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mercoledì 31 luglio 2019

N. 194 SENTENZA 20 giugno - 24 luglio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Disposizioni varie in materia di diritto di asilo e protezione dello straniero - Soppressione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e contestuale revisione della disciplina dei casi speciali di permessi di soggiorno temporanei per esigenze di carattere umanitario - Sistema di accoglienza dei richiedenti asilo - Modalita' di iscrizione anagrafica dei richiedenti protezione internazionale. - Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata) - convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 - artt. 1, 12 e 13. - (GU n.31 del 31-7-2019 )


N. 194 SENTENZA 20 giugno - 24 luglio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Disposizioni varie in materia di diritto di asilo e protezione  dello
  straniero - Soppressione  del  permesso  di  soggiorno  per  motivi
  umanitari  e  contestuale  revisione  della  disciplina  dei   casi
  speciali di  permessi  di  soggiorno  temporanei  per  esigenze  di
  carattere umanitario - Sistema di accoglienza dei richiedenti asilo
  - Modalita' di iscrizione  anagrafica  dei  richiedenti  protezione
  internazionale.
- Decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di  protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati  e  confiscati   alla   criminalita'   organizzata)   -
  convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132
  - artt. 1, 12 e 13.

(GU n.31 del 31-7-2019 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici  :Aldo  CAROSI,  Marta  CARTABIA,  Mario   Rosario   MORELLI,
  Giancarlo CORAGGIO,  Giuliano  AMATO,  Silvana  SCIARRA,  Daria  de
  PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 12 e 13
del decreto-legge 4 ottobre 2018, n.  113  (Disposizioni  urgenti  in
materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,   sicurezza
pubblica,  nonche'  misure  per  la   funzionalita'   del   Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),  convertito,
con modificazioni, nella legge 1°  dicembre  2018,  n.  132,  nonche'
dell'intero  decreto-legge,  promossi  con  ricorsi   della   Regione
autonoma Sardegna e delle Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Basilicata,
Marche, Toscana e Calabria,  notificati  il  31  gennaio-4  febbraio,
l'1-6 febbraio, il  29  gennaio,  l'1-6  febbraio,  il  31  gennaio-4
febbraio e l'1 febbraio 2019, depositati in cancelleria l'1, il 4, il
5, il 6 e l'8 febbraio 2019, iscritti rispettivamente  ai  numeri  9,
10, 11, 12, 13, 17 e 18 del registro ricorsi 2019 e pubblicati  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 10, 11,  12  e  13,  prima
serie speciale, dell'anno 2019.
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri;
    uditi nella camera di consiglio del 18 giugno 2019 e nell'udienza
pubblica del 19 giugno 2019 i Giudici relatori Marta Cartabia,  Daria
de Pretis, Nicolo' Zanon e Augusto Antonio Barbera;
    uditi  gli  avvocati  Massimo  Luciani  per  la  Regione  Umbria,
Giandomenico Falcon e Andrea Manzi  per  la  Regione  Emilia-Romagna,
Stefano Grassi per la  Regione  Marche,  Marcello  Cecchetti  per  la
Regione Toscana, Giuseppe Naimo e Vincenzo Cannizzaro per la  Regione
Calabria  e  gli  avvocati  dello  Stato  Giuseppe  Albenzio  e  Ilia
Massarelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- La Regione Umbria, con ricorso  notificato  il  31  gennaio-4
febbraio 2019 e depositato il 1° febbraio 2019 (reg. ric. n.  10  del
2019), ha impugnato diverse disposizioni del decreto-legge 4  ottobre
2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in  materia   di   protezione
internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per
la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione  e  il
funzionamento  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1°  dicembre
2018, n. 132, e tra queste gli artt. 1, 12 e 13.
    In particolare, dell'art. 1 ha censurato: il comma 1, lettere a),
b), c), d), e), f), i), l), m), n), numero 2), n-bis), o), p), e  q);
il comma 2; il comma 3, lettera a), numeri 1) e 2); il  comma  6;  il
comma 7; il comma 8 e il comma 9.
    Dell'art. 12  ha  censurato  tutte  le  disposizioni  di  cui  si
compone, a eccezione: del comma 1, lettere a-bis) e a-ter); del comma
2, lettera d), numero 1-bis) e del comma 7.
    Dell'art. 13, comma 1, ha censurato: la lettera a), numero 2;  la
lettera b) e la lettera c).
    La  Regione  Umbria  opera  una  ricostruzione  del   complessivo
intervento normativo operato dal d.l. n.  113  del  2018  e,  in  via
preliminare, si sofferma sull'incidenza «delle norme impugnate  nelle
attribuzioni  costituzionali»  della   ricorrente,   cui   le   prime
arrecherebbero «un grave pregiudizio».
    A tale proposito, la ricorrente ricorda che l'art.  117,  secondo
comma, lettere b) e h), della Costituzione,  ricomprende  le  materie
«immigrazione» e «ordine pubblico e sicurezza» tra  quelle  assegnate
alla  competenza  esclusiva  dello   Stato.   Tuttavia,   la   stessa
Costituzione,   all'art.    118,    terzo    comma,    riconoscerebbe
esplicitamente l'esistenza di un profondo legame fra queste materie e
quelle di competenza concorrente,  affidate  anche  alla  cura  delle
Regioni, tra le quali «tutela e sicurezza del lavoro»,  «istruzione»,
«tutela della  salute»,  «previdenza  complementare  e  integrativa»,
«coordinamento della finanza  pubblica  e  del  sistema  tributario»,
tutte considerate rilevanti nel caso di specie.
    La  ricorrente  sostiene  che  la   Corte   costituzionale,   con
riferimento alla  materia  «immigrazione»,  avrebbe  riconosciuto  la
possibilita'  di  interventi  legislativi  delle  Regioni  in  ambiti
diversi da quelli attinenti  alle  politiche  di  programmazione  dei
flussi d'ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale, quali,  ad
esempio, il diritto allo studio o all'assistenza sociale,  attribuiti
alla competenza concorrente e residuale delle Regioni (sono citate le
sentenze  n.  299  e  n.  134   del   2010).   Le   norme   censurate
coinvolgerebbero anche competenze che la Regione Umbria avrebbe  gia'
«puntualmente esercitato».
    Infine, la ricorrente osserva che «i migranti, oltre che un onere
per le Regioni (a causa dei servizi che esse  devono  erogare),  sono
per esse anche una risorsa, perche' il  loro  apporto  lavorativo  e'
necessario per  il  buon  funzionamento  dei  programmi  di  sviluppo
regionali. Sottrarre queste risorse senza alcun coinvolgimento  delle
Regioni e' dunque in se' violativo della loro sfera di autonomia».
    Di  qui,  l'asserita  legittimazione  «alla  contestazione  delle
disposizioni» impugnate.
    1.1.- Quanto al merito delle censure, con  specifico  riferimento
all'art. 1 del d.l.  n.  113  del  2018,  la  ricorrente  lamenta  la
violazione degli artt. 2, 3, 10, secondo e terzo comma, 117, secondo,
terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.; degli artt. 11  e  117,  primo
comma, Cost., in relazione agli artt. 15,  lettera  c),  e  18  della
direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  13
dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di  paesi
terzi o  apolidi,  della  qualifica  di  beneficiario  di  protezione
internazionale, su uno status uniforme  per  i  rifugiati  o  per  le
persone aventi titolo a  beneficiare  della  protezione  sussidiaria,
nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta;  dell'art.  117,
primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6, 10, comma 1, 17, 23  e
24 del Patto internazionale relativo ai  diritti  civili  e  politici
adottato a New York il 16 dicembre 1966,  entrato  in  vigore  il  23
marzo 1976, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n.
881, e agli artt. 2, 3 e 8 della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848.
    Nel ricostruire  la  disciplina  dell'istituto  del  permesso  di
soggiorno  per  motivi  umanitari,  la   ricorrente   sottolinea   in
particolare che, prima dell'intervento del  decreto-legge  impugnato,
l'art. 5, comma 6, del decreto legislativo 25  luglio  1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla   condizione   dello   straniero),
stabiliva che «[i]l rifiuto o la revoca  del  permesso  di  soggiorno
possono essere altresi' adottati sulla base di convenzioni o  accordi
internazionali, resi esecutivi in Italia,  quando  lo  straniero  non
soddisfi le condizioni di soggiorno applicabili in  uno  degli  Stati
contraenti, salvo  che  ricorrano  seri  motivi,  in  particolare  di
carattere  umanitario  o  risultanti  da  obblighi  costituzionali  o
internazionali dello Stato italiano. Il  permesso  di  soggiorno  per
motivi umanitari e' rilasciato  dal  questore  secondo  le  modalita'
previste nel regolamento di attuazione». Con l'art. 1 del d.l. n. 113
del 2018, l'inciso contenente la clausola di salvaguardia riferita ai
«seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti  da
obblighi costituzionali o internazionali  dello  Stato  italiano»  e'
stato soppresso, cosi' come la prevista possibilita' del rilascio del
permesso di soggiorno per motivi umanitari da parte del questore.
    A seguito della modifica normativa - prosegue  la  Regione  -  il
generale  permesso  di  soggiorno  per  motivi  umanitari  e'   stato
sostituito da una pluralita' di fattispecie  tipizzate  dallo  stesso
decreto-legge oggetto di censura,  e  il  suo  rilascio  sarebbe  ora
consentito quando lo straniero «possa essere oggetto di  persecuzione
per motivi di  razza,  di  sesso,  di  lingua,  di  cittadinanza,  di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o  sociali,
ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un  altro  Stato  nel
quale non sia protetto dalla persecuzione» (art.  19,  comma  1,  del
t.u. immigrazione); quando vi siano «fondati motivi» che  egli  possa
«essere sottopost[o] a tortura»  (art.  19,  comma  1.1);  per  «cure
mediche» (art. 19, comma 2, lettera  d-bis);  per  «calamita'»  (art.
20-bis); per «atti di particolare valore civile» (art.  42-bis);  per
«protezione speciale» (art. 32, comma 3, del decreto  legislativo  28
gennaio 2008, n. 25, recante «Attuazione della  direttiva  2005/85/CE
recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai
fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»).
    Dal quadro normativo riportato dalla difesa regionale emergerebbe
una situazione tale per cui gli stranieri, che prima avrebbero potuto
godere del permesso di soggiorno per motivi  umanitari,  per  effetto
dell'intervento  legislativo  in  esame   risulterebbero   irregolari
qualora non si trovassero nelle condizioni di cui all'art. 19,  commi
1 e 1.1, del novellato t.u. immigrazione o in quelle ulteriori per le
quali il medesimo testo unico o il d.lgs. n. 25 del 2008 prevedono il
rilascio di un permesso; detta irregolarita' si estenderebbe anche  a
chi, gia' in possesso del permesso per motivi umanitari,  ne  subisca
la revoca oppure non ne ottenga il rinnovo alla  luce  della  novella
legislativa, rispettivamente ai sensi dei commi 1 e 8  dell'impugnato
art. 1.
    1.1.1.- Alla luce di quanto dedotto, la ricorrente assume che  le
norme   censurate   incidano   illegittimamente,   non   solo   sulle
attribuzioni attinenti alla funzione legislativa ex art.  117,  terzo
comma,  Cost.,  ma   anche   su   quelle   relative   alle   funzioni
amministrative ai sensi dell'art. 118, primo comma, Cost., in  quanto
la Regione sarebbe costretta a rimodulare dette funzioni,  tanto  con
riferimento alla loro disciplina, quanto al loro concreto  esercizio,
dovendo escludere dalla platea dei destinatari gli stranieri che,  in
virtu' della nuova legislazione statale, non potranno  piu'  ottenere
il rilascio o  il  rinnovo  del  permesso  di  soggiorno  per  motivi
umanitari.
    1.1.2.- In secondo luogo, ad avviso della Regione Umbria, sarebbe
violato l'art. 3 Cost.  e  con  esso  il  legittimo  affidamento  dei
privati: da un lato, quello dei titolari di un permesso di  soggiorno
ottenuto in virtu' della precedente disciplina, dall'altro, quello di
coloro che confidavano nel rilascio del  permesso  sempre  alla  luce
della disciplina previgente.
    La giurisprudenza della Corte di giustizia  dell'Unione  europea,
quella della Corte europea dei diritti dell'uomo nonche' quella della
Corte  costituzionale  ammetterebbero   l'incidenza   su   situazioni
soggettive pregresse (cosiddetti diritti quesiti) solo  a  condizione
che l'intervento legislativo sia necessario, proporzionato e motivato
dal  riferimento  a  interessi   costituzionalmente   meritevoli   di
protezione;  condizioni  che,  tuttavia,  non  ricorrerebbero   nella
specie.
    1.1.3.- In terzo luogo, sarebbero violati gli artt. 2 e  3  Cost.
perche' verrebbe operata un'irragionevole distinzione tra coloro che,
a parita' di condizioni di rilascio, dopo  l'entrata  in  vigore  del
d.l. n. 113 del 2018,  non  potranno  piu'  godere  del  permesso  di
soggiorno e coloro che invece  potranno  mantenerlo  ugualmente  alla
luce  delle  sopravvenienze   normative,   distinzione   tanto   piu'
irragionevole se si considera  la  sua  ripercussione  sul  godimento
delle prestazioni pubbliche.
    La disparita' di trattamento rileverebbe  anche  sotto  un  altro
profilo.  Secondo  la  giurisprudenza  civile  e  amministrativa,   i
requisiti per concedere il permesso di soggiorno per motivi umanitari
riguarderebbero le speciali  esigenze  relative  alla  «tutela  della
famiglia  e  dei  minori,  ricongiungimento  familiare,  persecuzioni
dovute a ragioni etniche, religiose o politiche» (Consiglio di Stato,
sezione sesta, sentenza 10  settembre  2008,  n.  4317),  nonche'  al
«rischio effettivo di essere sottoposto a pena di  morte,  tortura  o
trattamenti inumani o degradanti» (Corte di cassazione, sezione prima
civile, ordinanza 24 marzo 2011, n.  6879).  Poiche'  le  fattispecie
individuate dalla giurisprudenza  non  coinciderebbero  integralmente
con quelle tipizzate dal legislatore, distinguere coloro che  versano
in tali condizioni da coloro che presentano i requisiti per  i  nuovi
«casi speciali» violerebbe il principio  di  uguaglianza,  in  quanto
entrambi i gruppi ricomprenderebbero persone «vulnerabili» secondo la
giurisprudenza  della  Corte  EDU,  per  le  quali  lo   Stato   deve
necessariamente  apprestare  misure  volte  a  evitare  che   vengano
sottoposte a  trattamenti  inumani  e  degradanti.  Conseguentemente,
sarebbe violato anche l'art. 117, primo comma, Cost. «atteso  che  la
giurisprudenza ora citata fa leva sull'art. 3 CEDU».
    1.1.4.- Per la ricorrente, sarebbe altresi'  violato  l'art.  10,
terzo comma, Cost., che riconosce il diritto di asilo nel  territorio
nazionale  allo  straniero  cui  sia  impedito  nel   proprio   paese
l'effettivo esercizio delle  liberta'  democratiche.  Il  venir  meno
della formula  «motivi  umanitari»  a  fondamento  del  rilascio  del
permesso di soggiorno - che, si  evidenzia  nel  ricorso,  rispondeva
alla  necessita',  imposta  dall'art.  10,  terzo  comma,  Cost.,  di
approntare ai  richiedenti  asilo  una  tutela  elastica,  in  quanto
«consustanziale alla "configurazione ampia del  diritto  di  asilo"»,
secondo le statuizioni  della  Corte  di  Cassazione,  sezione  prima
civile, sentenza 23 febbraio 2018, n. 4455 - avrebbe fatto venir meno
anche la pienezza della  relativa  tutela,  ora  relegata  a  singole
fattispecie  tipizzate,  per  cio'  solo  inidonee  a  realizzare  le
prescrizioni costituzionali.
    1.1.5.- La norma impugnata contrasterebbe poi con gli artt. 11  e
117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 15, lettera c), e 18
della  direttiva  2011/95/UE,  perche'  escluderebbe  dal  regime  di
protezione sussidiaria proprio le persone che, ove  rientrassero  nel
paese di origine, verrebbero esposte alla «minaccia grave individuale
alla vita o alla  persona  di  un  civile  derivante  dalla  violenza
indiscriminata  in  situazioni  di   conflitto   armato   interno   o
internazionale».
    1.1.6.- Le norme impugnate violerebbero inoltre gli artt. 2,  10,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., in riferimento  agli  artt.
2, 3 e 8 CEDU, e agli artt. 6, 10, comma 1, 17, 23  e  24  del  Patto
internazionale sui diritti civili e  politici.  L'allontanamento  dal
territorio italiano dei soggetti esclusi  dal  regime  di  protezione
comprometterebbe irrimediabilmente il diritto al rispetto della  vita
privata e familiare di cui all'art. 8 CEDU e agli artt. 17, 23  e  24
del Patto. A causa della poverta'  del  paese  di  provenienza,  poi,
sarebbe a rischio anche la  loro  vita  e  sicurezza  alimentare,  in
violazione degli artt. 2 e 3 CEDU e degli artt. 6 e 10, comma 1,  del
Patto. Ne  deriverebbe  l'ulteriore  violazione  dell'art.  2  Cost.,
perche' verrebbero cosi'  compromessi  i  diritti  inviolabili  degli
interessati.
    1.1.7.-  Da  ultimo,  secondo  la  Regione,  le  norme  censurate
inciderebbero sugli ambiti di autonomia  finanziaria  riservati  alle
Regioni ai sensi dell'art. 119 Cost. A tal proposito,  la  ricorrente
osserva che ai sensi dell'art. 35, comma 3, del t.u. immigrazione «le
cure ambulatoriali ed  ospedaliere  urgenti  o  comunque  essenziali,
ancorche' continuative, per malattia ed infortunio» e i «programmi di
medicina  preventiva  a  salvaguardia  della  salute  individuale   e
collettiva» sono in  ogni  caso  «garantiti  ai  cittadini  stranieri
presenti sul  territorio  nazionale,  non  in  regola  con  le  norme
relative all'ingresso ed al soggiorno»; gli oneri finanziari  che  ne
derivano resterebbero comunque a carico delle Regioni, a fronte di un
aumento del numero di stranieri irregolari presenti sul territorio  e
della corrispondente riduzione di una loro partecipazione alla  spesa
pubblica tramite il versamento di imposte e contributi.
    1.1.8.- Infine, la ricorrente formula una specifica  censura  con
riguardo all'art. 1, comma 1, lettera f), del d.l. n. 113  del  2018,
che,  nel  novellare  l'art.  18-bis  del   t.u.   immigrazione   con
l'inserimento del comma 1-bis, ha previsto l'accesso dei titolari  di
permesso di soggiorno «speciali» ai (soli) «servizi assistenziali»  e
di «studio». In tal modo, ad avviso  della  Regione,  il  legislatore
statale avrebbe escluso i titolari di detto permesso  dall'accesso  a
servizi sociali  diversi  da  quelli  espressamente  indicati,  cosi'
compromettendo  manifestamente  e  illegittimamente  le  attribuzioni
regionali  nelle  materie  di  competenza   concorrente,   quali   la
«formazione  professionale»,  la  «promozione  e  organizzazione   di
attivita' culturali», nonche' in quelle di competenza residuale  come
le «politiche abitative». Ne deriverebbe la violazione dell'art. 117,
terzo e quarto comma Cost., in quanto le disposizioni impugnate,  sia
«autoapplicative» che di dettaglio, non lascerebbero alcun margine di
determinazione  discrezionale  alle  Regioni  nell'erogazione   delle
prestazioni assistenziali.
    Per le stesse ragioni,  risulterebbe  violato  anche  l'art.  118
Cost., essendo sottratto alla Regione ogni spazio di esercizio  delle
proprie  attribuzioni  amministrative  nelle  materie  di  competenza
concorrente o residuale sopra indicate, con  particolare  riferimento
al terzo comma dell'art. 118 Cost., in quanto la  disciplina  statale
non avrebbe previsto alcun obbligo dello Stato di concertare  con  le
Regioni le modalita' di  assistenza  nei  confronti  dei  richiedenti
asilo  e/o  protezione  internazionale,  nonche'  nei  confronti  dei
soggetti gia' riconosciuti titolari di «protezione umanitaria».
    1.2.- Con specifico riferimento all'art. 12 del d.l. n.  113  del
2018, la ricorrente ritiene le  disposizioni  impugnate  contrastanti
con gli artt. 2, 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e  119  Cost.,
nonche' con l'art. 117, primo comma, Cost., in riferimento all'art. 3
CEDU.
    La  ricorrente  ricorda  che  il  Sistema   di   protezione   per
richiedenti asilo e rifugiati (d'ora innanzi: SPRAR) e'  il  servizio
costituito dalla rete di centri di  accoglienza  gestiti  dagli  enti
locali, che non si limitano ad accogliere  i  migranti,  ma  svolgono
anche progetti  e  attivita'  di  istruzione,  integrazione  sociale,
informazione, assistenza e orientamento nella costruzione di percorsi
individuali e/o collettivi di inserimento socio-economico, sicche' le
funzioni dei centri SPRAR  coinvolgerebbero  ambiti  attribuiti  alle
competenze concorrenti e residuali delle  Regioni,  come  quelli  del
«diritto allo  studio»  o  all'«assistenza  sociale»,  nonche'  delle
«politiche abitative».
    Cio' posto, la Regione ricorrente evidenzia che  le  disposizioni
censurate sono intervenute «sulla platea dei beneficiari dei  servizi
di accoglienza sul territorio che sono prestati dagli  enti  locali»,
in quanto tali servizi sono stati  ora  riservati  ai  soli  titolari
delle vigenti forme di  protezione  internazionale,  ivi  compresi  i
permessi speciali introdotti dallo stesso d.l. n. 113 del 2018, oltre
che ai minori stranieri non accompagnati. Sono stati  invece  esclusi
dalla possibilita' di usufruire dei relativi servizi i richiedenti la
protezione internazionale, oltre  che  i  possessori  dei  precedenti
permessi di soggiorno per motivi umanitari, oggi soppressi.
    Per tale motivo, si e' provveduto  a  ridenominare  lo  SPRAR  in
Sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e per
i minori stranieri non accompagnati (d'ora in avanti: SIPROIMI).
    Nel ricostruire la portata delle innovazioni introdotte dall'art.
12 del d.l. n. 113 del 2018,  la  ricorrente  sottolinea  che  quelle
contenute  nel  comma  1  hanno  modificato   l'art.   1-sexies   del
decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in  materia  di
asilo politico, di ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari
e di regolarizzazione dei cittadini extracomunitari ed  apolidi  gia'
presenti nel territorio dello Stato), convertito, con  modificazioni,
in legge 28 febbraio 1990, n. 39, nel senso, gia' innanzi  descritto,
di modificare il novero dei destinatari dei servizi  territoriali  di
accoglienza.
    Ricorda, ancora, che, con il comma 2 dell'art. 12 del d.l. n. 113
del 2018 sono state modificate  tutte  le  disposizioni  del  decreto
legislativo 18  agosto  2015,  n.  142  (Attuazione  della  direttiva
2013/33/UE recante norme  relative  all'accoglienza  dei  richiedenti
protezione  internazionale,  nonche'  della   direttiva   2013/32/UE,
recante procedure comuni ai fini del riconoscimento  e  della  revoca
dello status di protezione internazionale), nel senso di espungere  i
frammenti normativi che facevano riferimento ai richiedenti asilo  in
relazione alle strutture ex SPRAR, alle quali tali soggetti non hanno
piu'  accesso,  essendo  destinati  ad  essere  ospitati  solo  nelle
strutture governative disciplinate dagli artt. 9 e 11 del  d.lgs.  n.
142 del 2015.
    Il comma 3 dell'art. 12 ha modificato il d.lgs. n. 25  del  2008,
cancellando dai criteri che definiscono la competenza per  territorio
delle commissioni territoriali che esaminano le domande di protezione
internazionale dei richiedenti asilo quello  della  collocazione  nel
centro  ex  SPRAR,  inserendo  disposizioni  di   coordinamento   sui
portatori di esigenze speciali.
    Il comma 5 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 prevede, con una
norma transitoria, che i richiedenti asilo presenti  nel  sistema  ex
SPRAR alla data di entrata in vigore del decreto-legge, rimangano  in
accoglienza  fino  alla  scadenza  del  progetto   in   corso,   gia'
finanziato.
    Il successivo comma 5-bis  prevede,  invece,  per  i  minori  non
accompagnati richiedenti asilo, che al compimento della maggiore eta'
essi rimangano nel  sistema  SIPROIMI  fino  alla  definizione  della
domanda di protezione internazionale.
    Il comma 6, infine, detta un'ulteriore norma  transitoria  per  i
titolari della protezione umanitaria presenti nel sistema  ex  SPRAR,
stabilendo che essi rimangano in accoglienza fino alla  scadenza  del
periodo temporale  previsto  dalle  disposizioni  di  attuazione  sul
funzionamento del medesimo sistema  di  protezione,  e  comunque  non
oltre la scadenza del progetto di accoglienza.
    Secondo   la   Regione   Umbria,   le   disposizioni    impugnate
produrrebbero   un   aggravio   dei   servizi   di   integrazione   e
socio-assistenziali  ordinari,  dedicati   alla   generalita'   della
popolazione residente, predisposti e finanziati dagli enti  locali  e
dalle  Regioni,  rendendo  «evidente»  la  lesione  delle  competenze
legislative e amministrative regionali.
    Sarebbe, infatti, impedito alla Regione di esercitare le  proprie
attribuzioni nelle materie di  competenza  concorrente  «istruzione»,
«formazione professionale», «promozione e organizzazione di attivita'
culturali», nonche' nelle materie di competenza  regionale  residuale
«servizi  sociali»,  «assistenza  sociale»,  «diritto  allo  studio»,
«politiche abitative», in  quanto  nei  centri  governativi,  gestiti
dall'amministrazione statale, non sarebbe previsto lo svolgimento  di
alcuna attivita'  socio-assistenziale:  tale  circostanza  renderebbe
evidente «che le disposizioni in esame  cancellano  integralmente  le
competenze  legislative  regionali  sopra  indicate»,  perche'   tali
disposizioni sarebbero «autoapplicative» e dettagliate,  sicche'  non
lascerebbero   alla   Regione   «alcun   margine   di   discrezionale
determinazione nell'ottica di un adattamento alle specifiche esigenze
della ricorrente», con conseguente violazione dell'art. 117, terzo  e
quarto comma, Cost.
    Risulterebbe, altresi', violato l'art. 118 Cost., in quanto  alla
Regione  sarebbe  «sottratto  ogni  spazio  di  esercizio  delle  sue
attribuzioni  amministrative  nelle  materie  di   competenza   sopra
indicate».
    Sarebbe, infine, specificamente violato l'art. 118, terzo  comma,
Cost.,  in  quanto  la  disciplina  in  esame  non  avrebbe  previsto
«l'obbligo dello Stato di concertare con le Regioni le  modalita'  di
assistenza  nei  confronti  dei  richiedenti  asilo  e/o   protezione
internazionale, nonche' nei confronti dei soggetti gia'  riconosciuti
in stato di "protezione umanitaria"».
    I medesimi parametri costituzionali sarebbero violati, in seguito
all'espulsione dal sistema di accoglienza del titolare del precedente
permesso di soggiorno per  motivi  umanitari  senza  alcuna  verifica
circa la capacita' di sostentarsi, anche in riferimento: alla  tutela
dei diritti inviolabili dell'uomo, ex art.  2  Cost.,  in  quanto  le
norme impugnate comprometterebbero «il  minimo  di  sostegno  sociale
dovuto a qualunque essere umano»; al principio di ragionevolezza,  ex
art.  3  Cost.,  in  quanto  le  disposizioni   censurate   sarebbero
irragionevoli, trattando allo stesso modo «situazioni personali anche
assai differenziate»; al principio di buon andamento  della  P.A.  ex
art. 97 Cost., in quanto le  norme  impugnate  vanificherebbero  «gli
sforzi (anche finanziari) sostenuti dagli enti coinvolti nel  sistema
Sprar», scaricando «il costo economico  sociale  del  migrante  sugli
ordinari servizi socio-assistenziali approntati  e  finanziati  dalle
Regioni e dagli enti locali»; all'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in
riferimento all'art. 3 CEDU,  perche',  a  parere  della  ricorrente,
costituirebbe «trattamento degradante» la cessazione dei  servizi  di
accoglienza  gia'  avviati  nei  confronti   di   soggetti   definiti
«vulnerabili», quali sono i richiedenti asilo e, ancor  piu',  coloro
che avevano ottenuto il permesso di soggiorno  per  motivi  umanitari
secondo la previgente disciplina.
    1.3.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n.  113  del
2018, la Regione Umbria ha impugnato le seguenti disposizioni:  comma
1, lettera a), numero 2), lettera b) e  lettera  c),  in  riferimento
agli artt. 2, 3, 10, terzo comma, 97, 117, terzo e quarto comma,  118
e 119 Cost.; all'art. 117, primo comma,  Cost.,  anche  in  relazione
all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, che
riconosce taluni diritti e liberta' diversi da  quelli  che  figurano
gia' nella  convenzione  e  nel  suo  primo  protocollo  addizionale,
adottato a Strasburgo il 16 settembre 1963, e all'art. 12,  comma  1,
del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici.
