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mercoledì 31 luglio 2019

N. 195 SENTENZA 20 giugno - 24 luglio 2019 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. Sicurezza pubblica (Estensione alle aree su cui insistono presidi sanitari dell'ambito di applicazione del divieto di accesso in speciali aree urbane - Accordi locali, sottoscritti dal prefetto e dalle organizzazioni maggiormente rappresentative degli esercenti, finalizzati al rafforzamento della tutela della sicurezza pubblica - Approvazione di linee guida ministeriali, sentita la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali) - Enti locali (Poteri sostitutivi del prefetto nel caso in cui ricorrano situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate, tali da determinare un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento e l'imparzialita' delle amministrazioni locali nonche' il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati). - Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata) - convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132 - artt. 21, comma 1, lettera a), 21-bis, comma 2, e 28, comma 1. - (GU n.31 del 31-7-2019 )


N. 195 SENTENZA 20 giugno - 24 luglio 2019

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.

Sicurezza pubblica (Estensione alle aree  su  cui  insistono  presidi
  sanitari dell'ambito di applicazione  del  divieto  di  accesso  in
  speciali aree urbane - Accordi locali, sottoscritti dal prefetto  e
  dalle organizzazioni maggiormente rappresentative degli  esercenti,
  finalizzati al rafforzamento della tutela della sicurezza  pubblica
  - Approvazione di linee guida ministeriali, sentita  la  Conferenza
  Stato-citta' ed autonomie locali) - Enti locali (Poteri sostitutivi
  del prefetto nel caso in cui ricorrano situazioni  sintomatiche  di
  condotte  illecite  gravi  e   reiterate,   tali   da   determinare
  un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon andamento
  e l'imparzialita' delle amministrazioni locali nonche' il  regolare
  funzionamento dei servizi ad esse affidati).
- Decreto-legge 4 ottobre  2018,  n.  113  (Disposizioni  urgenti  in
  materia di  protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza
  pubblica,  nonche'  misure  per  la  funzionalita'  del   Ministero
  dell'interno e l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
  nazionale  per  l'amministrazione  e  la  destinazione   dei   beni
  sequestrati  e  confiscati   alla   criminalita'   organizzata)   -
  convertito, con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132
  - artt. 21, comma 1, lettera a), 21-bis, comma 2, e 28, comma 1.

(GU n.31 del 31-7-2019 )
 

                       LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:
Presidente:Giorgio LATTANZI;
Giudici :Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giuliano
  AMATO, Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI,
     
    ha pronunciato la seguente

                              SENTENZA

    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 21,  comma
1, lettera a), 21-bis, commi 1 e 2, e 28, comma 1, del  decreto-legge
4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione
internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonche' misure per
la funzionalita' del Ministero dell'interno e l'organizzazione  e  il
funzionamento  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni,  in  legge  1°  dicembre
2018,  n.  132,  promossi   con   ricorsi   delle   Regioni   Umbria,
Emilia-Romagna,  Toscana  e  Calabria,  notificati  il  31  gennaio-4
febbraio, il 1°-6 febbraio, il 31 gennaio-4 febbraio e il 1° febbraio
2019, depositati in cancelleria il 1°, il 4,  il  6  e  l'8  febbraio
2019, iscritti rispettivamente ai numeri 10, 11, 17 e 18 del registro
ricorsi 2019 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
numeri 11 e 13, prima serie speciale, dell'anno 2019.
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri;
    udito  nell'udienza  pubblica  del  19  giugno  2019  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso;
    uditi  gli  avvocati  Massimo  Luciani  per  la  Regione  Umbria,
Giandomenico Falcon e Andrea Manzi  per  la  Regione  Emilia-Romagna,
Marcello Cecchetti per la Regione Toscana, Giuseppe Naimo e  Vincenzo
Cannizzaro per  la  Regione  Calabria  e  gli  avvocati  dello  Stato
Giuseppe Albenzio e Ilia Massarelli per il Presidente  del  Consiglio
dei ministri.

                          Ritenuto in fatto

    1.- Le Regioni Emilia-Romagna (r.r.  n.  11  del  2019),  Toscana
(r.r. n. 17 del  2019)  e  Calabria  (r.r.  n.  18  del  2019)  hanno
promosso, tra le  altre,  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 21, comma 1, lettera a), del decreto-legge 4 ottobre  2018,
n. 113 (Disposizioni urgenti in materia di protezione  internazionale
e  immigrazione,  sicurezza   pubblica,   nonche'   misure   per   la
funzionalita' del Ministero  dell'interno  e  l'organizzazione  e  il
funzionamento  dell'Agenzia  nazionale  per  l'amministrazione  e  la
destinazione dei beni  sequestrati  e  confiscati  alla  criminalita'
organizzata), convertito, con modificazioni, nella legge 1°  dicembre
2018, n. 132; disposizione questa che - modificando l'art.  9,  comma
3, del decreto-legge 20 febbraio 2017, n. 14 (Disposizioni urgenti in
materia di sicurezza delle citta'),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 18 aprile 2017, n. 48 - inserisce, dopo le parole «su cui
insistono», le parole «presidi sanitari,».
    Le ricorrenti, assumendo la violazione  di  parametri  pressoche'
coincidenti,  hanno  svolto  un  motivo  di  censura  sostanzialmente
analogo, impugnando  la  disposizione  nella  parte  in  cui  prevede
l'ampliamento dell'elenco dei  luoghi  in  relazione  ai  quali,  per
tutelarne il decoro, puo' trovare applicazione il divieto di  accesso
in specifiche aree urbane (cosiddetto DASPO urbano) consentendo cosi'
che, a fronte di una delle condotte presupposto della  misura  (stato
di ubriachezza, compimento di atti contrari  alla  pubblica  decenza,
esercizio di commercio abusivo  di  spazi  pubblici  e  attivita'  di
parcheggiatore  abusivo),  il  soggetto  possa  essere  colpito   dal
provvedimento di allontanamento anche da aree urbane in cui insistono
«presidi sanitari».
