le questioni promosse devono essere, quindi, dichiarate
inammissibili.
10.- Dalle considerazioni che precedono consegue infine
l'inammissibilita' delle censure prospettate con riguardo alla
violazione del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5
e 120 Cost.
Questa Corte ha costantemente affermato che il principio di leale
cooperazione viene in rilievo negli ambiti in cui si verifica un
intreccio di competenze statali e regionali (da ultima e per tutte,
sentenza n. 161 del 2019).
Come risulta dall'analisi sin qui svolta, nel caso in esame il
legislatore statale ha invece esercitato le competenze che la
Costituzione gli ha attribuito in via esclusiva in materia di diritto
di asilo, condizione giuridica dello straniero, immigrazione e
anagrafi, sicche' il principio di leale cooperazione non e' stato
correttamente invocato.
Vero e' che questa Corte ha affermato che l'accoglienza dei
migranti prevede l'intervento coordinato di Stato e Regioni, ciascuno
nel proprio ambito di competenza (sentenze n. 2 del 2013, n. 61 del
2011, n. 299 e n. 134 del 2010, n. 156 del 2006 e n. 300 del 2005). A
tal fine, tuttavia, l'art. 118, terzo comma, Cost. nella materia
dell'«immigrazione» contempla l'ipotesi di «forme di coordinamento
fra Stato e Regioni», stabilite dalla legge statale, soltanto a
valle, e cioe' in relazione all'esercizio delle funzioni
amministrative, e non a monte, in relazione all'esercizio della
stessa funzione legislativa statale che e', e rimane, di competenza
esclusiva dello Stato.
In ogni caso, nella fattispecie in esame, il legislatore statale
e' intervenuto con lo strumento del decreto-legge ed e' appena il
caso di sottolineare che la natura e le caratteristiche di tale atto,
come risultano dall'art. 77 Cost., escludono in radice la
possibilita' di prevedere forme di consultazione delle Regioni
nell'ambito della decretazione d'urgenza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni
di legittimita' costituzionale promosse con i ricorsi indicati in
epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimita'
costituzionale degli artt. 1, 12 e 13 del decreto-legge 4 ottobre
2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione
internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per
la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il
funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni, in legge 1° dicembre
2018, n. 132, promosse dalle Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Marche,
Toscana e Calabria, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 5, 10, secondo
e terzo comma, 31, 32, 34, 35, 77, secondo comma, 97, 114, 117,
terzo, quarto e sesto comma, 118 e 119 e 120 della Costituzione,
nonche' al principio di leale collaborazione e agli artt. 11 e 117,
primo comma, Cost., in riferimento: agli artt. 2, 3, 8 e 14 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; all'art. 2, comma
1, del Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; agli artt. 6, 10,
comma 1, 12, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto internazionale relativo
ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966,
entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con
legge 25 ottobre 1977, n. 881; all'art. 26 della Convenzione di
Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva con legge 24
luglio 1954, n. 722; all'art. 5, comma 1, lettera b), del regolamento
(UE) n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile
2014, che istituisce il Fondo Asilo, migrazione e integrazione, che
modifica la decisione 2008/381/CE del Consiglio e che abroga le
decisioni n. 573/2007/CE e n. 575/2007/CE del Parlamento europeo e
del Consiglio e la decisione 2007/435/CE del Consiglio; agli artt.
15, lettera c), e 18 della direttiva 2011/95 UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme
sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status
uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria, nonche' sul contenuto della protezione
riconosciuta (rifusione); alla direttiva 2013/33 UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative
all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale
(rifusione), con i ricorsi indicati in epigrafe:
2) dichiara estinto il processo, relativamente alle questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, 12 e 13 del d.l. n. 113
del 2018, come convertito, promosse dalla Regione autonoma Sardegna,
con il ricorso indicato in epigrafe;
3) dichiara estinto il processo, relativamente alle questioni di
legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 13 del d.l. n. 113 del
2018, come convertito, promosse dalla Regione Basilicata, con il
ricorso indicato in epigrafe.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA - Daria de PRETIS - Nicolo' ZANON - Augusto BARBERA,
Redattori
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2019.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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