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mercoledì 31 luglio 2019
N. 195 SENTENZA 20 giugno - 24 luglio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Sicurezza pubblica (Estensione alle aree su cui insistono presidi sanitari dell'ambito di applicazione del divieto di accesso in speciali aree urbane - Accordi locali, sottoscritti dal prefetto e dalle organizzazioni maggiormente rappresentative degli esercenti, finalizzati al rafforzamento della tutela della sicurezza pubblica - Approvazione di linee guida ministeriali, sentita la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali) - Enti locali (Poteri sostitutivi del prefetto nel caso in cui ricorrano situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni locali nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati). - Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata) - convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 - artt. 21, comma 1, lettera a), 21-bis, comma 2, e 28, comma 1. - (GU n.31 del 31-7-2019 )
N. 195 SENTENZA 20 giugno - 24 luglio 2019
Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
Sicurezza pubblica (Estensione alle aree su cui insistono presidi
sanitari dell'ambito di applicazione del divieto di accesso in
speciali aree urbane - Accordi locali, sottoscritti dal prefetto e
dalle organizzazioni maggiormente rappresentative degli esercenti,
finalizzati al rafforzamento della tutela della sicurezza pubblica
- Approvazione di linee guida ministeriali, sentita la Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali) - Enti locali (Poteri sostitutivi
del prefetto nel caso in cui ricorrano situazioni sintomatiche di
condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare
un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento
e l'imparzialita' delle amministrazioni locali nonche' il regolare
funzionamento dei servizi ad esse affidati).
- Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in
materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza
pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata) -
convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132
- artt. 21, comma 1, lettera a), 21-bis, comma 2, e 28, comma 1.
-
(GU n.31 del 31-7-2019 )
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giuliano
AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolo' ZANON, Franco
MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni
AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 21, comma
1, lettera a), 21-bis, commi 1 e 2, e 28, comma 1, del decreto-legge
4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione
internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per
la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il
funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni, in legge 1° dicembre
2018, n. 132, promossi con ricorsi delle Regioni Umbria,
Emilia-Romagna, Toscana e Calabria, notificati il 31 gennaio-4
febbraio, il 1°-6 febbraio, il 31 gennaio-4 febbraio e il 1° febbraio
2019, depositati in cancelleria il 1°, il 4, il 6 e l'8 febbraio
2019, iscritti rispettivamente ai numeri 10, 11, 17 e 18 del registro
ricorsi 2019 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 11 e 13, prima serie speciale, dell'anno 2019.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell'udienza pubblica del 19 giugno 2019 il Giudice
relatore Giovanni Amoroso;
uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione Umbria,
Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Regione Emilia-Romagna,
Marcello Cecchetti per la Regione Toscana, Giuseppe Naimo e Vincenzo
Cannizzaro per la Regione Calabria e gli avvocati dello Stato
Giuseppe Albenzio e Ilia Massarelli per il Presidente del Consiglio
dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.- Le Regioni Emilia-Romagna (r.r. n. 11 del 2019), Toscana
(r.r. n. 17 del 2019) e Calabria (r.r. n. 18 del 2019) hanno
promosso, tra le altre, questioni di legittimita' costituzionale
dell'art. 21, comma 1, lettera a), del decreto-legge 4 ottobre 2018,
n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale
e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la
funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il
funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la
destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre
2018, n. 132; disposizione questa che - modificando l'art. 9, comma
3, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in
materia di sicurezza delle citta'), convertito, con modificazioni,
nella legge 18 aprile 2017, n. 48 - inserisce, dopo le parole «su cui
insistono», le parole «presidi sanitari,».
Le ricorrenti, assumendo la violazione di parametri pressoche'
coincidenti, hanno svolto un motivo di censura sostanzialmente
analogo, impugnando la disposizione nella parte in cui prevede
l'ampliamento dell'elenco dei luoghi in relazione ai quali, per
tutelarne il decoro, puo' trovare applicazione il divieto di accesso
in specifiche aree urbane (cosiddetto DASPO urbano) consentendo cosi'
che, a fronte di una delle condotte presupposto della misura (stato
di ubriachezza, compimento di atti contrari alla pubblica decenza,
esercizio di commercio abusivo di spazi pubblici e attivita' di
parcheggiatore abusivo), il soggetto possa essere colpito dal
provvedimento di allontanamento anche da aree urbane in cui insistono
«presidi sanitari».
In particolare, la Regione Emilia-Romagna ha ravvisato la
violazione dell'art. 32 della Costituzione, unitamente all'art. 3
Cost., in quanto «[l]a reazione dell'ordinamento rispetto alla
condotta [...] si rivela del tutto irragionevole e sproporzionata nel
momento in cui comprime gravemente il diritto alla salute di
determinati soggetti che, oltretutto, in una parte dei casi previsti,
possono essere particolarmente bisognosi di cure (come chi sia colto
in stato di ubriachezza, magari in ragione di un'abitualita' in tale
condotta) e in un'altra parte non hanno tenuto alcuna condotta che
suggerisca una misura grave come l'allontanamento dalle strutture
ospedaliere».
Anche la Regione Toscana ha sostenuto la violazione dell'art. 32
Cost., in quanto, in applicazione della norma impugnata, alla persona
sottoposta a DASPO urbano potra' essere vietata la possibilita' di
accedere al luogo ove e' ubicato il presidio sanitario con la
conseguenza che, in caso di sopravvenuti problemi di salute (anche,
in ipotesi, non conclamati da situazioni di assoluta urgenza o
evidenza), potrebbero ingenerarsi dubbi sul diritto della persona
sottoposta alla misura ad accedere alla struttura sanitaria. Inoltre,
secondo la citata Regione, l'art. 21, comma 1, lettera a) del d.l. n.
113 del 2018, si porrebbe in contrasto con l'art. 117, terzo comma,
Cost., poiche' concerne la materia della «tutela della salute», in
ordine alla quale le Regioni hanno competenza concorrente.
La Regione Calabria ha promosso la questione in riferimento
all'art. 117, terzo comma (e non anche quarto, erroneamente indicato
per mero refuso), Cost., congiuntamente all'art. 34 Cost. (recte:
32), nonche' al principio di leale collaborazione fra Stato e
Regioni.
La ricorrente afferma che la norma censurata viola i parametri
evocati (che la difesa tecnica ben ha articolato con maggiore
completezza rispetto alla delibera della Giunta regionale,
richiamante il solo art. 117, terzo comma, Cost.) in quanto consente
di precludere l'accesso alle strutture sanitarie ai soggetti
bisognosi di cure mediche ledendo, cosi', il diritto alla salute,
inteso non solo come diritto fondamentale dell'individuo, ma anche
come interesse della collettivita' a che vengano garantite cure
gratuite per gli indigenti.
Per altro verso, ricordato che ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost., la tutela della salute costituisce materia di
legislazione concorrente, lamenta che la disposizione «incide
indebitamente sulla competenza regionale relativa all'organizzazione
dei servizi sanitari», impedendo l'accesso nelle «aree nelle quali la
Regione realizza l'interesse pubblico alla tutela della salute».
Secondo la ricorrente sarebbe violato anche il principio di leale
collaborazione fra Stato e Regioni.
2.- La sola Regione Emilia-Romagna ha promosso, con lo stesso
ricorso, questioni di legittimita' costituzionale, tra gli altri,
anche dell'art. 21-bis, commi 1 e 2, del d.l. n. 113 del 2018. Ad
avviso della Regione ricorrente, la norma impugnata lederebbe l'art.
117, quarto comma, Cost., in quanto concerne anche la materia del
commercio, in ordine alla quale le Regioni hanno competenza
residuale, materia «chiaramente coinvolta nel momento in cui vengono
chiamate in causa le organizzazioni rappresentative degli esercenti e
i gestori degli esercizi commerciali»; nonche' violerebbe l'art. 118,
terzo comma, Cost., nella parte in cui - al fine di rafforzare la
tutela della sicurezza pubblica nelle vicinanze di esercizi pubblici,
in un regime di collaborazione e coordinamento tra il prefetto e le
organizzazioni degli esercenti, nel quadro di linee guida
ministeriali - «prevede il solo coinvolgimento della Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali, anziche' quello della Conferenza
unificata, e nella parte in cui non prevede la possibile
partecipazione delle Regioni e degli enti locali interessati agli
accordi locali rivolti al rafforzamento della sicurezza pubblica».