    In  particolare,  la  Regione  Emilia-Romagna  ha  ravvisato   la
violazione dell'art. 32 della  Costituzione,  unitamente  all'art.  3
Cost.,  in  quanto  «[l]a  reazione  dell'ordinamento  rispetto  alla
condotta [...] si rivela del tutto irragionevole e sproporzionata nel
momento  in  cui  comprime  gravemente  il  diritto  alla  salute  di
determinati soggetti che, oltretutto, in una parte dei casi previsti,
possono essere particolarmente bisognosi di cure (come chi sia  colto
in stato di ubriachezza, magari in ragione di un'abitualita' in  tale
condotta) e in un'altra parte non hanno tenuto  alcuna  condotta  che
suggerisca una misura grave  come  l'allontanamento  dalle  strutture
ospedaliere».
    Anche la Regione Toscana ha sostenuto la violazione dell'art.  32
Cost., in quanto, in applicazione della norma impugnata, alla persona
sottoposta a DASPO urbano potra' essere vietata  la  possibilita'  di
accedere al luogo  ove  e'  ubicato  il  presidio  sanitario  con  la
conseguenza che, in caso di sopravvenuti problemi di  salute  (anche,
in ipotesi, non  conclamati  da  situazioni  di  assoluta  urgenza  o
evidenza), potrebbero ingenerarsi dubbi  sul  diritto  della  persona
sottoposta alla misura ad accedere alla struttura sanitaria. Inoltre,
secondo la citata Regione, l'art. 21, comma 1, lettera a) del d.l. n.
113 del 2018, si porrebbe in contrasto con l'art. 117,  terzo  comma,
Cost., poiche' concerne la materia della «tutela  della  salute»,  in
ordine alla quale le Regioni hanno competenza concorrente.
    La Regione Calabria  ha  promosso  la  questione  in  riferimento
all'art. 117, terzo comma (e non anche quarto, erroneamente  indicato
per mero refuso), Cost., congiuntamente  all'art.  34  Cost.  (recte:
32), nonche'  al  principio  di  leale  collaborazione  fra  Stato  e
Regioni.
    La ricorrente afferma che la norma censurata  viola  i  parametri
evocati (che  la  difesa  tecnica  ben  ha  articolato  con  maggiore
completezza  rispetto   alla   delibera   della   Giunta   regionale,
richiamante il solo art. 117, terzo comma, Cost.) in quanto  consente
di  precludere  l'accesso  alle  strutture  sanitarie   ai   soggetti
bisognosi di cure mediche ledendo, cosi',  il  diritto  alla  salute,
inteso non solo come diritto fondamentale  dell'individuo,  ma  anche
come interesse della  collettivita'  a  che  vengano  garantite  cure
gratuite per gli indigenti.
    Per altro verso, ricordato che  ai  sensi  dell'art.  117,  terzo
comma,  Cost.,  la  tutela  della  salute  costituisce   materia   di
legislazione  concorrente,  lamenta  che  la   disposizione   «incide
indebitamente sulla competenza regionale relativa  all'organizzazione
dei servizi sanitari», impedendo l'accesso nelle «aree nelle quali la
Regione realizza l'interesse pubblico alla tutela della salute».
    Secondo la ricorrente sarebbe violato anche il principio di leale
collaborazione fra Stato e Regioni.
    2.- La sola Regione Emilia-Romagna ha  promosso,  con  lo  stesso
ricorso, questioni di legittimita'  costituzionale,  tra  gli  altri,
anche dell'art. 21-bis, commi 1 e 2, del d.l. n.  113  del  2018.  Ad
avviso della Regione ricorrente, la norma impugnata lederebbe  l'art.
117, quarto comma, Cost., in quanto concerne  anche  la  materia  del
commercio,  in  ordine  alla  quale  le  Regioni   hanno   competenza
residuale, materia «chiaramente coinvolta nel momento in cui  vengono
chiamate in causa le organizzazioni rappresentative degli esercenti e
i gestori degli esercizi commerciali»; nonche' violerebbe l'art. 118,
terzo comma, Cost., nella parte in cui - al  fine  di  rafforzare  la
tutela della sicurezza pubblica nelle vicinanze di esercizi pubblici,
in un regime di collaborazione e coordinamento tra il prefetto  e  le
organizzazioni  degli  esercenti,   nel   quadro   di   linee   guida
ministeriali -  «prevede  il  solo  coinvolgimento  della  Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali, anziche'  quello  della  Conferenza
unificata,  e  nella  parte  in  cui   non   prevede   la   possibile
partecipazione delle Regioni e degli  enti  locali  interessati  agli
accordi locali rivolti al rafforzamento della sicurezza pubblica».
    La disposizione stabilisce che «ai  fini  di  una  piu'  efficace
prevenzione di atti illegali o di situazioni di pericolo per l'ordine
e la sicurezza pubblica all'interno e nelle immediate vicinanze degli
esercizi pubblici [...], con appositi  accordi  sottoscritti  tra  il
prefetto  e  le  organizzazioni  maggiormente  rappresentative  degli
esercenti   possono   essere   individuate   specifiche   misure   di
prevenzione, basate sulla cooperazione tra i gestori degli esercizi e
le Forze di polizia, cui i gestori medesimi si assoggettano,  con  le
modalita' previste dagli stessi accordi». Tali accordi sono  adottati
localmente nel rispetto delle linee  guida  nazionali  approvate,  su
proposta del Ministro dell'interno, d'intesa  con  le  organizzazioni
maggiormente rappresentative degli esercenti, sentita  la  Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali.
    La ricorrente contesta il mancato  coinvolgimento  delle  Regioni
all'elaborazione di tali linee guida  e  chiede  che  sia  invece  la
Conferenza unificata a dover essere sentita.