    1.3.1.- La Regione ricorrente precisa che l'art. 13, nella  parte
oggetto di impugnazione (ad esclusione quindi del comma 1, lettera a,
numero 1), ha modificato gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 142 del 2015 e
ne ha abrogato l'art. 5-bis.
    In particolare, al comma  1  dell'art.  4  -  secondo  cui  «[a]l
richiedente e' rilasciato un  permesso  di  soggiorno  per  richiesta
asilo valido nel territorio nazionale per sei mesi, rinnovabile  fino
alla decisione della domanda o  comunque  per  il  tempo  in  cui  e'
autorizzato  a   rimanere   nel   territorio   nazionale   ai   sensi
dell'articolo 35-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 28 gennaio
2008, n. 25» - e' stato aggiunto il  seguente  periodo  (che  non  e'
oggetto  dell'odierna  impugnazione):  «[i]l  permesso  di  soggiorno
costituisce documento di riconoscimento  ai  sensi  dell'articolo  1,
comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della  Repubblica  28
dicembre 2000, n. 445» (art. 13, comma 1, lettera a,  numero  1,  del
d.l. n. 113 del 2018).
    Dopo il comma 1 dell'art. 4 del d.lgs. n. 142 del 2015  e'  stato
aggiunto il comma 1-bis,  del  seguente  tenore:  «[i]l  permesso  di
soggiorno di cui al comma 1 non costituisce titolo  per  l'iscrizione
anagrafica ai sensi del decreto del Presidente  della  Repubblica  30
maggio 1989,  n.  223,  e  dell'articolo  6,  comma  7,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286» (art. 13,  comma  1,  lettera  a,
numero 2, del d.l. n. 113 del 2018).
    e' stato poi sostituito il comma 3 dell'art. 5 del d.lgs. n.  142
del 2015, che oggi risulta cosi' formulato: «[l]'accesso  ai  servizi
previsti dal  presente  decreto  e  a  quelli  comunque  erogati  sul
territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato  nel  luogo  di
domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2».  Al  comma  4  dello
stesso art. 5 sono state sostituite le parole «un luogo di residenza»
con «un luogo di domicilio» (art. 13, comma 1, lettera b, del d.l. n.
113 del 2018).
    Infine, l'art. 13, comma 1, lettera c), del d.l. n. 113 del  2018
ha disposto l'abrogazione dell'art. 5-bis del d.lgs. n. 142 del 2015,
il quale prevedeva:  «1.  Il  richiedente  protezione  internazionale
ospitato nei centri di cui agli articoli  9,  11  e  14  e'  iscritto
nell'anagrafe della popolazione residente ai  sensi  dell'articolo  5
del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica  30
maggio 1989, n. 223, ove non iscritto individualmente.  2.  e'  fatto
obbligo al responsabile della convivenza di dare comunicazione  della
variazione della convivenza al competente ufficio di  anagrafe  entro
venti giorni dalla data in cui si sono  verificati  i  fatti.  3.  La
comunicazione, da parte del responsabile della convivenza anagrafica,
della revoca delle misure di accoglienza  o  dell'allontanamento  non
giustificato del richiedente  protezione  internazionale  costituisce
motivo di  cancellazione  anagrafica  con  effetto  immediato,  fermo
restando il diritto di essere nuovamente iscritto ai sensi del  comma
1».
    Secondo la ricorrente, dal combinato disposto delle  norme  sopra
richiamate discenderebbe che il permesso di soggiorno  per  richiesta
di asilo costituisce un documento di riconoscimento ma non un  titolo
per l'iscrizione anagrafica, pertanto  il  titolare  di  permesso  di
soggiorno per  richiesta  di  protezione  internazionale  non  potra'
essere  iscritto  all'anagrafe  dei  residenti.  Cio'  nondimeno,  il
richiedente continuera' ad avere accesso ai  «servizi»  previsti  dal
d.lgs. n. 142 del 2015 e a quelli «comunque erogati  sul  territorio»
nel luogo di domicilio.
    Al riguardo, la difesa regionale rileva come la  gran  parte  dei
servizi previsti dal d.lgs. n. 142 del 2015 sia erogata attraverso il
diretto coinvolgimento di Regioni ed enti  locali  e  intersechi  una
pluralita' di materie di competenza concorrente della Regione Umbria.
Tra  questi  servizi,  comunque  garantiti   ai   richiedenti,   sono
richiamati: l'assistenza sanitaria (art. 21, comma 1, del  d.lgs.  n.
142  del  2015);  l'istruzione  dei  minori  richiedenti   protezione
internazionale  e  dei  minori  figli   di   richiedenti   protezione
internazionale (art. 21,  comma  2);  la  possibilita'  «di  svolgere
l'attivita' lavorativa» (art. 22, comma  1);  la  partecipazione  «ad
attivita' di utilita' sociale» (art. 22-bis). Il riferimento a questi
servizi confermerebbe, secondo la ricorrente, l'ammissibilita'  delle
censure prospettate.
    1.3.2.- Muovendo dalla prospettiva  delle  prerogative  regionali
asseritamente menomate, l'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018 violerebbe
gli artt. 2, 3, 97, 117, terzo e quarto comma, 118 e 119 Cost.
    La norma impugnata imporrebbe alle Regioni «alternativamente»  di
«escludere dall'erogazione di servizi  e  prestazioni  i  richiedenti
asilo, in violazione dei principi dettati  dallo  stesso  legislatore
statale  nel  d.lgs.  n.  142  del  2015»,  o   di   «modificare   la
corrispondente normativa regionale in modo da  garantire  -  a  spese
delle Regioni medesime, s'intende - determinati servizi e prestazioni
anche ai non iscritti all'anagrafe dei residenti».
    Secondo la ricorrente, l'esito sarebbe, in entrambi  le  ipotesi,
«paradossale» e in ogni caso «violativo» delle prerogative  regionali
garantite dall'art. 117, terzo e quarto comma, Cost.
    L'illegittimita' della  norma  impugnata  ridonderebbe  anche  in
lesione dell'autonomia finanziaria  regionale  di  cui  all'art.  119
Cost. e si porrebbe in contrasto con  il  principio  di  economicita'
dell'azione amministrativa, imposto dall'art. 97 Cost.  Al  riguardo,
la Regione sarebbe tenuta a garantire anche ai  richiedenti  asilo  i
servizi erogati sul proprio territorio, ma - stante  l'impossibilita'
della  loro  iscrizione  all'anagrafe  -  non  potrebbe  considerarli
«partecipi  a  pieno  titolo,  anche  sotto  il  profilo  dei  doveri
tributari, contributivi, etc., della sua comunita' di residenti».
    Sarebbe altresi' violato l'art. 118 Cost. in  considerazione  del
fatto  che  il  divieto  di   iscrizione   all'anagrafe   inciderebbe
sull'esercizio delle  funzioni  amministrative  spettanti  ai  Comuni
nelle materie di competenza regionale sopra menzionate.
    1.3.3.- L'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018  violerebbe,  inoltre,
gli artt. 3 e 10,  terzo  comma,  Cost.,  in  quanto  il  legislatore
statale, impedendo  l'iscrizione  anagrafica  ai  richiedenti  asilo,
avrebbe  riservato  un  trattamento  diverso  e   deteriore   a   una
particolare categoria di stranieri, dando vita a una  discriminazione
del tutto irragionevole fondata esclusivamente sul  diverso  tipo  di
permesso di soggiorno posseduto. Ne' potrebbe valere  a  giustificare
siffatta differenza di trattamento «la precarieta'  del  permesso  di
richiesta asilo», richiamata nella  relazione  di  presentazione  del
disegno di legge  di  conversione  del  d.l.  n.  113  del  2018.  Al
riguardo, la difesa regionale rileva come la  durata  semestrale  sia
prevista non solo per il permesso di soggiorno in questione ma  anche
per quello «per calamita'» (art.  20-bis  t.u.  immigrazione)  e  per
quello  «per  motivi   di   protezione   sociale»   (art.   18   t.u.
immigrazione).
    1.3.4.- La norma impugnata violerebbe, infine, gli artt. 2,  3  e
117, primo comma, Cost., in riferimento  all'art.  2,  comma  1,  del
Protocollo n. 4 della Convenzione per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali e all'art. 12, comma  1,  del
Patto   internazionale   relativo   ai   diritti   civili,    poiche'
«l'irragionevole preclusione  all'iscrizione  anagrafica  min[erebbe]
irrimediabilmente   anche   le   garanzie   previste   dalle    fonti
sovranazionali  richiamate,  gravemente  compromettendo  il   diritto
(garantito dagli artt. 2 e 3 Cost.) al  riconoscimento  pubblico  del
reale rapporto tra persona e territorio dello Stato».
    1.4.- Da ultimo, la Regione  Umbria  prospetta,  con  riferimento
alle disposizioni impugnate, anche la violazione dell'art. 77 Cost. e
del principio di leale collaborazione.
    1.4.1.- Ad avviso della ricorrente, le norme censurate,  adottate
tramite  decreto-legge,  sarebbero   carenti   dei   presupposti   di
straordinaria necessita' e urgenza. Detta carenza  emergerebbe  dalla
apoditticita'  della  relazione  di  accompagnamento  alla  legge  di
conversione, priva di motivazione in ordine alla situazione di  fatto
che avrebbe legittimato il Governo ad intervenire.  In  generale,  le
misure previste dall'atto legislativo sarebbero  ordinamentali  e  di
sistema,  «per  definizione  estrane[e]   all'ambito   legittimamente
regolabile con un decreto legge».
    1.4.2.- Nel dettaglio, le disposizioni censurate sarebbero  tutte
eterogenee, riguardando una  serie  «nutritissima»  di  oggetti.  Con
riferimento all'art.  1,  poi,  la  difesa  regionale  insiste  sulla
«natura meramente fittizia dell'invocazione delle esigenze di urgenza
in ordine a questioni che  non  hanno  nulla  a  che  vedere  con  il
fenomeno del contrasto all'immigrazione clandestina», cui accenna  il
preambolo.  Inoltre,  in  relazione  all'art.  12  del  decreto-legge
censurato, la Regione precisa come le funzioni  dell'ex  SPRAR  siano
«assai articolate», dunque «non disciplinabili in via  di  interventi
di (asserita) necessita' e urgenza». Le norme che hanno rivisto detto
sistema  non  sarebbero  di  immediata  applicabilita',  prevedendosi
l'ultrattivita' della  precedente  disciplina  per  le  persone  gia'
collocate  nei  centri.  Anche  l'art.  13,  relativo  all'iscrizione
anagrafica, sarebbe una misura ordinamentale incompatibile con l'atto
fonte utilizzato.
    1.5.- La Regione Umbria ritiene violato, inoltre, il principio di
leale  collaborazione,  alla  luce  del  suo  mancato  coinvolgimento
durante l'iter legislativo di approvazione del decreto  e  nel  corso
della sua conversione in legge, nonostante l'incidenza  dello  stesso
sulle prerogative regionali.
    Laddove si ritenga che il principio di leale  collaborazione  non
trovi   applicazione   in   ordine   all'esercizio   della   funzione
legislativa,  il  vizio  denunciato  non  verrebbe   comunque   meno,
considerato che il coinvolgimento regionale  non  e'  stato  previsto
nemmeno per quegli atti di concreta amministrazione applicativi delle
astratte previsioni del decreto-legge.
    2.- La Regione Emilia-Romagna, con  ricorso  notificato  il  1°-6
febbraio 2019 e depositato il 4 febbraio 2019 (reg. ric.  n.  11  del
2019), ha impugnato molteplici disposizioni del d.l. n. 113 del 2018,
tra cui gli artt. 1, 12 e 13.
    Dell'art. l, in particolare, ha censurato: il  comma  l,  lettere
a), b), d), f), numero 1), i), numero 1), h), o), p), numeri l) e 2);
il comma 2, lettera a); il comma 6, lettere a), b), c) e d); il comma
7, lettere a) e b); il comma 8 e il comma 9.
    Dell'art. 12 ha  impugnato:  il  comma  1,  lettere  a),  a-bis),
a-ter), b), c), d); il comma 2, lettere a), numeri 1) e 2),  b),  c),
d), numeri 1) e 2), f), numeri 1), 2) e 5), g), numeri 1) e  2),  h),
numeri 1) e 2), h-bis), l), m); il comma 3, lettera a); i commi 4,  5
e 6.
    Dell'art. 13, comma 1, ha censurato: la lettera a), numero 2); la
lettera b), numeri l) e 2); la lettera c).
    In ordine alla legittimazione della  Regione  all'impugnativa,  a
tutela delle attribuzioni proprie, unitamente  a  quelle  degli  enti
locali, la ricorrente riconosce che le  disposizioni  censurate  sono
ascrivibili a competenze statali esclusive, quali «diritto di  asilo»
e «condizione giuridica  dei  cittadini  di  Stati  non  appartenenti
all'Unione europea» (art.  117,  secondo  comma,  lettera  a,  Cost.)
nonche' «immigrazione» (art. 117, secondo comma, lettera  b,  Cost.),
ma  premette  di  agire  per  salvaguardare  l'esercizio  di  proprie
competenze residuali, tra cui quelle in materia di assistenza sociale
e formazione professionale (art. 117,  quarto  comma,  Cost.),  e  di
proprie competenze concorrenti, tra cui quelle relative  alla  tutela
della salute, all'istruzione e alla  tutela  del  lavoro  (art.  117,
terzo comma, Cost.).
    Negli ambiti di propria competenza da ultimi richiamati, infatti,
la  Regione  si  troverebbe  «condizionata  [...]  a   rispettare   e
sviluppare le scelte contenute nella legislazione  statale»,  di  cui
soprattutto al t.u.  immigrazione  e  da  quest'ultimo  espressamente
qualificata come normazione di principio  per  le  Regioni  (art.  1,
comma 4).
    Inoltre,  secondo  la  ricorrente,   la   stessa   giurisprudenza
costituzionale  imporrebbe  allo  Stato  di  esercitare  le   proprie
competenze in materia di immigrazione e di condizione giuridica dello
straniero  in  stretto  coordinamento  con  le  Regioni,  in   quanto
l'intervento pubblico non potrebbe  che  riguardare  anche  ambiti  -
dall'assistenza  all'istruzione,  dalla   salute   all'abitazione   -
attribuiti alle competenze regionali, residuali o concorrenti.
    Gia' sul piano del riparto costituzionale, osserva la ricorrente,
la presenza di interessi e di competenze regionali anche  all'interno
della competenza esclusiva  sulla  immigrazione  sarebbe  oggetto  di
espresso riconoscimento nell'art. 118, terzo comma,  Cost.,  a  mente
del quale «la legge statale disciplina  forme  di  coordinamento  fra
Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo
comma dell'art. 117».
    Cio' posto, la ricorrente lamenta che  lo  Stato,  nell'esercizio
delle proprie competenze, abbia dettato norme  incostituzionali,  che
costringerebbero  «l'azione  regionale  in  una   cornice   normativa
illegittima, condizionando e  viziando  conseguentemente  gli  stessi
atti legislativi ed amministrativi adottati dall'ente  regionale  nel
rispetto di quella cornice».
    Tale lesione sarebbe  evidente  con  riguardo  alle  disposizioni
dell'art. l del d.l. n. 113 del 2018, che priverebbero i  soggetti  -
oggi titolari di permesso di soggiorno  per  motivi  umanitari  -  di
specifici diritti, quali il godimento  dell'assistenza  sanitaria  in
condizione di parita' con  i  cittadini  italiani,  il  diritto  allo
studio, il diritto al lavoro e alla formazione professionale, in  tal
modo interferendo sulle funzioni attualmente svolte dalla Regione: le
posizioni soggettive «eliminate» in capo  alle  persone  titolari  di
permesso di soggiorno per motivi umanitari avrebbero, infatti, natura
di «diritti o di interessi pretensivi conformati  dalla  legislazione
regionale  e  azionabili,  sulla  base  di  tale  legislazione,   nei
confronti della Regione, degli enti strumentali della Regione o degli
enti locali».
    Con particolare riferimento all'art. 12 del d.l. n. 113 del  2018
sarebbe evidente l'interferenza con le  funzioni  attualmente  svolte
dalla Regione e quindi  la  lesione  indiretta  delle  competenze  di
quest'ultima in tema di assistenza sociale e di quelle amministrative
esercitate dai Comuni ai sensi degli artt.  5  e  118,  primo  comma,
Cost.
    Infine, in relazione all'art.  13  del  d.l.  n.  113  del  2018,
concernente la residenza anagrafica, la preclusione,  o  comunque  la
limitazione della possibilita' di ottenerla per i richiedenti  asilo,
farebbe  si'  che  queste  persone,   legittimamente   presenti   sul
territorio  della  Regione  e  dei  suoi  Comuni,   si   troverebbero
«impedite» nel godimento di quei  servizi  per  i  quali  proprio  la
residenza costituisce presupposto essenziale.
    La Regione dichiara, inoltre, di agire - a cio' autorizzata dalla
giurisprudenza costituzionale - anche  a  tutela  delle  attribuzioni
degli enti locali, e segnatamente dei Comuni, che esercitano funzioni
in materia di assistenza e di integrazione  sociale  dei  richiedenti
asilo e, in generale, degli stranieri, sicche' anche gli enti  locali
avrebbero interesse «ad ottenere che le funzioni da  essi  esercitate
per effetto di vincoli costituzionali [...]  concretizzati  da  leggi
regionali e statali, non siano guidate da leggi illegittime».
    2.1.- Quanto al merito delle censure, con  specifico  riferimento
all'art. 1 del d.l. n. 113 del 2018, la  ricorrente  formula  diversi
motivi di  ricorso,  lamentando  in  via  principale  che  l'avvenuta
soppressione del permesso di soggiorno per motivi umanitari e la  sua
sostituzione con ipotesi di permesso di soggiorno per «casi speciali»
non sarebbe in grado di ricomprendere tutte le ipotesi di  protezione
risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato.
    2.1.1.- Ad avviso della Regione, invero, la  precedente  clausola
generale del permesso  di  soggiorno  per  motivi  umanitari  di  cui
all'art. 5, comma 6, del t.u. immigrazione, in quanto clausola aperta
ed elastica, non sarebbe  sostituibile  con  la  previsione  di  casi
tassativi,  i  quali,  in  ragione  della  loro  stessa  struttura  e
conformazione, non potrebbero garantire la copertura dell'intera area
di accoglienza dovuta in  esecuzione  di  obblighi  costituzionali  o
internazionali. Pertanto, la nuova disciplina contrasterebbe con  gli
artt. 2 e 3 Cost.,  in  ragione  della  violazione  dei  principi  di
inviolabilita' della persona umana nei suoi  diritti  fondamentali  e
nella sua dignita'; con l'art. 10,  secondo  e  terzo  comma,  Cost.,
atteso che gli obblighi interni e internazionali di protezione  dello
straniero  risulterebbero  inosservati;  con  l'art.  97  Cost.,  per
violazione  del  principio  di  ragionevolezza   e   buon   andamento
dell'amministrazione  in  ragione  dell'avvenuta   individuazione   e
distinzione, all'interno della popolazione regionale, di un gruppo di
persone  a  condizione  giuridica  irrimediabilmente  degradata;  con
l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  per  il  dichiarato  intento  del
legislatore a non sentirsi vincolato all'adempimento  degli  obblighi
costituzionali e internazionali; con gli artt. 117,  terzo  e  quarto
comma, e 118, primo e  secondo  comma,  Cost.,  perche'  l'intervento
legislativo ridonderebbe sull'esercizio delle competenze regionali in
materia di  tutela  della  salute,  del  lavoro  e  della  formazione
professionale e dell'assistenza sociale.
    2.1.2.- In via subordinata, la Regione Emilia-Romagna censura  la
nuova ipotesi di permesso  di  soggiorno  per  calamita',  introdotta
dall'art. l, comma l, lettera h), del d.l. n.  113  del  2018,  nella
parte in cui limita la possibilita' di rilascio di  detto  titolo  ai
soli casi in cui lo stato di calamita'  in  cui  versi  il  paese  di
origine  dello  straniero  sia  «contingente  ed  eccezionale».  Tale
limitazione, secondo la Regione, escluderebbe tutte le altre  ipotesi
in  cui  ricorrano  ragioni   diverse   dalla   prevista   «calamita'
contingente ed eccezionale», che non rendono  comunque  possibile  il
rientro e la permanenza dello straniero in condizioni  di  sicurezza,
ma sia in ogni  caso  doveroso  il  riconoscimento  della  protezione
umanitaria per obbligo costituzionale o  internazionale.  Vi  sarebbe
pertanto una violazione degli artt. 2, 3,  10  e  117,  primo  comma,
Cost., ridondante in lesione delle competenze regionali  e  comunali,
garantite dagli artt. 117, terzo e  quarto  comma,  e  118,  primo  e
secondo comma, Cost.
    2.1.3.-  In  terzo  luogo,  la   Regione   ravvisa   un'ulteriore
violazione degli artt. 3, 10, secondo e terzo  comma,  e  117,  primo
comma, Cost., nella parte in cui le disposizioni impugnate  eliminano
il riferimento a «motivi di  carattere  umanitario  o  risultanti  da
obblighi costituzionali o internazionali dello Stato  italiano»,  ove
queste siano intese nel senso di precludere il rilascio del  permesso
di soggiorno in favore dei soggetti comunque meritevoli del titolo in
esecuzione di obblighi internazionali e costituzionali, anche se  non
rientranti nelle circostanze specificamente previste dalle norme  sui
permessi per casi speciali, ma comunque collegati alla medesima  area
di protezione.
    2.1.4.-   La   Regione   Emilia-Romagna   ritiene   inoltre   che
l'abrogazione di ogni riferimento al permesso di soggiorno per motivi
umanitari dal t.u. immigrazione privi i soggetti in  possesso  di  un
permesso di soggiorno per motivi umanitari di una  serie  di  diritti
civili o  sociali,  quali  ad  esempio  il  diritto  alla  formazione
professionale, al lavoro, all'accesso alle prestazioni  sanitarie  in
condizione di parita' con i cittadini.
    Sotto altro profilo, la  ricorrente  afferma  che  l'applicazione
immediata delle disposizioni impugnate avrebbe l'effetto di sottrarre
ai titolari di un permesso di soggiorno per motivi  umanitari  ancora
in corso di validita', una serie di facolta'  e  prestazioni  erogate
dalla Regione o dagli enti locali in materia di tutela del lavoro, di
istruzione, di formazione e di avviamento professionale. Da tanto, la
Regione  ricorrente  ricava  l'illegittimita'  di  tali   norme   per
violazione degli artt. 2 e 3 Cost. in ragione della privazione di uno
status  legittimamente  acquisito,  con  violazione   del   principio
dell'affidamento  e  con  incisione  di  diritti  fondamentali  della
persona, quali il diritto al lavoro e alla  formazione  professionale
di cui all'art. 35 Cost., il diritto all'istruzione ex art. 34  Cost.
e il diritto alla salute presidiato dall'art. 32 Cost.
    2.1.5.-  In  quinto  luogo,  la  Regione  Emilia-Romagna   deduce
altresi' «la illegittimita' costituzionale dell'art. l, commi 8 e  9,
per violazione degli artt. 2 e 10, terzo comma,  dell'art.  3  Cost.,
sotto il profilo della tutela dell'affidamento e  per  disparita'  di
trattamento, nonche' dell'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione
ai principi di certezza del  diritto  e  di  tutela  dell'affidamento
sanciti dal diritto europeo». In particolare, ad avviso della Regione
ricorrente, il comma 8 sarebbe illegittimo perche' non  consentirebbe
il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi umanitari in costanza
delle condizioni che lo hanno reso giuridicamente dovuto,  mentre  il
comma 9, a sua volta, sarebbe illegittimo laddove prevede il rilascio
solo di un permesso per «casi speciali».
    Dette  disposizioni,  laddove  applicate   retroattivamente   nei
confronti degli stranieri che avevano fatto ingresso  nel  territorio
dello Stato prima del 5 ottobre 2018, contrasterebbero con gli  artt.
2, 10, terzo comma, 3 (in relazione ai principi di affidamento  e  di
certezza  del  diritto  interno),  117,  primo  comma,   Cost.   (per
violazione dei principi di affidamento  e  di  certezza  del  diritto
sanciti dal diritto europeo), trattandosi «di persone  gia'  presenti
sul territorio regionale e quindi integrate nel sistema di assistenza
e di protezione sociale apprestato dalla rete regionale, i quali  per
effetto della interpretazione qui contestata come incostituzionale ne
verrebbero esclusi».
    2.2.- Quanto all'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018, la  ricorrente
ritiene le impugnate disposizioni lesive degli artt. 2, 3, 4, 5,  11,
35, 97, 114, 117, primo, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120  Cost.,
nonche' del principio di leale collaborazione.
    Partendo dalla considerazione che l'intervento normativo  mira  a
limitare l'accoglienza nel sistema  SPRAR  (rinominato  SIPROIMI)  ai
soli titolari di protezione internazionale (compresa quella speciale,
sostituitasi,  in  parte,   a   quella   umanitaria   precedentemente
esistente) e ai minori stranieri  non  accompagnati,  il  ricorso  e'
volto a contestare la legittimita' costituzionale «della  sottrazione
agli enti territoriali dell'accoglienza ai richiedenti asilo e  delle
risorse destinate ad  essa,  in  quanto  tale  sottrazione  priva  le
Regioni e gli enti locali di una parte delle  funzioni  che  ad  essi
spettano».
    A tal fine, la ricorrente ricostruisce la  disciplina  previgente
del sistema SPRAR, evidenziando, per quanto qui d'interesse, che esso
e' finanziato da un fondo nazionale alimentato anche da risorse messe
a disposizione dell'Unione europea, da ultimo grazie  al  Regolamento
(UE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 16  aprile  2014,  n.
516 che istituisce il Fondo Asilo,  migrazione  e  integrazione,  che
modifica la decisione 2008/381/CE  del  Consiglio  e  che  abroga  le
decisioni n. 573/2007/CE e n. 575/2007/CE del  Parlamento  europeo  e
del Consiglio e la decisione 2007/435/CE del Consiglio.
    Ricorda che gli enti locali predisponevano un sistema di  seconda
accoglienza che costituiva  il  passaggio  successivo  rispetto  alla
cosiddetta prima accoglienza, espletata dopo le operazioni  di  primo
soccorso finalizzate  a  distinguere  i  richiedenti  protezione  dai
cosiddetti  migranti  economici,  questi  ultimi  non   ammessi   sul
territorio nazionale.
    La ricorrente illustra poi le modifiche apportate dal d.l. n. 113
del 2018, come convertito, con  le  quali  sono  state  profondamente
variate le norme fondamentali di disciplina dell'ex  SPRAR  contenute
nell'art. 1-sexies del d.l. n. 416 del 1989 e nell'art. 14 del d.lgs.
n. 142 del 2015 - nei sensi gia' descritti con riferimento al ricorso
della Regione Umbria - introducendo anche una disciplina transitoria.
    2.2.1.- Il primo motivo di ricorso investe specificamente  l'art.
12, comma 1, lettere a), a-ter), b), c), d);  comma  2,  lettere  a),
numeri 1) e 2), b), c), d), numeri 1) e 2), f), numeri 1) e  5),  g),
numeri 1) e 2), h), numeri 1) e 2); comma 3, lettera a); comma 4  del
d.l. n. 113 del 2018.
    Secondo la Regione  Emilia-Romagna,  l'accentramento  in  sedi  e
istituzioni statali delle funzioni  di  accoglienza  dei  richiedenti
asilo comprometterebbe la facolta' delle Regioni  di  disciplinare  -
rispetto  a  soggetti  che,  in  attesa   di   ulteriori   decisioni,
legittimamente permangono sul territorio - le  forme  dell'assistenza
ai richiedenti asilo, ivi compresa l'istituzione di strutture  idonee
e l'individuazione delle funzioni degli enti  locali  nella  materia,
ulteriori rispetto a quelle individuate  dallo  Stato  come  funzioni
fondamentali (tra cui il sistema locale dei servizi sociali).
    La Regione  e  gli  enti  locali  sarebbero  percio'  privati  di
funzioni (in materia di assistenza a  una  particolare  categoria  di
persone, bisognose di accoglienza)  di  cui  sono  costituzionalmente
titolari e  che  la  ricorrente  avrebbe  gia'  esercitato,  peraltro
attribuendo  ai  Comuni  «rilevantissime  funzioni»  in  materia   di
integrazione sociale dei cittadini stranieri immigrati.
    Sarebbero, in tal modo, violati gli artt. 5, 114,  117,  terzo  e
quarto comma e 118, primo comma, Cost., quest'ultimo, in particolare,
perche' le funzioni di seconda accoglienza ai richiedenti asilo erano
correttamente allocate a livello comunale.
    Ancora, la concentrazione delle funzioni  di  accoglienza  per  i
richiedenti asilo nelle strutture governative sarebbe irragionevole e
metterebbe a repentaglio basilari diritti  riconosciuti  dall'art.  2
Cost., per la prospettiva «di sicure violazioni dei diritti umani dei
soggetti ospitati», essendo «notorio» che,  nei  centri  statali,  le
condizioni  di  accoglienza  sarebbero  peggiori  rispetto  a  quelle
assicurate nelle strutture ex SPRAR,  ponendosi  al  di  sotto  degli
standard imposti dalle norme europee.