La disposizione stabilisce che «ai fini di una piu' efficace
prevenzione di atti illegali o di situazioni di pericolo per l'ordine
e la sicurezza pubblica all'interno e nelle immediate vicinanze degli
esercizi pubblici [...], con appositi accordi sottoscritti tra il
prefetto e le organizzazioni maggiormente rappresentative degli
esercenti possono essere individuate specifiche misure di
prevenzione, basate sulla cooperazione tra i gestori degli esercizi e
le Forze di polizia, cui i gestori medesimi si assoggettano, con le
modalita' previste dagli stessi accordi». Tali accordi sono adottati
localmente nel rispetto delle linee guida nazionali approvate, su
proposta del Ministro dell'interno, d'intesa con le organizzazioni
maggiormente rappresentative degli esercenti, sentita la Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali.
La ricorrente contesta il mancato coinvolgimento delle Regioni
all'elaborazione di tali linee guida e chiede che sia invece la
Conferenza unificata a dover essere sentita.
3.- In relazione a tutti tali ricorsi, con argomenti in larga
parte coincidenti, e' intervenuto in giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni di legittimita'
costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
In punto di ammissibilita', la difesa dello Stato rileva che le
Regioni, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, sono
legittimate a censurare le leggi dello Stato solo con riferimento a
parametri relativi al riparto delle competenze legislative, mentre
l'invocazione di parametri diversi e' ammissibile esclusivamente
quando la violazione ridondi su competenze regionali che la Regione
abbia espressamente individuato. Nella specie, per contro, le
ricorrenti non hanno sufficientemente specificato i motivi per cui
l'intervento del legislatore statale avrebbe compromesso le
attribuzioni regionali.
Nel merito, in relazione all'art. 21, comma 1, lettera a), del
d.l. n. 113 del 2018, il Presidente del Consiglio dei ministri
osserva che la disposizione, lungi dal costituire un impedimento
all'accesso alle strutture interessate, e' volta, piuttosto, a
contrastare i fenomeni che ne ostacolano la libera fruizione da parte
dei cittadini.
Pertanto, a suo avviso, nessuna violazione del diritto alla
salute puo' essere ravvisata. Tale conclusione risulterebbe
confermata anche dall'art. 10, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017, ai
sensi del quale il questore che dispone il DASPO urbano deve
individuare modalita' «compatibili con le esigenze di mobilita',
salute e lavoro del destinatario dell'atto».
Quanto all'omesso coinvolgimento della Regione nell'elaborazione
delle linee guida di cui all'art. 21-bis, la difesa dello Stato
assume l'insussistenza di motivi giuridici che impongano
l'attivazione di strumenti di cooperazione. In particolare, il
Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la previsione del
coinvolgimento della sola Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali
e non della Conferenza unificata si spiega in ragione del fatto che
le attivita', alle quali si riferisce la disposizione, sono soggette
a licenza ai sensi dell'art. 86 del regio decreto 18 giugno 1931, n.
773 (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) e che le
specifiche misure di prevenzione previste dalla disposizione oggetto
di censura, basate sulla cooperazione tra i gestori degli esercizi e
le forze di polizia, sono destinate a incidere solo su di esse.
4.- Con memorie del 28 maggio 2019, depositate in pari data,
l'Avvocatura generale ha ribadito le sue difese, comuni a tutti i
ricorsi proposti dalle Regioni.
La Regione Calabria, con memoria del 28 maggio 2019, depositata
in pari data, e le Regioni Emilia-Romagna e Toscana, con distinte
memorie del 29 maggio 2019, depositate in pari data, hanno anch'esse
ulteriormente ribadito le loro difese, contestando in particolare
l'eccezione, sollevata dall'Avvocatura, di inammissibilita' delle
censure riferite a parametri non competenziali.
5.- Con ricorso depositato in data 1° febbraio 2019 (r.r. n. 10
del 2019) la Regione Umbria ha promosso questioni di legittimita'
costituzionale, tra gli altri, dell'art. 28, comma 1, del d.l. n. 113
del 2018, in riferimento agli artt. 3, 5, 23, 25, 27, 77, 97, 114,
117, secondo e terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119 e 120,
secondo comma, Cost., nonche' all'art. 117, primo comma, Cost., in
relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la legge 4
agosto 1955, n. 848.
In particolare, l'art. 28, comma 1, del d.l. n. 113 del 2018,
novellando l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
(Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali),
inserendovi il comma 7-bis, sarebbe gravemente lesivo dell'autonomia
degli enti locali.
Ad avviso della Regione la norma in questione detterebbe una
disciplina irragionevole, lesiva del principio di legalita', di buon
andamento e imparzialita' della pubblica amministrazione e sarebbe,
altresi', in violazione del principio autonomistico.
Con la disposizione in esame - si osserva da parte della
ricorrente - si introducono provvedimenti di sostituzione e di
commissariamento «la cui logica e' del tutto incomprensibile».
La Regione ricorrente osserva, altresi', l'estrema latitudine dei
presupposti legittimanti l'esercizio dei poteri sostitutivi e di
commissariamento da parte dei prefetti, evincibile dal generico
riferimento a «condotte illecite», alla semplice «alterazione delle
procedure», al «buon andamento», al «regolare funzionamento dei
servizi». In tal modo la disposizione apre un campo cosi' indefinito,
tale che l'autonomia degli enti locali finisce per essere aperta alle
discrezionali determinazioni dell'esecutivo statale sul territorio
regionale.
Sarebbe compromesso anche il principio di buon andamento (art. 97
Cost.), tra l'altro perche' l'amministrazione degli enti locali puo'
essere soggetta alla misura anche per il semplice fatto dei suoi
dipendenti, la' dove, in simile fattispecie, l'ordinamento prevede
una pluralita' di ben piu' efficienti rimedi e meno invasivi
strumenti, quali l'azione disciplinare nei confronti dei dipendenti
degli enti interessati.
Compromessa sarebbe anche l'autonomia degli enti locali, di cui
agli artt. 5 e 114 Cost., venendo questa rimessa all'ampia
discrezionalita' di un organo dello Stato, qual e' il prefetto.
La nuova disciplina violerebbe, altresi', gli artt. 117, secondo
e terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119 e 120, secondo comma,
Cost.
In primo luogo, gli enti territoriali risultano sostanzialmente
espropriati delle loro funzioni e la Regione si vede incisa la
propria competenza in materia di attribuzione di funzioni agli enti
locali, desumibile dal secondo e terzo comma dell'art. 117 Cost.
Verrebbe, altresi', impedito il funzionamento del principio di
sussidiarieta' verticale di cui all'art. 118, primo comma, e all'art.
120, secondo comma, Cost., attraendo le funzioni degli enti locali
verso l'alto, oltretutto in sede di decisione prefettizia senza
coinvolgimento della responsabilita' politica del Governo.
Sarebbe violato anche l'art. 118, secondo comma, Cost., in quanto
il commissariamento e la sostituzione sono forme di interferenza con
l'esercizio delle funzioni amministrative proprie riconosciute al
Comune, alle Province e alle Citta' metropolitane.
Conseguentemente, sarebbe violato anche l'art. 120, secondo
comma, Cost., in quanto la sostituzione e il commissariamento non
sarebbero disposti dal Governo, ma dal prefetto, con completo
disinteresse per il principio di sussidiarieta' e leale
collaborazione, dal momento che «l'ente locale puo' sfuggire al
commissariamento solo se resta prono a quanto il prefetto impone
(addirittura stabilendo gli atti da adottare e il termine per la loro
adozione) rinunciando completamente alla propria autonomia».
Altresi', risulterebbe violato l'art. 119 Cost., in quanto gli
enti locali sarebbero costretti a sostenere le spese di qualsivoglia
attivita' ritenuta opportuna dal prefetto nell'individuare «i
prioritari interventi di risanamento».