    3.- In relazione a tutti tali ricorsi,  con  argomenti  in  larga
parte coincidenti, e'  intervenuto  in  giudizio  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
    In punto di ammissibilita', la difesa dello Stato rileva  che  le
Regioni, secondo  la  costante  giurisprudenza  costituzionale,  sono
legittimate a censurare le leggi dello Stato solo con  riferimento  a
parametri relativi al riparto delle  competenze  legislative,  mentre
l'invocazione di  parametri  diversi  e'  ammissibile  esclusivamente
quando la violazione ridondi su competenze regionali che  la  Regione
abbia  espressamente  individuato.  Nella  specie,  per  contro,   le
ricorrenti non hanno sufficientemente specificato i  motivi  per  cui
l'intervento  del  legislatore   statale   avrebbe   compromesso   le
attribuzioni regionali.
    Nel merito, in relazione all'art. 21, comma 1,  lettera  a),  del
d.l. n. 113 del  2018,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
osserva che la disposizione,  lungi  dal  costituire  un  impedimento
all'accesso  alle  strutture  interessate,  e'  volta,  piuttosto,  a
contrastare i fenomeni che ne ostacolano la libera fruizione da parte
dei cittadini.
    Pertanto, a suo  avviso,  nessuna  violazione  del  diritto  alla
salute  puo'  essere   ravvisata.   Tale   conclusione   risulterebbe
confermata anche dall'art. 10, comma 2, del d.l. n. 14 del  2017,  ai
sensi del  quale  il  questore  che  dispone  il  DASPO  urbano  deve
individuare modalita' «compatibili  con  le  esigenze  di  mobilita',
salute e lavoro del destinatario dell'atto».
    Quanto all'omesso coinvolgimento della Regione  nell'elaborazione
delle linee guida di cui  all'art.  21-bis,  la  difesa  dello  Stato
assume   l'insussistenza   di   motivi   giuridici   che    impongano
l'attivazione  di  strumenti  di  cooperazione.  In  particolare,  il
Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che la previsione  del
coinvolgimento della sola Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali
e non della Conferenza unificata si spiega in ragione del  fatto  che
le attivita', alle quali si riferisce la disposizione, sono  soggette
a licenza ai sensi dell'art. 86 del regio decreto 18 giugno 1931,  n.
773 (Testo  unico  delle  leggi  di  pubblica  sicurezza)  e  che  le
specifiche misure di prevenzione previste dalla disposizione  oggetto
di censura, basate sulla cooperazione tra i gestori degli esercizi  e
le forze di polizia, sono destinate a incidere solo su di esse.
    4.- Con memorie del 28 maggio  2019,  depositate  in  pari  data,
l'Avvocatura generale ha ribadito le sue difese,  comuni  a  tutti  i
ricorsi proposti dalle Regioni.
    La Regione Calabria, con memoria del 28 maggio  2019,  depositata
in pari data, e le Regioni Emilia-Romagna  e  Toscana,  con  distinte
memorie del 29 maggio 2019, depositate in pari data, hanno  anch'esse
ulteriormente ribadito le loro  difese,  contestando  in  particolare
l'eccezione, sollevata  dall'Avvocatura,  di  inammissibilita'  delle
censure riferite a parametri non competenziali.
    5.- Con ricorso depositato in data 1° febbraio 2019 (r.r.  n.  10
del 2019) la Regione Umbria ha  promosso  questioni  di  legittimita'
costituzionale, tra gli altri, dell'art. 28, comma 1, del d.l. n. 113
del 2018, in riferimento agli artt. 3, 5, 23, 25, 27,  77,  97,  114,
117, secondo e terzo comma, 118, primo e secondo comma,  119  e  120,
secondo comma, Cost., nonche' all'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 6 e 7 della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con la  legge  4
agosto 1955, n. 848.
    In particolare, l'art. 28, comma 1, del d.l.  n.  113  del  2018,
novellando l'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267
(Testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento  degli  enti   locali),
inserendovi il comma 7-bis, sarebbe gravemente lesivo  dell'autonomia
degli enti locali.
    Ad avviso della Regione la  norma  in  questione  detterebbe  una
disciplina irragionevole, lesiva del principio di legalita', di  buon
andamento e imparzialita' della pubblica amministrazione  e  sarebbe,
altresi', in violazione del principio autonomistico.
    Con la  disposizione  in  esame  -  si  osserva  da  parte  della
ricorrente -  si  introducono  provvedimenti  di  sostituzione  e  di
commissariamento «la cui logica e' del tutto incomprensibile».
    La Regione ricorrente osserva, altresi', l'estrema latitudine dei
presupposti legittimanti l'esercizio  dei  poteri  sostitutivi  e  di
commissariamento da  parte  dei  prefetti,  evincibile  dal  generico
riferimento a «condotte illecite», alla semplice  «alterazione  delle
procedure», al  «buon  andamento»,  al  «regolare  funzionamento  dei
servizi». In tal modo la disposizione apre un campo cosi' indefinito,
tale che l'autonomia degli enti locali finisce per essere aperta alle
discrezionali determinazioni dell'esecutivo  statale  sul  territorio
regionale.
    Sarebbe compromesso anche il principio di buon andamento (art. 97
Cost.), tra l'altro perche' l'amministrazione degli enti locali  puo'
essere soggetta alla misura anche per  il  semplice  fatto  dei  suoi
dipendenti, la' dove, in simile  fattispecie,  l'ordinamento  prevede
una  pluralita'  di  ben  piu'  efficienti  rimedi  e  meno  invasivi
strumenti, quali l'azione disciplinare nei confronti  dei  dipendenti
degli enti interessati.
    Compromessa sarebbe anche l'autonomia degli enti locali,  di  cui
agli  artt.  5  e  114  Cost.,  venendo  questa   rimessa   all'ampia
discrezionalita' di un organo dello Stato, qual e' il prefetto.