    2.2.2.- Il secondo motivo di ricorso  censura  specificamente  il
comma 1, lettera a-bis),  e  il  comma  2,  lettera  f),  numero  2),
dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
    Tali  disposizioni  avrebbero  riformulato  la   disciplina   dei
finanziamenti ai  progetti  di  accoglienza  nel  sistema  ex  SPRAR,
precludendo l'accesso degli enti locali al  Fondo  nazionale  per  le
politiche  e  i  servizi  dell'asilo,  comprendente  anche  fondi  di
provenienza europea  relativamente  all'accoglienza  dei  richiedenti
protezione internazionale. Inoltre, sarebbe stato  ridotto  il  ruolo
spettante  alla  Conferenza  unificata,  la  quale,  a   fronte   del
precedente compito di interlocuzione nel momento dell'emanazione  del
decreto ministeriale di ripartizione dei  fondi,  oggi  concorrerebbe
solo al decreto ministeriale con il quale sono definititi i criteri e
le modalita' per la presentazione da parte degli  enti  locali  delle
domande di contributo per la  realizzazione  e  la  prosecuzione  dei
progetti  finalizzati  all'accoglienza  dei   soggetti   ammessi   al
SIPROIMI.
    In tal modo, sarebbero violati gli artt. 117 e 119 Cost. e  11  e
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 5,  comma  l,  lettera
b), del regolamento n. 516/2014/UE, in quanto, eliminando  il  canale
di finanziamento per gli ex SPRAR relativamente  all'accoglienza  dei
richiedenti  protezione,  gli  enti  locali  sarebbero   privati   di
qualunque via per accedere ai finanziamenti  per  tale  tipologia  di
servizio, che pure sarebbero competenti - insieme alla  Regione  -  a
svolgere, nonche' esclusi dai fondi europei.
    Sarebbero altresi' violati gli  artt.  3,  97,  120  Cost.  e  il
principio di leale collaborazione, per il ridimensionamento del ruolo
assunto dalla Conferenza unificata.
    2.2.3.- Il terzo motivo di  ricorso  colpisce  specificamente  il
comma 2, lettera h-bis), dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
    La disposizione prevede, in relazione ai minori non accompagnati,
che nel caso di indisponibilita' di strutture governative, essi siano
accolti temporaneamente dai Comuni  in  cui  si  trovano,  ma  «senza
alcuna   spesa   o   onere   a   carico   del   Comune    interessato
all'accoglienza».
    La censura e' avanzata in via cautelativa,  ove  la  disposizione
dovesse essere interpretata nel senso di limitare la possibilita' dei
Comuni, nell'esercizio di funzioni proprie, di finanziare liberamente
le proprie attivita'. In tal  caso,  infatti,  risulterebbe  lesa,  a
parere della ricorrente, l'autonomia finanziaria degli  enti  locali,
oltre che il principio di  buon  andamento  dell'amministrazione,  in
violazione degli artt. 97, 118 e 119 Cost.
    2.2.4.- Il quarto motivo di  ricorso  investe  specificamente  il
comma 2, lettera l), dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
    La norma abroga la disposizione che  prevedeva  la  possibilita',
per i richiedenti asilo che in  precedenza  usufruivano  dei  servizi
SPRAR, di frequentare corsi di formazione professionale.
    A parere della ricorrente, la disposizione  censurata  violerebbe
l'art. 117, terzo e quarto comma, Cost., in connessione con l'art. 35
Cost., ove interpretata nel senso di istituire  un  divieto  in  capo
alla  Regione  e  agli  enti  locali  di  organizzare  attivita'   di
formazione  professionale  alle  quali   i   richiedenti   protezione
internazionale possano partecipare.
    2.2.5.- Il quinto motivo di  ricorso  censura  specificamente  il
comma 2, lettera m), dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
    La  disposizione  riserva  ai   gia'   titolari   di   protezione
internazionale l'impiego in attivita' di utilita' sociale  in  favore
delle collettivita' locali, promosse dai  prefetti,  d'intesa  con  i
Comuni e le Regioni.
    Ove interpretata come un divieto rispetto alla possibilita',  per
Comuni e Regioni, di  organizzare  tali  attivita'  in  relazione  ai
richiedenti asilo, violerebbe le competenze regionali in  materia  di
formazione professionale e tutela del lavoro e, dunque,  l'art.  117,
terzo e quarto comma, Cost., in connessione con  gli  artt.  4  e  35
Cost.
    2.2.6.- Il sesto motivo  di  ricorso  investe  specificamente  il
comma 5 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
    La disposizione pone la scadenza del progetto quale  limite  alla
permanenza in accoglienza negli ex SPRAR dei richiedenti asilo.
    Secondo la ricorrente, sarebbero violati gli artt.  3,  11,  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in  relazione  all'art.  8  CEDU  in
materia di tutela della vita  privata  e  familiare,  in  quanto,  in
lesione del principio  di  ragionevolezza,  si  porrebbe  in  diretta
violazione dei diritti dei soggetti in accoglienza,  i  quali  da  un
giorno all'altro  si  ritroverebbero  «privi  di  qualunque  tipo  di
sostegno ed espulsi dal contesto di vita nel quale erano inseriti».
    Sarebbe leso, altresi', l'art. 117, terzo e quarto comma, nonche'
il principio di sussidiarieta' di cui agli artt. 5, 114 e 118  Cost.,
che al terzo comma prevede forme di coordinamento proprio in  materia
di immigrazione, e ancora il principio di leale collaborazione di cui
all'art. 120 Cost., in quanto la disposizione costringerebbe gli enti
locali a espellere i richiedenti asilo dai propri centri, quand'anche
le risorse economiche dell'ente oppure quelle fornite  dalla  Regione
nell'ambito  delle  proprie  competenze  risultassero   perfettamente
sufficienti.
    2.2.7.- Il settimo motivo di ricorso  investe  specificamente  il
comma 6 dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018.
    La  norma  pone  la  scadenza  del  progetto  quale  limite  alla
permanenza in accoglienza negli ex SPRAR per i titolari di protezione
umanitaria, oggi soppressa.
    Secondo  la  ricorrente,  tali  soggetti  sarebbero  espulsi  dal
sistema  dell'accoglienza,  con   conseguente   aggravamento,   senza
ragione, delle condizioni di permanenza temporanea sul territorio.
    Sarebbero, percio', violati gli artt. 3, 11 e 117,  primo  comma,
Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU in materia di tutela
della vita privata e familiare, in quanto, in lesione  del  principio
di ragionevolezza, la disposizione impugnata si porrebbe  in  diretta
violazione dei diritti dei soggetti in accoglienza,  i  quali  da  un
giorno  all'altro  si  ritroverebbero  privi  di  qualunque  tipo  di
sostegno ed espulsi dal contesto di vita nel quale erano inseriti.
    2.3.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n.  113  del
2018,  la   Regione   Emilia-Romagna   ha   impugnato   le   seguenti
disposizioni: comma 1, lettera a), numero 2), lettera  b)  e  lettera
c), in riferimento agli artt. 2, 3, 5, 32, 34,  35,  97,  117  e  118
Cost.
    2.3.1.- La ricorrente, dopo aver illustrato il quadro  normativo,
afferma che con la norma impugnata e' stata  «dimezzata  la  funzione
del [permesso di soggiorno per richiesta asilo] che vale ai fini  del
riconoscimento,  ma  non  (piu'),  invece,  ai  fini  dell'iscrizione
anagrafica presso il Comune».
    La difesa regionale ricorda che la residenza e' il luogo  in  cui
la persona ha la dimora abituale (art. 43 del codice civile)  e  che,
pertanto, essa corrisponde «ad una situazione  di  fatto».  Rammenta,
altresi', che la giurisprudenza di legittimita' ha,  da  molti  anni,
riconosciuto che quello  all'iscrizione  anagrafica  e'  «un  diritto
soggettivo  perfetto»  (e'  citata  la  sentenza   della   Corte   di
cassazione, sezioni unite civili, 19 giugno 2000, n. 449).
    La ricorrente passa, poi, a esaminare due diverse interpretazioni
delle disposizioni impugnate, entrambe comunque non esenti da profili
di incostituzionalita'.
    Secondo una lettura radicale, le  norme  impugnate  impedirebbero
l'identificazione e la  qualificazione  dei  richiedenti  asilo  come
residenti. In tal caso, i richiedenti asilo sarebbero soggetti  privi
di residenza, non identificati nella comunita' territoriale in cui si
trovano; avrebbero soltanto un domicilio, cioe' una sede di affari  e
interessi, «ma non un luogo  nel  quale  essi,  come  persone,  siano
riconosciuti  trovarsi  abitualmente».  In  altre  parole,  le  norme
impugnate «creerebbero delle persone istituzionalmente  di  serie  B,
veri  fantasmi  sociali,  privi  persino  del   diritto   di   essere
ufficialmente considerat[i] come residenti in un luogo», con evidente
violazione sia dell'art. 2 Cost., sia del principio di eguaglianza di
cui all'art. 3 Cost., «nel senso  piu'  classico  e  primordiale  del
termine, con riferimento in questo caso alla discriminazione in  base
alle "condizioni personali e sociali"». Dal canto loro, le  comunita'
interessate sarebbero private «della possibilita' di riconoscere  chi
ne e' di fatto parte stabile e conseguentemente della possibilita' di
utilizzare il luogo di  residenza  quale  presupposto  dell'esercizio
delle loro funzioni sia normative che ancor piu' amministrative».
    La ricorrente sostiene che quest'ultima considerazione «risolv[a]
in radice anche il  problema  della  ridondanza  della  questione  di
legittimita' qui posta  sulle  funzioni  regionali»;  sarebbe  dunque
evidente «la violazione di tutte le disposizioni  costituzionali  che
consentono   e   impongono   tali   attivita'   di   governo   e   di
amministrazione», e in particolare degli artt. 5, 97, 117 e 118 Cost.
e ancora prima dell'art. 3 Cost. «quale fondamento del  principio  di
ragionevolezza».
    In base alla seconda interpretazione, invece, le norme  impugnate
non sarebbero volte a privare alcuno del diritto  alla  residenza  ma
comporterebbero  «"soltanto"  l'impossibilita'   di   utilizzare   il
permesso  di  soggiorno  quale  documento  utile  a  determinare   la
residenza». Permarrebbero, dunque, la possibilita' e  il  diritto  di
ottenere l'iscrizione anagrafica in base ad altri documenti idonei  a
provare «il fatto della residenza come dimora abituale». Analogamente
resterebbe fermo il dovere delle autorita' comunali di  accertare  lo
stesso fatto della residenza, iscrivendo ogni residente nei  registri
dell'anagrafe.  In  base  a  questa   diversa   interpretazione,   le
disposizioni impugnate non creerebbero «una categoria di esseri umani
privi del diritto e del dovere di essere riconosciuti quali residenti
in un luogo», ma non  sarebbero  comunque  esenti  dalle  censure  di
illegittimita' costituzionale.
    Le  norme  impugnate  risulterebbero,   infatti,   «completamente
irragionevoli» in quanto finirebbero con l'ostacolare, piuttosto  che
con il favorire, «il processo di accertamento della  residenza»,  non
potendo essere  utilizzato  il  permesso  di  soggiorno  al  fine  di
ottenere l'iscrizione anagrafica. Parimenti irrazionale  risulterebbe
l'abrogazione dell'obbligo dei responsabili dei centri di accoglienza
di  comunicare  i  nominativi   delle   persone   accolte   ai   fini
dell'accertamento e dell'attestazione della loro  residenza.  Di  qui
deriverebbe la violazione del principio  di  ragionevolezza  (art.  3
Cost.) e del principio di buon andamento  dell'amministrazione  (art.
97 Cost.).
    2.3.2.- L'eliminazione dell'iscrizione anagrafica  comporterebbe,
inoltre, «conseguenze rilevanti»  sull'attivita'  svolta  dai  Comuni
della   Regione   Emilia-Romagna   e   da   quest'ultima.    Infatti,
l'amministrazione regionale e quella comunale organizzano  i  servizi
inerenti  alla  sanita',  all'istruzione  e  all'accesso  all'impiego
tramite l'iscrizione anagrafica. Pertanto, il divieto  di  iscrizione
anagrafica renderebbe impossibile procedere alla  programmazione  dei
servizi sociali.  Verrebbero,  inoltre,  complicate  le  funzioni  di
monitoraggio della popolazione e della  sicurezza  locale,  demandate
agli enti comunali. Infine, la  mancanza  dell'iscrizione  anagrafica
arrecherebbe una lesione  «a  funzioni  legislative  gia'  esercitate
nella  pienezza  delle  sue  competenze  da   parte   della   Regione
Emilia-Romagna».
    2.3.3.- Oltre che «dal punto  di  vista  degli  enti»,  le  norme
impugnate risulterebbero irragionevoli anche  se  considerate  «dalla
prospettiva del richiedente». In proposito, la ricorrente richiama la
giurisprudenza costituzionale nella quale si  e'  affermato  che  «lo
straniero e' anche titolare di tutti i diritti  fondamentali  che  la
Costituzione riconosce spettanti alla persona» (e' citata la sentenza
n. 148 del 2008). Tra questi diritti rientra sicuramente  il  diritto
alla salute (art. 32 Cost.), quello all'istruzione (art.  34  Cost.),
quello al lavoro (art. 35 Cost.) e,  in  generale,  tutti  i  diritti
tutelati dall'art. 2 Cost.
    L'impossibilita' di iscrizione ai registri anagrafici  renderebbe
molto piu' difficoltoso l'esercizio di questi diritti e l'accesso  ai
servizi  connessi,   con   conseguente   violazione   dei   parametri
costituzionali sopra indicati.
    2.3.4.- Da ultimo, le norme impugnate sarebbero contradditorie  e
generative di disparita' di trattamento alla luce di quanto  disposto
dall'art. 6,  comma  7,  del  t.u.  immigrazione,  secondo  cui,  tra
l'altro, «[l]e iscrizioni e variazioni  anagrafiche  dello  straniero
regolarmente soggiornante sono effettuate  alle  medesime  condizioni
dei cittadini italiani con le modalita' previste dal  regolamento  di
attuazione».
    La disparita'  di  trattamento  risiederebbe  nel  fatto  che  il
permesso di soggiorno per i richiedenti asilo e' l'unico a  non  dare
accesso all'iscrizione anagrafica e quindi, tra tutti  gli  stranieri
regolarmente soggiornanti, i richiedenti asilo sarebbero i  soli  che
non possono  ottenere  l'iscrizione  anagrafica  e  che  non  possono
beneficiare dei servizi connessi.
    Sempre in relazione all'art. 6, comma 7, del  t.u.  immigrazione,
vi sarebbero profili ulteriori di  disparita'.  Infatti,  il  secondo
periodo di questa disposizione stabilisce  che  «[i]n  ogni  caso  la
dimora dello  straniero  si  considera  abituale  anche  in  caso  di
documentata ospitalita' da piu' di  tre  mesi  presso  un  centro  di
accoglienza».  Pertanto,  mentre  per  i  titolari  della  protezione
internazionale (che hanno diritto  all'iscrizione  anagrafica)  sara'
rilevante la loro dimora abituale  ex  art.  6,  comma  7,  del  t.u.
immigrazione, la medesima situazione di fatto non potra' rilevare per
i richiedenti asilo.
    3.- La Regione Marche, con ricorso notificato  il  1°-6  febbraio
2019 e depositato il 5 febbraio 2019 (reg. ric. n. 13 del  2019),  ha
impugnato  l'intero  testo   del   decreto-legge,   nonche'   singole
disposizioni del d.l. n. 118 del 2013, e tra queste, gli artt. 1,  12
e 13.
    Dell'art. 1, in particolare, ha impugnato: il  comma  1,  lettera
b), numero 2), lettere e), f), g), h), i), o) e  p),  numero  1);  il
comma 2 e il comma 8.
    Dell'art. 12 ha impugnato: il comma 1, lettere a), b)  e  c);  il
comma 2, lettere f), numero 1), l) e m).
    Dell'art. 13, comma 1, ha censurato: le lettere a), numero 2),  e
c).
    La ricorrente  ricostruisce  il  complesso  intervento  normativo
portato dal d.l. n. 113 del 2018, nei termini che si sono  ampiamente
in precedenza gia' illustrati, con riferimento ai ricorsi  presentati
dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna.
    In ordine alla legittimazione della  Regione  all'impugnativa,  a
tutela delle attribuzioni proprie, unitamente  a  quelle  degli  enti
locali,  la  ricorrente  ricorda  che  il  decreto-legge   in   esame
inciderebbe sulle potesta' normative, amministrative e  organizzative
nelle materie che l'art. 117, terzo e  quarto  comma,  Cost.  assegna
alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni.
    A  queste  ultime,  infatti,  la  Costituzione   affiderebbe   la
competenza a  regolare  e  organizzare  lo  svolgimento  di  funzioni
essenziali  per  la  gestione  del  fenomeno  migratorio,  implicanti
l'erogazione  di  molteplici  servizi  in  favore  della  popolazione
straniera stabilitasi nel proprio territorio. Verrebbero in  rilievo,
in particolare, i servizi per la tutela della salute, la  tutela  del
lavoro e le politiche attive del lavoro, la formazione professionale,
l'istruzione, l'assistenza sociale, l'edilizia residenziale  pubblica
e, in generale, i servizi riferiti a tutte  le  prestazioni  volte  a
garantire l'inclusione e l'integrazione degli immigrati  nel  tessuto
socio-economico regionale. Tutti settori  di  intervento  rientranti,
secondo  la  ricorrente,  nelle  materie  di  competenza  legislativa
concorrente o residuale delle Regioni e oggetto di una  distribuzione
multilivello  -  tra  Stato,  Regioni  ed   enti   locali   -   delle
corrispondenti funzioni amministrative (ai sensi dell'art. 118, primo
comma, Cost.).
    La  Regione  Marche  avrebbe  esercitato  le   competenze   sopra
richiamate sia con atti legislativi sia con attivita' amministrative.
    Secondo la ricorrente, le disposizioni del d.l. n. 113  del  2018
rischierebbero di «vanificare del  tutto»  gli  interventi  regionali
volti a garantire l'ordinata gestione degli effetti, sul territorio e
sulla convivenza sociale, dei  fenomeni  migratori,  con  conseguente
grave pregiudizio per le Regioni e gli enti locali,  chiamati  a  far
fronte alle situazioni  di  disagio  sociale  ed  economico,  degrado
urbano ed emarginazione che  si  verificherebbero  laddove  venissero
meno le «misure di mitigazione».
    In particolare, l'abrogazione dell'istituto generale del permesso
di soggiorno per motivi umanitari determinerebbe il rischio  concreto
di un notevole incremento della popolazione straniera  irregolarmente
presente  sul  territorio  nazionale,  con  conseguente   preclusione
dell'erogazione di tutti quei servizi a cui in precedenza i  soggetti
interessati avevano legittimamente accesso.
    A  seguito  della  riforma,  i  legislatori  regionali  sarebbero
obbligati a  introdurre  modifiche  rilevanti  nella  legislazione  e
nell'organizzazione  amministrativa   riferita   all'erogazione   dei
servizi di accoglienza agli stranieri, «sostenendone i relativi costi
(ivi compresa la perdita degli effetti positivi delle misure fin  qui
adottate)».
    In quest'ottica, oltre alle competenze innanzi indicate, verrebbe
in rilievo anche la competenza  regionale  residuale  in  materia  di
«polizia  amministrativa  locale»,  con  particolare  riguardo   alla
sicurezza urbana.
    Per questi motivi, le modifiche introdotte dal cosiddetto decreto
sicurezza presenterebbero molteplici profili  di  incostituzionalita'
ridondanti «senz'altro in  lesione  delle  competenze  costituzionali
attribuite  alla  Regione  e  che  quest'ultima  ha   fino   a   oggi
concretamente esercitato con  la  sua  attivita'  legislativa  e  con
l'organizzazione dei servizi predisposti  a  favore  degli  stranieri
titolari dei relativi permessi di soggiorno».
    3.1.-  Quanto  al  merito  dell'impugnativa,  la  Regione  Marche
prospetta,   in   primo   luogo,   l'illegittimita'    costituzionale
dell'intero testo del d.l. n. 113 del 2018, per violazione  dell'art.
77 Cost.
    Ad avviso della ricorrente, mancherebbe nel preambolo un'adeguata
motivazione in  grado  di  giustificare  l'ampiezza  di  una  riforma
ordinamentale realizzata tramite decretazione d'urgenza. Inoltre,  il
decreto-legge in esame avrebbe un contenuto  eterogeneo,  riguardando
plurimi  profili  che  spaziano  dall'immigrazione  alla   protezione
internazionale, dalla  cittadinanza  alla  sicurezza,  dal  contrasto
della  criminalita'  organizzata  all'organizzazione   amministrativa
dell'autorita' nazionale e  locale  di  pubblica  sicurezza.  Infine,
l'immigrazione viene ritenuta,  dalla  Regione  Marche,  un  fenomeno
ormai  ordinario,  dinanzi  al  quale  non  potrebbero  ricorrere   i
presupposti  di  straordinaria  necessita'  e  urgenza   legittimanti
l'intervento governativo.
    3.2.- Quanto alle singole disposizioni impugnate, con particolare
riguardo  alle  censure  rivolte  nei  confronti  dell'art.   1,   la
ricorrente   deduce   numerosi   profili   di    incostituzionalita',
articolandoli in tre motivi di ricorso.
    3.2.1.- Con il primo motivo,  la  Regione  censura  il  combinato
disposto di cui all'art. 1, comma 1, lettera b), numero 2), comma 2 e
comma 8, nonche' il comma 1, lettere e), f),  g),  h),  i),  o),  p),
numero 1), di detto articolo, per violazione, diretta e indiretta, di
diversi parametri costituzionali.
    Per   effetto   delle    disposizioni    sopra    indicate,    il
ridimensionamento della tutela umanitaria riguarderebbe  non  solo  i
richiedenti detta protezione dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 113
del 2018, ma anche i titolari del  "vecchio"  permesso  di  soggiorno
che, pur a condizioni  invariate,  non  potranno  piu'  ottenerne  il
rinnovo e per i quali dovra' invece valutarsi  la  sussistenza  delle
condizioni  previste  dall'art.  19,  commi  1  e   1.1,   del   t.u.
immigrazione o la ricorrenza dei «casi speciali». Di qui,  l'asserito
contrasto con l'art. 2 Cost. e  il  connesso  principio  di  dignita'
umana, poiche' la novella  legislativa  escluderebbe  dal  regime  di
protezione internazionale soggetti che,  costretti  a  rientrare  nel
proprio paese d'origine, si vedrebbero lesi nel godimento di  diritti
fondamentali che concorrono a qualificare la  dignita'  dell'uomo  in
quanto tale.
    Sarebbero altresi' violati gli artt. 2 e 3 Cost. sotto il profilo
dell'irragionevole lesione della posizione acquisita dagli  stranieri
in virtu' della previgente disciplina e che, senza adeguata normativa
transitoria, si ritroverebbero in  condizione  di  irregolarita'.  Vi
sarebbe inoltre una disparita' di trattamento tra coloro i  quali,  a
parita' di condizioni di rilascio, dopo l'entrata in vigore del  d.l.
n. 113 del 2018, non potranno piu' godere del permesso di soggiorno e
coloro che potranno mantenerlo, con conseguente  discriminazione  sul
piano del godimento dei diritti e delle prestazioni collegate.
    Violato sarebbe poi l'art. 10, terzo  comma,  Cost.,  perche'  la
normativa   impugnata   escluderebbe   soggetti   che,   secondo   la
giurisprudenza di legittimita', sono titolari del  diritto  di  asilo
riconosciuto dalla citata disposizione costituzionale.
    Secondo   la   Regione,   poi,    le    disposizioni    impugnate
contrasterebbero anche con gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.  in
riferimento  agli  artt.  15,  lettera  c)  e  18   della   direttiva
2011/95/UE, perche' sarebbero esclusi dal regime  di  protezione  ivi
disciplinato soggetti che invece avrebbero  diritto  alla  protezione
sussidiaria, in quanto esposti, in caso di rimpatrio, alla  «minaccia
grave e individuale alla vita o alla persona di un  civile  derivante
dalla violenza  indiscriminata  in  situazioni  di  conflitto  armato
interno o internazionale».
    Parimenti, in violazione degli artt. 10, secondo  comma,  e  117,
primo comma, Cost., in riferimento agli artt. 6, 10, comma 1, 17,  23
e 24 del Patto internazionale sui diritti civili e  politici  e  agli
artt. 2, 3 e 8 CEDU, sarebbero esclusi dal regime di  protezione  ivi
disciplinato soggetti esposti a un serio rischio per la propria  vita
e sicurezza alimentare, nonche' per il loro diritto  fondamentale  al
rispetto della vita privata e familiare.
    Ad avviso  della  Regione  Marche,  gli  evidenziati  profili  di
incostituzionalita' sarebbero ancora piu' gravi in considerazione del
fatto  che  la  novella  legislativa  interviene  su  un  sistema  di
protezione internazionale «attuato per  dare  seguito  necessario  ai
principi di cui all'art. 10 Cost. Si deve, infatti considerare che le
disposizioni impugnate nel presente ricorso abrogano  una  disciplina
"costituzionalmente obbligatoria", in quanto sistema  normativo  che,
anche nell'interpretazione giurisprudenziale, ha avuto la funzione di
rendere effettivi i diritti fondamentali della persona». Pertanto, si
tratterebbe di norme che,  una  volta  venute  a  esistenza,  secondo
quanto affermato dalla Corte costituzionale (e' citata la sentenza n.
49 del 2000), possono essere oggetto di modifica legislativa, ma  non
di abrogazione  pura  e  semplice,  «cosi'  da  eliminare  la  tutela
precedentemente concessa, pena la violazione diretta di quel medesimo
precetto   costituzionale   delle   cui   attuazione    costituiscono
strumento».
    Le   disposizioni   impugnate,   in   quanto    incostituzionali,
inciderebbero   illegittimamente   sulle   attribuzioni   legislative
regionali riguardanti i servizi erogati in favore degli stranieri  in
materia di tutela della salute, istruzione, formazione professionale,
governo del territorio, ex art. 117, terzo comma  Cost.,  nonche'  su
quelle concernenti i servizi erogati in materia di assistenza sociale
di cui all'art. 117, quarto comma, Cost. e  sulle  relative  funzioni
amministrative ex art. 118 Cost., con la  conseguente  necessita'  di
rimodulazione delle stesse funzioni, cosi' da escludere gli stranieri
non piu' qualificabili come «regolarmente soggiornanti» dal godimento
delle prestazioni concernenti i servizi  sopra  elencati,  essenziali
per la corretta gestione degli effetti  sociali  e  territoriali  del
fenomeno migratorio.
    La Regione ricorrente ritiene dunque evidente la  ridondanza  dei
denunciati  profili  di  incostituzionalita'  nella   lesione   delle
attribuzioni regionali, che si concretizzerebbe  proprio  laddove  le
norme adottate dal  legislatore  nazionale  -  nel  caso  di  specie,
ritenute dalla  ricorrente  espressione  della  competenza  esclusiva
statale in materia di «diritto di asilo e  condizione  giuridica  dei
cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea»,  nonche'  di
«immigrazione» - pur non contrastando con le regole costituzionali in
tema di  riparto  di  competenze  tra  Stato  ed  enti  territoriali,
nondimeno  obblighino  le  Regioni,  nell'esercizio   delle   proprie
attribuzioni,   a   conformarsi   a   una   disciplina    legislativa
incostituzionale sotto  altri  profili  (richiama,  a  tal  fine,  la
sentenza n. 145 del 2016). Cio' accadrebbe nel caso in esame, poiche'
le norme impugnate vincolerebbero illegittimamente le  Regioni  nella
regolamentazione ed erogazione dei servizi di accoglienza  in  favore
degli  stranieri,  come  quello  sanitario   e   quello   concernente
l'istruzione superiore e la formazione  professionale,  per  i  quali
alla Regione sarebbe preclusa la determinazione autonoma del volume e
delle modalita' organizzative delle prestazioni.
    La Regione ricorrente ricorda che a essa spetta  la  facolta'  di
approvare norme di maggior favore nei confronti degli stranieri nelle
materie di propria competenza, alla luce delle direttive europee  che
riconoscono al legislatore nazionale la  possibilita'  di  introdurre
disposizioni piu' favorevoli (ricorda, a tal  fine,  l'art.  2  della
direttiva 2011/95/UE  e  l'art.  4  della  direttiva  2013/33/UE  del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme
relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) e
del  potere  di  concorrere  all'attuazione   del   diritto   europeo
attribuitole dall'art. 117, quinto comma, Cost. L'esercizio di  detta
facolta',  ad  avviso  della  ricorrente,  verrebbe  precluso   dalla
riduzione del novero  dei  soggetti  ammessi  a  fruire  dei  servizi
assistenziali, operata a livello statale.
    Infine, la Regione afferma che la normativa statale,  «in  quanto
illegittima   costituzionalmente,    incide    negativamente    anche
sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119 Cost.»,  con
particolare riguardo a quella in materia sanitaria, tenuto conto  che
gli oneri delle prestazioni indicate all'art. 35,  comma  3,  lettere
a), b), c), d) e), del t.u.  immigrazione,  spettanti  alle  Regioni,
aumenteranno in  ragione  dell'aumento  del  numero  degli  stranieri
irregolari, analogamente a quanto accadra' per gli oneri da sostenere
per i servizi sociali e assistenziali per la formazione professionale
e l'edilizia residenziale pubblica.