Da ultimo, la norma censurata configura una forma di vera e
propria responsabilita' oggettiva, che il nostro ordinamento rifiuta,
salvi casi eccezionali. Ad avviso della difesa regionale si e' di
fronte a una misura di tipo sanzionatorio che, per la sua gravita' in
applicazione dei criteri "Engel", dovrebbe ricevere un trattamento
analogo a quello delle sanzioni penali. Di qui, la lesione anche
degli artt. 25 e 27 Cost., nonche', per il tramite dell'art. 117,
primo comma, Cost., degli artt. 6 e 7 CEDU.
Infine, in via sostanzialmente subordinata, la Regione deduce
anche la violazione dell'art. 77 Cost., in quanto il decreto-legge
sarebbe stato adottato, quanto alla disposizione censurata, in
carenza dei presupposti di cui al parametro costituzionale.
6.- Anche in relazione a tale ricorso e' intervenuto in giudizio
il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale, chiedendo che le questioni di legittimita'
costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
La difesa della Stato ritiene che il ricorso sia inammissibile
per la mancanza di un'adeguata motivazione in merito all'asserita
lesione delle sfere di competenza legislativa regionale e al riguardo
richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui e' possibile
invocare parametri costituzionali diversi da quelli relativi al
riparto delle competenze legislative soltanto quando la violazione di
questi comporti una compromissione delle attribuzioni regionali
costituzionalmente garantite.
Nel merito, la difesa dello Stato osserva che quello previsto
dalla disposizione censurata e' un potere straordinario riconosciuto
al prefetto, rappresentante dello Stato sul territorio, nel caso in
cui, all'esito dell'attivita' di accesso, pur non rinvenendosi
elementi concreti, univoci e rilevanti per disporre lo scioglimento
degli organi degli enti locali, tuttavia siano state riscontrate in
relazione a uno o piu' settori amministrativi, anomalie e illiceita'
tali da determinare uno sviamento dell'attivita' dell'ente, nonche'
un'alterazione delle procedure atte a compromettere il buon andamento
e l'imparzialita' dell'amministrazione e il regolare funzionamento
dei servizi a essa affidati.
Pone in rilievo che l'art. 120, secondo comma, Cost., attribuisce
al Governo il potere di sostituirsi a organi delle Regioni, delle
Citta' metropolitane, delle Province e dei Comuni, nei casi ivi
indicati, e anche la censurata disposizione, di cui all'art. 28 del
decreto-legge citato, e' posta a presidio di fondamentali esigenze di
eguaglianza, sicurezza e legalita'.
Il potere sostitutivo e' attribuito al prefetto, cui e'
riconosciuto tradizionalmente un potere di vigilanza sull'andamento
delle pubbliche amministrazioni sul territorio. E' il prefetto che
avvia un'interlocuzione con l'amministrazione locale interessata,
un'attivita' di mediazione che prevede anche ogni utile supporto
tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici, con
l'individuazione degli interventi prioritari da assumere per il
risanamento dell'ente, fissando un termine per l'adozione degli
stessi. Solo se il termine e' disatteso, si configura l'ipotesi di
nomina del commissario ad acta prevista, dunque, come extrema ratio.
Di talche', non sarebbe violata in alcun modo l'autonomia dell'ente.
La difesa dello Stato osserva, poi, che la disposizione censurata
non fa altro che introdurre un'ulteriore ipotesi di intervento in
materia di controlli sugli organi, gia' disciplinata dal t.u. enti
locali, agli artt. 141 e 142, i quali riguardano situazioni
eccezionali derivanti da accertate gravi anomalie idonee a
compromettere il regolare funzionamento e l'imparzialita' delle
amministrazioni locali coinvolte.
L'Avvocatura evidenzia che la disposizione censurata non
contempla un intervento sugli amministratori e sull'ente locale, ma
un intervento dell'autorita' statale, rientrante nell'ambito delle
sue competenze, qualora emergano situazioni sintomatiche di condotte
gravi e reiterate e di mala gestio - condotte di cui possono essere
responsabili sia gli organi di governo sia l'apparato burocratico - e
si pone come clausola di chiusura dell'ordinamento. L'intervento
surrogatorio del prefetto si giustifica in presenza di situazioni
indicative di illiceita' o di mala gestio.
7.- Con memoria depositata il 28 maggio 2019 la difesa dello
Stato ha ulteriormente ribadito le proprie difese e conclusioni.
8.- Con memoria del 29 maggio 2019 anche la Regione Umbria ha
ribadito le argomentazioni a sostegno delle censure svolte in
ricorso.
Considerato in diritto
1.- Le Regioni Emilia-Romagna (r.r. n. 11 del 2019), Toscana
(r.r. n. 17 del 2019) e Calabria (r.r. n. 18 del 2019) hanno, tra le
altre, promosso, in riferimento agli artt. 3, 32 e 117, terzo comma,
della Costituzione e al principio di leale collaborazione, questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1, lettera a), del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia
di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica,
nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e
l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalita' organizzata), convertito, con modificazioni, nella
legge 1° dicembre 2018, n. 132; disposizione questa che - modificando
l'art. 9, comma 3, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14
(Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle citta'),
convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48 - ha
inserito, dopo le parole «su cui insistono», le parole «presidi
sanitari,».
Assumono le ricorrenti che l'ampliamento dell'elenco dei luoghi
in relazione ai quali, al fine di tutelarne il decoro e la sicurezza
pubblica, puo' trovare applicazione il divieto di accesso in
specifiche aree urbane (il cosiddetto DASPO urbano) consente che, a
fronte di una delle condotte previste a presupposto della misura
(stato di ubriachezza, compimento di atti contrari alla pubblica
decenza, esercizio di commercio abusivo e attivita' di parcheggiatore
abusivo), la persona bisognosa di cure mediche possa essere colpita
dal provvedimento di allontanamento proprio da quelle aree urbane su
cui insistono «presidi sanitari» con conseguente lesione del suo
diritto alla salute.
La sola Regione Emilia-Romagna, con lo stesso ricorso, ha
promosso anche questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
21-bis, commi 1 e 2, del d.l. n. 113 del 2018 in riferimento all'art.
117, quarto comma, Cost., per quanto concerne, come competenza
legislativa residuale, la materia del commercio, «chiaramente
coinvolta nel momento in cui vengono chiamate in causa le
organizzazioni rappresentative degli esercenti e i gestori degli
esercizi commerciali», nonche' in relazione all'art. 118, terzo
comma, Cost., nella parte in cui - al fine di rafforzare la tutela
della sicurezza pubblica nelle vicinanze di esercizi pubblici, in un
regime di collaborazione e coordinamento tra l'autorita' di pubblica
sicurezza e le organizzazioni degli esercenti, nel quadro di linee
guida ministeriali - prevede il solo coinvolgimento della Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali, anziche' quello della Conferenza
unificata Stato-Regioni e autonomie locali.
Con ricorso depositato in data 1° febbraio 2019 (r.r. n. 10 del
2019) la Regione Umbria ha, tra le altre, promosso in riferimento
agli artt. 3, 5, 23, 25, 27, 77, 97, 114, 117, secondo e terzo comma,
118, secondo e terzo comma, 119 e 120, secondo comma, Cost., nonche'
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 della
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950,
ratificata e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma 1, del
d.l. n. 113 del 2018, disposizione questa che ha inserito il comma
7-bis nell'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267
(Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), che
prevede lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali
conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo
mafioso o similare.
La Regione lamenta, in particolare, che l'ampiezza del potere
prefettizio sostitutivo, previsto dalla disposizione censurata, in
caso emergano «situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e
reiterate tali da determinare un'alterazione delle procedure e da
compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle
amministrazioni comunali e provinciali nonche' il regolare
funzionamento dei servizi ad esse affidati», comporti, sotto plurimi
profili, la lesione dell'autonomia costituzionalmente garantita degli
enti locali territoriali.