    La nuova disciplina violerebbe, altresi', gli artt. 117,  secondo
e terzo comma, 118, primo e secondo comma, 119 e 120, secondo  comma,
Cost.
    In primo luogo, gli enti territoriali  risultano  sostanzialmente
espropriati delle loro funzioni  e  la  Regione  si  vede  incisa  la
propria competenza in materia di attribuzione di funzioni  agli  enti
locali, desumibile dal secondo e  terzo  comma  dell'art.  117  Cost.
Verrebbe,  altresi',  impedito  il  funzionamento  del  principio  di
sussidiarieta' verticale di cui all'art. 118, primo comma, e all'art.
120, secondo comma, Cost., attraendo le funzioni  degli  enti  locali
verso l'alto, oltretutto  in  sede  di  decisione  prefettizia  senza
coinvolgimento della responsabilita' politica del Governo.
    Sarebbe violato anche l'art. 118, secondo comma, Cost., in quanto
il commissariamento e la sostituzione sono forme di interferenza  con
l'esercizio delle funzioni  amministrative  proprie  riconosciute  al
Comune, alle Province e alle Citta' metropolitane.
    Conseguentemente,  sarebbe  violato  anche  l'art.  120,  secondo
comma, Cost., in quanto la sostituzione  e  il  commissariamento  non
sarebbero  disposti  dal  Governo,  ma  dal  prefetto,  con  completo
disinteresse   per   il   principio   di   sussidiarieta'   e   leale
collaborazione, dal momento  che  «l'ente  locale  puo'  sfuggire  al
commissariamento solo se resta prono  a  quanto  il  prefetto  impone
(addirittura stabilendo gli atti da adottare e il termine per la loro
adozione) rinunciando completamente alla propria autonomia».
    Altresi', risulterebbe violato l'art. 119 Cost.,  in  quanto  gli
enti locali sarebbero costretti a sostenere le spese di  qualsivoglia
attivita'  ritenuta  opportuna  dal  prefetto   nell'individuare   «i
prioritari interventi di risanamento».
    Da ultimo, la norma censurata  configura  una  forma  di  vera  e
propria responsabilita' oggettiva, che il nostro ordinamento rifiuta,
salvi casi eccezionali. Ad avviso della difesa  regionale  si  e'  di
fronte a una misura di tipo sanzionatorio che, per la sua gravita' in
applicazione dei criteri "Engel", dovrebbe  ricevere  un  trattamento
analogo a quello delle sanzioni penali.  Di  qui,  la  lesione  anche
degli artt. 25 e 27 Cost., nonche', per  il  tramite  dell'art.  117,
primo comma, Cost., degli artt. 6 e 7 CEDU.
    Infine, in via sostanzialmente  subordinata,  la  Regione  deduce
anche la violazione dell'art. 77 Cost., in  quanto  il  decreto-legge
sarebbe  stato  adottato,  quanto  alla  disposizione  censurata,  in
carenza dei presupposti di cui al parametro costituzionale.
    6.- Anche in relazione a tale ricorso e' intervenuto in  giudizio
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale, chiedendo che le questioni di  legittimita'
costituzionale siano dichiarate inammissibili o comunque infondate.
    La difesa della Stato ritiene che il  ricorso  sia  inammissibile
per la mancanza di un'adeguata  motivazione  in  merito  all'asserita
lesione delle sfere di competenza legislativa regionale e al riguardo
richiama la giurisprudenza costituzionale secondo  cui  e'  possibile
invocare parametri  costituzionali  diversi  da  quelli  relativi  al
riparto delle competenze legislative soltanto quando la violazione di
questi  comporti  una  compromissione  delle  attribuzioni  regionali
costituzionalmente garantite.
    Nel merito, la difesa dello Stato  osserva  che  quello  previsto
dalla disposizione censurata e' un potere straordinario  riconosciuto
al prefetto, rappresentante dello Stato sul territorio, nel  caso  in
cui,  all'esito  dell'attivita'  di  accesso,  pur  non  rinvenendosi
elementi concreti, univoci e rilevanti per disporre  lo  scioglimento
degli organi degli enti locali, tuttavia siano state  riscontrate  in
relazione a uno o piu' settori amministrativi, anomalie e  illiceita'
tali da determinare uno sviamento dell'attivita'  dell'ente,  nonche'
un'alterazione delle procedure atte a compromettere il buon andamento
e l'imparzialita' dell'amministrazione e  il  regolare  funzionamento
dei servizi a essa affidati.
    Pone in rilievo che l'art. 120, secondo comma, Cost., attribuisce
al Governo il potere di sostituirsi a  organi  delle  Regioni,  delle
Citta' metropolitane, delle Province  e  dei  Comuni,  nei  casi  ivi
indicati, e anche la censurata disposizione, di cui all'art.  28  del
decreto-legge citato, e' posta a presidio di fondamentali esigenze di
eguaglianza, sicurezza e legalita'.
    Il  potere  sostitutivo  e'  attribuito  al  prefetto,   cui   e'
riconosciuto tradizionalmente un potere di  vigilanza  sull'andamento
delle pubbliche amministrazioni sul territorio. E'  il  prefetto  che
avvia un'interlocuzione  con  l'amministrazione  locale  interessata,
un'attivita' di mediazione che  prevede  anche  ogni  utile  supporto
tecnico-amministrativo   a   mezzo    dei    propri    uffici,    con
l'individuazione degli  interventi  prioritari  da  assumere  per  il
risanamento dell'ente,  fissando  un  termine  per  l'adozione  degli
stessi. Solo se il termine e' disatteso, si  configura  l'ipotesi  di
nomina del commissario ad acta prevista, dunque, come extrema  ratio.
Di talche', non sarebbe violata in alcun modo l'autonomia dell'ente.