    3.2.2.- Con un secondo  motivo  di  ricorso,  la  Regione  Marche
censura l'art. 1, comma 1, lettere e), f), numeri 1) e  2),  g),  h),
i), numeri 1) e 2), del d.l. n. 113 del 2018,  nella  parte  in  cui,
modificando i permessi di soggiorno umanitari di cui agli  artt.  18,
comma  2,  18-bis,  comma  1,  e  22,  comma  12-quater,   del   t.u.
immigrazione, e prevedendo ulteriori ipotesi di permesso di soggiorno
tipiche con durate e disciplina differenziate, non sarebbe  in  grado
di  ricomprendere,  nel  proprio  campo  di  applicazione,  tutte  le
manifestazioni del diritto di alloggio e del diritto alla  formazione
che richiedono il possesso di un titolo di permanenza nel  territorio
nazionale «almeno biennale» (mentre i casi tipici hanno  durata  piu'
esigua). Cio' determinerebbe, per la ricorrente, una violazione degli
artt. 2 e 3 Cost., con riguardo agli stranieri titolari del  permesso
di soggiorno di cui all'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008.
    Tale illegittimita' si risolverebbe altresi' in lesione indiretta
delle attribuzioni regionali relative alle materie cui si riferiscono
i diritti non contemplati dalle norme impugnate (ovvero,  «formazione
professionale», «tutela del lavoro», «assistenza sociale»,  «edilizia
residenziale pubblica»), di cui all'art. 117, terzo e  quarto  comma,
Cost., nonche' delle  relative  competenze  amministrative  spettanti
alla Regione in base all'art. 118, primo comma, Cost.
    Inoltre, la normativa  statale  inciderebbe  negativamente  anche
sull'autonomia finanziaria regionale di cui all'art. 119  Cost.,  per
le medesime ragioni gia' illustrate con  riferimento  ai  ricorsi  di
Umbria ed Emilia-Romagna.
    3.2.3.- Infine, con un diverso  motivo,  la  Regione  censura  il
combinato disposto dell'art. 1, comma 1, lettera g), del d.l. n.  113
del 2018, con il comma 2 del medesimo articolo, per violazione  degli
artt. 2, 3 e 32 Cost., in quanto lo speciale  permesso  di  soggiorno
per cure mediche, introdotto  dalle  norme  impugnate,  non  potrebbe
essere rilasciato a chi versi in una situazione di salute  grave  «ma
non di particolare o eccezionale gravita'», con  conseguente  lesione
indiretta delle attribuzioni regionali relative alla materia  «tutela
della salute», nonche' delle  rispettive  competenze  amministrative,
atteso che la Regione sarebbe costretta a negare i servizi essenziali
alla persona agli stranieri che, pur versando in gravi situazioni  di
salute, non rientrino nel campo di operativita' di cui  al  comma  1,
lettera g), dell'art. 1.
    3.3.- Quanto all'art. 12 del  d.l.  n.  113  del  2018,  esso  e'
censurato nelle parti in cui ha escluso la possibilita' che  la  rete
ex SPRAR eroghi i  servizi  di  accoglienza  ai  soggetti  che  hanno
formulato richiesta di protezione internazionale, ma sono  ancora  in
attesa  del  pronunciamento   dell'autorita'   amministrativa   sulla
richiesta medesima.
    La ricorrente ritiene le elencate disposizioni lesive degli artt.
2, 3, 10, secondo  e  terzo  comma,  11,  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo  in   riferimento   alla   direttiva   2103/33/UE,   con
conseguente  lesione  indiretta  delle  attribuzioni  legislative  in
materia di «tutela della salute», «tutela del lavoro»,  «istruzione»,
«formazione professionale», «governo del territorio», con riferimento
all'edilizia residenziale  pubblica,  «assistenza  sociale»,  nonche'
delle relative funzioni amministrative, che gli artt.  117,  terzo  e
quarto comma, e 118 Cost.,  riconoscono  alla  Regione,  nonche'  per
lesione  indiretta  dell'autonomia  finanziaria  regionale  garantita
dall'art. 119 Cost. e per lesione indiretta  delle  attribuzioni  che
l'art. 118 Cost., anche in relazione agli  artt.  114  e  117,  sesto
comma, Cost., riconosce in favore dei  Comuni,  in  riferimento  alle
indicate materie di competenza legislativa regionale.
    Ricorda  che  la  direttiva  2013/33/UE,  in  particolare  con  i
considerando n. 26 e n. 27, stabilisce l'opportunita' di incoraggiare
un appropriato coordinamento tra le autorita' competenti  per  quanto
riguarda l'accoglienza dei richiedenti, e di promuovere, per  questo,
«relazioni  armoniose»  tra  le  comunita'  locali  e  i  centri   di
accoglienza, evidenziando  la  centralita'  degli  enti  territoriali
nella gestione del fenomeno migratorio. Del resto, ricorda ancora  la
ricorrente, le norme costituzionali prescrivono  che  lo  svolgimento
delle funzioni e dei servizi pubblici avvenga al livello piu'  vicino
possibile rispetto al destinatario  della  funzione  o  del  servizio
medesimi, salvo che per ragioni di differenziazione, sussidiarieta' e
adeguatezza risulti necessario lo svolgimento di tali attivita' a  un
livello organizzativo superiore (art. 118 Cost).
    Le  disposizioni  impugnate  avrebbero,   invece,   «radicalmente
precluso» alle Regioni e agli enti locali di  esercitare  le  proprie
competenze costituzionalmente garantite nel settore  dei  servizi  di
accoglienza in favore degli stranieri richiedenti asilo,  sopprimendo
drasticamente la rete di interventi precedentemente garantiti a  tali
soggetti dal sistema SPRAR e  conseguentemente  accentrando  in  capo
allo Stato le relative competenze.
    Ancora, secondo la Regione Marche, i  richiedenti  asilo,  per  i
quali - in attuazione dell'art. 8 della direttiva 2013/33/UE - non e'
prevista  alcuna   limitazione   della   liberta'   di   circolazione
nell'attesa della  definizione  della  loro  domanda  di  protezione,
sarebbero liberi  di  stabilirsi  nel  territorio  regionale  e  cio'
«imporra' agli enti territoriali di attuare misure volte a  garantire
la salute pubblica e la sicurezza locale», oltre che il decoro urbano
e l'ordine pubblico, in cio' impediti dalle  disposizioni  impugnate,
che li priverebbero delle risorse finanziarie del Fondo nazionale per
le politiche e i servizi dell'asilo, sicche' ogni misura di  sostegno
agli stranieri dovra' essere  attuata  dalle  amministrazioni  locali
mediante  impiego  di  risorse  proprie,  con   conseguente   lesione
dell'autonomia finanziaria garantita dall'art. 119 Cost.
    Secondo la ricorrente, inoltre, l'esclusione  della  possibilita'
di ricomprendere i  richiedenti  asilo  in  programmi  di  formazione
professionale volti all'inserimento lavorativo e di impiego in lavori
socialmente utili contrasterebbe con le norme della citata  direttiva
2013/33/UE: sarebbero, cosi', violati gli artt. 2, 3, 10,  secondo  e
terzo comma, 11 e  117,  primo  comma,  Cost.,  con  incisione  sulle
competenze spettanti, in materia di accoglienza degli stranieri, alle
Regioni  e  ai  Comuni,  «costretti  ad  adeguarsi  a  una  normativa
incostituzionale  e,  dunque,   a   negare»   tali   provvidenze   ai
richiedenti.
    3.4.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n.  113  del
2018,  la  Regione  Marche  ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale delle disposizioni di cui  al  comma  1,  lettera  a),
numero 2), e lettera c), in  riferimento  agli  artt.  3,  10,  terzo
comma, 114, 117, terzo, quarto  e  sesto  comma,  118  e  119  Cost.;
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 2,  comma  1,
del Protocollo n. 4 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, e all'art. 12, comma 1,  del
Patto internazionale relativo ai  diritti  civili  e  politici;  agli
artt. 11 e 117, primo  comma,  Cost.,  in  relazione  alla  direttiva
2013/33/UE.
    La ricorrente  sottolinea,  preliminarmente,  come  la  residenza
rappresenti «il principale criterio di collegamento tra  cittadino  e
territorio, con rilevanti implicazioni sulla  platea  dei  potenziali
beneficiari di misure socio-assistenziali, nonche' di quelle  rivolte
a favorire l'autonomia del cittadino».
    3.4.1.- In  particolare,  la  difesa  regionale  ritiene  che  la
disposizione di cui all'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), «per
la parte in cui si debba intendere nel  senso  di  vietare  e  dunque
escludere l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo», si ponga in
contrasto con vari parametri costituzionali.
    Innanzitutto, sarebbero violati gli artt. 3 e  10,  terzo  comma,
Cost., in quanto si realizzerebbe «una irragionevole e sproporzionata
disparita' di trattamento rispetto ad altri stranieri  in  condizioni
del tutto analoghe», quali i titolari di permessi  speciali  previsti
dall'art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008 e dallo stesso  d.l.
n. 113 del 2018.
    Sarebbe  violato  anche  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,   in
relazione all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4 della  Convenzione
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali, e  all'art.  12,  comma  1,  del  Patto  internazionale
relativo ai diritti civili e politici. Alla luce delle  citate  norme
internazionali, infatti, i richiedenti asilo, che sono titolari di un
diritto all'ingresso nel territorio  dello  Stato  e  che  quindi  si
trovano legalmente nel territorio italiano, avrebbero il  diritto  di
fissare all'interno di tale territorio la propria residenza.
    Ulteriori ragioni di  incostituzionalita'  sarebbero  rinvenibili
nella violazione degli  artt.  11  e  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione alla direttiva 2013/33/UE, nella parte in cui  quest'ultima
riconosce al richiedente asilo il diritto di fruire delle  condizioni
di accoglienza concernenti  la  scolarizzazione  e  l'istruzione  dei
minori (art. 14 della direttiva), l'accesso  al  mercato  del  lavoro
(art.  15),  la  formazione  professionale  (art.  16),  l'assistenza
sanitaria e l'alloggio (artt. 17, 18 e 19).
    3.4.2.-   La   ricorrente    aggiunge    che    l'interpretazione
dell'impugnato art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), nel senso  di
precludere l'iscrizione anagrafica dei richiedenti asilo, inciderebbe
senz'altro    sulle    attribuzioni    regionali,    legislative    e
amministrative, in materia di tutela  della  salute,  di  tutela  del
lavoro, di istruzione, di formazione professionale,  di  governo  del
territorio con riferimento all'edilizia residenziale pubblica,  e  di
assistenza sociale (artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost.). La
denunciata lesione delle attribuzioni regionali deriverebbe dal fatto
che l'iscrizione anagrafica costituisce il presupposto necessario per
l'accesso ai servizi e  alle  prestazioni  concernenti  le  anzidette
materie; inoltre, la  norma  impugnata  imporrebbe  alla  Regione  di
modificare la propria legislazione vigente.
    Le lesioni delle attribuzioni delle Regioni ridonderebbero  anche
in una lesione delle competenze amministrative  spettanti  ai  Comuni
quanto alla tenuta e alla  gestione  dei  registri  anagrafici  della
popolazione residente sul territorio (artt. 114 e 118 Cost.).
    3.4.3.- La norma di cui art. 13, comma 1, lettera a), numero  2),
impedirebbe, inoltre, ai  Comuni  di  erogare  ai  richiedenti  asilo
molteplici servizi essenziali  per  garantire  la  loro  integrazione
socio-economica.  Al  riguardo,  la  difesa  regionale  ricorda   che
l'iscrizione anagrafica  costituisce  il  presupposto  per  l'accesso
all'assistenza sociale, per la concessione di sussidi e  agevolazioni
basati sulle condizioni di reddito, per la priorita'  di  accesso  ai
servizi, per l'applicazione di tariffe inferiori  a  quelle  massime,
per la concessione di contributi a parziale o totale copertura  delle
rette, per l'esenzione della contribuzione al costo dei servizi e per
usufruire del reddito di inclusione.
    Inoltre,  la  mancata  iscrizione  anagrafica  inciderebbe  sulle
politiche attive del lavoro e, in particolare, sulla possibilita' per
lo  straniero  di  ottenere  il   riconoscimento   dello   stato   di
disoccupazione ai sensi del decreto legislativo 14 settembre 2015, n.
150 (Disposizioni per il  riordino  della  normativa  in  materia  di
servizi per il lavoro e di politiche attive, ai  sensi  dell'articolo
1, comma 3, della legge 10 dicembre  2014,  n.  183).  A  sua  volta,
l'assenza dello stato di  disoccupazione  precluderebbe  l'accesso  a
tutti i servizi di politica attiva del lavoro  finanziati  dal  Fondo
Sociale Europeo.
    A quanto detto, la difesa regionale  aggiunge  l'irragionevolezza
del sistema normativo derivante dall'art. 13  del  d.l.  n.  113  del
2018, posto  che,  da  un  lato,  le  norme  vigenti  riconoscono  ai
richiedenti asilo il diritto a un alloggio (art. 18  della  direttiva
2013/33/UE), mentre, dall'altro lato, la norma  impugnata  nega  agli
stessi soggetti la possibilita' di ottenere l'iscrizione  anagrafica.
In questo modo sarebbe inciso anche il buon andamento  nell'esercizio
delle funzioni dei singoli Comuni,  i  quali,  per  svolgere  i  loro
compiti, necessitano di conoscere esattamente il numero dei  soggetti
stabilmente presenti nel proprio territorio.
    Infine,  la  norma  impugnata  inciderebbe  anche  sull'autonomia
finanziaria regionale di cui  all'art.  119  Cost.,  «particolarmente
sotto il profilo dell'autonomia di  spesa  in  relazione  ai  servizi
erogati per l'integrazione degli immigrati».
    4.- La Regione Toscana, con ricorso notificato  il  31  gennaio-4
febbraio 2019 e depositato il 6 febbraio 2019 (reg. ric.  n.  17  del
2019), ha impugnato, tra gli altri, l'art. 1, comma 1, lettere  b)  e
f), e comma 8, nonche' l'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del
d.l. n. 113 del 2018, per violazione degli artt. 2, 3,  10,  32,  97,
117 primo, terzo e quarto comma, e 118 Cost.
    4.1.- La Regione evidenzia come le  suddette  norme  incidano  su
molteplici attribuzioni costituzionali della stessa  e  che  numerosi
Comuni toscani hanno altresi' chiesto alla  medesima  di  far  valere
anche la lesione delle attribuzioni degli  enti  locali,  in  ragione
della  «stretta  connessione   -   in   particolare   nelle   materie
dell'assistenza sociale, dell'istruzione e dell'edilizia residenziale
pubblica - tra le  attribuzioni  costituzionali  regionali  e  quelle
delle autonomie locali, la quale "consente di ritenere che la lesione
delle competenze locali sia potenzialmente idonea a  determinare  una
vulnerazione delle competenze regionali"» (vengono citate le sentenze
n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).
    4.1.1.- Con il primo motivo di ricorso, la  Regione  censura,  in
particolare, l'illegittimita' costituzionale del comma 1, lettera b),
e del comma 8, dell'impugnato art. 1, per violazione degli  artt.  2,
3, 10, 32, 117, primo comma, Cost., nella parte  in  cui,  eliminando
l'istituto del generale permesso di soggiorno per motivi umanitari  e
individuando  solo  ipotesi  tipiche  e  tassative  di  permesso   di
soggiorno, determinerebbero  un  significativo  numero  di  stranieri
irregolari, cosi' causando «una lesione indiretta sulle  attribuzioni
legislative e amministrative regionali di cui agli artt. 117, terzo e
quarto comma, e  118  Cost.,  in  materia  di  tutela  della  salute,
istruzione, politiche attive del lavoro, assistenza sociale,  servizi
sociali e formazione professionale».
    Secondo  la  ricorrente,  la  legislazione  e  la  programmazione
regionale che, fino a ora, hanno disciplinato e  previsto  molteplici
misure e interventi in favore dell'integrazione e inclusione  sociale
dei titolari di permessi di soggiorno umanitario sarebbero fortemente
incise  dalla  novella  legislativa,  costringendo   il   legislatore
regionale ad adeguarsi alle nuove previsioni. Evidenzia altresi' come
i nuovi permessi speciali, tipizzati dal decreto-legge,  abbiano  una
durata ridotta a un anno, se  non  addirittura  inferiore,  cosi'  di
fatto escludendo i titolari di detti permessi da  alcune  prestazioni
invece finora erogate (assistenza sociale, accesso  agli  alloggi  di
edilizia residenziale pubblica o l'iscrizione al  servizio  sanitario
nazionale).
    Quanto sopra detto proverebbe, a dire della Regione, la rilevanza
e  l'intreccio  con  materie  di  sicura  competenza  regionale,  sia
concorrente  che  residuale,   come   altresi'   riconosciuto   dalla
giurisprudenza della Corte costituzionale (di cui ricorda le sentenze
n. 61 del 2011, n. 299 e n. 269 del 2010, n. 156 del 2006  e  n.  300
del 2005).
    Le   disposizioni   impugnate,   quindi,   vanificherebbero    la
legislazione regionale e gli interventi che, sulla  base  di  questa,
sono stati programmati ed  erogati,  con  conseguente  lesione  delle
attribuzioni costituzionali nelle materie di cui all'art. 117,  terzo
e quarto comma, Cost., nonche' delle relative funzioni amministrative
spettanti ai sensi dell'art. 118 Cost.  La  Regione  sarebbe  infatti
costretta a rimodulare dette  funzioni  con  esclusione  di  soggetti
«fino a ieri pienamente regolari e fruitori  di  politiche  regionali
volte a favorirne l'inclusione sociale, i quali sono divenuti o  sono
destinati a divenire inesorabilmente irregolari».
    Per gli stessi motivi, anche il comma 8 dell'art. 1 - che  regola
la disciplina transitoria dei permessi umanitari  gia'  riconosciuti,
stabilendo che alla scadenza potra' essere rilasciato un permesso  di
soggiorno  speciale  di   durata   annuale,   rinnovabile,   ma   non
convertibile  in  permesso  per  motivi  di  lavoro  -   risulterebbe
costituzionalmente  illegittimo,  giacche'   non   permetterebbe   al
titolare di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in corso di
validita' di ottenerne il rinnovo a condizioni di rilascio invariate.
    Ad avviso della Regione, il  permesso  di  soggiorno  per  motivi
umanitari, rilasciabile ai sensi  dell'art.  5,  comma  6,  del  t.u.
immigrazione nel testo previgente, trovava fondamento negli artt.  2,
3 e 10 Cost., perche' consentiva di riconoscere a tutte le persone  i
diritti  inviolabili   dell'uomo   nel   rispetto   del   dovere   di
solidarieta',  nonche'  di  evitare  discriminazioni   arbitrarie   e
irragionevoli (la ricorrente ricorda, a tal fine, la sentenza n.  381
del 1999 in merito a «seri motivi umanitari»).
    Tale  permesso  umanitario  sarebbe  altresi'  lo  strumento  per
attuare il diritto di asilo  costituzionalmente  garantito  dall'art.
10,  terzo  comma,  Cost.,  e  darebbe  piena  attuazione   a   norme
internazionali convenzionali ed europee (artt. 3 e 8 CEDU).
    In ragione dei vincoli previsti negli artt. 10, secondo  e  terzo
comma, e 117, primo comma, Cost., secondo  la  ricostruzione  operata
dalla Regione ricorrente, non  sarebbe  pertanto  possibile,  per  il
legislatore nazionale, abrogare l'istituto del permesso di  soggiorno
per motivi umanitari sostituendolo con  altri  che  non  garantiscano
piu' un'attuazione  completa  ed  esaustiva  ai  suddetti  parametri.
Trattasi, per la Regione, di «leggi costituzionalmente  obbligatorie»
che possono essere modificate o sostituite,  ma  «senza  arretramenti
delle tutele».
    Da quanto detto, discenderebbe inoltre la violazione dell'art. 32
Cost.  per  le  restrizioni  all'iscrizione  al  Servizio   sanitario
regionale.
    La ricorrente ritiene che la violazione degli artt.  2,  3  e  10
Cost. sia ancora piu' accentuata dalla considerazione del particolare
impatto delle norme impugnate sui minori stranieri non  accompagnati,
i quali non potrebbero piu' beneficiare di un permesso  di  soggiorno
di due anni rinnovabile e convertibile al raggiungimento dei 18  anni
o allorche' risultino essere in affidamento ai servizi sociali.
    Per le considerazioni svolte, la Regione  ritiene  che  le  norme
impugnate  incidano  sulle  materie  della  «tutela  della   salute»,
dell'«istruzione»,   delle    «politiche    attive    del    lavoro»,
dell'«assistenza sociale» e dei «servizi sociali», della  «formazione
professionale»  e  dunque   sulle   attribuzioni   costituzionalmente
garantite alla Regione ai sensi dell'art. 117, terzo e quarto  comma,
Cost., nonche' sulle relative funzioni amministrative spettanti  agli
enti  regionali  e  locali  ex  art.  118   Cost.   Detta   incidenza
determinerebbe  che  stranieri  oggi  regolari   e   fruitori   degli
interventi e delle misure che  la  Regione  Toscana  ha  attuato  sul
proprio  territorio  nelle   materie   sopra   elencate,   diverranno
irregolari «senza che sia reale  [...]  la  possibilita'  della  loro
espulsione», con l'effetto di comportare alcuni obblighi conformativi
sulle attribuzioni regionali.
    4.1.2.- Con un secondo motivo  di  ricorso,  la  Regione  Toscana
denuncia poi l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1,  comma  1,
lettera f), del d.l. n. 113 del 2018 per violazione degli artt. 2 e 3
Cost., nella parte  in  cui,  nel  consentire  l'accesso  ai  servizi
assistenziali  e  allo  studio,  nonche'   l'iscrizione   nell'elenco
anagrafico  ai  titolari  del  permesso  di  soggiorno  speciale  per
stranieri  vittime  di  violenza  domestica  (art.  18-bis  del  t.u.
immigrazione), lascerebbe fuori dal suo campo applicativo il  diritto
all'alloggio e alla  formazione,  cosi'  incidendo  sulla  competenza
regionale  in  materia  di  «formazione  professionale»  e  «edilizia
residenziale pubblica».
    Escludendo dal diritto di alloggio e di formazione gli  stranieri
vittime   di   violenza   domestica,   la   disposizione    censurata
discriminerebbe la posizione di questi  ultimi,  in  possesso  di  un
permesso di soggiorno speciale, rispetto a quella dei titolari di  un
permesso di soggiorno ex art. 32, comma 3, del d.lgs. n. 25 del 2008,
e in generale  rispetto  allo  straniero  regolarmente  soggiornante,
cosi' violando gli artt. 2 e 3 Cost.
    4.2.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n.  113  del
2018, la Regione Toscana ha impugnato il comma 1, lettera a),  numero
2), in riferimento agli artt. 2, 3,  10,  97,  117,  terzo  e  quarto
comma, e 118 Cost.; all'art. 117, primo  comma,  Cost.  in  relazione
all'art. 2, comma 1, del Protocollo n. 4  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,
all'art. 12, comma 1, del Patto internazionale  relativo  ai  diritti
civili e politici, all'art. 7 della direttiva 2013/33/UE, all'art. 14
CEDU e all'art. 26 della Convenzione di Ginevra del 28  luglio  1951,
ratificata e resa esecutiva con legge 24 luglio 1954, n. 722.
    4.2.1.- Preliminarmente, la difesa regionale  sottolinea  che  la
norma impugnata si riferisce ai richiedenti asilo, i quali, sino alla
definizione della procedura a opera della commissione territoriale (o
sino alla decisione del ricorso avverso la pronuncia sulla  richiesta
di asilo), sono titolari  di  un  permesso  di  soggiorno  e  vengono
sistemati nelle strutture  di  prima  accoglienza.  Al  riguardo,  la
ricorrente precisa che questo procedimento non e'  di  breve  durata,
tenuto conto che le commissioni  impiegano  circa  due  anni  per  la
relativa  definizione,  cui  vanno  sommati  i  tempi  dell'eventuale
contenzioso.
    Pertanto, alla luce  delle  richiamate  norme  internazionali,  i
richiedenti asilo, in quanto soggiornanti legalmente  nel  territorio
italiano,  avrebbero  il  diritto  di  fissare  all'interno  di  tale
territorio la propria residenza.
    Inoltre, la norma impugnata, non avendo abrogato l'art. 6,  comma
7, del t.u.  immigrazione,  creerebbe  «una  situazione  di  assoluta
incertezza  sulla  normativa   applicabile   ai   richiedenti   asilo
regolarmente  presenti,  a   danno   della   efficienza   dell'azione
amministrativa  delle  amministrazioni  regionali  e   locali»,   con
conseguente violazione dell'art. 97 Cost.
    4.2.2.- La ricorrente aggiunge che l'iscrizione anagrafica e'  il
presupposto per l'accesso all'assistenza sociale, per la  concessione
di sussidi o  agevolazioni  previste  dalla  legislazione  statale  e
regionale basate sulle  condizioni  di  reddito  verificate  mediante
l'indicatore della situazione economica  equivalente  (ISEE).  A  sua
volta, presupposto per ottenere l'ISEE e' la residenza anagrafica.
    Inoltre, il richiedente asilo non potra' maturare i requisiti  di
durata  della  residenza  necessari  per  l'accesso  al  reddito   di
inclusione (REI) di cui al decreto legislativo 15 settembre 2017,  n.
147 (Disposizioni per  l'introduzione  di  una  misura  nazionale  di
contrasto alla poverta'), cosi' come a  tutte  le  altre  prestazioni
statali, regionali e locali che  vengono  condizionate  dalla  durata
della residenza.
    La norma impugnata inciderebbe anche sulle politiche  attive  del
lavoro, essendo prevista la residenza per l'iscrizione allo stato  di
disoccupazione di cui al d.lgs. n. 150 del 2015.
    Quindi,  nella  misura  in  cui  sarebbe   vietata   l'iscrizione
anagrafica dei richiedenti asilo, si  precluderebbe  alle  Regioni  e
agli enti locali  di  programmare  interventi  a  loro  favore  nelle
materie dell'assistenza sociale, della formazione professionale,  del
lavoro, con conseguente violazione degli artt. 117,  terzo  e  quarto
comma, e 118 Cost. Peraltro, limitatamente alle materie  di  potesta'
concorrente, la norma impugnata non potrebbe ritenersi espressione di
un principio fondamentale, non avendo alcuna attinenza con gli ambiti
delle politiche attive del lavoro e dell'istruzione.
    La disposizione censurata si  porrebbe  in  contrasto  anche  con
l'art. 3 Cost.,  poiche'  discriminerebbe  in  modo  irragionevole  i
richiedenti asilo sia rispetto ai cittadini sia rispetto  alle  altre
categorie di stranieri  regolarmente  presenti  sul  territorio,  cui
l'iscrizione anagrafica non e' preclusa.
    Inoltre, in considerazione del fatto che l'iscrizione  anagrafica
e' un diritto soggettivo,  espressione  dell'art.  2  Cost.,  la  sua
negazione ai richiedenti asilo violerebbe l'art. 14  CEDU,  il  quale
vieta  ogni  discriminazione  tra  cittadini  degli  Stati  membri  e
stranieri regolarmente soggiornanti. Parimenti violato sarebbe l'art.
26 della Convenzione di Ginevra, dal cui contrasto  discenderebbe  la
violazione dell'art. 10, secondo comma, Cost. e dell'art. 117,  primo
comma, Cost., perche' la disposizione impugnata non sarebbe  conforme
alle norme e ai trattati  internazionali  attinenti  alla  condizione
giuridica dello straniero.
    La difesa regionale precisa che la violazione degli artt.  2,  3,
10, 97 e 117, primo comma,  Cost.  puo'  essere  fatta  valere  dalla
Regione ricorrente in quanto ridondante sulle competenze  legislative
regionali in materia di politiche attive del  lavoro,  di  assistenza
sociale e servizi sociali, di formazione professionale  e  istruzione
(artt. 117, terzo e quarto comma, Cost.) e  sulle  relative  funzioni
amministrative spettanti alle regioni e agli enti  locali  (art.  118
Cost.).
    Secondo la ricorrente l'abrogazione  del  diritto  all'iscrizione
anagrafica dei richiedenti  asilo,  oltre  a  rappresentare  un  atto
discriminatorio, imporrebbe  al  legislatore  regionale  la  modifica
della vigente legislazione, determinando l'oggettiva  impossibilita',
per gli enti locali e per la Regione, di avere  contezza  del  numero
effettivo delle persone regolarmente presenti sul territorio e quindi
di programmare e  organizzare  i  servizi  necessari,  e  di  fondare
l'accesso al sistema di welfare sulla residenza.
    Inoltre, la norma impugnata avrebbe  l'effetto  di  scorporare  i
richiedenti   asilo   dall'insieme   degli   stranieri   regolarmente
soggiornanti sul territorio, quanto alla possibilita' di accedere  ai
servizi e agli interventi sociali.
    Sempre a detta della difesa  regionale,  i  suddetti  profili  di
incostituzionalita' non sarebbero superati dalla disposizione di  cui
all'art. 13, comma 1, lettera b), numero 1),  del  d.l.  n.  113  del
2018, la quale dispone  che  «[l]'accesso  ai  servizi  previsti  dal
presente decreto e a quelli comunque erogati sul territorio ai  sensi
delle norme vigenti e' assicurato nel luogo di domicilio»  comunicato
alla questura o corrispondente all'indirizzo del centro presso cui il
richiedente si trova.