2.- I giudizi aventi a oggetto le suddette disposizioni -
riconducibili a una matrice unitaria, in quanto tutte contenute nel
Titolo II del d.l. n. 113 del 2018, concernente la materia di
sicurezza pubblica, prevenzione e contrasto al terrorismo e alla
criminalita' mafiosa - possono essere riuniti e trattati
congiuntamente, restando riservata a separate pronunce la decisione
delle questioni relative alle altre disposizioni impugnate con i
medesimi ricorsi.
3.- Va esaminata innanzi tutto la questione di legittimita'
costituzionale avente a oggetto l'art. 21, comma 1, lettera a), del
menzionato decreto-legge.
La disposizione ha inserito il riferimento ai «presidi sanitari»
nel comma 3 dell'art. 9 del richiamato d.l. n. 14 del 2017, in
materia di sicurezza delle citta'.
Il legislatore del 2017, nel contesto di un articolato intervento
diretto a rafforzare la sicurezza nelle citta', ha introdotto una
speciale misura, mirata a tutelare anche il decoro di particolari
luoghi (il cosiddetto DASPO urbano), conformandola al modello del
divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive
(DASPO), regolato dall'art. 6 della legge 13 dicembre 1989, n. 401
(Interventi nel settore del giuoco e delle scommesse clandestini e
tutela della correttezza nello svolgimento di manifestazioni
sportive); disposizione richiamata, in particolare, quanto al regime
di convalida giudiziaria dei provvedimenti interdittivi e della
ricorribilita' per cassazione.
L'art. 9 del d.l. n. 14 del 2017 prende in considerazione,
sanzionandola, la condotta di chi - commettendo la violazione,
alternativamente, degli artt. 688 (Ubriachezza) e 726 del codice
penale (Atti contrari alla pubblica decenza e turpiloquio), nonche'
dell'art. 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma
della disciplina relativa al settore del commercio), quanto
all'abusivo esercizio del commercio su aree pubbliche, e dell'art. 7,
comma 15-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice della strada), quanto all'esercizio senza autorizzazione
dell'attivita' di parcheggiatore o guardiamacchine - impedisce
l'accessibilita' e la fruizione delle infrastrutture ferroviarie,
aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale. Oltre alla
sanzione amministrativa pecuniaria, l'organo accertatore puo'
ordinare l'allontanamento dalle aree interne di tali infrastrutture
(art. 9, comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, nelle forme previste dal
successivo art. 10, comma 1) e in caso di reiterazione della
condotta, cosi' sanzionata, il questore puo' adottare il maggiormente
incisivo provvedimento di divieto di accesso a una o piu' delle aree
suddette (art. 10, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017).
Il comma 3 del richiamato art. 9 consente ai regolamenti di
polizia urbana di individuare aree ulteriori, la cui accessibilita' e
fruizione possano essere parimenti presidiate dalla misura suddetta,
articolata nella sanzione amministrativa e nell'ordine di
allontanamento, nonche', in progressione, nel provvedimento recante
il divieto di accesso. La disposizione indica la tipologia di queste
aree suscettibili dell'estensione della possibilita' di applicazione
della misura: scuole, plessi scolastici e siti universitari, musei,
aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e
luoghi della cultura o comunque interessati da consistenti flussi
turistici, ovvero adibite a verde pubblico.
L'art. 21, comma 1, lettera a), del d.l. n. 113 del 2018 ha
esteso questo elenco, aggiungendo i «presidi sanitari» e le «aree
destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli».
Le Regioni ricorrenti censurano tale disposizione limitatamente
alla parte in cui nell'elenco suddetto e' stata aggiunta la
previsione dei presidi sanitari, che ora i regolamenti di polizia
urbana possono includere tra le aree protette dalla misura in
questione (il cosiddetto DASPO urbano).
I parametri che le Regioni ricorrenti assumono violati sono, da
una parte, l'art. 32 Cost., congiuntamente all'art. 3 Cost., perche'
l'estensione della misura viola il diritto alla salute della persona
che sia bisognosa di cure mediche, precludendole o comunque
ostacolando la necessaria assistenza sanitaria, cosi' assoggettandola
a una misura sproporzionata e irragionevole; dall'altra parte, l'art.
117, terzo comma, Cost., e il principio di leale collaborazione,
perche' sarebbe lesa la competenza concorrente del legislatore
regionale in materia di tutela della salute, senza peraltro la
previsione di alcuna forma di leale collaborazione dello Stato con la
Regione.
4.- Va innanzi tutto riconosciuta l'ammissibilita' delle censure
anche con riferimento ai parametri estranei al riparto di competenze
legislative.
Le Regioni ricorrenti evocano anche parametri non compresi nel
Titolo V della Parte seconda della Costituzione - l'art. 32 Cost.
(tutte le Regioni) nonche', in connessione con quest'ultimo, l'art. 3
Cost. (la sola Regione Emilia-Romagna) - e, asserendo la ridondanza
dei vizi denunciati sulle attribuzioni regionali, lamentano
l'irragionevole impedimento dell'accesso ai presidi sanitari per le
persone - quali quelle previste dalla disposizione censurata - che si
trovino ad essere bisognevoli di cure, con conseguente compromissione
del loro diritto alla salute.
Come questa Corte ha da ultimo ribadito nella coeva sentenza n.
194 del 2019, «le Regioni possono evocare parametri di legittimita'
costituzionale diversi da quelli che sovrintendono al riparto di
competenze tra Stato e Regioni solo a due condizioni: quando la
violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi sulle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite [...] e quando le
Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in ordine alla
ridondanza della lamentata illegittimita' costituzionale sul riparto
delle competenze, indicando la specifica competenza che risulterebbe
offesa e argomentando adeguatamente in proposito». In particolare,
con riferimento allo stesso d.l. n. 113 del 2018, questa Corte ha
precisato che «la ridondanza del vizio sulle competenze regionali e
locali deve essere argomentata in relazione allo specifico contenuto
normativo del decreto e alla idoneita' dello stesso ad obbligare la
Regione a esercitare le proprie attribuzioni in conformita' ad una
disciplina legislativa statale in contrasto con norme
costituzionali».
Nella specie, la disposizione censurata riguarda l'accesso e la
permanenza di determinate categorie di persone nei presidi sanitari,
la cui organizzazione rientra nella competenza concorrente del
legislatore regionale in materia di «tutela della salute» (art. 117,
terzo comma, Cost.), e quindi essa, prevedendo la possibilita'
dell'ordine di allontanamento e del divieto di accesso di persone
individuate in ragione di determinate condotte da esse tenute,
avrebbe un'incidenza su tale competenza in quanto asseritamente
imporrebbe di escludere le stesse dalle prestazioni sanitarie erogate
in tali presidi.
Le Regioni ricorrenti hanno, inoltre, adeguatamente motivato in
ordine alla conseguente compressione degli spazi della loro autonomia
costituzionalmente garantita nella misura in cui sarebbe loro
imposto, per effetto della disposizione censurata, un criterio
selettivo di accesso alle prestazioni sanitarie, la cui
regolamentazione rientra nella loro competenza legislativa
concorrente.
Cio' assicura la ridondanza della dedotta lesione di parametri
(artt. 3 e 32 Cost.) che, pur non attenendo direttamente alla
competenza legislativa regionale, riguardano la tutela della salute e
quindi sono ammissibili le relative censure.
5.- Nel merito, le questioni non sono fondate in riferimento ai
parametri evocati, essendo possibile un'interpretazione adeguatrice,
costituzionalmente orientata, della disposizione impugnata; la quale,
comunque, perseguendo la finalita' di evitare turbative dell'ordine
pubblico nelle aree alle quali il regolamento di polizia urbana puo'
estendere l'applicabilita' del DASPO urbano, concerne la materia
«ordine pubblico e sicurezza» e appartiene quindi alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, primo comma, lettera h,
Cost.).
Il perseguimento degli interessi costituzionali alla sicurezza,
all'ordine pubblico e alla pacifica convivenza, infatti, e' affidato
dalla Costituzione in via esclusiva allo Stato, mentre le Regioni
possono cooperare a tal fine solo mediante misure ricomprese nelle
proprie attribuzioni (ex plurimis, sentenze n. 63 del 2016 e n. 35
del 2012).