    La difesa dello Stato osserva, poi, che la disposizione censurata
non fa altro che introdurre un'ulteriore  ipotesi  di  intervento  in
materia di controlli sugli organi, gia' disciplinata  dal  t.u.  enti
locali,  agli  artt.  141  e  142,  i  quali  riguardano   situazioni
eccezionali  derivanti  da  accertate   gravi   anomalie   idonee   a
compromettere  il  regolare  funzionamento  e  l'imparzialita'  delle
amministrazioni locali coinvolte.
    L'Avvocatura  evidenzia  che  la   disposizione   censurata   non
contempla un intervento sugli amministratori e sull'ente  locale,  ma
un intervento dell'autorita' statale,  rientrante  nell'ambito  delle
sue competenze, qualora emergano situazioni sintomatiche di  condotte
gravi e reiterate e di mala gestio - condotte di cui  possono  essere
responsabili sia gli organi di governo sia l'apparato burocratico - e
si pone come  clausola  di  chiusura  dell'ordinamento.  L'intervento
surrogatorio del prefetto si giustifica  in  presenza  di  situazioni
indicative di illiceita' o di mala gestio.
    7.- Con memoria depositata il 28  maggio  2019  la  difesa  dello
Stato ha ulteriormente ribadito le proprie difese e conclusioni.
    8.- Con memoria del 29 maggio 2019 anche  la  Regione  Umbria  ha
ribadito  le  argomentazioni  a  sostegno  delle  censure  svolte  in
ricorso.

                       Considerato in diritto

    1.- Le Regioni Emilia-Romagna (r.r.  n.  11  del  2019),  Toscana
(r.r. n. 17 del 2019) e Calabria (r.r. n. 18 del 2019) hanno, tra  le
altre, promosso, in riferimento agli artt. 3, 32 e 117, terzo  comma,
della Costituzione e al principio di leale collaborazione,  questioni
di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1, lettera a), del
decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 (Disposizioni urgenti in materia
di protezione  internazionale  e  immigrazione,  sicurezza  pubblica,
nonche' misure per la  funzionalita'  del  Ministero  dell'interno  e
l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia  nazionale   per
l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati
alla criminalita' organizzata), convertito, con modificazioni,  nella
legge 1° dicembre 2018, n. 132; disposizione questa che - modificando
l'art. 9,  comma  3,  del  decreto-legge  20  febbraio  2017,  n.  14
(Disposizioni  urgenti  in  materia  di  sicurezza   delle   citta'),
convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 2017, n. 48 - ha
inserito, dopo le parole  «su  cui  insistono»,  le  parole  «presidi
sanitari,».
    Assumono le ricorrenti che l'ampliamento dell'elenco  dei  luoghi
in relazione ai quali, al fine di tutelarne il decoro e la  sicurezza
pubblica,  puo'  trovare  applicazione  il  divieto  di  accesso   in
specifiche aree urbane (il cosiddetto DASPO urbano) consente  che,  a
fronte di una delle condotte  previste  a  presupposto  della  misura
(stato di ubriachezza, compimento  di  atti  contrari  alla  pubblica
decenza, esercizio di commercio abusivo e attivita' di parcheggiatore
abusivo), la persona bisognosa di cure mediche possa  essere  colpita
dal provvedimento di allontanamento proprio da quelle aree urbane  su
cui insistono «presidi sanitari»  con  conseguente  lesione  del  suo
diritto alla salute.
    La  sola  Regione  Emilia-Romagna,  con  lo  stesso  ricorso,  ha
promosso anche questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
21-bis, commi 1 e 2, del d.l. n. 113 del 2018 in riferimento all'art.
117, quarto  comma,  Cost.,  per  quanto  concerne,  come  competenza
legislativa  residuale,  la  materia  del   commercio,   «chiaramente
coinvolta  nel  momento  in  cui  vengono  chiamate   in   causa   le
organizzazioni rappresentative degli  esercenti  e  i  gestori  degli
esercizi commerciali»,  nonche'  in  relazione  all'art.  118,  terzo
comma, Cost., nella parte in cui - al fine di  rafforzare  la  tutela
della sicurezza pubblica nelle vicinanze di esercizi pubblici, in  un
regime di collaborazione e coordinamento tra l'autorita' di  pubblica
sicurezza e le organizzazioni degli esercenti, nel  quadro  di  linee
guida ministeriali - prevede il solo coinvolgimento della  Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali, anziche'  quello  della  Conferenza
unificata Stato-Regioni e autonomie locali.
    Con ricorso depositato in data 1° febbraio 2019 (r.r. n.  10  del
2019) la Regione Umbria ha, tra le  altre,  promosso  in  riferimento
agli artt. 3, 5, 23, 25, 27, 77, 97, 114, 117, secondo e terzo comma,
118, secondo e terzo comma, 119 e 120, secondo comma, Cost.,  nonche'
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 6 e 7 della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la  legge  4  agosto  1955,  n.  848,
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 28, comma  1,  del
d.l. n. 113 del 2018, disposizione questa che ha  inserito  il  comma
7-bis nell'art. 143 del decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.  267
(Testo unico delle leggi sull'ordinamento  degli  enti  locali),  che
prevede  lo  scioglimento  dei  consigli   comunali   e   provinciali
conseguente a fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di  tipo
mafioso o similare.
    La Regione lamenta, in particolare,  che  l'ampiezza  del  potere
prefettizio sostitutivo, previsto dalla  disposizione  censurata,  in
caso emergano «situazioni sintomatiche di condotte illecite  gravi  e
reiterate tali da determinare un'alterazione  delle  procedure  e  da
compromettere   il   buon   andamento   e    l'imparzialita'    delle
amministrazioni  comunali   e   provinciali   nonche'   il   regolare
funzionamento dei servizi ad esse affidati», comporti, sotto  plurimi
profili, la lesione dell'autonomia costituzionalmente garantita degli
enti locali territoriali.