    Questa disposizione, infatti, non consentirebbe  di  superare  la
previsione (contenuta nella legislazione regionale)  della  residenza
come condizione di accesso al sistema di assistenza sociale; inoltre,
l'eliminazione della residenza anagrafica  per  i  richiedenti  asilo
imporrebbe all'amministrazione  regionale  e  agli  enti  locali  che
erogano i servizi socio-sanitari l'organizzazione  sulle  piattaforme
informatiche di due diverse procedure, che complicheranno la gestione
e faranno crescere i costi.
    Infine, la variabilita' del domicilio, rispetto  alla  stabilita'
della residenza, renderebbe piu' difficile  organizzare  i  controlli
sui soggetti presenti sul territorio e quindi programmare  i  servizi
socio-sanitari necessari, con il rischio di ingenerare  «inefficienze
contrarie al principio di buon andamento» di cui all'art. 97 Cost.
    5.- La Regione Calabria, con ricorso notificato  il  1°  febbraio
2019 e depositato l'8 febbraio 2019 (reg. ric. n. 18  del  2019),  ha
impugnato, tra gli altri, l'art. l, commi 1, 2,  3,  6,  7,  8  e  9;
l'art. 12 e l'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018.
    Dopo aver ricostruito gli effetti dell'intervento normativo - nei
termini  gia'  ampiamente  illustrati  in  precedenza  -  la  Regione
Calabria  deduce  che  le  disposizioni   impugnate   comporterebbero
«sensibili    condizionamenti    sull'autonomia     legislativa     e
amministrativa regionale a causa dalle  scelte  imposte  dalle  nuove
norme statali».
    5.1.- Con specifico riferimento all'art. 1, del d.l. n.  113  del
2018,  la  ricorrente  sottolinea  come  l'abolizione  del   permesso
umanitario, prevista dalla disposizione impugnata, violerebbe diverse
previsioni del testo costituzionale.
    Sarebbe in primo luogo violato il diritto di asilo  ex  art.  10,
terzo comma, Cost., impedendo  all'ente  territoriale  di  assicurare
prestazioni  in  favore  di  individui  che   avrebbero   un   titolo
costituzionale a riceverle.
    Risulterebbe altresi' violato l'art. 3 Cost., in quanto la  nuova
disciplina statale determinerebbe una discriminazione «fra i soggetti
titolari della protezione internazionale e sussidiaria e  i  soggetti
titolari di protezione costituzionale», cosi' vincolando la Regione a
effettuare tale  discriminazione  nell'erogazione  delle  prestazioni
assistenziali; parimenti lesi sarebbero gli artt. 31,  32,  34  e  35
Cost., in quanto  la  nuova  normativa  «impedisce  alle  Regioni  di
fornire, ai soggetti titolari del diritto costituzionale di asilo, le
prestazioni  assistenziali  che  costituiscono  attuazione  di   tali
disposizioni».
    Inoltre, l'impugnato art. 1 contrasterebbe con l'art. 117,  primo
comma, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU, atteso che lo Stato e  le
Regioni devono esercitare la funzione legislativa nel rispetto  degli
obblighi  internazionali  ed  europei,  mentre  la  nuova  disciplina
imporrebbe alle Regioni di non applicare la propria normativa in tema
assistenziale  in  favore  di  soggetti  che  potrebbero  essere  ben
radicati  nella  societa',  al  punto  che  un  loro   allontanamento
violerebbe il rispetto della vita privata e familiare.
    Ad avviso della ricorrente, la nuova normativa, in  luogo  di  un
approccio individualizzato, che prenda in  considerazione  l'esigenza
di non pregiudicare in maniera sproporzionata (rispetto alle esigenze
di sicurezza e ordine pubblico) il diritto convenzionale al  rispetto
della vita privata e familiare e il grado di radicamento sociale  nel
territorio  del  singolo  straniero,  avrebbe  invece  stabilito   un
illegittimo regime fondato sul divieto generalizzato  di  rilascio  e
rinnovo di permessi di soggiorno per motivi umanitari, prevedendo  un
meccanismo di eccezione fondato su casi tipizzati  e  particolarmente
ristretti.
    Infine,  in  ragione  dell'intreccio  di  competenze  statali   e
regionali  in  materia  di  immigrazione,  l'intervento   legislativo
avrebbe richiesto,  ad  avviso  della  ricorrente,  l'attivazione  di
strumenti cooperativi, per lo meno nella forma  della  consultazione,
oltre  alla  previsione  di  una  regolamentazione   transitoria   di
carattere integrato, alla cui formazione avrebbero dovuto partecipare
anche  le  Regioni.  L'unilaterale  riforma  del  diritto  di   asilo
violerebbe pertanto il principio  di  leale  collaborazione,  che  si
impone ai sensi degli artt. 5 e 120 Cost. in ambiti caratterizzati da
un concorso di competenze inestricabilmente connesse  (e'  richiamata
la sentenza n. 251 del 2016).
    5.2.- Quanto all'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018, la  ricorrente
ritiene la disposizione lesiva degli artt. 2, 3, 10, 11 e 117,  primo
comma - con riferimento agli standard internazionali  ed  europei  di
accoglienza -  terzo  e  quarto  comma,  e  118  Cost.,  nonche'  del
principio di leale collaborazione.
    La   ricorrente   premette   che   l'oggetto   e   le   finalita'
dell'intervento legislativo sarebbero individuabili  nell'intento  di
delineare una netta differenziazione tra gli investimenti in  termini
di accoglienza e integrazione da destinare a coloro che hanno  titolo
definitivo a permanere sul territorio nazionale, da una  parte,  e  i
servizi di prima accoglienza e assistenza, da erogare  a  coloro  che
sono in temporanea attesa  della  definizione  della  loro  posizione
giuridica, dall'altra.
    La  riforma  del  sistema  di   accoglienza   avrebbe,   percio',
accentrato  in  capo  allo  Stato  le   competenze   legislative   ed
amministrative in tema di accoglienza ai richiedenti asilo: lungi dal
programmare i flussi  d'ingresso  degli  stranieri,  la  disposizione
mirerebbe a promuovere l'inclusione sociale e  il  superamento  della
fase di assistenza, tipiche attivita' - quelle dell'assistenza e  dei
servizi sociali - rientranti nelle  competenze  residuali  regionali,
che sarebbero, cosi', compresse in violazione del principio di  leale
collaborazione.
    Tale compressione sarebbe, infatti, evidenziata dal nuovo  schema
di capitolato d'appalto per la gestione dei  centri  di  accoglienza,
approvato con decreto del Ministro dell'interno del 20 novembre 2018,
il quale avrebbe radicalmente riformato il  sistema  dei  servizi  da
riservare ai soggetti  ospitati  nei  centri  di  prima  accoglienza,
disciplinando il tema dell'accoglienza e dell'integrazione in maniera
cosi' dettagliata da  non  lasciare  spazio  alcuno  alle  competenze
regionali o  degli  enti  locali,  riducendo  tutti  i  servizi  alla
persona. La ricorrente ricorda che la legislazione regionale  include
provvedimenti  specificamente  tesi  a  determinare  lo  standard  di
accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
    Quanto al merito, secondo la Regione Calabria il nuovo regime  di
accoglienza violerebbe gli  standard  internazionali  ed  europei  in
materia di accoglienza, assistenza e  integrazione  dei  richiedenti,
imponendo  alle  Regioni  di  esercitare  le  proprie  competenze  in
difformita' rispetto alle  regole  costituzionali  che  ne  impongono
l'osservanza.
    La Convenzione di  Ginevra  del  1951,  infatti,  non  opererebbe
alcuna distinzione tra rifugiati e richiedenti asilo,  in  quanto  il
provvedimento di riconoscimento dello  status  di  rifugiato  avrebbe
natura  solo  dichiarativa,  sicche'  l'imposizione  a  carico  delle
Regioni di limitare la fornitura di  prestazioni  assistenziali  solo
alle misure di prima accoglienza, assimilando i richiedenti asilo  ai
migranti irregolari, produrrebbe  una  irragionevole  discriminazione
fra soggetti in possesso del medesimo status.
    Allo  stesso  modo,  la  direttiva  2013/33/UE   imporrebbe   una
valutazione  personalizzata  delle  esigenze   degli   individui   in
condizione  di  vulnerabilita'  e  dei  minori,  laddove   il   nuovo
capitolato per i  servizi  di  accoglienza  non  contemplerebbe  tale
possibilita' nell'ambito dei centri governativi.
    5.3.- Con specifico riferimento all'art. 13 del d.l. n.  113  del
2018, la Regione Calabria ha impugnato  le  disposizioni  di  cui  al
comma 1,  lettera  a),  numero  2),  lettera  b)  e  lettera  c),  in
riferimento agli artt. 2, 3, 10, terzo comma, 11 e 117, primo terzo e
quarto comma, Cost.
    Preliminarmente, la  difesa  regionale  sottolinea  che,  sebbene
l'anagrafe rientri nelle materie di competenza esclusiva statale,  ai
sensi dell'art. 117, primo (recte: secondo) comma, Cost., l'esercizio
della competenza in questa  materia  ben  puo'  interferire  con  gli
ambiti rimessi alla potesta' legislativa delle Regioni, oltre che con
le competenze amministrative degli enti locali.
    La ricorrente afferma, altresi', che l'iscrizione  anagrafica  e'
necessaria per  il  rilascio  del  certificato  di  residenza  e  del
documento di identita', e che tali documenti sono il presupposto  per
il godimento di alcuni diritti. Al riguardo, la previsione  dell'art.
13, comma 1, lettera b), numero  1),  non  ricomprenderebbe  l'intera
gamma  di  diritti  previsti  dall'ordinamento   italiano   spettanti
all'individuo sulla base della residenza anagrafica.
    D'altra parte, secondo la difesa regionale, la  stessa  relazione
illustrativa del disegno di legge di conversione del d.l. n. 113  del
2018  sembrerebbe  escludere   tale   possibilita',   limitandosi   a
sottolineare  che   «l'esclusione   dall'iscrizione   anagrafica   si
giustifica per la precarieta' del permesso per richiesta di  asilo  e
risponde alla necessita' di definire  preventivamente  la  condizione
giuridica del richiedente».
    La ricorrente precisa che, ai fini del presente ricorso, rilevano
solo i casi di privazione di  diritti  connessi  alla  residenza  che
rientrano nell'ambito delle competenze  regionali,  fra  i  quali  va
ricompreso il diritto all'abitazione, e quindi l'accesso all'edilizia
residenziale  pubblica,  nonche'  il  diritto  a   ottenere   tariffe
agevolate per l'accesso a servizi regionali.
    Da questo punto di vista, le leggi della Regione  Calabria  nelle
materie sopra indicate costituirebbero attuazione  del  principio  di
non discriminazione tra rifugiati  e  richiedenti  asilo  che  emerge
dalla Convenzione di Ginevra e, in particolare, dal suo art.  21  che
assicura ai rifugiati legalmente presenti nel territorio dello  Stato
un trattamento non meno favorevole  di  quello  assicurato  ad  altri
stranieri nell'accesso all'abitazione.
    Secondo  la  difesa  regionale,  l'illegittimita'  costituzionale
delle norme impugnate si «accentua» alla  luce  della  giurisprudenza
costituzionale, secondo cui sono irragionevoli  le  disposizioni  che
limitano la platea dei  beneficiari  di  un  diritto  in  ragione  di
elementi irrazionali o arbitrari (e' citata la sentenza  n.  306  del
2008).
    6.- La Regione autonoma Sardegna, con ricorso  notificato  il  31
gennaio-4 febbraio 2019 e depositato il 1° febbraio 2019  (reg.  ric.
n. 9 del 2019), ha impugnato diverse disposizioni del d.l. n. 113 del
2018 e, tra queste, gli artt. 1, 12 e 13.
    In particolare, dell'art. 1 ha censurato: il comma 1, lettere a),
b), c), d), e), f), i), l), m), n), numero 2), n-bis), o), p), q); il
comma 2; il comma 3, lettera a), numeri 1) e 2); il comma 6; il comma
7; il comma 8 e il comma 9.
    Dell'art. 12  ha  censurato  tutte  le  disposizioni  di  cui  si
compone, a eccezione: del comma 1, lettere a-bis) e a-ter); del comma
2, lettera d), numero 1-bis); del comma 7.
    Dell'art. 13, comma 1, ha censurato: la lettera a), numero 2;  la
lettera b); la lettera c).
    7.- La Regione Basilicata, con ricorso notificato il  29  gennaio
2019 e depositato il 4 febbraio 2019 (reg. ric. n. 12 del  2019),  ha
impugnato gli artt. 1 e 13 del d.l. n. 113 del 2018.
    8.- In tutti  i  giudizi  si  e'  costituito  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  le  questioni  promosse  siano
dichiarate  inammissibili  e  infondate,   con   argomentazioni   non
dissimili tra i vari atti di costituzione, che possono essere  quindi
riassunte unitariamente.
    In via  preliminare,  secondo  l'Avvocatura  generale  i  ricorsi
sarebbero inammissibili, in ragione della  mancanza  di  un'«adeguata
motivazione in merito alla asserita lesione della sfera di competenza
regionale, in quanto non suffragata da alcuna argomentazione che  non
sia apoditticamente fondata sul riparto costituzionale di  competenze
legislative».
    La difesa statale ritiene  poi  che,  secondo  la  giurisprudenza
costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 140 del 2015,  n.  79,
n. 44 e n. 36  del  2014),  le  Regioni  possono  invocare  parametri
diversi da quelli relativi al  riparto  delle  rispettive  competenze
legislative,  soltanto  qualora  la  violazione  di  tali   parametri
comporti   una   compromissione    delle    attribuzioni    regionali
costituzionalmente garantite, tali cioe' da provocare  la  ridondanza
delle asserite violazioni sul relativo riparto, e siano  indicate  le
specifiche competenze ritenute lese  e  le  ragioni  della  lamentata
lesione. Nel caso di specie, invece, le ricorrenti, nell'indicare  le
competenze asseritamente lese, si sarebbero limitate a richiamare  le
leggi regionali in materia senza tuttavia enucleare specificamente le
ragioni del dedotto vulnus.
    Secondo la difesa statale, «se  si  seguissero  le  tesi  dell[e]
region[i]  ricorrent[i],  sarebbe  sufficiente  la  presenza  di  una
disposizione  regionale  attuativa  di  una  normativa  statale   per
impedirne la modifica in eterno».
    8.1.- Quanto ai motivi di ricorso relativi all'art. 1 del d.l. n.
113 del 2018, la  difesa  statale  evidenzia  come  il  decreto-legge
impugnato investirebbe materie, quale - per quello che qui  rileva  -
l'immigrazione, riservate alla legislazione esclusiva dello Stato, ai
sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera b), Cost., e le eventuali
ricadute  sulle  competenze  delle  Regioni,  «che  pure   potrebbero
profilarsi rispetto alle attuali legislazioni regionali, declinate su
un assetto definito a livello statuale diverso da quello  di  recente
introdotto», non potrebbero tradursi  in  un  limite  al  legislatore
statale rispetto a materie rientranti nella sua competenza esclusiva.
    In  particolare  -  sostiene  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri -  l'impugnato  art.  1  sarebbe  intervenuto  a  tipizzare,
«analogamente a quanto accade in altri Paesi europei» e in linea  con
quanto previsto dalla direttiva 2011/95/UE, le  forme  di  tutela  di
esigenze  di  carattere  umanitario  complementare  alla   protezione
internazionale (nelle due ipotesi di status di rifugiato e di  quello
beneficiario  di  protezione  sussidiaria)  i  cui  presupposti  sono
esaustivamente individuati dalla direttiva stessa, cui da' attuazione
il d.lgs. n. 251 del 2007, le cui norme (in particolare gli artt.  14
e 17)  non  sarebbero  state  minimamente  incise  dal  decreto-legge
impugnato.  Ne  deriverebbe,  sotto  questo  profilo,  il   carattere
apodittico e infondato della censura avversa secondo  cui  l'indicato
art. 1 violerebbe gli artt. 15,  lettera  c)  e  18  della  direttiva
2011/95/UE.
    La difesa statale evidenzia altresi' come le norme introdotte dal
d.l. n. 113 del 2018  si  sostituiscano  a  una  precedente  generica
definizione normativa (contenuta nel previgente art. 5, comma 6,  del
t.u. immigrazione), dai contorni  non  sufficientemente  determinati,
«seri motivi di carattere umanitario», che in  sede  di  applicazione
aveva portato  nel  tempo  a  uno  «snaturamento»  dell'istituto  del
permesso di soggiorno umanitario, con l'attrazione di situazioni  non
tutte riconducibili al comune denominatore della tutela  dei  diritti
fondamentali. La nuova disciplina si  porrebbe  dunque  l'intento  di
ridisegnare  la  tutela  delle  esigenze  temporanee   di   carattere
umanitario attraverso l'adozione di criteri positivi, integrativi  di
quelli  gia'  rinvenibili  nella  legislazione  vigente,  «idonei  ad
orientare l'attivita' valutativa dell'autorita' competente».
    In tale ottica, e' stata quindi individuata una nuova ipotesi  di
protezione (art. 32, comma  3,  del  d.lgs.  n.  25  del  2008,  come
novellato dall'art. 1, comma 1, lettera a, del d.l. n. 113 del  2018)
che correda di uno specifico permesso di soggiorno  (per  «protezione
speciale») il divieto di  refoulement  gia'  previsto  dall'art.  19,
commi  1  e  1.1,  del  t.u.  immigrazione.  Detto  divieto   sarebbe
inderogabile  e  avrebbe  una  portata  piu'  ampia  del  divieto  di
espulsione previsto dall'art. 33 della  Convenzione  di  Ginevra  del
1951 sui rifugiati.
    Il  potere   e   l'obbligo   di   valutare   la   ricorrenza   di
controindicazioni al  rimpatrio  rimarrebbe  quindi  attribuito  alle
competenti  commissioni  territoriali,  allorche'  non  ravvisino   i
requisiti per il  riconoscimento  dello  status  di  rifugiato  o  di
beneficiario di protezione sussidiaria. La protezione  derivante  dal
divieto di refoulement opererebbe anche nei confronti di chi ha  gia'
ottenuto la protezione internazionale, in sede di revoca o cessazione
di detto status, spettando alla Commissione nazionale per il  diritto
d'asilo la stessa valutazione  sulla  necessita'  di  una  protezione
speciale ai sensi dell'art.  33  del  d.lgs.  n.  25  del  2008,  che
richiama espressamente il novellato art. 32, comma  3,  del  medesimo
decreto legislativo.
    Accanto alla «protezione speciale»,  il  resistente  ricorda  gli
altri «casi speciali» di rilascio di un  permesso  di  soggiorno  per
esigenze di  carattere  umanitario:  alcuni  di  essi  gia'  presenti
nell'ordinamento ed oggetto di ridefinizione a  opera  dell'impugnato
decreto-legge che ne avrebbe lasciato immutate la portata, la  durata
e le facolta' connesse; altri disciplinati per la prima  volta  dallo
stesso d.l. n. 113 del 2018.
    A conferma del livello di tutela accordato dal  legislatore  alle
nuove ipotesi di permesso di  soggiorno  per  esigenze  di  carattere
umanitario, la difesa statale evidenzia come le sezioni specializzate
in materia di  protezione  internazionale  e  immigrazione  istituite
presso  i  tribunali  ordinari  abbiano  competenza  anche   per   le
controversie in materia di rifiuto di rilascio, diniego di rinnovo  e
revoca di  tali  permessi,  «proprio  in  considerazione  della  loro
riconducibilita' ad obblighi internazionali e costituzionali e  della
loro natura di diritti soggettivi».
    Sottolinea inoltre l'Avvocatura generale che le nuove  norme  non
sarebbero intervenute in tema di permessi  di  soggiorno  per  minori
stranieri non accompagnati, ne'  in  materia  di  diritto  all'unita'
familiare e alla vita privata e familiare, ambiti che continuerebbero
a trovare copertura normativa e autonoma disciplina nelle  specifiche
disposizioni del t.u. immigrazione.
    La difesa  statale  ribadisce  la  riconducibilita'  delle  norme
censurate agli ambiti di competenza legislativa statale esclusiva  di
cui all'art. 117, secondo comma, lettere a) e b), Cost., evidenziando
altresi'  come  la  circostanza  che  la  materia   dell'immigrazione
proietti i suoi effetti su ambiti materiali di competenza  regionale,
come quelli richiamati nei ricorsi,  non  renderebbe  per  cio'  solo
sindacabili dalle Regioni le  scelte  del  legislatore  nazionale  in
materia  di  disciplina  dell'ingresso  e  soggiorno  dei   cittadini
stranieri e della loro condizione giuridica.
    A tal fine, il Presidente del Consiglio dei ministri richiama  la
giurisprudenza costituzionale (in  primis,  la  sentenza  n.  61  del
2011), che ha riconosciuto come l'intervento pubblico concernente gli
stranieri non possa limitarsi al mero controllo dell'ingresso  e  del
soggiorno   sul   territorio   nazionale,   dovendo   necessariamente
considerare altri ambiti, quali l'assistenza  sociale,  l'istruzione,
la  salute  o  l'abitazione,  che  coinvolgono   diverse   competenze
normative, sia statali che regionali. In tale contesto, si  e'  pero'
precisato  che  la  disciplina  dei  presupposti  per  la   legittima
permanenza dello straniero nel territorio nazionale e delle modalita'
di regolarizzazione della sua presenza  compete  esclusivamente  allo
Stato, pur potendo le Regioni, nell'esercizio delle competenze a esse
spettanti,  estendere  anche   agli   stranieri   irregolari   quegli
interventi sociali che attengono alla sfera dei  diritti  inviolabili
dell'uomo, di cui all'art. 2 Cost., senza che cio' possa legittimarne
in qualche modo la presenza sul territorio nazionale.
    Tale assetto, secondo il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
non  sarebbe  assolutamente  inciso  dalle   norme   introdotte   col
decreto-legge impugnato e troverebbe conferma sia  nei  principi  che
nelle singole disposizioni del t.u. immigrazione.
    Da   quanto   detto,   emergerebbe   chiaramente   che,    seppur
intersecanti, le competenze legislative statali e regionali sarebbero
nettamente distinte,  sicche'  le  Regioni  non  avrebbero  titolo  a
ricorrere,  poiche'  la  regolamentazione  dei  presupposti  per   la
legittima  permanenza  in  Italia  non  invaderebbe   le   competenze
regionali.
    Tutte le censure sarebbero inammissibili in ragione della mancata
configurabilita' di  violazioni  di  prerogative  regionali  e  della
carenza di adeguata motivazione.
    In subordine, dette censure  sarebbero  comunque  infondate  alla
luce del quadro  di  tutele  garantito  dall'ordinamento  ai  diritti
fondamentali  dei  cittadini  stranieri,  in  parte  preesistente   e
confermato dall'impugnato decreto-legge, in parte da questo riscritto
«nel rispetto degli obblighi costituzionali  e  internazionali  dello
Stato».
    8.2.- Quanto alle censure rivolte contro l'art. 12  del  d.l.  n.
113 del 2018, l'Avvocatura  generale,  in  primo  luogo,  traccia  la
cornice normativa di  riferimento  ricavabile  dal  diritto  europeo,
individuando,  in  particolare,  la  relativa  fonte  in  materia  di
accoglienza dei  richiedenti  asilo  nella  direttiva  2013/33/UE  ed
evidenziando che  i  diritti  assicurati  a  coloro  che  hanno  gia'
ottenuto il riconoscimento della  protezione  internazionale  trovano
invece  la   propria   regolamentazione   nella   diversa   direttiva
2011/95/UE.  A  parere  della  difesa  statale,  le  suddette   fonti
dimostrerebbero che, in sede europea, la  posizione  del  richiedente
asilo  e',  pertanto,  differenziata  da  quella  del   titolare   di
protezione,  con   l'indicazione   espressa   delle   condizioni   di
accoglienza da riservare  ai  richiedenti  asilo  e  dei  diritti  da
assicurare ai titolari di protezione.
    Conseguentemente,  nell'ordinamento  nazionale,  le   misure   di
accoglienza vengono disciplinate dal d.lgs. n. 142 del 2015, che  da'
attuazione alla direttiva 2013/33/UE, mentre i diritti  del  titolare
di protezione sono elencati nel d.lgs. n. 251 del 2007. Non  avrebbe,
dunque,  «alcun  fondamento  la  pretesa  equiparazione   delle   due
differenti posizioni, quanto ai diritti, prestazioni  e  servizi,  in
specie quelli finalizzati all'inclusione e  integrazione,  in  quanto
non supportata dalle fonti normative europee ed internazionali».
    Le disposizioni di cui all'art. 12 del d.l. n. 113  del  2018  si
inquadrerebbero nell'ambito  di  una  rivisitazione  complessiva  del
sistema statale di accoglienza, nell'ottica di una  razionalizzazione
dei servizi, diretta ad assicurare ai  richiedenti  asilo  condizioni
materiali adeguate a garantire una vita  dignitosa,  garantendone  il
sostentamento e la tutela della salute, e a riservare i  percorsi  di
inclusione  sociale,  funzionali  al  conseguimento  di  un'effettiva
autonomia personale, ai titolari di protezione internazionale,  oltre
che ai minori stranieri non accompagnati e ai soggetti  per  i  quali
sussistono specifiche esigenze umanitarie.
    La limitazione dei servizi da  rendere  attraverso  la  rete  del
SIPROIMI  ai  titolari  di  protezione  internazionale  risiederebbe,
dunque, nell'esigenza  di  riservare  prioritariamente  l'accesso  al
sistema  finalizzato  all'integrazione  a  quei   soggetti   la   cui
condizione e' connotata dal requisito della stabilita',  rispetto  ad
altre condizioni di carattere temporaneo.
    Tale  riorganizzazione  del  sistema  dell'accoglienza,   dunque,
risponderebbe a criteri di ragionevolezza, ponendosi nell'ottica  «di
una visione globale del fenomeno migratorio», che tenga  anche  conto
della configurazione dei flussi di ingresso.
    8.2.1.- Con specifico riferimento alle norme transitorie  di  cui
ai commi 5 e 6 dell'art. 12 del d.l.  n.  113  del  2018,  la  difesa
statale sostiene che esse mirerebbero proprio a  non  interrompere  i
progetti di accoglienza in corso, non solo per  i  richiedenti  asilo
(comma 5), ma anche per i titolari di protezione umanitaria (comma 6)
gia' presenti' nel sistema di protezione  alla  data  di  entrata  in
vigore del decreto-legge, secondo le disposizioni di  attuazione  sul
funzionamento del  sistema  che  fissano  in  ogni  caso  dei  limiti
temporali   predeterminati   all'accoglienza   dei   beneficiari   di
protezione.
    Osserva, ancora, la difesa statale  che  il  sistema  di  seconda
accoglienza resterebbe inalterato nelle sue connotazioni  strutturali
e funzionali, in quanto: continua  a  essere  imperniato  sugli  enti
locali; resta invariato il  complesso  di  prestazioni  erogate  agli
ospiti delle strutture che ne fanno parte; restano altresi' invariati
il meccanismo e la  fonte  di  finanziamento,  risultando  modificata
esclusivamente la platea dei soggetti destinatari dei servizi resi.
    Quanto al presunto ridimensionamento del ruolo  della  Conferenza
unificata  prospettato  dalla  Regione  Emilia-Romagna,  l'Avvocatura
generale deduce che il ricorso non chiarisce in quale modo  sarebbero
state lese prerogative costituzionalmente riservate  alla  Regione  o
agli enti  locali  (apparendo  pertanto,  sotto  questo  profilo,  la
censura inammissibile); sarebbe evidente, piuttosto, che la  riforma,
attraendo  l'intervento  della  Conferenza  unificata  «al  ben  piu'
qualificato momento» della definizione dei criteri e delle  modalita'
per la presentazione da parte degli  enti  locali  delle  domande  di
contributo per  la  realizzazione  e  la  prosecuzione  dei  progetti
finalizzati all'accoglienza, non sminuirebbe  affatto  il  contributo
della Conferenza stessa.
    Infine, la difesa statale evidenzia che  la  lettera  h-bis)  del
comma 2 dell'art. 12 del d.l. n.  113  del  2018,  disposizione  alla
quale   la   Regione   Emilia-Romagna   imputa   possibili    effetti
pregiudizievoli di un'autonoma capacita' di  spesa  comunale  per  le
politiche di integrazione dei minori stranieri non  accompagnati,  e'
stata abrogata dall'art. 1, comma 769, della legge 30 dicembre  2018,
n. 145 (Bilancio di previsione dello  Stato  per  l'anno  finanziario
2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021).
    8.3.- Quanto ai motivi di ricorso relativi all'art. 13  del  d.l.
n. 113 del 2018, la difesa statale ritiene che la norma in  questione
sia riconducibile alla competenza legislativa statale in  materia  di
anagrafe (art. 117, secondo comma,  lettera  i,  Cost.);  inoltre,  i
compiti  di  vigilanza  sull'anagrafe  sono  assegnati  al  Ministero
dell'interno dall'art. 14 del decreto legislativo 30 luglio 1999,  n.
300 (Riforma dell'organizzazione del Governo, a  norma  dell'articolo
11 della legge 15 marzo 1997, n. 59). Quello  dell'anagrafe  sarebbe,
quindi, un servizio di competenza statale e le relative funzioni sono
delegate al sindaco quale ufficiale di Governo, ai sensi dell'art. 54
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267  (Testo  unico  delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali).