Nella fattispecie in esame l'art. 10, comma 2, del d.l. n. 14 del
2017 prevede espressamente che le modalita' applicative del divieto
di accesso alle aree protette devono essere compatibili con le
esigenze di salute del destinatario dell'atto. Una lettura di tale
disposizione orientata alla conformita' ai parametri evocati (artt. 3
e 32 Cost.), comporta che tale destinatario puo' comunque fruire dei
servizi sanitari per ragioni di cura, senza che gli sia precluso
l'accesso, anche ove egli sia stato destinatario del provvedimento
del questore, che per il resto gli abbia fatto divieto di accedere a
tale area per ogni altra ragione.
La stessa interpretazione puo' adottarsi, pur in mancanza di un
riferimento testuale, stante la medesima ratio sottesa all'una e
all'altra misura, per delimitare l'ambito applicativo dell'ordine di
allontanamento dal presidio sanitario negli stessi termini previsti
per il divieto di accesso.
In ogni caso, quindi, la persona che ricorre al presidio
sanitario, perche' le siano erogate cure mediche (o prestazioni
terapeutiche o di analisi e diagnostica), non puo' essere
allontanata, ne' le puo' essere precluso l'accesso alla struttura,
essendo il diritto alla salute prevalente sull'esigenza di decoro
dell'area e di contrasto, per ragioni di sicurezza pubblica, delle
condotte - tutte sanzionate solo in via amministrativa - elencate nel
comma 2 dell'art. 9 del d.l. n. 14 del 2017.
La necessita' di accedere alle prestazioni sanitarie, verificata
dal personale del presidio, non esclude, pero', la sanzionabilita',
in via amministrativa, delle eventuali condotte che la persona, pur
bisognosa di cure mediche, abbia posto in essere in violazione delle
disposizioni richiamate dal comma 2 dell'art. 9.
Cosi' interpretata la disposizione censurata, non vi e' alcun
ostacolo alla fruizione delle prestazioni sanitarie da parte di chi
ne ha bisogno, il cui diritto alla salute rimane pienamente tutelato,
e non vi e', in concreto, alcuna incidenza sull'organizzazione dei
presidi sanitari, sicche' non e' violata la competenza regionale
concorrente in materia di tutela della salute, ne' il principio di
leale collaborazione.
6.- Va, poi, esaminata la questione di legittimita'
costituzionale avente ad oggetto l'art. 21-bis, commi 1 e 2, del
menzionato d.l. n. 113 del 2018, promossa dalla sola Regione
Emilia-Romagna, la quale, pur non contestando la sua riferibilita'
alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e
sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.), deduce la sua
incidenza sulla competenza residuale regionale in materia di
commercio, che richiederebbe un coinvolgimento delle Regioni nella
predisposizione delle linee guida per l'applicazione della norma in
conformita' del principio di leale collaborazione.
In realta' la censura investe il comma 2 dell'art. 21-bis del
citato d.l. n. 113 del 2018 che prevede che sia sentita la Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali e non invece la Conferenza
unificata, come dovrebbe essere secondo la Regione ricorrente.
7.- La questione e' fondata.
L'art. 21-bis, comma 1, del medesimo d.l. prevede che «[a]i fini
di una piu' efficace prevenzione di atti illegali o di situazioni di
pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica all'interno e nelle
immediate vicinanze degli esercizi pubblici, individuati a norma
dell'articolo 86 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza,
di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, con appositi accordi
sottoscritti tra il prefetto e le organizzazioni maggiormente
rappresentative degli esercenti possono essere individuate specifiche
misure di prevenzione, basate sulla cooperazione tra i gestori degli
esercizi e le Forze di polizia, cui i gestori medesimi si
assoggettano, con le modalita' previste dagli stessi accordi».
Si tratta di una norma ascrivibile alla materia dell'ordine
pubblico e sicurezza, di competenza esclusiva statale (art. 117,
primo comma, lettera h, Cost.); cio' di cui non dubita la Regione
ricorrente. E' in essa previsto non gia' un potere autoritativo del
prefetto, ma un modulo convenzionale di regolazione pattizia di
specifiche misure di prevenzione, non ignoto all'ordinamento
giuridico che gia' conosce i «patti per l'attuazione della sicurezza
urbana» di cui all'art. 5 del d.l. n. 14 del 2017.
Mentre per questi ultimi, che intervengono tra prefetto e
sindaco, le associazioni di categoria comparativamente piu'
rappresentative, interessate alla misura, possono solo presentare
indicazioni o osservazioni, invece gli accordi contemplati dalla
disposizione impugnata sono sottoscritti direttamente dalle
organizzazioni maggiormente rappresentative degli esercenti e dal
prefetto.
A questi accordi possono aderire individualmente i gestori degli
esercizi pubblici, autorizzati con licenza ai sensi dell'art. 86 del
regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza), assoggettandosi cosi' volontariamente al «loro
puntuale e integrale rispetto» e quindi adottando le specifiche
misure di prevenzione in essi convenute. Tale comportamento
collaborativo e' valutato - in chiave sostanzialmente di esimente o
di circostanza attenuante - ai fini dell'adozione dei provvedimenti
di sospensione o di revoca della licenza ove si verifichino eventi
rilevanti ai sensi dell'art. 100 TULPS, quali tumulti o gravi
disordini.
Gli accordi suddetti - prevede il comma 2 del citato art. 21-bis
- sono adottati localmente nel rispetto delle linee guida nazionali
approvate, su proposta del Ministro dell'interno, d'intesa con le
organizzazioni maggiormente rappresentative degli esercenti, sentita
la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali.
Pur essendo l'oggetto di tali linee guida ascrivibile alla
materia dell'ordine pubblico e sicurezza, di competenza esclusiva
statale, vi e' comunque una possibile ricaduta sulla disciplina del
commercio, appartenente, come materia, alla competenza legislativa
residuale della Regione (art. 117, quarto comma, Cost.), come gia'
riconosciuto da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 98 del 2017);
disciplina alla quale e' connessa anche la regolamentazione
dell'attivita' svolta negli esercizi pubblici suddetti. Cio' richiede
un coinvolgimento delle Regioni, tanto piu' necessario se si
considera che l'art. 118, terzo comma, Cost., prescrive che la legge
statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni proprio
nella materia dell'«ordine pubblico e sicurezza», di cui alla lettera
h) del secondo comma dell'art. 117 Cost.
La mancanza di alcun coinvolgimento della Regione nella
formazione di tali linee guida costituisce quindi - come lamenta la
ricorrente - lesione dei parametri evocati e comporta, in questa
parte, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 21-bis, comma 2, del
d. l. n. 113 del 2018.
La reductio ad legitimitatem della norma puo' avvenire - come
richiesto dalla Regione ricorrente - sostituendo, nel comma 2 del
citato art. 21-bis, il riferimento alla Conferenza Stato-citta' e
autonomie locali con quello alla Conferenza unificata Stato-regioni,
citta' e autonomie locali (art. 8 del decreto legislativo 28 agosto
1997, n. 281, recante «Definizione ed ampliamento delle attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le
materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle
province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie
locali»), che, vedendo la partecipazione delle Regioni, soddisfa
l'esigenza di coinvolgimento delle stesse, in conformita' al
principio di leale collaborazione.
7.1.- Va pertanto dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 21-bis, comma 2, del d.l. n. 113 del 2018, convertito, con
modificazioni, nella legge n. 132 del 2018, nella parte in cui
prevede «sentita la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali»
anziche' «sentita la Conferenza unificata Stato-Regioni, citta' e
autonomie locali».
8.- Vanno, infine, esaminate le questioni di legittimita'
costituzionale aventi ad oggetto l'art. 28, comma 1, del d.l. n. 113
del 2018, promosse dalla sola Regione Umbria.