    2.- I  giudizi  aventi  a  oggetto  le  suddette  disposizioni  -
riconducibili a una matrice unitaria, in quanto tutte  contenute  nel
Titolo II del d.l.  n.  113  del  2018,  concernente  la  materia  di
sicurezza pubblica, prevenzione e  contrasto  al  terrorismo  e  alla
criminalita'  mafiosa   -   possono   essere   riuniti   e   trattati
congiuntamente, restando riservata a separate pronunce  la  decisione
delle questioni relative alle  altre  disposizioni  impugnate  con  i
medesimi ricorsi.
    3.- Va esaminata  innanzi  tutto  la  questione  di  legittimita'
costituzionale avente a oggetto l'art. 21, comma 1, lettera  a),  del
menzionato decreto-legge.
    La disposizione ha inserito il riferimento ai «presidi  sanitari»
nel comma 3 dell'art. 9 del  richiamato  d.l.  n.  14  del  2017,  in
materia di sicurezza delle citta'.
    Il legislatore del 2017, nel contesto di un articolato intervento
diretto a rafforzare la sicurezza nelle  citta',  ha  introdotto  una
speciale misura, mirata a tutelare anche  il  decoro  di  particolari
luoghi (il cosiddetto DASPO urbano),  conformandola  al  modello  del
divieto di accesso ai luoghi dove si svolgono manifestazioni sportive
(DASPO), regolato dall'art. 6 della legge 13 dicembre  1989,  n.  401
(Interventi nel settore del giuoco e delle  scommesse  clandestini  e
tutela  della  correttezza  nello   svolgimento   di   manifestazioni
sportive); disposizione richiamata, in particolare, quanto al  regime
di convalida  giudiziaria  dei  provvedimenti  interdittivi  e  della
ricorribilita' per cassazione.
    L'art. 9 del d.l.  n.  14  del  2017  prende  in  considerazione,
sanzionandola, la  condotta  di  chi  -  commettendo  la  violazione,
alternativamente, degli artt. 688  (Ubriachezza)  e  726  del  codice
penale (Atti contrari alla pubblica decenza e  turpiloquio),  nonche'
dell'art. 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.  114  (Riforma
della  disciplina  relativa  al  settore   del   commercio),   quanto
all'abusivo esercizio del commercio su aree pubbliche, e dell'art. 7,
comma 15-bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.  285  (Nuovo
codice  della  strada),  quanto  all'esercizio  senza  autorizzazione
dell'attivita'  di  parcheggiatore  o  guardiamacchine  -   impedisce
l'accessibilita' e la  fruizione  delle  infrastrutture  ferroviarie,
aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico  locale.  Oltre  alla
sanzione  amministrativa  pecuniaria,   l'organo   accertatore   puo'
ordinare l'allontanamento dalle aree interne di  tali  infrastrutture
(art. 9, comma 1, del d.l. n. 14 del 2017, nelle forme  previste  dal
successivo art.  10,  comma  1)  e  in  caso  di  reiterazione  della
condotta, cosi' sanzionata, il questore puo' adottare il maggiormente
incisivo provvedimento di divieto di accesso a una o piu' delle  aree
suddette (art. 10, comma 2, del d.l. n. 14 del 2017).
    Il comma 3 del richiamato  art.  9  consente  ai  regolamenti  di
polizia urbana di individuare aree ulteriori, la cui accessibilita' e
fruizione possano essere parimenti presidiate dalla misura  suddetta,
articolata   nella   sanzione   amministrativa   e   nell'ordine   di
allontanamento, nonche', in progressione, nel  provvedimento  recante
il divieto di accesso. La disposizione indica la tipologia di  queste
aree suscettibili dell'estensione della possibilita' di  applicazione
della misura: scuole, plessi scolastici e siti  universitari,  musei,
aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti  e
luoghi della cultura o comunque  interessati  da  consistenti  flussi
turistici, ovvero adibite a verde pubblico.
    L'art. 21, comma 1, lettera a), del  d.l.  n.  113  del  2018  ha
esteso questo elenco, aggiungendo i «presidi  sanitari»  e  le  «aree
destinate allo svolgimento di fiere, mercati, pubblici spettacoli».
    Le Regioni ricorrenti censurano tale  disposizione  limitatamente
alla  parte  in  cui  nell'elenco  suddetto  e'  stata  aggiunta   la
previsione dei presidi sanitari, che ora  i  regolamenti  di  polizia
urbana possono  includere  tra  le  aree  protette  dalla  misura  in
questione (il cosiddetto DASPO urbano).
    I parametri che le Regioni ricorrenti assumono violati  sono,  da
una parte, l'art. 32 Cost., congiuntamente all'art. 3 Cost.,  perche'
l'estensione della misura viola il diritto alla salute della  persona
che  sia  bisognosa  di  cure  mediche,  precludendole   o   comunque
ostacolando la necessaria assistenza sanitaria, cosi' assoggettandola
a una misura sproporzionata e irragionevole; dall'altra parte, l'art.
117, terzo comma, Cost., e  il  principio  di  leale  collaborazione,
perche'  sarebbe  lesa  la  competenza  concorrente  del  legislatore
regionale in materia  di  tutela  della  salute,  senza  peraltro  la
previsione di alcuna forma di leale collaborazione dello Stato con la
Regione.
    4.- Va innanzi tutto riconosciuta l'ammissibilita' delle  censure
anche con riferimento ai parametri estranei al riparto di  competenze
legislative.
    Le Regioni ricorrenti evocano anche parametri  non  compresi  nel
Titolo V della Parte seconda della Costituzione  -  l'art.  32  Cost.
(tutte le Regioni) nonche', in connessione con quest'ultimo, l'art. 3
Cost. (la sola Regione Emilia-Romagna) - e, asserendo  la  ridondanza
dei  vizi  denunciati   sulle   attribuzioni   regionali,   lamentano
l'irragionevole impedimento dell'accesso ai presidi sanitari  per  le
persone - quali quelle previste dalla disposizione censurata - che si
trovino ad essere bisognevoli di cure, con conseguente compromissione
del loro diritto alla salute.