    Secondo l'Avvocatura, l'esclusione  dell'iscrizione  all'anagrafe
per i  richiedenti  asilo  si  fonderebbe  sulla  «temporaneita'  del
predetto permesso di soggiorno, in  attesa  della  definizione  della
posizione giuridica del  richiedente».  In  particolare,  l'obiettivo
perseguito  dal  legislatore  sarebbe  quello  di   scongiurare   «il
sovraccarico di iscrizioni anagrafiche di  richiedenti  asilo  presso
Comuni di piccole dimensioni sul cui territorio si trovano centri  di
accoglienza, con  i  conseguenti  adempimenti  anche  in  termini  di
cancellazioni e di ripetuti accertamenti in caso di  irreperibilita',
e  soprattutto  per  eliminare  l'anomalia  del  rilascio  di   carte
d'identita' con validita' decennale  a  cittadini  stranieri  la  cui
posizione giuridica sul territorio non e' stata ancora definita».
    Sarebbe quindi giustificato un trattamento differenziato rispetto
agli altri  cittadini  stranieri  regolarmente  soggiornanti  la  cui
posizione giuridica e' gia' definita.
    Alla luce di queste  considerazioni  non  sarebbe  pertinente  il
richiamo  dell'art.  6,  comma   7,   del   t.u.   immigrazione,   in
considerazione  della  specialita'  della  norma   prevista   per   i
richiedenti   asilo.   Inoltre,    dall'esclusione    dell'iscrizione
anagrafica non discenderebbe alcun pregiudizio ai diritti  di  questi
ultimi, che  sono  riconosciuti  sulla  base  della  titolarita'  del
permesso di soggiorno; in particolare, l'art. 34 dello  stesso  testo
unico elenca il permesso  per  richiesta  di  asilo  tra  quelli  che
prevedono l'iscrizione obbligatoria al servizio sanitario  nazionale.
Inoltre, l'impugnato art. 13  fissa  nel  domicilio  il  criterio  di
collegamento idoneo all'accesso ai servizi  erogati  sul  territorio.
Sarebbe dunque esclusa la violazione dell'art. 117,  secondo  (recte:
terzo) e quarto comma, Cost.
    Parimenti infondate sarebbero anche  le  censure  mosse  rispetto
agli artt. 2, 3 e 10  Cost.:  l'art.  2  Cost.  non  sarebbe  violato
perche'  verrebbe  comunque  assicurata   la   tutela   dei   diritti
fondamentali;  non  vi  sarebbe  contrasto  con  l'art.  3  Cost.  in
considerazione della diversa posizione degli  stranieri  titolari  di
altre tipologie di permesso di soggiorno e soprattutto dei  cittadini
europei; sarebbe esclusa anche la violazione dell'art. 10  Cost.,  in
quanto le norme europee  (e'  citata  la  direttiva  2013/33/UE)  non
impongono modalita' di registrazione della  presenza  sul  territorio
degli Stati membri, diverse  dal  rilascio  di  un'autorizzazione  al
soggiorno valida per  la  durata  del  procedimento  di  esame  della
domanda. Peraltro, la  disciplina  europea  (art.  2,  comma  1,  del
Protocollo n. 4 della Convenzione per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali)  e  quella  internazionale
(art. 12, comma 1,  del  Patto  internazionale  relativo  ai  diritti
civili e politici) presuppongono la legale presenza  dello  straniero
nel territorio dello Stato, sicche' sarebbe assurdo richiamare queste
disposizioni per censurare una normativa intesa a rendere regolare  e
legittima la permanenza degli stranieri nel territorio nazionale.
    Non si ravviserebbe una violazione dei  parametri  costituzionali
indicati dalle ricorrenti  nemmeno  in  relazione  al  fatto  che  il
periodo trascorso  regolarmente  dal  richiedente  asilo  non  potra'
essere computato ai fini  della  eventuale  successiva  richiesta  di
concessione della cittadinanza; a  tal  fine,  infatti,  la  legge  5
febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza) prenderebbe  in
considerazione solo la persona a cui lo status di rifugiato  e'  gia'
stato riconosciuto.
    8.4.- Quanto alla denunciata illegittimita'  costituzionale,  per
violazione dell'art.  77  Cost.,  delle  disposizioni  contenute  nel
decreto-legge, la  difesa  statale  avanza,  anzitutto,  una  duplice
eccezione di inammissibilita' nei confronti dell'impugnazione rivolta
al decreto-legge nella sua interezza.
    In  primo  luogo,  la  questione  sarebbe  inammissibile  perche'
verrebbe «sottoposto a censura  l'intero  testo  normativo,  adottato
dallo Stato nell'esercizio delle proprie competenze, e  censurato  ex
adverso  in  dettaglio  solo  per  alcuni  profili».   L'impugnazione
regionale di un atto legislativo nella sua interezza, per  violazione
dei presupposti di cui all'art. 77 Cost.,  non  sarebbe  ammissibile,
posto che la Regione sarebbe pur sempre  sottoposta  «ai  vincoli  di
attinenza» connessi alla ripartizione costituzionale di competenze.
    Inoltre, e  piu'  nello  specifico,  la  ricorrente  non  avrebbe
adeguatamente  motivato  in  ordine  alla  asserita   lesione   delle
competenze regionali derivante dalla insussistenza dei presupposti di
necessita' ed urgenza e, dunque,  alla  ridondanza  del  vizio  sulle
attribuzioni che la Costituzione riserva alle Regioni.
    Nel merito, la difesa statale insiste sulla non fondatezza  delle
censure. L'Avvocatura generale riporta a sostegno della sua  tesi  la
giurisprudenza costituzionale che ha  affermato  come  «il  sindacato
sulla  legittimita'  dell'adozione  da  parte  del  Governo   di   un
decreto-legge  vada  limitato  ai  casi  di  evidente  mancanza   dei
presupposti   di   straordinaria   necessita'    o    di    manifesta
irragionevolezza  o  arbitrarieta'  della   loro   valutazione»   (si
richiamano, ex plurimis, le sentenze n. 287 e n. 244 del 2016, n.  32
del 2014, n. 22 del 2012, n. 128 del 2008 e n. 171  del  2007).  Tale
manifesta mancanza  non  parrebbe  ravvisarsi  nel  caso  di  specie,
poiche' il decreto  impugnato  «anche  quando  e'  caratterizzato  da
disposizioni a contenuto plurimo, articolato e differenziato  al  suo
interno, nondimeno appare fornito di intrinseca coerenza,  in  quanto
le  disposizioni  che  lo  compongono  presentano   una   sostanziale
omogeneita' di scopo».
    8.5.-  Con  riguardo,  infine,  alla  asserita   violazione   del
principio di leale collaborazione, l'Avvocatura generale rileva  come
non  sarebbe  individuabile  alcun  obbligo  di  consultazione  delle
Regioni durante la  fase  di  adozione  dei  decreti-legge,  data  la
peculiarita' dei casi in cui questi  possono  essere  adottati  e  la
celerita' dei termini per la presentazione degli stessi  alle  Camere
(vengono richiamate le sentenze n. 298 del 2009, n. 275 del 2005 e n.
196 del 2004).
    9.-  La  Regione  autonoma  Sardegna  e  la  Regione  Basilicata,
rispettivamente in data 5 e 10 giugno 2019, hanno depositato atto  di
rinuncia  al  ricorso,  accettata,  per  entrambe  le  Regioni,   dal
Presidente del Consiglio dei  ministri  con  atto  depositato  il  13
giugno 2019.
    10.-   In   prossimita'   dell'udienza   le    Regioni    Umbria,
Emilia-Romagna, Marche, Toscana  e  Calabria,  e  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri hanno depositato memorie nelle quali insistono
nelle conclusioni gia' rassegnate,  rispettivamente,  nei  ricorsi  e
negli atti di costituzione.

                       Considerato in diritto

    1.-  Le  Regioni  Umbria,  Emilia-Romagna,  Basilicata,   Marche,
Toscana e Calabria e la  Regione  autonoma  Sardegna  hanno  promosso
plurime  questioni  di  legittimita'  costituzionale   con   riguardo
all'intero decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti
in materia di protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
pubblica,  nonche'  misure  per  la   funzionalita'   del   Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),  convertito,
con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132,  nonche'  ad
alcune sue disposizioni, fra le quali gli artt. 1, 12 e 13.
    2.- Riservata a separata pronuncia la decisione  delle  questioni
vertenti sulle altre disposizioni impugnate con i ricorsi indicati in
epigrafe, i giudizi aventi a oggetto gli artt. 1, 12  e  13,  nonche'
l'intero decreto-legge,  devono  essere  riuniti,  in  ragione  della
parziale connessione  oggettiva  e  della  parziale  identita'  delle
questioni all'esame della Corte.
    3.- Nelle more del giudizio, la Regione autonoma  Sardegna  e  la
Regione Basilicata, rispettivamente in data 5 e 10 giugno 2019, hanno
depositato atto di rinuncia al ricorso, accettata,  per  entrambe  le
Regioni,  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   con   atto
depositato il 13 giugno 2019.
    Ai sensi dell'art. 23  delle  Norme  integrative  per  i  giudizi
davanti alla Corte costituzionale  deve  essere  pertanto  dichiarata
l'estinzione  dei  giudizi  promossi  dalle  anzidette  Regioni   (ex
plurimis, sentenza n. 201 del 2018).
    4.- Quanto alle questioni promosse dalle altre ricorrenti, questa
Corte e' chiamata preliminarmente a  verificare  le  ragioni  addotte
dalle Regioni a giustificazione della lamentata incidenza  diretta  o
indiretta  di  siffatte  questioni  sulle  competenze  legislative  e
amministrative di cui sono titolari esse stesse e gli enti locali,  a
tutela delle cui attribuzioni le prime possono agire dinanzi a questa
Corte (sentenze n. 205 e n. 29 del 2016, n. 220 del 2013, n. 311  del
2012, n. 298 del 2009, n. 169 e n. 95 del 2007, n. 417 del  2005,  n.
196 del 2004).
    5.-  Devono  essere  anzitutto  esaminate  le  censure   relative
all'art.  77  Cost.,  avanzate  dalla  Regione  Marche  in  relazione
all'intero testo del decreto-legge, poiche' l'eventuale  accoglimento
di esse assorbirebbe ogni altra censura.
    In particolare, ad avviso della Regione Marche,  mancherebbe  nel
preambolo un'adeguata motivazione in grado di giustificare il ricorso
alla decretazione d'urgenza per una cosi' ampia riforma  a  carattere
ordinamentale.  Inoltre,  il  decreto-legge  in  esame   avrebbe   un
contenuto eterogeneo. Infine, l'immigrazione  viene  ritenuta,  dalla
Regione Marche, un fenomeno ormai ordinario, in  relazione  al  quale
non potrebbero ricorrere i presupposti di straordinaria necessita'  e
urgenza legittimanti l'intervento governativo  in  base  all'art.  77
Cost. La mancanza dei  presupposti  di  straordinaria  necessita'  ed
urgenza vizierebbe l'intero decreto rendendo illegittima per vizio in
procedendo anche la relativa legge di conversione.
    5.1.- In via preliminare, questa Corte e' chiamata a pronunciarsi
sulle eccezioni di inammissibilita' avanzate dalla difesa statale.
    5.2.- In primo luogo, l'Avvocatura generale ritiene inammissibile
l'impugnazione   dell'intero    decreto-legge,    perche'    verrebbe
«sottoposto a censura l'intero testo normativo, adottato dallo  Stato
nell'esercizio delle proprie competenze, e censurato  ex  adverso  in
dettaglio solo per alcuni profili».
    L'eccezione non e' fondata. Questa Corte ritiene  ammissibili  le
questioni,  avanzate  in  via   principale,   avverso   interi   atti
legislativi, purche' l'impugnativa non «comporti la genericita' delle
censure che non consenta la individuazione  della  questione  oggetto
dello  scrutinio  di  costituzionalita'»,  e  sempre  che  le   leggi
impugnate  siano  «caratterizzate  da  normative  omogenee  e   tutte
coinvolte dalle censure» (sentenze n. 247 del 2018, n. 14 del 2017  e
n. 195 del 2015).
    Poiche' la Regione  Marche  ha  contestato  diversi  profili  del
decreto-legge n. 113 del 2018, tutti  riconducibili  alla  violazione
dell'art.  77  Cost,   non   vi   e'   dunque   contraddizione,   ne'
disomogeneita'  rispetto  all'oggetto   dell'impugnazione   regionale
dell'intero decreto. La ricorrente ha, infatti,  ampiamente  motivato
in ordine alle possibili  ragioni  di  incostituzionalita'  dell'atto
impugnato in relazione alla carenza dei presupposti di necessita'  ed
urgenza.
    5.3.- In secondo luogo, la difesa statale  ritiene  inammissibile
l'impugnazione dell'intero decreto-legge perche'  la  ricorrente  non
avrebbe adeguatamente motivato la asserita lesione  delle  competenze
regionali derivante dalla pretesa insussistenza  dei  presupposti  di
necessita' ed urgenza.  Non  sarebbe  stata  dimostrata,  quindi,  la
ridondanza del vizio sulle attribuzioni che la  Costituzione  riserva
alle Regioni.
    L'eccezione e' fondata.
    In piu' occasioni, questa Corte ha avuto modo  di  affermare  che
«le Regioni possono evocare parametri di legittimita'  costituzionale
diversi da quelli che sovrintendono  al  riparto  di  competenze  fra
Stato  e  Regioni  solo  a  due  condizioni:  quando  la   violazione
denunciata   sia   potenzialmente   idonea   a   riverberarsi   sulle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite [...] e quando le
Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in  ordine  alla
ridondanza della lamentata illegittimita' costituzionale sul  riparto
di competenze, indicando la  specifica  competenza  che  risulterebbe
offesa  e  argomentando  adeguatamente  in  proposito»  (ex   multis,
sentenza n. 198 del 2018). L'esigenza  di  evitare  un'ingiustificata
espansione dei vizi censurabili dalle Regioni  nel  giudizio  in  via
d'azione e, quindi, la trasformazione della natura  di  tale  rimedio
giurisdizionale obbliga le Regioni stesse a dare  conto,  in  maniera
puntuale e dettagliata, della effettiva sussistenza e  della  portata
del «condizionamento» prodotto dalla norma statale impugnata.
    5.4.- Il ricorso della Regione Marche  appare  carente  sotto  il
profilo della motivazione.
    Il vizio in ridondanza deve, infatti, essere illustrato  in  modo
da soddisfare un duplice requisito: per un verso, non deve  risultare
generico,  e  quindi  difettare  dell'indicazione  delle   competenze
asseritamente violate; per un altro, non deve  essere  apodittico,  e
deve dunque essere adeguatamente motivato in ordine alla sussistenza,
nel caso oggetto di giudizio, di un titolo  di  competenza  regionale
rispetto all'oggetto regolato dalla legge statale.
    Nel caso di specie, non e'  sufficiente  sostenere,  come  fa  la
Regione ricorrente, che le disposizioni del  decreto-legge  «incidono
sull'esercizio delle funzioni proprie delle Regioni nei settori della
"tutela della salute", della "tutela del lavoro",  dell'"istruzione",
della "formazione professionale", del "governo del  territorio",  con
riferimento all'edilizia residenziale  pubblica,  e  dell'"assistenza
sociale",  nonche'  sulle  corrispondenti   funzioni   amministrative
regionali e locali». Di fronte a un atto legislativo, quale  il  d.l.
n. 113 del 2018, a contenuto normativo differenziato, che  incide  su
diversi settori dell'ordinamento giuridico, tutti riferibili, come si
vedra' a breve, alla competenza esclusiva dello Stato, la  ridondanza
del vizio sulle competenze regionali e locali deve essere argomentata
in relazione allo specifico contenuto normativo del  decreto  e  alla
idoneita' dello stesso a obbligare la Regione a esercitare le proprie
attribuzioni in conformita' a una disciplina legislativa  statale  in
contrasto con norme costituzionali.
    6.- Occorre ora passare  allo  scrutinio  delle  altre  questioni
promosse nei confronti degli artt. 1, 12 e 13 del  d.l.  n.  113  del
2018.
    7.- L'art. 1 del d.l. n. 113 del  2018  reca  «[d]isposizioni  in
materia di permesso di soggiorno per motivi umanitari e disciplina di
casi speciali di permessi di soggiorno  temporanei  per  esigenze  di
carattere umanitario». Per effetto di tale articolo,  il  legislatore
ha soppresso l'istituto generale e atipico del permesso di  soggiorno
per motivi umanitari,  di  cui  all'art.  5,  comma  6,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), e in sua vece ha  contestualmente  previsto  alcuni
«speciali permessi di soggiorno temporanei per esigenze di  carattere
umanitario».
    Secondo le Regioni ricorrenti la sostituzione di un  permesso  di
soggiorno di carattere  generale  con  alcune  fattispecie  tipizzate
determinerebbe una  restrizione  dell'ambito  di  applicazione  della
protezione  per  motivi  umanitari,  con  conseguente  violazione  di
numerosi parametri costituzionali (artt. 2, 3, 10, 31, 32, 34,  35  e
97 Cost., oltre all'art.  77  Cost.),  europei  e  internazionali  (e
quindi anche degli  artt.  11  e  117,  primo  comma,  Cost.)  e  con
ricadute,  sia  pure  indirette,  sulle  competenze   concorrenti   e
residuali delle Regioni in materia di assistenza sociale e sanitaria,
di formazione  e  politiche  attive  del  lavoro,  di  istruzione  ed
edilizia residenziale pubblica, oltre che sulle funzioni  degli  enti
locali, in violazione degli artt. 117, terzo e quarto  comma,  118  e
119 Cost.
    7.1.-  Lo  scrutinio  delle  censure  prospettate  nei  confronti
dell'art. 1 del d.l. n. 113 del  2018  impone,  secondo  la  costante
giurisprudenza costituzionale (tra le piu' recenti, sentenze n. 116 e
n. 100 del  2019,  n.  246  e  n.  148  del  2018),  l'individuazione
dell'ambito  materiale  al  quale  vanno  ascritte  le   disposizioni
impugnate, tenendo conto  della  loro  ratio,  della  finalita',  del
contenuto e dell'oggetto della disciplina. Allo scopo si rende dunque
necessario ricostruire  sinteticamente  l'istituto  della  protezione
umanitaria, prima e dopo l'impugnato intervento statale.
    7.2.- Il sistema della protezione dello straniero  in  Italia  e'
articolato  su  tre  livelli:  il  riconoscimento  dello  status   di
rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione umanitaria.
    Mentre le prime due forme di  protezione  trovano  fonte  diretta
nelle normative internazionali ed europee, la  protezione  umanitaria
e' un istituto riconducibile a previsioni dell'ordinamento interno.
    Lo status di rifugiato e' regolato dalla Convenzione  di  Ginevra
del 28 luglio 1951, ratificata e resa  esecutiva  in  Italia  con  la
legge  24  luglio  1954,  n.  722,  esplicitamente  richiamata  dalle
rilevanti direttive dell'Unione europea come «pietra  angolare  della
disciplina giuridica  internazionale  relativa  alla  protezione  dei
rifugiati» (direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29  aprile  2004,
recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi  o
apolidi,  della  qualifica  di  rifugiato  o  di  persona  altrimenti
bisognosa di protezione  internazionale,  nonche'  norme  minime  sul
contenuto della protezione riconosciuta, poi abrogata dalla direttiva
2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del  13  dicembre
2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi  terzi  o
apolidi,   della   qualifica   di    beneficiario    di    protezione
internazionale, su uno status uniforme  per  i  rifugiati  o  per  le
persone aventi titolo a  beneficiare  della  protezione  sussidiaria,
nonche' sul contenuto della protezione riconosciuta). Tale status  e'
riconosciuto a chi si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza
o la dimora abituale e  non  voglia  farvi  ritorno  «per  il  timore
fondato di  essere  perseguitato  per  motivi  di  razza,  religione,
nazionalita', opinione  politica  o  appartenenza  a  un  determinato
gruppo sociale» (art. 2, lettera d, della  direttiva  2011/95/UE  che
riprende la Convenzione di Ginevra).
    La «protezione sussidiaria» e' regolata dalle citate direttive UE
ed  e'  accordata  a  chi  non  possiede  i  requisiti   per   essere
riconosciuto come rifugiato, ma nei cui confronti sussistono  fondati
motivi  per  ritenere  che,  se  ritornasse  nel  paese  di  origine,
correrebbe «un rischio effettivo di subire un grave danno»  (art.  2,
lettera f, della direttiva 2011/95/UE), con cio' intendendosi la pena
di morte o l'essere giustiziato, la tortura o altra forma di  pena  o
trattamento  inumano  o  degradante,  ovvero  la  minaccia  grave   e
individuale  alla  vita  o  alla  persona  derivante  dalla  violenza
indiscriminata  in  situazioni  di   conflitto   armato   interno   o
internazionale (art. 15 della direttiva 2011/95/UE).
    Quanto alla «protezione umanitaria», l'art. 6, paragrafo 4, della
direttiva 115/2008/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del  16
dicembre 2008, recante norme e  procedure  comuni  applicabili  negli
Stati membri  al  rimpatrio  di  cittadini  di  paesi  terzi  il  cui
soggiorno e' irregolare, prevede la possibilita' - non gia' l'obbligo
-  per  gli  Stati  membri  di  estendere  l'ambito  delle  forme  di
protezione  tipiche   sino   a   ricomprendere   «motivi   umanitari,
caritatevoli o di altra natura», rilasciando allo scopo  un  apposito
permesso di soggiorno. A detta facolta', gli Stati membri hanno  dato
attuazione nei modi piu' vari.
    Dunque, lo status  di  rifugiato  e  la  protezione  sussidiaria,
specificazione della medesima voce «protezione internazionale»,  sono
accordati in osservanza di  obblighi  europei  e  internazionali:  il
primo per proteggere la persona da atti di persecuzione;  la  seconda
per evitare che questa possa subire un  grave  danno.  Viceversa,  la
protezione   umanitaria   e'   rimessa   in   larga    misura    alla
discrezionalita'  dei  singoli  Stati,  per  rispondere  a   esigenze
umanitarie, caritatevoli o di altra natura.
    Col  decreto-legge  in  esame,  il   legislatore   nazionale   e'
intervenuto solo sull'istituto  della  protezione  umanitaria,  senza
incidere  su  quella  dovuta   in   base   a   obblighi   europei   e
internazionali.
    7.3.- Nell'ordinamento  italiano,  la  protezione  umanitaria  fu
immessa per la prima volta a opera dell'art. 14, comma 3, della legge
30 settembre 1993, n. 388, recante «Ratifica ed  esecuzione:  a)  del
protocollo  di  adesione  del  Governo  della   Repubblica   italiana
all'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i Governi degli  Stati
dell'Unione economica  del  Benelux,  della  Repubblica  federale  di
Germania  e  della  Repubblica  francese  relativo   all'eliminazione
graduale dei controlli alle frontiere comuni, con  due  dichiarazioni
comuni; b) dell'accordo di adesione della  Repubblica  italiana  alla
convenzione del 19 giugno  1990  di  applicazione  del  summenzionato
accordo di  Schengen,  con  allegate  due  dichiarazioni  unilaterali
dell'Italia e della Francia, nonche' la convenzione, il relativo atto
finale,  con  annessi  l'atto  finale,  il  processo  verbale  e   la
dichiarazione comune dei Ministri e Segretari  di  Stato  firmati  in
occasione della  firma  della  citata  convenzione  del  1990,  e  la
dichiarazione comune relativa agli articoli 2  e  3  dell'accordo  di
adesione  summenzionato;  c)  dell'accordo  tra  il   Governo   della
Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica francese  relativo
agli articoli 2 e 3 dell'accordo di cui alla lettera b);  tutti  atti
firmati  a  Parigi  il  27  novembre  1990»,  che  ha  modificato  le
condizioni di soggiorno degli stranieri regolate dal decreto-legge 30
dicembre 1989, n. 416 (Norme urgenti in materia di asilo politico, di
ingresso   e   soggiorno   dei   cittadini   extracomunitari   e   di
regolarizzazione  dei  cittadini  extracomunitari  ed  apolidi   gia'
presenti nel territorio dello Stato), convertito, con  modificazioni,
in legge 28 febbraio 1990, n. 39.
    Il citato art. 14 della legge n.  388  del  1993  configurava  la
protezione umanitaria come ipotesi  di  deroga  al  rigetto  (e  alla
revoca) della domanda di permesso  di  soggiorno,  deroga  consentita
appunto quando ricorressero seri motivi di carattere umanitario. Tale
articolo, infatti, prevedeva che un provvedimento  di  rifiuto  o  di
revoca del permesso di soggiorno potesse essere  adottato  quando  lo
straniero non soddisfacesse le condizioni  di  soggiorno  applicabili
nel territorio di uno degli Stati contraenti, salvo che  ricorressero
«seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti  da
obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano»  (art.
4, comma 12-ter, del d.l. n. 416 del 1989).
    Questo  originario  riferimento  alle   esigenze   di   carattere
umanitario, suscettibili di  evitare  il  rifiuto  o  la  revoca  del
permesso di soggiorno, e' stato  testualmente  ripreso  dall'art.  5,
comma  6,   della   legge   6   marzo   1998,   n.   40   (Disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), per  poi
sedimentarsi nell'art. 5, comma 6,  del  t.u.  immigrazione,  il  cui
testo prevedeva, fino all'entrata  in  vigore  del  decreto-legge  in
esame, che il rifiuto o la revoca del permesso di soggiorno potessero
essere adottati quando lo straniero non soddisfacesse  le  condizioni
di soggiorno salva la ricorrenza di «seri motivi, in  particolare  di
carattere  umanitario  o  risultanti  da  obblighi  costituzionali  o
internazionali dello Stato italiano». Il permesso  di  soggiorno  per
motivi umanitari era rilasciato dal  questore  secondo  le  modalita'
previste nel regolamento di attuazione.
    A seguito dell'introduzione della  protezione  internazionale  (a
opera del decreto legislativo 19 novembre 2007,  n.  251,  intitolato
«Attuazione  della  direttiva   2004/83/CE   recante   norme   minime
sull'attribuzione, a  cittadini  di  Paesi  terzi  o  apolidi,  della
qualifica  del  rifugiato  o  di  persona  altrimenti  bisognosa   di
protezione internazionale, nonche' norme minime sul  contenuto  della
protezione riconosciuta»), nelle due forme del  riconoscimento  dello
status di rifugiato e di beneficiario di protezione sussidiaria,  era
altresi' previsto che, in caso di non accoglimento della  domanda  di
protezione internazionale,  le  competenti  commissioni  territoriali
trasmettessero gli atti al  questore  per  l'eventuale  rilascio  del
permesso di soggiorno  ai  sensi  dell'art.  5,  comma  6,  del  t.u.
immigrazione,  qualora  sussistessero  «gravi  motivi  di   carattere
umanitario» (art. 32, comma 3, del  decreto  legislativo  28  gennaio
2008,  n.  25,  intitolato  «Attuazione  della  direttiva  2005/85/CE
recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai
fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato»).
    Per completare  il  quadro  normativo  immediatamente  precedente
all'entrata in vigore della disposizione  impugnata,  occorre  ancora
menzionare che, accanto al permesso di soggiorno per motivi umanitari
di cui all'art. 5, comma 6, il t.u. immigrazione  prevedeva  altresi'
alcune fattispecie particolari di permesso di soggiorno  (per  motivi
di protezione sociale,  ex  art.  18;  per  particolare  sfruttamento
lavorativo, ex art. 22, comma 12-quater; per le vittime  di  violenza
domestica, ex  art.  18-bis),  in  cui  erano  comunque  evidenti  le
esigenze di carattere umanitario sottese alle singole fattispecie.
    7.4.- La protezione umanitaria  ha  ricevuto  ampia  applicazione
nella prassi  giurisprudenziale,  che  ne  ha  via  via  precisato  i
contorni, grazie all'attivita' interpretativa della giurisprudenza di
merito e di legittimita' che ha assicurato l'effettivita' del  quadro
normativo ora brevemente descritto alla luce delle esigenze di tutela
dei diritti fondamentali della persona, garantiti dalla  Costituzione
e dagli altri strumenti di tutela europea e internazionale.
    Secondo la Corte di cassazione, in particolare,  il  permesso  di
soggiorno per  motivi  umanitari  si  collega  al  diritto  di  asilo
costituzionale, di cui all'art. 10, terzo  comma,  Cost.,  oltre  che
alla «protezione complementare» che  la  normativa  europea  consente
agli Stati membri  di  riconoscere,  anche  per  motivi  umanitari  o
caritatevoli, alle persone che non possono rivendicare lo  status  di
rifugiato e neppure beneficiare della protezione sussidiaria, benche'
siano minacciate nei propri diritti fondamentali in  caso  di  rinvio
nel paese d'origine (cosi', tra le molte, Cassazione civile,  sezioni
unite, sentenze 11 dicembre 2018, n.  32177  e  n.  32044).  Inoltre,
nella giurisprudenza di legittimita'  immediatamente  anteriore  alle
modifiche introdotte dal decreto impugnato, i «seri motivi umanitari»
erano  tutti  accomunati  dallo  scopo  di  tutelare  situazioni   di
vulnerabilita' attuali o accertate, con  giudizio  prognostico,  come
conseguenza discendente dal rimpatrio dello straniero, in presenza di
un'esigenza concernente la salvaguardia di diritti umani fondamentali
protetti  a  livello  costituzionale  e  internazionale   (Corte   di
cassazione, sezione prima civile,  ordinanza  12  novembre  2018,  n.