Tale disposizione ha inserito - nell'art. 143 del t.u. enti
locali, che regola lo scioglimento dei consigli comunali e
provinciali conseguente a fenomeni di infiltrazione e di
condizionamento di tipo mafioso - un nuovo comma (7-bis), oggetto
delle plurime censure della ricorrente; comma la cui formulazione e'
la seguente: «Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione
del prefetto emergano, riguardo ad uno o piu' settori amministrativi,
situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali
da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il
buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o
provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse
affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze dell'accesso, al
fine di far cessare le situazioni riscontrate e di ricondurre alla
normalita' l'attivita' amministrativa dell'ente, individua, fatti
salvi i profili di rilevanza penale, i prioritari interventi di
risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione di un
termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni utile supporto
tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente
il termine fissato, il prefetto assegna all'ente un ulteriore
termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto il
quale si sostituisce, mediante commissario ad acta,
all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli enti locali
provvedono con le risorse disponibili a legislazione vigente sui
propri bilanci».
9.- Giova premettere il contesto normativo di riferimento.
Nell'ambito dei controlli sugli organi disciplinati dal Capo II
del Titolo VI del citato decreto legislativo, dove e' regolata la
fattispecie generale dello scioglimento e sospensione dei consigli
comunali e provinciali (art. 141), oltre quella della rimozione o
sospensione dei loro amministratori (art. 142), il successivo art.
143, in cui e' inserita la disposizione censurata, prevede un'ipotesi
piu' specifica, centrata sui fenomeni di infiltrazione e di
condizionamento di tipo mafioso nella vita e nell'azione
amministrativa di Comuni e Province, e ne regola il procedimento. Si
tratta di una «misura governativa straordinaria di carattere
sanzionatorio» che e' «funzionale all'esigenza di contrasto della
criminalita' organizzata mafiosa o similare» (sentenza n. 182 del
2014).
L'iniziativa parte dal prefetto competente per territorio, che
promuove l'accesso presso l'ente interessato e contestualmente nomina
una commissione d'indagine, disponendo comunque ogni opportuno
accertamento e acquisendo anche informazioni dal procuratore della
Repubblica competente, il quale le comunica in deroga all'obbligo di
segreto di cui all'art. 329 del codice di procedura penale, sempre
che a cio' non siano di impedimento particolari esigenze di
segretezza del procedimento penale.
Raccolti e valutati tutti gli elementi utili, a partire dalle
conclusioni della commissione d'indagine, il prefetto, sentito il
comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, stila una
relazione finale inviandola al Ministro dell'interno. Il quale, sulla
base di tale relazione, puo' ritenere che emergano «concreti, univoci
e rilevanti» elementi indicativi del collegamento, diretto o
indiretto, con la criminalita' organizzata di tipo mafioso. In tal
caso, puo' proporre lo scioglimento del consiglio comunale o
provinciale interessato all'indagine, se i collegamenti con la
criminalita' emergono a carico di un amministratore locale (art. 77
t.u. enti locali); scioglimento che e' deliberato dal Consiglio dei
ministri e disposto con decreto del Presidente della Repubblica (art.
143, comma 4).
Se, invece, sono coinvolti, non gia' gli amministratori locali,
bensi' il segretario (comunale o provinciale), il direttore generale,
i dirigenti o dipendenti a qualunque titolo dell'ente locale, il
Ministro dell'interno, su proposta del prefetto, adotta ogni
provvedimento utile a far cessare il pregiudizio in atto e ricondurre
alla normalita' la vita amministrativa dell'ente, ivi inclusi
provvedimenti, in senso lato cautelari, riguardanti i dipendenti
suddetti (quali la sospensione dall'impiego o la destinazione ad
altro ufficio o altra mansione) con obbligo di avvio del procedimento
disciplinare da parte dell'ente (art. 143, comma 5).
Laddove, al contrario, non emergano «concreti, univoci e
rilevanti» elementi indicativi del collegamento con la criminalita'
organizzata di tipo mafioso, il Ministro dell'interno emana un
decreto di conclusione del procedimento, in cui da' conto degli esiti
dell'attivita' di accertamento (art. 143, comma 7).
In tale evenienza - ossia quando dalla relazione del prefetto non
risulta il presupposto per l'attivazione del potere governativo di
scioglimento dei consigli comunali e provinciali, sia perche' emerge
che non vi sono in realta' gli ipotizzati collegamenti con la
criminalita' organizzata, sia perche', pur sussistendone elementi
indiziari, questi non raggiungono quella soglia di affidabilita'
probatoria tale da qualificarli «concreti, univoci e rilevanti» - il
procedimento si conclude con una sorta di provvedimento di non luogo
a procedere oltre, senza pertanto attivare la fase deliberativa
finale mirata allo scioglimento del consiglio comunale o provinciale,
interessato dall'iniziativa prefettizia: e' adottato dal Ministro
dell'interno un decreto motivato di conclusione (e quindi chiusura)
del procedimento.
10.- E' qui che si inserisce la disposizione impugnata.
All'esito del procedimento previsto dai primi sette commi
dell'art. 143, di cui si e' detto sopra, si innesta in sequenza,
senza soluzione di continuita', la nuova misura introdotta (comma
7-bis). L'esito negativo di tale procedimento costituisce il primo
presupposto di avvio di un distinto, ma collegato, subprocedimento
mirato all'attivazione di poteri sostitutivi del prefetto sugli atti
dell'ente locale. L'esordio del comma 7-bis rende manifesto tale
collegamento sequenziale prevedendo che questo subprocedimento puo'
essere attivato «[n]ell'ipotesi di cui al comma 7», ossia
nell'ipotesi di insussistenza del presupposto per lo scioglimento del
consiglio comunale o provinciale (comma 1) ovvero per l'adozione di
provvedimenti, correttivi dell'azione dell'ente e sanzionatori, in
senso lato, dei dipendenti coinvolti nell'infiltrazione di tipo
mafioso (comma 5).
La finalita' del legislatore traspare proprio da questa singolare
collocazione della disposizione censurata come appendice del
procedimento regolato dai primi sette commi dell'art. 143 t.u. enti
locali.
Puo' accadere, in effetti, che il collegamento di amministratori
(o dipendenti) di enti locali con la criminalita' di tipo mafioso,
che altera l'attivita' e la gestione dell'ente locale,
pregiudicandola, si presenti senza raggiungere proprio l'evidenza di
«concreti, univoci e rilevanti elementi», ma abbia comunque
comportato una riscontrata mala gestio dell'ente.
Puo' ricordarsi che la formulazione originaria della norma che ha
preceduto l'art. 143 - ossia l'art. 15-bis della legge 19 marzo 1990,
n. 55 (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di
tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di
pericolosita' sociale) - prevedeva la possibilita' di scioglimento di
consigli comunali e provinciali, sempre in ragione di collegamenti
diretti o indiretti degli amministratori con la criminalita'
organizzata, ma sulla base solo dell'emersione di «elementi» non
meglio qualificati. Questa Corte (sentenza n. 103 del 1993) ha
ritenuto non fondate le questioni di legittimita' costituzionale
sollevate in riferimento a plurimi parametri, indicando, in sostanza,
un'interpretazione adeguatrice della norma, nel senso che questa
«rend[e] possibile lo straordinario potere di scioglimento solo in
presenza di situazioni di fatto evidenti e quindi necessariamente
suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi
di collusioni anche indirette degli organi elettivi con la
criminalita' organizzata».
Successivamente il legislatore, nel riformulare la disposizione,
attualmente recata dall'art. 143 t.u. enti locali, tenendo conto
della pronuncia di questa Corte, ha prescritto che gli elementi
indicativi dei collegamenti con la criminalita' organizzata di tipo
mafioso siano «concreti, univoci e rilevanti».
Tale rigoroso presupposto e' richiesto proprio perche' risulta
essere particolarmente incisivo e drastico l'esercizio del potere
governativo di scioglimento del consiglio comunale o provinciale,
espressione della volonta' popolare, presidiata da garanzia
costituzionale.
Ma, tra la misura estrema dello scioglimento del consiglio
comunale o provinciale (del comma 1 dell'art. 143) e la dismissione
dell'iniziativa di controllo mediante il decreto di conclusione del
procedimento (del successivo comma 7), non era previsto, a valle di
quest'ultimo, uno sbocco intermedio, meno invasivo, con la previsione
di una misura non incidente sugli organi, ma riguardante solo
l'attivita' dell'ente volta a promuovere, intanto, la correzione
della eventuale mala gestio di quest'ultimo, in ipotesi causata da
possibili infiltrazioni della criminalita' organizzata.