    Come questa Corte ha da ultimo ribadito nella coeva  sentenza  n.
194 del 2019, «le Regioni possono evocare parametri  di  legittimita'
costituzionale diversi da quelli  che  sovrintendono  al  riparto  di
competenze tra Stato e Regioni  solo  a  due  condizioni:  quando  la
violazione denunciata sia potenzialmente idonea a riverberarsi  sulle
attribuzioni regionali costituzionalmente garantite [...] e quando le
Regioni ricorrenti abbiano sufficientemente motivato in  ordine  alla
ridondanza della lamentata illegittimita' costituzionale sul  riparto
delle competenze, indicando la specifica competenza che  risulterebbe
offesa e argomentando adeguatamente in  proposito».  In  particolare,
con riferimento allo stesso d.l. n. 113 del  2018,  questa  Corte  ha
precisato che «la ridondanza del vizio sulle competenze  regionali  e
locali deve essere argomentata in relazione allo specifico  contenuto
normativo del decreto e alla idoneita' dello stesso ad  obbligare  la
Regione a esercitare le proprie attribuzioni in  conformita'  ad  una
disciplina   legislativa   statale    in    contrasto    con    norme
costituzionali».
    Nella specie, la disposizione censurata riguarda l'accesso  e  la
permanenza di determinate categorie di persone nei presidi  sanitari,
la  cui  organizzazione  rientra  nella  competenza  concorrente  del
legislatore regionale in materia di «tutela della salute» (art.  117,
terzo comma,  Cost.),  e  quindi  essa,  prevedendo  la  possibilita'
dell'ordine di allontanamento e del divieto  di  accesso  di  persone
individuate in  ragione  di  determinate  condotte  da  esse  tenute,
avrebbe un'incidenza  su  tale  competenza  in  quanto  asseritamente
imporrebbe di escludere le stesse dalle prestazioni sanitarie erogate
in tali presidi.
    Le Regioni ricorrenti hanno, inoltre, adeguatamente  motivato  in
ordine alla conseguente compressione degli spazi della loro autonomia
costituzionalmente  garantita  nella  misura  in  cui  sarebbe   loro
imposto,  per  effetto  della  disposizione  censurata,  un  criterio
selettivo   di   accesso   alle   prestazioni   sanitarie,   la   cui
regolamentazione   rientra   nella   loro   competenza    legislativa
concorrente.
    Cio' assicura la ridondanza della dedotta  lesione  di  parametri
(artt. 3 e  32  Cost.)  che,  pur  non  attenendo  direttamente  alla
competenza legislativa regionale, riguardano la tutela della salute e
quindi sono ammissibili le relative censure.
    5.- Nel merito, le questioni non sono fondate in  riferimento  ai
parametri evocati, essendo possibile un'interpretazione  adeguatrice,
costituzionalmente orientata, della disposizione impugnata; la quale,
comunque, perseguendo la finalita' di evitare  turbative  dell'ordine
pubblico nelle aree alle quali il regolamento di polizia urbana  puo'
estendere l'applicabilita' del  DASPO  urbano,  concerne  la  materia
«ordine pubblico e sicurezza» e  appartiene  quindi  alla  competenza
legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, primo comma, lettera  h,
Cost.).
    Il perseguimento degli interessi costituzionali  alla  sicurezza,
all'ordine pubblico e alla pacifica convivenza, infatti, e'  affidato
dalla Costituzione in via esclusiva allo  Stato,  mentre  le  Regioni
possono cooperare a tal fine solo mediante  misure  ricomprese  nelle
proprie attribuzioni (ex plurimis, sentenze n. 63 del 2016  e  n.  35
del 2012).
    Nella fattispecie in esame l'art. 10, comma 2, del d.l. n. 14 del
2017 prevede espressamente che le modalita' applicative  del  divieto
di accesso alle  aree  protette  devono  essere  compatibili  con  le
esigenze di salute del destinatario dell'atto. Una  lettura  di  tale
disposizione orientata alla conformita' ai parametri evocati (artt. 3
e 32 Cost.), comporta che tale destinatario puo' comunque fruire  dei
servizi sanitari per ragioni di cura,  senza  che  gli  sia  precluso
l'accesso, anche ove egli sia stato  destinatario  del  provvedimento
del questore, che per il resto gli abbia fatto divieto di accedere  a
tale area per ogni altra ragione.
    La stessa interpretazione puo' adottarsi, pur in mancanza  di  un
riferimento testuale, stante la  medesima  ratio  sottesa  all'una  e
all'altra misura, per delimitare l'ambito applicativo dell'ordine  di
allontanamento dal presidio sanitario negli stessi  termini  previsti
per il divieto di accesso.
    In  ogni  caso,  quindi,  la  persona  che  ricorre  al  presidio
sanitario, perche' le  siano  erogate  cure  mediche  (o  prestazioni
terapeutiche  o  di  analisi  e   diagnostica),   non   puo'   essere
allontanata, ne' le puo' essere precluso  l'accesso  alla  struttura,
essendo il diritto alla salute  prevalente  sull'esigenza  di  decoro
dell'area e di contrasto, per ragioni di  sicurezza  pubblica,  delle
condotte - tutte sanzionate solo in via amministrativa - elencate nel
comma 2 dell'art. 9 del d.l. n. 14 del 2017.
    La necessita' di accedere alle prestazioni sanitarie,  verificata
dal personale del presidio, non esclude, pero',  la  sanzionabilita',
in via amministrativa, delle eventuali condotte che la  persona,  pur
bisognosa di cure mediche, abbia posto in essere in violazione  delle
disposizioni richiamate dal comma 2 dell'art. 9.