28996).
    7.5.- In tale cornice normativa, e' intervenuto l'impugnato  art.
1 del d.l. n. 113 del 2018 che ha eliminato dall'art. 5, comma 6, del
t.u.  immigrazione  il  riferimento  ai  «seri  motivi  di  carattere
umanitario o risultanti da obblighi costituzionali  o  internazionali
dello   Stato   italiano»   e,   piu'   in   generale,   ha   espunto
dall'ordinamento ogni  riferimento  al  permesso  di  soggiorno  «per
motivi umanitari» contenuto in diversi testi normativi. Tuttavia,  la
medesima disposizione ha contestualmente delineato una serie di «casi
speciali  di  permessi  di  soggiorno  temporanei  per  esigenze   di
carattere umanitario».
    In sintesi, per effetto dell'impugnato art. 1 del d.l. n. 113 del
2018, il permesso di soggiorno per  motivi  umanitari,  che  scompare
come istituto generale  e  atipico,  viene  sostituito  dai  seguenti
permessi di soggiorno: a) permessi di soggiorno per  «casi  speciali»
(ipotesi di cui agli artt. 18, 18-bis e 22, comma 12-quater, del t.u.
immigrazione); b) permesso di soggiorno per «cure  mediche»  (ipotesi
di cui all'art. 19, comma 2, lettera d-bis); c) permesso di soggiorno
per calamita' (ipotesi  di  cui  all'art.  20-bis);  d)  permesso  di
soggiorno per motivi di particolare valore  civile  (ipotesi  di  cui
all'art. 42-bis).
    I permessi di soggiorno per «casi speciali» (ipotesi di cui  agli
artt. 18, 18-bis e  22,  comma  12-quater,  del  t.u.  immigrazione),
sostituiscono i precedenti  permessi  di  soggiorno  «per  motivi  di
protezione sociale», «per  vittime  di  violenza  domestica»  e  «per
particolare   sfruttamento   lavorativo»,   dei   quali    mantengono
sostanzialmente invariata la portata.
    In particolare, lo speciale permesso di cui all'art. 18 del  t.u.
immigrazione  e'  rilasciato  dal  questore  quando  siano  accertate
situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti  di  uno
straniero ed emergano concreti pericoli per la  sua  incolumita'  per
effetto  dei   tentativi   di   sottrarsi   ai   condizionamenti   di
un'organizzazione   criminale   dedita   allo   sfruttamento    della
prostituzione, al fine di consentirgli di sottrarsi alla violenza e a
detti condizionamenti  nonche'  di  partecipare  a  un  programma  di
assistenza e integrazione sociale.
    Il permesso di cui al successivo art. 18-bis  e'  rilasciato  dal
questore a fronte di accertate situazioni di  violenza  o  abuso  per
consentire alla vittima di sottrarsi  alla  violenza  domestica,  con
cio' intendendosi «uno o piu' atti, gravi ovvero  non  episodici,  di
violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si  verificano
all'interno della famiglia o  del  nucleo  familiare  o  tra  persone
legate, attualmente o in passato, da un vincolo di  matrimonio  o  da
una relazione affettiva, indipendentemente dal fatto che l'autore  di
tali atti condivida o abbia condiviso  la  stessa  residenza  con  la
vittima».
    Il permesso di cui all'art. 22, comma  12-quater,  e'  rilasciato
dal questore nelle ipotesi di  particolare  sfruttamento  lavorativo,
allo  straniero  che  abbia  presentato  denuncia   e   cooperi   nel
procedimento penale instaurato nei confronti del datore di lavoro.
    Il permesso di soggiorno per «cure mediche» (di cui all'art.  19,
comma 2, lettera d-bis) e' rilasciato dal questore agli stranieri che
versino in condizioni di salute di  particolare  gravita',  accertate
mediante idonea documentazione proveniente da una struttura sanitaria
pubblica o da un  medico  convenzionato  con  il  Servizio  sanitario
nazionale, e tali da determinare un rilevante pregiudizio alla salute
degli  stessi  in  caso  di  rientro  nel  paese  di  origine  o   di
provenienza.
    Il permesso di soggiorno per calamita' (di cui  all'art.  20-bis)
e' rilasciato  dal  questore  quando  il  paese  verso  il  quale  lo
straniero  dovrebbe  fare  ritorno  versa  in   una   situazione   di
contingente ed eccezionale calamita' che non consente il rientro e la
permanenza in condizioni di sicurezza.
    Il permesso di soggiorno per atti di  particolare  valore  civile
(di  cui  all'art.  42-bis),  infine,  deve  essere  autorizzato  dal
Ministro dell'interno, su proposta del  prefetto  competente,  ed  e'
rilasciato nei casi in  cui  lo  straniero  abbia  compiuto  atti  di
particolare valore civile.
    Accanto a dette ipotesi, il legislatore, modificando  l'art.  32,
comma 3, del d.lgs. n. 25  del  2008,  ha  poi  introdotto  un  nuovo
permesso di soggiorno per «protezione speciale» per i casi in cui non
si accolga la domanda di protezione internazionale dello straniero  e
al  contempo  ne  sia  vietata  l'espulsione  o   il   respingimento,
nell'eventualita' che questi «possa essere  oggetto  di  persecuzione
per motivi di  razza,  di  sesso,  di  lingua,  di  cittadinanza,  di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o  sociali,
ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un  altro  Stato  nel
quale non sia protetto dalla persecuzione» (art.  19,  comma  1,  del
t.u. immigrazione), oppure esistano fondati motivi  di  ritenere  che
rischi di essere sottoposto a tortura (art. 19, comma 1.1., del  t.u.
immigrazione).
    In sintesi, con l'impugnato art. 1 del d.l. n. 113  del  2018  il
legislatore e' intervenuto  sulle  qualifiche  che  danno  titolo  ai
permessi di soggiorno sul territorio nazionale  specificando,  in  un
ventaglio  di  ipotesi  nominate,  i  «seri   motivi   di   carattere
umanitario» prima genericamente enunciati all'art. 5,  comma  6,  del
t.u. immigrazione.
    7.6.- Non vi e' alcun dubbio che tale intervento sia esercizio di
competenze legislative esclusive dello Stato, ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, Cost.
    Come osservato dalle stesse  ricorrenti,  viene  innanzitutto  in
rilievo la materia  «immigrazione»,  di  cui  all'art.  117,  secondo
comma,  lettera  b),  Cost.   Essa   infatti   comprende,   come   la
giurisprudenza di  questa  Corte  ha  gia'  chiarito,  non  solo  gli
«aspetti che attengono alle politiche di programmazione dei flussi di
ingresso e di soggiorno nel territorio nazionale» (sentenza n. 2  del
2013, cosi' come sentenze n. 61 del 2011, n. 299 del 2010  e  n.  134
del 2010), ma, ed e' cio'  che  qui  rileva,  le  condizioni  per  il
rilascio del permesso di soggiorno (sentenza n. 156 del 2006).
    Questa Corte ha anche piu' volte  precisato  che  il  legislatore
statale gode di «ampia» discrezionalita' nella  disciplina  di  detta
materia (sentenze n. 277 del 2014, n. 202  del  2013  e  n.  172  del
2012), dato che essa e' «collegata  al  bilanciamento  di  molteplici
interessi pubblici» (tra le molte, sentenze n. 172 del 2012 e n.  250
del 2010); e che, pur disponendo di tale ampia  discrezionalita',  il
legislatore  naturalmente  resta  sempre  tenuto  al  rispetto  degli
obblighi internazionali,  sulla  base  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost., e costituzionali (sentenze n. 202 del 2013, n. 172 del 2012  e
n. 245 del 2011), compreso il criterio di  ragionevolezza  intrinseca
(tra le altre, sentenza n. 172 del 2012).
    Le  medesime  disposizioni  impugnate,   peraltro,   sono   anche
espressione  della  competenza  legislativa  statale  in  materia  di
«diritto di asilo», di cui all'art. 117, secondo comma,  lettera  a),
Cost., che nell'ordinamento costituzionale italiano copre uno spettro
piu' ampio rispetto al diritto  dei  rifugiati  di  cui  alla  citata
Convenzione di Ginevra. Per la  definizione  del  contenuto  di  tale
materia, infatti, ci si  deve  riferire  all'art.  10,  terzo  comma,
Cost., che appunto riconosce il «diritto d'asilo nel territorio della
Repubblica» come diritto fondamentale dello straniero «al  quale  sia
impedito  nel  suo  paese  l'effettivo   esercizio   delle   liberta'
democratiche garantite dalla Costituzione italiana».
    A favore di un inquadramento delle disposizioni  impugnate  nella
materia «diritto di asilo» depone la  consolidata  giurisprudenza  di
legittimita' che, in riferimento alla  disciplina  previgente,  aveva
ritenuto che il diritto di asilo costituzionale  ex  art.  10,  terzo
comma, Cost. avesse ricevuto integrale attuazione grazie al  concorso
dei tre istituti concernenti la protezione dei  migranti:  la  tutela
dei rifugiati, la protezione sussidiaria  di  origine  europea  e  la
protezione umanitaria (tra le molte,  Corte  di  Cassazione,  sezione
prima civile, ordinanza 15  maggio  2019,  n.  13082;  sezione  sesta
civile, ordinanza 19 aprile 2019, n.  11110;  sezione  sesta  civile,
ordinanza 4 agosto 2016, n. 16362). Di conseguenza,  ogni  intervento
legislativo che, indipendentemente dal suo  contenuto,  incida,  come
quello  oggetto  delle  presenti  questioni   di   costituzionalita',
sull'uno o sull'altro dei  tre  istituti  che  danno  vita  nel  loro
complesso alla disciplina dell'asilo  costituzionale  deve  per  cio'
stesso essere ascritto alla materia denominata «diritto di asilo», di
esclusiva competenza dello  Stato,  in  base  all'art.  117,  secondo
comma, lettera a), Cost.
    7.7.- La circostanza che si tratti di disposizioni adottate dallo
Stato nell'esercizio di proprie competenze legislative  esclusive  fa
si' che non siano configurabili violazioni  dirette  del  riparto  di
competenze disegnato dal Titolo  V,  Parte  II,  della  Costituzione;
tuttavia cio' non implica che le Regioni non  possano  denunciare  la
violazione di parametri costituzionali diversi da quelli relativi  al
riparto di competenze, assumendo  la  lesione  indiretta  di  proprie
attribuzioni costituzionalmente garantite (sentenze n. 139, n.  73  e
n. 17 del 2018, e n. 412 del 2001).
    Con riguardo alle disposizioni in esame, in effetti,  le  Regioni
prospettano lesioni indirette alle loro competenze, lamentando che le
modalita' attraverso le quali  lo  Stato  ha  esercitato  le  proprie
competenze  legislative,   in   quanto   asseritamente   viziate   da
illegittimita'  costituzionale,  per  la  violazione  dei   parametri
costituzionali e internazionali sopra  richiamati,  condizionerebbero
l'esercizio di numerose competenze legislative regionali sia di  tipo
concorrente che di tipo residuale, in materia di assistenza  sociale,
tutela della  salute,  formazione  e  politiche  attive  del  lavoro,
istruzione ed edilizia  residenziale  pubblica.  In  particolare,  le
ricorrenti ritengono che  la  disposizione  impugnata  restringerebbe
illegittimamente la platea delle  persone  regolarmente  soggiornanti
sul  territorio  e  con  essa  anche  quella  dei  destinatari  delle
prestazioni sociali  garantite  dalle  Regioni,  costringendo  queste
ultime, al pari degli  enti  locali  di  cui  esse  affermano  essere
sostituti processuali, a esercitare le loro competenze  in  contrasto
con la Costituzione.
    Come gia' ricordato, questa Corte ha costantemente affermato  che
le questioni sollevate dalle Regioni in riferimento a  parametri  non
attinenti al  riparto  delle  competenze  statali  e  regionali  sono
ammissibili quando la disposizione statale, pur conforme  al  riparto
costituzionale  delle  competenze,   obbligherebbe   le   Regioni   -
nell'esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative o
finanziarie  -   a   conformarsi   a   una   disciplina   legislativa
asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto,
estranei a tale riparto (tra le altre, sentenze n. 5 del 2018, n. 287
e n. 244 del 2016). Tuttavia, in presenza di un intervento  normativo
ascrivibile all'esercizio di potesta' legislativa esclusiva spettante
allo Stato, affinche' una censura basata sulla  violazione  indiretta
delle competenze regionali sia  ammissibile,  occorre  che  essa  sia
adeguatamente argomentata.
    7.8.- Alla luce dei  suddetti  criteri,  le  questioni  aventi  a
oggetto l'art. 1 del d.l. n. 113 del 2018 non sono ammissibili.
    Il vizio di incostituzionalita'  della  legge  statale  lamentato
dalle ricorrenti consisterebbe in  una  illegittima  restrizione  dei
titoli di soggiorno e nella conseguente illegittima esclusione di una
quota di persone dal novero della popolazione regolarmente  residente
sul territorio e beneficiaria delle prestazioni sociali erogate dalle
Regioni (e dagli enti locali). Tutte le censure danno per  certo  che
l'effetto concreto delle disposizioni impugnate sia quello di ridurre
il numero dei titolari di un regolare permesso di soggiorno. Tuttavia
tale motivazione non e' sufficiente a  dimostrare  la  ridondanza  in
concreto sulle competenze regionali, alla  luce  del  dato  normativo
come sopra illustrato. Gli  argomenti  addotti  dalle  ricorrenti  si
basano sull'assunto indimostrato che il passaggio da un  permesso  di
soggiorno  generale  e  atipico,  per  «seri  motivi   di   carattere
umanitario», a una serie di «casi speciali», comporti di per se'  una
restrizione della protezione complementare contraria a Costituzione.
    Invero, l'effettiva portata dei nuovi  permessi  speciali  potra'
essere valutata solo in fase applicativa,  nell'ambito  della  prassi
amministrativa  e  giurisprudenziale  che   andra'   formandosi,   in
relazione alle esigenze dei casi concreti e alle singole  fattispecie
che via via si presenteranno. In proposito,  e'  appena  il  caso  di
osservare che l'interpretazione e l'applicazione dei nuovi  istituti,
in sede  sia  amministrativa  che  giudiziale,  sono  necessariamente
tenute  al  rigoroso  rispetto  della  Costituzione  e  dei   vincoli
internazionali,  nonostante  l'avvenuta  abrogazione   dell'esplicito
riferimento agli  «obblighi  costituzionali  o  internazionali  dello
Stato italiano» precedentemente contenuto nell'art. 5, comma  6,  del
t.u. immigrazione.
    In questo senso, del resto, si e' espresso, in sede di emanazione
del decreto impugnato, il Presidente della Repubblica il quale, nella
lettera indirizzata al Presidente del Consiglio  dei  ministri  il  4
ottobre 2018,  ha  sottolineato  che  «restano  "fermi  gli  obblighi
costituzionali  e   internazionali   dello   Stato",   pur   se   non
espressamente richiamati nel  testo  normativo,  e,  in  particolare,
quanto direttamente disposto dall'art. 10 della Costituzione e quanto
discende dagli impegni internazionali assunti dall'Italia». Anche  la
stessa relazione illustrativa del disegno  di  legge  di  conversione
conferma che l'intervento legislativo si muove  nel  solco  tracciato
dagli obblighi costituzionali e internazionali della  Repubblica,  da
esso, appunto, in nessun modo menomati.
    La doverosa applicazione del dato legislativo in conformita' agli
obblighi costituzionali e internazionali  potrebbe  rivelare  che  il
paventato effetto restrittivo rispetto alla disciplina previgente sia
contenuto entro margini costituzionalmente accettabili.  Diversamente
questa  Corte  potra'  essere  adita  in  via  incidentale,  restando
ovviamente impregiudicata, all'esito della presente  pronuncia,  ogni
ulteriore   valutazione   di   legittimita'   costituzionale    della
disposizione in esame.
    Dato quindi il carattere ipotetico e  meramente  eventuale  delle
questioni, cosi' come prospettate dalle ricorrenti,  non  puo'  dirsi
dimostrato l'illegittimo condizionamento indiretto  delle  competenze
regionali denunciato nei ricorsi.
    7.9.- Va ricordato, infine, che, anche qualora le  norme  statali
impugnate producessero l'effetto di escludere una parte delle persone
che in precedenza avrebbe avuto diritto al  permesso  umanitario  dal
godimento dei nuovi permessi speciali, non sarebbe comunque  impedito
oggi alle Regioni di continuare a offrire alle  medesime  persone  le
prestazioni  in  precedenza  loro  assicurate  nell'esercizio   delle
proprie competenze legislative concorrenti o residuali.
    Secondo la giurisprudenza di questa Corte,  infatti,  le  Regioni
possono erogare prestazioni anche  agli  stranieri  in  posizione  di
irregolarita' e possono farlo senza che cio'  interferisca  in  alcun
modo con le regole per il rilascio del  permesso  di  soggiorno,  che
restano riservate alla legge  statale  sulla  base  della  competenza
esclusiva in materia di  «immigrazione»  e  «diritto  di  asilo»  (in
particolare le sentenze n. 61 e del  2011  e  n.  269  del  2010)  Le
Regioni, del resto,  non  offrono  elementi  concreti  «in  relazione
all'entita' della compressione finanziaria» (sentenza n. 79 del 2018)
che potrebbe derivare da scelte di questo tipo.
    Anche sotto questi profili,  dunque,  le  ragioni  addotte  dalle
ricorrenti a sostegno della "ridondanza" non consentono  di  superare
il vaglio di ammissibilita'.
    8.-  Le  Regioni  Umbria,  Emilia-Romagna,  Marche   e   Calabria
promuovono questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 12  del
d.l. n.  113  del  2018,  avanzando  censure  variamente  articolate,
illustrate nel Ritenuto in fatto.
    8.1.- Come gia' evidenziato in relazione all'art. 1 del  d.l.  n.
113 del 2018, lo scrutinio di tali  censure  impone  l'individuazione
dell'ambito materiale al quale va ascritta la disposizione impugnata.
    Cio'  implica  la  necessita'  di   una,   sia   pur   sintetica,
ricostruzione della disciplina  normativa  del  sistema  italiano  di
accoglienza dei richiedenti asilo.
    8.2.- Prima delle  modifiche  apportate  dal  cosiddetto  decreto
sicurezza, l'accoglienza dei richiedenti  asilo  -  all'esito  di  un
percorso evolutivo caratterizzato dalla  necessita'  di  gestire  "in
emergenza" afflussi massicci di cittadini  stranieri  sul  territorio
nazionale - era imperniata, in forza  delle  previsioni  del  decreto
legislativo 18  agosto  2015,  n.  142  (Attuazione  della  direttiva
2013/33/UE recante norme  relative  all'accoglienza  dei  richiedenti
protezione  internazionale,  nonche'  della   direttiva   2013/32/UE,
recante procedure comuni ai fini del riconoscimento  e  della  revoca
dello status di protezione internazionale), su un sistema  articolato
in piu' fasi e finanziato dal Fondo nazionale per le  politiche  e  i
servizi  dell'asilo  (d'ora  innanzi:  FNPSA),  istituito   dall'art.
1-septies del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416  (Norme  urgenti
in materia di asilo politico, di ingresso e soggiorno  dei  cittadini
extracomunitari e di regolarizzazione dei  cittadini  extracomunitari
ed apolidi gia' presenti nel territorio dello Stato), convertito, con
modificazioni, in legge 28 febbraio 1990, n.  39,  e  successivamente
modificato  dalla  legge  30  luglio  2002,  n.  189  (Modifica  alla
normativa in materia di immigrazione e di asilo).
    Una fase iniziale, dedicata al soccorso, all'assistenza immediata
e all'identificazione, si svolgeva nell'ambito di centri  governativi
situati in corrispondenza dei luoghi maggiormente  interessati  dagli
afflussi (art. 8, comma 2, del  d.lgs.  n.  142  del  2015).  A  essa
seguiva una fase di prima accoglienza, riservata alla verbalizzazione
della domanda di protezione e  all'avvio  della  procedura  di  esame
della stessa, nonche' all'accertamento delle condizioni di salute del
cittadino straniero: pure tale fase si svolgeva in centri governativi
(art. 9  del  d.lgs.  n.  142  del  2015),  anche  istituiti  in  via
straordinaria (art. 11 del d.lgs. n.  142  del  2015).  La  procedura
contemplava, infine, il passaggio alla  fase  di  cosiddetta  seconda
accoglienza: gli stranieri che avessero formalizzato  la  domanda  di
asilo e fossero privi di  mezzi  di  sussistenza  adeguati,  venivano
avviati (ai sensi dell'art. 14 del d.lgs.  n.  142  del  2015)  nelle
strutture territoriali che costituivano il Sistema di protezione  per
i richiedenti asilo e i rifugiati (d'ora  innanzi:  SPRAR),  previsto
dall'art. 1-sexies del d.l.  n.  416  del  1989,  come  convertito  e
successivamente modificato.  Tale  sistema  era  affidato  agli  enti
locali, aderenti a esso su base volontaria,  previa  approvazione  di
progetti finanziati quasi per intero  dal  Ministero  dell'interno  e
finalizzati  all'inclusione  ed  integrazione  sociale  dei  soggetti
ospitati, grazie  ad  attivita'  e  servizi  la  cui  erogazione  era
comunque limitata nel tempo, anche  per  la  scarsita'  dei  posti  a
disposizione rispetto ai soggetti in accoglienza.
    L'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 modifica tale sistema, con  un
complesso reticolo di innovazioni incidenti sia sul d.l. n.  416  del
1989 sia sul d.lgs. n. 142 del 2015.
    In linea generale, puo' affermarsi che lo  scopo  dell'intervento
legislativo e' quello di  riservare  i  progetti  di  integrazione  e
inclusione sociale, attivati  nell'ambito  della  cosiddetta  seconda
fase del sistema di accoglienza territoriale  previsto  dall'articolo
1-sexies del d.l. n. 416 del 1989, come convertito e  successivamente
modificato, esclusivamente ai soggetti gia'  titolari  di  protezione
internazionale, ai  minori  stranieri  non  accompagnati  nonche'  ai
titolari  di  specifici  permessi  di   soggiorno   individuati   dal
cosiddetto decreto sicurezza, che hanno sostituito, come si e' visto,
il permesso di soggiorno per motivi umanitari.
    L'accoglienza  dei  richiedenti  asilo,  invece,  e'   assicurata
esclusivamente  dai  centri  governativi  attivati  ai  sensi   degli
articoli 9 e 11 del d.lgs. n. 142 del 2015.
    Il comma 1 dell'art. 12 interviene sull'art. 1-sexies del d.l. n.
416 del 1989, modificandone, in  particolare,  il  primo  comma,  nel
senso di restringere la platea di  coloro  che  possono  accedere  ai
servizi territoriali locali (cosiddetti di seconda accoglienza),  ora
limitata agli stranieri che abbiano un titolo tendenzialmente stabile
e definitivo a permanere sul territorio dello Stato.
    Viene riformulato anche il comma 2 dell'art. 1-sexies del  citato
d.l. n. 416 del 1989, che disciplina il  finanziamento  dei  progetti
presentati dagli enti locali: la nuova  disposizione  stabilisce,  in
particolare, che, con decreto del Ministro dell'interno,  sentita  la
Conferenza unificata (che si specifica debba esprimersi entro  trenta
giorni) sono definiti i criteri e le modalita' per  la  presentazione
da parte degli  enti  locali  delle  domande  di  contributo  per  la
realizzazione e la prosecuzione dei progetti di  accoglienza;  sempre
con decreto del Ministro dell'interno si provvede poi  all'ammissione
al finanziamento dei  progetti  presentati  dagli  enti  locali,  nei
limiti delle risorse disponibili del FNPSA.
    Si provvede, inoltre, a ridenominare  lo  SPRAR  in  «Sistema  di
protezione per titolari di protezione internazionale e per  i  minori
stranieri non accompagnati» (d'ora innanzi: SIPROIMI).
    Il comma 2 dell'art. 12 del  d.l.  n.  113  del  2018  interviene
invece  sul  d.lgs.  n.  142  del  2015,  in  modo  da  ristrutturare
l'impianto complessivo del  sistema  di  accoglienza,  nel  senso  di
espungere  i  frammenti  normativi  che   facevano   riferimento   ai
richiedenti asilo in relazione alle strutture ex  SPRAR,  alle  quali
tali soggetti non hanno piu' accesso.
    Per quanto d'interesse in questa sede,  viene  eliminata,  sempre
rispetto ai richiedenti asilo, la distinzione tra la  fase  di  prima
accoglienza assicurata nelle  strutture  governative  e  la  fase  di
seconda accoglienza nelle strutture gestite dagli enti  locali,  alle
quali ultime i richiedenti protezione internazionale non  hanno  piu'
accesso.
    Viene riformulato l'art. 14 del d.lgs. n. 142 del 2015, sin dalla
sua rubrica, che non e' piu' dedicata alla disciplina del «Sistema di
accoglienza territoriale», ma alle «Modalita' di accesso  al  sistema
di accoglienza». Vengono puntualmente abrogate le  parti  concernenti
l'ex SPRAR e, all'esito delle modifiche introdotte,  la  disposizione
prevede che il richiedente che  ha  formalizzato  la  domanda  e  che
risulta privo di mezzi sufficienti a garantire una qualita'  di  vita
adeguata al sostentamento proprio e dei propri familiari, ha accesso,
con questi  ultimi,  alle  misure  di  accoglienza  disciplinate  dal
medesimo decreto (ossia a quelle garantite dai centri governativi  di
accoglienza di cui agli artt. 9 e 11).
    Dell'art. 22 del d.lgs. n. 142 del 2015, che disciplina il lavoro
e la formazione professionale per i richiedenti asilo, viene abrogato
il comma 3, che prevedeva, per  questi  ultimi,  la  possibilita'  di
frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti
dal programma dell'ente locale nell'ambito del servizio  territoriale
di accoglienza.
    Infine, ed analogamente, l'art. 22-bis  del  d.lgs.  n.  142  del
2015, che disciplina  la  partecipazione  ad  attivita'  di  utilita'
sociale, viene novellato,  con  la  sostituzione  nei  commi  1  e  3
dell'espressione   «richiedenti   protezione   internazionale»    con
l'espressione «titolari di protezione internazionale».
    I commi 5, 5-bis e 6 dell'art.  12  del  d.l.  n.  113  del  2018
contengono disposizioni transitorie, dedicate a  coloro  che  fossero
gia' accolti nell'ambito del sistema SPRAR alla data  di  entrata  in
vigore del cosiddetto decreto sicurezza.
    Nel caso dei richiedenti asilo (comma  5)  si  prevede  che  essi
rimangano nel sistema ex SPRAR fino alla  scadenza  del  progetto  di
accoglienza in corso gia' finanziato. Viene ribadita  la  continuita'
dell'accoglienza per  i  neo  maggiorenni  richiedenti  asilo  (comma
5-bis)  fino   alla   definizione   della   domanda   di   protezione
internazionale. Infine, quanto ai titolari di  protezione  umanitaria
(comma 6), si prevede che essi restino all'interno dell'ex SPRAR fino
alla scadenza del periodo previsto dalle disposizioni  di  attuazione
sul funzionamento del  sistema  medesimo  e  comunque  non  oltre  la
scadenza del progetto di accoglienza.
    Il  comma  7  dell'art.  12,  infine,  prevede  una  clausola  di
neutralita' finanziaria.
    8.3.- Le Regioni ricorrenti, in generale, ascrivono la disciplina
impugnata alla materia «immigrazione», di cui all'art.  117,  secondo
comma, lettera b), Cost., di competenza esclusiva statale.
    Si e' gia'  osservato  che  la  giurisprudenza  di  questa  Corte
riconduce alla materia «immigrazione», tra  l'altro,  gli  interventi
pubblici connessi alla programmazione dei flussi di  ingresso  ovvero
al soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale.
    Come illustrato in precedenza - e come confermato dalla relazione
di  accompagnamento  al  disegno  di   legge   di   conversione   del
decreto-legge - la normativa in esame non gia' si occupa  dei  flussi
di  ingresso  degli   stranieri   sul   territorio   nazionale,   ne'
semplicemente regola le condizioni del loro  soggiorno  su  di  esso.
Essa ha invece  di  mira  l'esigenza  di  riservare  prioritariamente
l'accesso al sistema finalizzato all'integrazione a quei soggetti  la
cui condizione e' connotata da una tendenziale stabilita',  derivante
dall'accoglimento della richiesta di protezione internazionale.
    Il filo  conduttore  delle  molteplici  disposizioni  di  cui  si
compone il censurato art. 12, in particolare,  e'  ravvisabile  nella
rimodulazione della platea di soggetti legittimati  a  usufruire  dei
servizi  di  inclusione  e  integrazione  offerti   dalle   strutture
territoriali, in base ai progetti finanziati, quasi per l'intero, con
le risorse del FNPSA.
    L'art. 12 del d.l. n.  113  del  2018,  dunque,  presenta  alcune
connessioni con il fenomeno migratorio, e le Regioni  ricorrenti  non
errano  quando  individuano,  come  ambito   materiale   parzialmente
coinvolto,  quello  dell'«immigrazione»  (art.  117,  secondo  comma,
lettera b, Cost.). Tuttavia, l'intervento normativo di cui si ragiona
deve essere inquadrato soprattutto nelle materie «diritto d'asilo»  e
«condizione  giuridica  dei  cittadini  di  Stati  non   appartenenti
all'Unione europea» contemplate dall'art. 117, secondo comma, lettera
a), Cost., sempre di competenza esclusiva statale. Con ogni evidenza,
la disposizione censurata  disciplina,  infatti,  il  trattamento  di
coloro che - una volta fatto ingresso nel territorio  dello  Stato  -
richiedono all'Italia protezione internazionale.