Invero vi era - e vi e' - in generale, l'art. 135 t.u. enti
locali che, in caso di tentativi di infiltrazioni di tipo mafioso
nelle attivita' dell'ente locale, prevede gia' un potere del
prefetto, che pero' e' solo di iniziativa, perche' puo' richiedere ai
competenti organi statali e regionali gli interventi di controllo e
sostitutivi previsti dalla legge; interventi in ipotesi gia' attivati
proprio con il procedimento di cui al suddetto art. 143, ma sfociati
nel decreto di conclusione del procedimento di cui al comma 7 della
medesima disposizione.
Il legislatore, allora, si e' fatto carico di questa ritenuta non
piena adeguatezza degli strumenti di contrasto della criminalita'
organizzata di tipo mafioso e ha introdotto la disposizione censurata
nel tentativo di costruire uno strumento correttivo meno invasivo
dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali, nonche' piu'
duttile degli ordinari interventi sostitutivi.
Ma cio' ha fatto disegnando un potere prefettizio sostitutivo
extra ordinem, ampiamente discrezionale, sulla base di presupposti
generici e assai poco definiti, e per di piu' non mirati
specificamente al contrasto della criminalita' organizzata; ossia
complessivamente in termini tali da non essere compatibili con
l'autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali
territoriali.
11.- Tutto cio' premesso, va preliminarmente ritenuta
l'ammissibilita' delle censure che riguardano la dedotta violazione
dell'autonomia costituzionalmente garantita degli enti locali
territoriali.
In generale, le Regioni sono legittimate a denunciare la legge
statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali,
indipendentemente dalla prospettazione della violazione della
competenza legislativa regionale (sentenze n. 220 del 2013, n. 311
del 2012 e n. 298 del 2009). Questa Corte, infatti, ha piu' volte
affermato che tale legittimazione sussiste in capo alle Regioni, in
quanto «la stretta connessione [...] tra le attribuzioni regionali e
quelle delle autonomie locali consente di ritenere che la lesione
delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una
vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n. 169 e n. 95 del
2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).
Va pertanto ulteriormente ribadita la possibilita', per la
Regione, di impugnare la legge statale per dedotta violazione di
attribuzioni costituzionalmente garantite degli enti locali
territoriali (sentenze n. 261 del 2017 e n. 29 del 2016).
Parimenti ammissibile - in disparte gli altri parametri non
appartenenti al titolo V della seconda parte della Costituzione che,
come si dira', risulteranno assorbiti - e' la censura di violazione
dell'art. 97, secondo comma, Cost. sotto il profilo del buon
andamento della pubblica amministrazione, che include anche il
principio di legalita' dell'azione amministrativa (sentenza n. 115
del 2011), stante l'evidente incidenza sull'autonomia
costituzionalmente garantita degli enti locali territoriali. La
disposizione censurata infatti, prevedendo che il prefetto indica gli
«atti da assumere» quali «prioritari interventi di risanamento»,
afferisce proprio alla regolamentazione dell'azione amministrativa
dell'ente.
12.- Nel merito, le questioni sono fondate.
13.- Va considerato innanzi tutto che la disposizione censurata
affianca, al presupposto negativo della mancanza di «concreti,
univoci e rilevanti» elementi su collegamenti diretti o indiretti con
la criminalita' organizzata di tipo mafioso, un presupposto positivo:
il riscontro di «situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e
reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da
compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle
amministrazioni comunali o provinciali, nonche' il regolare
funzionamento dei servizi ad esse affidati».
Entrambi questi presupposti devono sussistere, senza pero' che il
dato testuale della disposizione evidenzi, in realta', alcuna
connessione logica o causale tra loro, che non sia la loro mera
sequenzialita' temporale.
Situazioni analoghe, se emerse in un contesto diverso, quale in
ipotesi quello del controllo sugli atti dell'ente locale, secondo le
disposizioni previste dal Capo I del Titolo VI del t.u. enti locali,
sarebbero fuori dall'ambito applicativo della disposizione censurata
e non consentirebbero l'esercizio del potere sostitutivo prefettizio
in esame. Cio' appare inspiegabile, tanto piu' che e' prevista, in
termini generali, la fattispecie di «gravi e persistenti violazioni
di legge», anche al di fuori dell'ipotesi di collegamenti con la
criminalita' organizzata di tipo mafioso, che gia' rende attivabile
una misura di contrasto, quale l'ordinario procedimento di
scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali di cui
all'art. 141 t.u. enti locali, con specifiche garanzie.
A cio' si aggiunge l'assoluta genericita' della definizione di
tale presupposto positivo del potere sostitutivo introdotto dalla
disposizione censurata.
Essendo gia' previsto dal t.u. enti locali - oltre al potere
sostitutivo del Governo in determinate circostanze (art. 137) - anche
un generale potere di annullamento straordinario con cui il Governo
si sostituisce agli organi degli enti locali in caso di «atti [...]
viziati di illegittimita'» (art. 138), le «condotte illecite gravi e
reiterate», di cui al censurato comma 7-bis dell'art. 143, non
possono consistere soltanto in meri atti illegittimi, per i quali e'
gia' previsto un rimedio in chiave di potere sostitutivo. Occorre
qualcosa di piu', che pero' la disposizione censurata non solo non
specifica, ma neppure espressamente richiede.
Il riferimento a «condotte illecite gravi e reiterate», se inteso
come riguardante fatti penalmente rilevanti di amministratori
dell'ente locale o di dipendenti dello stesso, sarebbe comunque
ampiamente generico se comparato a quello del primo comma dell'art.
143, il quale evoca chiaramente una fattispecie penale ben specifica:
il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso di cui all'art.
416-bis cod. pen.
Ne' tale presupposto di fatto risulta meglio definito dalle
conseguenze che da tali «condotte illecite gravi e reiterate» devono
derivare. E' richiesto infatti che esse siano tali da comportare
«un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento
e l'imparzialita' delle amministrazioni comunali o provinciali,
nonche' il regolare funzionamento dei servizi»; formulazione questa
pur sempre generica e che non aggiunge nulla alla definizione del
presupposto, se sol si consideri che ogni condotta illecita, grave e
reiterata, non puo' che incidere negativamente ex se sul buon
andamento dell'attivita' dell'ente.
Alla genericita' del presupposto per l'attivazione del potere
sostitutivo del prefetto si aggiunge la vaghezza del livello
indiziario degli elementi emersi nell'attivita' di accertamento di
cui al comma 3 dell'art. 143. Mentre per l'attivazione del potere di
scioglimento del consiglio comunale o provinciale occorre che tali
elementi, su collegamenti diretti o indiretti con la criminalita'
organizzata di tipo mafioso, raggiungano un livello di coerenza e
significativita' tali da poterli qualificare come «concreti, univoci
e rilevanti» (art. 143, comma 1, t.u. enti locali), invece, quanto
alle «condotte illecite gravi e reiterate», di cui al comma 7-bis
impugnato, e' sufficiente che risultino mere «situazioni
sintomatiche».
Nel complesso, quindi, il presupposto positivo del potere
sostitutivo prefettizio e' disegnato dalla disposizione censurata in
termini vaghi, ampiamente discrezionali e certamente assai meno
definiti di quelli del potere governativo di scioglimento dei
consigli comunali e provinciali, pur essendo il primo agganciato a
quest'ultimo come occasionale appendice procedimentale.
14.- Inoltre, la disposizione censurata assegna allo stesso
prefetto, che ritenga sussistere una situazione di mala gestio
dell'ente, non gia' un potere d'impulso e sollecitatorio
dell'adempimento di obblighi di legge (come, ad esempio, nel
procedimento che puo' condurre alla deliberazione dello stato di
dissesto dell'ente: art. 243-quater, comma 7, t.u. enti locali),
bensi' quello ben piu' incisivo della diretta individuazione,
ampiamente discrezionale, di «prioritari interventi di risanamento»
da cui sorge, per l'ente locale, l'obbligo di conformazione. E'
quest'obbligo - non preesistente nella legge, ma sorto ad hoc per
determinazione del prefetto - che poi, ove non adempiuto dall'ente,
facoltizza l'esercizio del potere sostitutivo mediante commissario ad
acta.
L'insufficiente determinazione del presupposto del potere
sostitutivo risulta cosi' aggravata dalla latitudine del suo
contenuto atipico e indifferenziato, mentre - ha affermato questa
Corte (sentenza n. 115 del 2011) - ogni potere amministrativo deve
essere «determinato nel contenuto e nelle modalita', in modo da
mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa
dell'azione amministrativa».
Tutto cio' inficia irrimediabilmente la compatibilita' di tale
potere sostitutivo extra ordinem, in primo luogo, con il principio di
legalita' dell'azione amministrativa (art. 97 Cost.), nonche' con
l'autonomia costituzionalmente garantita che la Repubblica promuove e
riconosce agli enti locali territoriali (art. 5 Cost.); autonomia
anche recentemente richiamata da questa Corte (sentenze n. 33 e n. 29
del 2019).
L'enunciazione dell'art. 114, secondo comma, Cost., secondo cui
Comuni, Province e Citta' metropolitane sono enti autonomi con
«propri statuti, poteri e funzioni», si salda con il riconoscimento
della titolarita' di «funzioni amministrative proprie» (art. 118,
secondo comma, Cost.) e della potesta' regolamentare in ordine alla
disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni
loro attribuite (art. 117, sesto comma, Cost.), nonche' con
l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119, primo comma,
Cost.). Tale complessiva garanzia costituzionale di autonomia risulta
accentuata dopo la riforma costituzionale del 2001 - ispirata a un
«largo decentramento di funzioni» (sentenza n. 44 del 2014) - la
quale, tra l'altro, piu' non prevede il controllo preventivo di
legittimita', e talora di merito, sugli atti degli enti locali,
essendo stato abrogato l'art. 130 Cost. dall'art. 9, comma 2, della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione).
15.- Da ultimo, ma non con minor rilievo, c'e' da considerare che
il potere sostitutivo introdotto dalla disposizione censurata -
essendo previsto con un'incidenza nell'attivita' dell'ente locale
tendenzialmente molto ampia, stante che l'individuazione da parte del
prefetto di «prioritari interventi di risanamento» non e' limitata ad
attivita' vincolata per legge e non discrezionale - avrebbe dovuto
essere rispettoso del canone dell'art. 120, secondo comma, Cost.,
secondo cui i poteri sostitutivi devono essere esercitati secondo il
principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione. Questa Corte,
con riferimento a tale parametro, ha affermato che «[l]a previsione
del potere sostitutivo fa [...] sistema con le norme costituzionali
di allocazione delle competenze» (sentenza n. 236 del 2004) e quindi
occorre che tale potere sia rispettoso delle autonomie locali. E' lo
stesso art. 120, secondo comma, Cost. a prevedere l'intervento
sostitutivo del Governo, implicante l'assunzione di responsabilita'
politica del potere esecutivo, quando vi e', in particolare,
un'esigenza di «tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica»
dell'ordinamento. Ha affermato questa Corte (sentenza n. 43 del 2004)
che «[l]a Costituzione ha voluto [...] che, a prescindere dal riparto
delle competenze amministrative, come attuato dalle leggi statali e
regionali nelle diverse materie, fosse sempre possibile un intervento
sostitutivo del Governo per garantire tali interessi essenziali». Si
e' ritenuto, ad esempio, che la protratta inerzia degli enti locali
«giustifica la previsione di un potere sostitutivo, che consenta un
intervento di organi centrali a salvaguardia di interessi generali ed
unitari» (sentenza n. 44 del 2014), mentre e' il prefetto che rileva
la mancata attuazione da parte dell'ente locale di quanto prescritto
dalla legge; potere «attribuito al Prefetto che lo esercita senza
margini di discrezionalita'» (ancora, la sentenza n. 44 del 2014).
Lo stesso t.u. enti locali, del resto, assegna al Governo il
potere sostitutivo in plurime fattispecie di maggiore incidenza
nell'autonomia dell'ente locale, quali quelle di sua inattivita'
qualificata (art. 138), di atti viziati da illegittimita' (art. 139),
di malfunzionamento di organi e servizi o di gravi e persistenti
violazioni di legge (art. 141), e finanche per gravi motivi di ordine
pubblico (art. 142). Mentre il prefetto puo' sostituirsi in
fattispecie piu' limitate e circoscritte, come in caso di
inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio (art. 39) o
di inerzia del sindaco nell'esercizio di funzioni statali (art. 54)
ovvero, in via solo provvisoria, per motivi di grave e urgente
necessita' nei procedimenti di cui agli artt. 141, 142 e 143.
Insomma, quanto piu' il potere sostitutivo, incidente
nell'autonomia dell'ente locale territoriale, presenta una
connotazione di discrezionalita' nei presupposti e nel contenuto,
tanto piu' il livello di assunzione di responsabilita' si eleva da
quello amministrativo (provvedimento del prefetto) a quello politico
(deliberazione del Governo).
La garanzia costituzionale di autonomia degli enti locali
territoriali (Comuni, Province e Citta' metropolitane) richiede non
solo che i presupposti di tali poteri sostitutivi, incidenti
nell'attivita' dell'ente, siano sufficientemente determinati dalla
legge, ma anche che l'eventuale sostituzione a organi dell'ente
rispetti il canone dell'art. 120, secondo comma, Cost., integrato
dalla norma di attuazione di cui all'art. 8 della legge 5 giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento dell'ordinamento della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3),
sull'assunzione a livello governativo della responsabilita' per
l'esercizio di tali poteri.
Invece, la disposizione censurata lascia l'esercizio di un potere
sostitutivo, che si e' visto essere ampiamente discrezionale, al
livello meramente amministrativo dei poteri del prefetto, senza alcun
coinvolgimento del Governo (come nell'ipotesi del comma 1 dell'art.
143) e neppure del Ministro dell'interno (come nell'ipotesi del comma
5 della stessa disposizione).
Risulta, quindi, violato anche tale parametro, parimenti evocato
dalla Regione ricorrente.
16.- Le considerazioni finora esposte convergono nel far ritenere
la norma censurata essere viziata di illegittimita' costituzionale
per violazione degli artt. 5, 97, secondo comma, 114, 118, secondo
comma, e 120, secondo comma, Cost.
Rimane ovviamente nella discrezionalita' del legislatore
riformulare la norma in termini compatibili con il principio di
legalita' dell'azione amministrativa e con la garanzia di autonomia
costituzionalmente garantita di cui godono gli enti locali
territoriali.
In conclusione - assorbiti gli altri parametri indicati dalla
Regione ricorrente - va dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 28, comma 1, del d.l. n. 113 del 2018, convertito, con
modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori
questioni di legittimita' costituzionale promosse con i ricorsi
indicati in epigrafe;
riuniti i giudizi,
1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 21-bis,
comma 2, del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni
urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione,
sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia
nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata), convertito,
con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, nella parte
in cui prevede «sentita la Conferenza Stato-citta' ed autonomie
locali», anziche' «sentita la Conferenza unificata Stato-regioni,
citta' e autonomie locali»;
2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 28, comma
1, del d.l. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni, nella
legge n. 132 del 2018;
3) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1,
lettera a), del d.l. n. 113 del 2018, convertito, con modificazioni,
nella legge n. 132 del 2018, promosse, con i ricorsi indicati in
epigrafe, rispettivamente dalla Regione Emilia-Romagna in riferimento
agli artt. 3 e 32 della Costituzione, dalla Regione Toscana in
riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., e dalla Regione
Calabria in riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost.,
nonche' al principio di leale collaborazione.
Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Giovanni AMOROSO, Redattore
Filomena PERRONE, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2019.
Il Cancelliere
F.to: Filomena PERRONE
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