    8.4.- La riconducibilita' dell'art. 12 del d.l. n. 113 del 2018 a
materie comunque attribuite alla potesta' legislativa esclusiva dello
Stato esclude anche in questo caso la configurabilita' di  violazioni
dirette del riparto di competenze disegnato dal Titolo V,  Parte  II,
della Costituzione.
    Vero che, secondo la giurisprudenza  costituzionale  (da  ultimo,
sentenza n. 2 del 2013), in linea di principio,  e'  riconosciuta  la
possibilita' di interventi legislativi delle Regioni e delle Province
autonome con riguardo al fenomeno dell'immigrazione, in relazione  ad
ambiti materiali  -  dall'assistenza  sociale  all'istruzione,  dalla
salute all'abitazione -  attribuiti  alla  competenza  concorrente  e
residuale delle Regioni (sentenze n. 299 e n. 134 del  2010,  n.  156
del 2006, n. 300 del 2005).
    Come si e' chiarito, tuttavia,  si  e'  nel  caso  di  specie  al
cospetto  di   un   intervento   normativo   pienamente   ascrivibile
all'esercizio di plurime  competenze  esclusive  statali,  come,  del
resto, riconosciuto dalle stesse Regioni ricorrenti.
    Ne consegue che le  censure  mosse  nei  confronti  dell'art.  12
prospettano, a  ben  vedere,  lesioni  indirette  di  competenza,  in
conseguenza della violazione di parametri estranei al Titolo V, Parte
II, della Costituzione.
    Tale ricostruzione e', del resto,  coerente  con  l'impianto  dei
ricorsi  regionali.  Tutte  le  Regioni  ricorrenti  hanno,  infatti,
individuato, in primo luogo,  ambiti  di  propria  competenza  (o  di
competenza degli enti locali, le cui attribuzioni esse sono abilitate
a  tutelare  nel  giudizio  costituzionale),  nei   quali   avrebbero
concretamente esercitato funzioni legislative  e  amministrative.  In
cio' risiede la ragione dell'evocazione dei  parametri  di  cui  agli
artt. 114, 117, terzo, quarto e sesto comma, 118, 119 e 120 Cost.  In
secondo  luogo,   lamentano   che   tali   ambiti   sarebbero   stati
indirettamente   incisi   dalla   normativa    impugnata,    ritenuta
costituzionalmente illegittima per violazione di  parametri  estranei
al Titolo V, Parte II, della Costituzione.
    I parametri costituzionali evocati sono, oltre all'art.  77,  gli
artt. 3 e 97 Cost., che presidiano i  principi  di  ragionevolezza  e
buon andamento della pubblica amministrazione; l'art.  2  Cost.,  che
garantisce tutela ai diritti fondamentali delle persone; gli artt.  4
e 35 Cost., sul diritto al lavoro; gli artt.  10,  11  e  117,  primo
comma, Cost. in riferimento al rispetto degli obblighi internazionali
ed europei, e in relazione a diversi parametri interposti, costituiti
da norme della CEDU e da norme di diritto dell'Unione.
    8.5.-   Cio'   posto,   tutte   le   questioni   sollevate   sono
inammissibili, come eccepito dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,
per difetto di  motivazione  sull'asserita  lesione  indiretta  delle
competenze delle Regioni e degli enti locali.
    Secondo  la   gia'   menzionata   giurisprudenza   costituzionale
(sentenza  n.  145  del  2016;  in  senso  analogo,  successivamente,
sentenze n. 198 e n. 137 del  2018),  le  questioni  sollevate  dalle
Regioni in riferimento a parametri non  attinenti  al  riparto  delle
competenze statali e regionali «sono ammissibili al ricorrere di  due
concomitanti  condizioni:  in  primo  luogo,   la   ricorrente   deve
individuare  gli  ambiti  di  competenza  regionale  -   legislativa,
amministrativa o  finanziaria  -  incisi  dalla  disciplina  statale,
indicando  le  disposizioni  costituzionali  sulle  quali,   appunto,
trovano fondamento le proprie competenze in tesi indirettamente  lese
(ex plurimis, sentenze n. 83 e n. 65 del 2016, n. 251  e  n.  89  del
2015); e, in secondo luogo, la Corte  deve  ritenere  che  sussistano
competenze regionali suscettibili di essere indirettamente lese dalla
disciplina impugnata (ex plurimis, sentenze  n.  220  e  n.  219  del
2013). Cio' si verifica quando la disposizione statale, pur  conforme
al riparto costituzionale delle competenze, obbligherebbe le  Regioni
- nell'esercizio di altre loro attribuzioni normative, amministrative
o  finanziarie  -  a  conformarsi  a   una   disciplina   legislativa
asseritamente incostituzionale, per contrasto con parametri, appunto,
estranei a tale riparto».
    Pertanto, come pure gia' detto, affinche'  una  censura  siffatta
sia ammissibile, in presenza di un intervento  normativo  ascrivibile
all'esercizio di potesta' legislativa esclusiva spettante allo Stato,
occorre  che  venga  enunciata   e   adeguatamente   argomentata   la
compressione degli spazi  di  autonomia  pur  sempre  spettanti  alle
Regioni   nell'ambito   del    complesso    fenomeno    di    governo
dell'immigrazione.
    Negli odierni giudizi, le Regioni ricorrenti  hanno  prospettato,
come effetto delle disposizioni impugnate, la lesione indiretta delle
proprie competenze (e di quelle degli enti locali), in particolare in
relazione a una determinata categoria  di  soggetti,  costituita  dai
richiedenti  asilo,  oggi  esclusi  dal   sistema   territoriale   di
accoglienza. Esse asseriscono che l'esercizio di tali competenze,  in
relazione a tale categoria di soggetti, sarebbe del tutto «impedito»,
ovvero «condizionato»  -  nel  senso  che  sarebbe  loro  imposto  di
esercitare  le   suddette   funzioni   in   modo   costituzionalmente
illegittimo, con  lesione  di  parametri  appunto  non  attinenti  al
riparto delle  competenze  statali  e  regionali  -  oppure,  ancora,
«aggravato» sul piano finanziario.
    Tuttavia, la motivazione  che  esse  adducono  a  sostegno  delle
censure non appare adeguata, alla luce dello  stesso  dato  normativo
come in precedenza illustrato.
    Come  sottolineato  anche  dalla  difesa   statale,   a   seguito
dell'entrata in  vigore  della  disposizione  impugnata,  il  sistema
territoriale   di   accoglienza   resta,   infatti,   sostanzialmente
invariato, per quanto  riguarda  la  sua  organizzazione,  l'ampiezza
della rete territoriale e le modalita' di accesso a tale  sistema  da
parte degli enti locali.
    Oggetto di modifica risulta essere la platea dei soggetti ammessi
a beneficiare dell'accoglienza territoriale. Va  da  se'  che  questo
dato e' tutt'altro che secondario  o  irrilevante,  poiche',  ora,  i
richiedenti asilo non accedono, alle  stesse  condizioni  precedenti,
alla seconda fase del sistema di accoglienza. Su questo aspetto, ogni
ulteriore valutazione di legittimita' costituzionale resta ovviamente
impregiudicata. Quel che in questa sede rileva e' che  nessuna  delle
norme impugnate importa obblighi, divieti o condizionamenti, a carico
delle Regioni e dei Comuni, tali  da  impedire  loro  di  esercitare,
anche a favore dei richiedenti  asilo  -  al  di  fuori  del  sistema
territoriale di accoglienza - le proprie attribuzioni  legislative  o
amministrative, nelle (piu' sopra  indicate)  materie  di  competenza
concorrente o residuale, ovvero tali  da  costringerli  a  esercitare
dette attribuzioni secondo modalita'  costituzionalmente  illegittime
per lesione di parametri  costituzionali  non  attinenti  al  riparto
delle competenze statali o regionali.
    Restano pienamente in vigore, infatti, tutte le norme del  d.lgs.
n. 286  del  1998  che  consentono,  ed  anzi  auspicano,  interventi
siffatti in favore dei cittadini stranieri in genere.
    L'art. 3, comma 5, del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  ad  esempio,
autorizza Regioni, Province e Comuni,  nell'ambito  delle  rispettive
attribuzioni e  dotazioni  di  bilancio,  ad  adottare  provvedimenti
concorrenti al perseguimento dell'obiettivo di rimuovere gli ostacoli
che di fatto impediscono il pieno riconoscimento dei diritti e  degli
interessi riconosciuti agli stranieri nel territorio dello Stato, con
particolare riguardo a quelli  inerenti  all'alloggio,  alla  lingua,
all'integrazione sociale, nel rispetto dei diritti fondamentali della
persona umana.
    L'art. 40 del medesimo decreto, ancora, dispone che  le  Regioni,
in  collaborazione  con  le  Province  e  con  i  Comuni  e  con   le
associazioni  e  le  organizzazioni  di  volontariato,  predispongono
centri di accoglienza destinati a ospitare, anche  in  strutture  per
ospitare cittadini italiani o cittadini di  altri  Paesi  dell'Unione
europea, stranieri regolarmente soggiornanti (quali  sono  appunto  i
richiedenti  asilo)  per  motivi  diversi  dal  turismo,  che   siano
temporaneamente  impossibilitati  a  provvedere  autonomamente   alle
proprie esigenze alloggiative e di sussistenza;  in  tali  centri  di
accoglienza le Regioni provvedono, ove possibile, ai servizi  sociali
e culturali idonei a favorire  l'autonomia  e  l'inserimento  sociale
degli ospiti.
    Il successivo art. 42, dal canto suo, prevede che  lo  Stato,  le
Regioni,  le  Province  e  i  Comuni,   nell'ambito   delle   proprie
competenze, anche in collaborazione con le associazioni di  stranieri
e con le organizzazioni stabilmente operanti in loro favore,  nonche'
in collaborazione con le autorita' o con enti pubblici e privati  dei
Paesi di origine, favoriscono una serie di attivita' di tipo  sociale
e assistenziale volte, tra l'altro, all'effettuazione di corsi  della
lingua  e  della  cultura  di  origine,  alla  diffusione   di   ogni
informazione utile al positivo inserimento  nella  societa'  italiana
degli stranieri medesimi, alla conoscenza e alla valorizzazione delle
espressioni culturali, ricreative, sociali,  economiche  e  religiose
degli extracomunitari regolarmente soggiornanti.
    E' ben vero che Regioni e Comuni, se riterranno  di  intervenire,
dovranno reperire ulteriori risorse. Da un lato, tuttavia,  cio'  non
sorprende, poiche' si tratterebbe del necessario ricorso al potere di
spesa, sulla base di scelte di priorita' di natura politica  compiute
in ambito regionale; dall'altro, non possono che  corrispondentemente
sottrarsi alle censure regionali le pertinenti scelte di priorita' di
spesa compiute dal legislatore statale, in settori di  sua  esclusiva
competenza.
    In ogni caso, anche ad ammettere che  scelte  statali  di  questa
natura possano incidere negativamente sulle Regioni,  la  motivazione
dei ricorsi non raggiunge  la  soglia  che  consente  l'accesso  allo
scrutinio di merito. Anche sotto questo specifico  profilo,  infatti,
la motivazione che nei ricorsi dovrebbe giustificare  la  ridondanza,
in termini di lesione dell'autonomia finanziaria presidiata dall'art.
119 Cost., non  assurge  al  livello  di  completezza  sufficiente  a
superare la soglia dell'ammissibilita'.
    Questa Corte, ancora di recente (sentenza n.  79  del  2018),  ha
ritenuto ben possibile motivare anche tramite l'indicazione dell'art.
119  Cost.  la  ridondanza  di  questioni  sollevate   su   parametri
costituzionali che non riguardano la ripartizione di  competenze  tra
Stato e Regioni. Tuttavia, ha  ritenuto  necessario  che,  in  questi
casi, la Regione  ricorrente  «argomenti  in  concreto  in  relazione
all'entita' della  compressione  finanziaria  lamentata  e  alla  sua
concreta  incidenza  sull'attivita'  di  competenza  regionale».   Ha
percio'  dichiarato  inammissibili  questioni   promosse   attraverso
censure che lamentavano  effetti  negativi  sulle  finanze  regionali
meramente  «generici  e  congetturali»,  poiche'  cio'  rendeva  solo
astrattamente configurata e  del  tutto  immotivata  in  concreto  la
pretesa  lesione   dell'esercizio   delle   funzioni   amministrative
regionali.
    Stante  l'assenza,   in   ciascuno   dei   ricorsi,   di   idonee
considerazioni  in  materia,  tali  affermazioni   sono   agevolmente
estensibili anche agli odierni giudizi, sicche' le questioni promosse
nei confronti dell'art. 12 del d.l. n. 113  del  2018  devono  essere
dichiarate inammissibili per  difetto  di  motivazione  sull'asserita
lesione indiretta delle competenze delle Regioni e degli enti locali.
    9.- Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna, Marche, Toscana e Calabria
impugnano l'art. 13, comma 1, lettera a), numero 2), del d.l. n.  113
del 2018; le Regioni  Umbria,  Emilia-Romagna  e  Calabria  anche  le
lettere b) e c) del comma 1 dell'art. 13; la Regione Marche anche  la
lettera c)  dello  stesso  comma.  Le  ricorrenti  formulano  censure
variamente articolate sia rispetto a parametri relativi al riparto di
competenze  tra  Stato  e  Regioni  sia  in  relazione  a   parametri
ulteriori, per la cui illustrazione si rinvia a quanto riportato  nel
Ritenuto in fatto.
    Anche  in  questo  caso  si  rende   preliminarmente   necessario
individuare l'ambito materiale di pertinenza delle  norme  impugnate,
al fine di verificare  l'ammissibilita'  delle  censure  promosse  in
relazione a parametri  diversi  da  quelli  relativi  al  riparto  di
competenze.  e'   dunque   opportuna   una,   sia   pure   sintetica,
ricostruzione del quadro normativo in cui le  disposizioni  impugnate
si inseriscono.
    9.1.- L'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018  apporta  una  serie  di
modifiche agli artt. 4 e 5 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n.
142 (Attuazione della direttiva  2013/33/UE  recante  norme  relative
all'accoglienza dei richiedenti  protezione  internazionale,  nonche'
della direttiva 2013/32/UE, recante  procedure  comuni  ai  fini  del
riconoscimento  e   della   revoca   dello   status   di   protezione
internazionale), e ne abroga l'art. 5-bis.
    In particolare, l'art. 13 impugnato si compone di un solo  comma,
che e' articolato, al suo interno, in tre lettere (a, b e c).
    La lettera a) modifica l'art. 4 del d.lgs. n. 142 del 2015 e reca
due disposizioni (contraddistinte dai numeri 1 e  2):  con  la  prima
(che non e' oggetto di impugnazione) e' aggiunto il seguente  periodo
al comma 1 del citato art. 4: «Il permesso di  soggiorno  costituisce
documento di  riconoscimento  ai  sensi  dell'articolo  1,  comma  1,
lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica  28  dicembre
2000, n. 445.» (numero 1); con la seconda (che e' impugnata da  tutte
le Regioni ricorrenti) e' inserito, dopo il comma 1 del  citato  art.
4, il comma 1-bis del seguente tenore: «Il permesso di  soggiorno  di
cui al comma 1 non costituisce titolo per l'iscrizione anagrafica  ai
sensi del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989,  n.
223, e dell'articolo 6, comma 7, del decreto  legislativo  25  luglio
1998, n. 286.» (numero 2).
    La lettera b) modifica l'art. 5 del d.lgs. n. 142 del 2015 e reca
due disposizioni (contraddistinte dai numeri  1  e  2,  espressamente
impugnate  dalle  Regioni  Umbria,  Emilia-Romagna  e   Calabria   ma
implicitamente anche dalle altre ricorrenti): con la prima  e'  cosi'
sostituito il comma 3  del  citato  art.  5:  «L'accesso  ai  servizi
previsti dal  presente  decreto  e  a  quelli  comunque  erogati  sul
territorio ai sensi delle norme vigenti e' assicurato  nel  luogo  di
domicilio individuato ai sensi dei commi 1 e 2.» (numero 1);  con  la
seconda e' cosi' modificato il comma 4 del citato art. 5: «le  parole
"un luogo di residenza" sono sostituite dalle seguenti: "un luogo  di
domicilio"» (numero 2).
    Infine, la lettera c) dispone l'abrogazione dell'art.  5-bis  del
d.lgs. n. 142 del 2015, che disciplinava le modalita'  di  iscrizione
anagrafica del richiedente protezione internazionale.
    9.2.- Dal contenuto sopra  descritto  delle  disposizioni  recate
dall'art. 13 del d.l. n. 113 del 2018, e  in  particolare  di  quelle
fatte oggetto di impugnazione, emerge con  chiarezza  che  le  stesse
devono  essere  lette  congiuntamente,  costituendo,   ciascuna,   un
frammento di un quadro normativo unitario per ratio e per  contenuto,
come confermato dal fatto che le lettere a), b) e c) del comma 1  del
citato  art.  13  incidono  su  tre  disposizioni   (a   loro   volta
consecutive) del d.lgs. n. 142 del 2015 (artt. 4, 5 e 5-bis).
    Altrettanto chiaramente risulta che le stesse disposizioni  vanno
ricondotte agli ambiti  di  competenza  legislativa  esclusiva  dello
Stato relativi  a  «diritto  di  asilo  e  condizione  giuridica  dei
cittadini di Stati non appartenenti all'Unione  europea»  (art.  117,
secondo comma, lettera a, Cost.) e alle «anagrafi» (art. 117, secondo
comma, lettera i, Cost.). Argomenti decisivi in tal  senso  sono:  la
sedes materiae (d.lgs.  n.  142  del  2015,  relativo,  tra  l'altro,
all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) in cui  si
inseriscono le disposizioni impugnate; lo specifico tenore  letterale
dell'art. 13, comma  1,  lettera  a),  numero  2),  che  richiama  la
disciplina dell'iscrizione anagrafica; l'interpretazione  sistematica
del Capo  II  del  Titolo  I  del  d.l.  n.  113  del  2018,  recante
«Disposizioni in materia di  protezione  internazionale»,  oltre  che
dello stesso Titolo I, recante «Disposizioni in materia  di  rilascio
di  speciali  permessi  di  soggiorno  temporanei  per  esigenze   di
carattere umanitario nonche' in materia di protezione  internazionale
e di immigrazione». D'altra parte, che le norme  impugnate  siano  da
ricondurre a tali competenze legislative statali non e' negato  dalle
ricorrenti  (ed  e'  anzi  espressamente  riconosciuto  nel   ricorso
dell'Emilia Romagna).
    Nemmeno e' rinvenibile una incidenza  delle  stesse  disposizioni
sulle competenze amministrative  proprie  dei  Comuni,  posto  che  i
servizi gestiti dai Comuni in materia di anagrafe restano pur  sempre
«servizi di competenza statale» (cosi' la rubrica  dell'art.  14  del
decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 «Testo unico  delle  leggi
sull'ordinamento degli enti locali»)  e  le  relative  funzioni  sono
esercitate dal sindaco «quale ufficiale di Governo».
    Cio'  nondimeno,  le  ricorrenti  ritengono  che,  anche  volendo
escludere la sussistenza di una violazione diretta  delle  competenze
regionali e degli enti locali, le norme impugnate -  in  ragione  del
fatto che la legislazione regionale e  quella  statale  prevedono  la
residenza come presupposto per l'accesso e  il  godimento  di  taluni
servizi erogati dalle Regioni e dagli enti locali  -  comportino  una
indiretta lesione delle loro competenze e di quelle degli enti locali
e su questo presupposto ne lamentano  l'illegittimita'  in  relazione
all'art. 77 Cost., per quanto riguarda l'impugnazione  della  Regione
Umbria, e agli artt. 2, 3, 5, 10, terzo comma, 32, 34, 35 e 97 Cost.,
oltre che alle norme del diritto dell'Unione europea  e  ai  trattati
internazionali richiamati sopra.
    Le Regioni ricorrenti fondano, dunque, la loro  legittimazione  a
ricorrere sulla ricaduta indiretta, su ambiti in cui le stesse  hanno
competenza, di una normativa,  quella  concernente  le  modalita'  di
iscrizione  anagrafica  dei  richiedenti  protezione  internazionale,
riconducibile a  materie  di  potesta'  legislativa  esclusiva  dello
Stato. Tale ricaduta si collegherebbe all'inevitabile condizionamento
che  le  disposizioni  censurate  produrrebbero  sulla   platea   dei
destinatari dei servizi previsti dalla normativa regionale  a  favore
dei residenti (dai quali  dovrebbero  essere  esclusi  i  richiedenti
asilo).
    La  motivazione  svolta  dalle  ricorrenti  si   snoda,   quindi,
attraverso un doppio passaggio argomentativo: il  primo  e'  volto  a
rappresentare una ricaduta indiretta della normativa impugnata  sulle
competenze regionali in materia  di  salute,  istruzione,  formazione
professionale, servizi e politiche sociali; il secondo  a  dimostrare
la violazione di parametri costituzionali diversi da quelli attinenti
al riparto di competenze.
    Con riferimento a tale profilo dei gravami regionali - e ribadita
l'impossibilita' di ascrivere le  disposizioni  censurate  ad  ambiti
materiali rimessi in  tutto  o  in  parte  alle  Regioni  -  si  deve
richiamare quanto osservato supra con riferimento  alle  impugnazioni
gia' esaminate, e cioe' che, in astratto, non  puo'  escludersi  che,
nei casi in cui sussista una lesione  ancorche'  mediata  delle  loro
attribuzioni  costituzionali,  le   Regioni   siano   legittimate   a
contestare norme statali per violazione di  parametri  costituzionali
diversi da quelli attinenti al riparto di competenze. Come piu' volte
ricordato, questa Corte ha, infatti, variamente configurato le  forme
e i modi della «ridondanza» sulle competenze regionali  di  questioni
aventi  a  oggetto  una  normativa  statale,  giungendo  a   ritenere
ammissibili   anche   questioni   promosse    avverso    disposizioni
riconducibili ad ambiti materiali riservati allo Stato (tra  le  piu'
recenti, sentenze n. 139, 73 e 17 del 2018, n. 170 del 2017).
    In questi casi, tuttavia, come gia' precisato sopra, grava  sulla
Regione ricorrente un onere motivazionale particolare,  ossia  quello
di dimostrare, in  concreto,  ragioni  e  consistenza  della  lesione
indiretta  delle  proprie   competenze,   non   essendo   sufficiente
l'indicazione  in  termini  meramente  generici  o  congetturali   di
conseguenze negative per l'esercizio delle attribuzioni regionali.
    Questo necessario passaggio  argomentativo  risulta  carente  nei
ricorsi  introduttivi  del  presente  giudizio,  che  si  limitano  a
postulare un'astratta attitudine delle norme contestate a incidere su
ambiti assegnati  alla  Regione  e  agli  enti  locali,  ma  di  tale
incidenza non danno conto in maniera che essa possa  essere  valutata
da  questa  Corte.  Ne'  a  tali  fini  risulta  decisivo  il   fatto
(ripetutamente messo in evidenza  nei  ricorsi)  che  numerose  leggi
delle Regioni ricorrenti prevedono l'erogazione di servizi  a  favore
dei residenti, dando con cio' rilievo al requisito  della  residenza.
Sebbene  si  tratti  di  normativa   emanata   nell'esercizio   delle
competenze legislative regionali in materia di  sanita',  istruzione,
formazione professionale e politiche sociali, resta  indimostrata  la
ridondanza su tali attribuzioni  delle  questioni  fatte  valere  nel
presente giudizio, le quali, come visto, attengono  allo  status  del
richiedente protezione internazionale.
    Da  quanto  precede  deriva  un  difetto  di  motivazione   sulla
ridondanza delle prospettate censure  sulle  competenze  regionali  e
degli enti locali, con la conseguenza  che,  restando  impregiudicata
ogni  altra  valutazione  della  legittimita'  costituzionale   delle
disposizioni contestate, le stesse censure  non  superano  il  vaglio
dell'ammissibilita'.
    Le  questioni  promosse   devono   essere,   quindi,   dichiarate
inammissibili.
    10.-  Dalle  considerazioni   che   precedono   consegue   infine
l'inammissibilita'  delle  censure  prospettate  con  riguardo   alla
violazione del principio di leale collaborazione, di cui agli artt. 5
e 120 Cost.
    Questa Corte ha costantemente affermato che il principio di leale
cooperazione viene in rilievo negli ambiti  in  cui  si  verifica  un
intreccio di competenze statali e regionali (da ultima e  per  tutte,
sentenza n. 161 del 2019).
    Come risulta dall'analisi sin qui svolta, nel caso  in  esame  il
legislatore  statale  ha  invece  esercitato  le  competenze  che  la
Costituzione gli ha attribuito in via esclusiva in materia di diritto
di  asilo,  condizione  giuridica  dello  straniero,  immigrazione  e
anagrafi, sicche' il principio di leale  cooperazione  non  e'  stato
correttamente invocato.
    Vero e' che questa  Corte  ha  affermato  che  l'accoglienza  dei
migranti prevede l'intervento coordinato di Stato e Regioni, ciascuno
nel proprio ambito di competenza (sentenze n. 2 del 2013, n.  61  del
2011, n. 299 e n. 134 del 2010, n. 156 del 2006 e n. 300 del 2005). A
tal fine, tuttavia, l'art. 118,  terzo  comma,  Cost.  nella  materia
dell'«immigrazione» contempla l'ipotesi di  «forme  di  coordinamento
fra Stato e Regioni»,  stabilite  dalla  legge  statale,  soltanto  a
valle,  e   cioe'   in   relazione   all'esercizio   delle   funzioni
amministrative, e non  a  monte,  in  relazione  all'esercizio  della
stessa funzione legislativa statale che e', e rimane,  di  competenza
esclusiva dello Stato.
    In ogni caso, nella fattispecie in esame, il legislatore  statale
e' intervenuto con lo strumento del decreto-legge  ed  e'  appena  il
caso di sottolineare che la natura e le caratteristiche di tale atto,
come  risultano  dall'art.  77  Cost.,   escludono   in   radice   la
possibilita'  di  prevedere  forme  di  consultazione  delle  Regioni
nell'ambito della decretazione d'urgenza.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riservata a separate pronunce la decisione delle altre  questioni
di legittimita' costituzionale promosse con  i  ricorsi  indicati  in
epigrafe;
    riuniti i giudizi,
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 1, 12 e 13  del  decreto-legge  4  ottobre
2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in  materia   di   protezione
internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per
la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione  e  il
funzionamento  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni,  in  legge  1°  dicembre
2018, n. 132, promosse dalle Regioni Umbria, Emilia-Romagna,  Marche,
Toscana e Calabria, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 5, 10, secondo
e terzo comma, 31, 32, 34, 35,  77,  secondo  comma,  97,  114,  117,
terzo, quarto e sesto comma, 118 e  119  e  120  della  Costituzione,
nonche' al principio di leale collaborazione e agli artt. 11  e  117,
primo comma, Cost., in riferimento: agli artt. 2, 3,  8  e  14  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; all'art.  2,  comma
1, del Protocollo n. 4 della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; agli  artt.  6,  10,
comma 1, 12, comma 1, 17, 23 e 24 del Patto  internazionale  relativo
ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966,
entrato in vigore il 23 marzo 1976, ratificato e reso  esecutivo  con
legge 25 ottobre 1977, n.  881;  all'art.  26  della  Convenzione  di
Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata e resa esecutiva con legge  24
luglio 1954, n. 722; all'art. 5, comma 1, lettera b), del regolamento
(UE) n. 516/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile
2014, che istituisce il Fondo Asilo, migrazione e  integrazione,  che
modifica la decisione 2008/381/CE  del  Consiglio  e  che  abroga  le
decisioni n. 573/2007/CE e n. 575/2007/CE del  Parlamento  europeo  e
del Consiglio e la decisione 2007/435/CE del  Consiglio;  agli  artt.
15, lettera c), e  18  della  direttiva  2011/95  UE  del  Parlamento
europeo  e  del  Consiglio,  del  13  dicembre  2011,  recante  norme
sull'attribuzione, a  cittadini  di  paesi  terzi  o  apolidi,  della
qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status
uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare
della protezione sussidiaria, nonche' sul contenuto della  protezione
riconosciuta (rifusione); alla direttiva 2013/33  UE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante  norme  relative
all'accoglienza    dei    richiedenti    protezione    internazionale
(rifusione), con i ricorsi indicati in epigrafe:
    2) dichiara estinto il processo, relativamente alle questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, 12 e 13 del  d.l.  n.  113
del 2018, come convertito, promosse dalla Regione autonoma  Sardegna,
con il ricorso indicato in epigrafe;
    3) dichiara estinto il processo, relativamente alle questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 13 del d.l.  n.  113  del
2018, come convertito, promosse  dalla  Regione  Basilicata,  con  il
ricorso indicato in epigrafe.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2019.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
Marta CARTABIA - Daria de PRETIS - Nicolo' ZANON -  Augusto  BARBERA,
                              Redattori
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2019.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE

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