    Cosi' interpretata la disposizione censurata,  non  vi  e'  alcun
ostacolo alla fruizione delle prestazioni sanitarie da parte  di  chi
ne ha bisogno, il cui diritto alla salute rimane pienamente tutelato,
e non vi e', in concreto, alcuna  incidenza  sull'organizzazione  dei
presidi sanitari, sicche' non  e'  violata  la  competenza  regionale
concorrente in materia di tutela della salute, ne'  il  principio  di
leale collaborazione.
    6.-   Va,   poi,   esaminata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale avente ad oggetto l'art. 21-bis,  commi  1  e  2,  del
menzionato  d.l.  n.  113  del  2018,  promossa  dalla  sola  Regione
Emilia-Romagna, la quale, pur non contestando  la  sua  riferibilita'
alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ordine pubblico e
sicurezza (art. 117, secondo comma, lettera h, Cost.), deduce la  sua
incidenza  sulla  competenza  residuale  regionale  in   materia   di
commercio, che richiederebbe un coinvolgimento  delle  Regioni  nella
predisposizione delle linee guida per l'applicazione della  norma  in
conformita' del principio di leale collaborazione.
    In realta' la censura investe il comma  2  dell'art.  21-bis  del
citato d.l. n. 113 del 2018 che prevede che sia sentita la Conferenza
Stato-citta'  ed  autonomie  locali  e  non  invece   la   Conferenza
unificata, come dovrebbe essere secondo la Regione ricorrente.
    7.- La questione e' fondata.
    L'art. 21-bis, comma 1, del medesimo d.l. prevede che «[a]i  fini
di una piu' efficace prevenzione di atti illegali o di situazioni  di
pericolo per l'ordine e la sicurezza  pubblica  all'interno  e  nelle
immediate vicinanze degli  esercizi  pubblici,  individuati  a  norma
dell'articolo 86 del testo unico delle leggi di  pubblica  sicurezza,
di cui al regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, con appositi  accordi
sottoscritti  tra  il  prefetto  e  le  organizzazioni   maggiormente
rappresentative degli esercenti possono essere individuate specifiche
misure di prevenzione, basate sulla cooperazione tra i gestori  degli
esercizi  e  le  Forze  di  polizia,  cui  i  gestori   medesimi   si
assoggettano, con le modalita' previste dagli stessi accordi».
    Si tratta di  una  norma  ascrivibile  alla  materia  dell'ordine
pubblico e sicurezza, di  competenza  esclusiva  statale  (art.  117,
primo comma, lettera h, Cost.); cio' di cui  non  dubita  la  Regione
ricorrente. E' in essa previsto non gia' un potere  autoritativo  del
prefetto, ma un  modulo  convenzionale  di  regolazione  pattizia  di
specifiche  misure  di  prevenzione,   non   ignoto   all'ordinamento
giuridico che gia' conosce i «patti per l'attuazione della  sicurezza
urbana» di cui all'art. 5 del d.l. n. 14 del 2017.
    Mentre  per  questi  ultimi,  che  intervengono  tra  prefetto  e
sindaco,  le  associazioni   di   categoria   comparativamente   piu'
rappresentative, interessate alla  misura,  possono  solo  presentare
indicazioni o osservazioni,  invece  gli  accordi  contemplati  dalla
disposizione   impugnata   sono   sottoscritti   direttamente   dalle
organizzazioni maggiormente rappresentative  degli  esercenti  e  dal
prefetto.
    A questi accordi possono aderire individualmente i gestori  degli
esercizi pubblici, autorizzati con licenza ai sensi dell'art. 86  del
regio decreto 18 giugno 1931, n. 773  (Testo  unico  delle  leggi  di
pubblica sicurezza), assoggettandosi cosi' volontariamente  al  «loro
puntuale e integrale  rispetto»  e  quindi  adottando  le  specifiche
misure  di  prevenzione  in  essi   convenute.   Tale   comportamento
collaborativo e' valutato - in chiave sostanzialmente di  esimente  o
di circostanza attenuante - ai fini dell'adozione  dei  provvedimenti
di sospensione o di revoca della licenza ove  si  verifichino  eventi
rilevanti ai  sensi  dell'art.  100  TULPS,  quali  tumulti  o  gravi
disordini.
    Gli accordi suddetti - prevede il comma 2 del citato art.  21-bis
- sono adottati localmente nel rispetto delle linee  guida  nazionali
approvate, su proposta del Ministro  dell'interno,  d'intesa  con  le
organizzazioni maggiormente rappresentative degli esercenti,  sentita
la Conferenza Stato-citta' e autonomie locali.
    Pur essendo  l'oggetto  di  tali  linee  guida  ascrivibile  alla
materia dell'ordine pubblico e  sicurezza,  di  competenza  esclusiva
statale, vi e' comunque una possibile ricaduta sulla  disciplina  del
commercio, appartenente, come materia,  alla  competenza  legislativa
residuale della Regione (art. 117, quarto comma,  Cost.),  come  gia'
riconosciuto da questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 98 del  2017);
disciplina  alla  quale  e'  connessa   anche   la   regolamentazione
dell'attivita' svolta negli esercizi pubblici suddetti. Cio' richiede
un  coinvolgimento  delle  Regioni,  tanto  piu'  necessario  se   si
considera che l'art. 118, terzo comma, Cost., prescrive che la  legge
statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni proprio
nella materia dell'«ordine pubblico e sicurezza», di cui alla lettera
h) del secondo comma dell'art. 117 Cost.
    La  mancanza  di  alcun  coinvolgimento   della   Regione   nella
formazione di tali linee guida costituisce quindi - come  lamenta  la
ricorrente - lesione dei parametri  evocati  e  comporta,  in  questa
parte, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 21-bis, comma 2, del
d. l. n. 113 del 2018.
    La reductio ad legitimitatem della norma  puo'  avvenire  -  come
richiesto dalla Regione ricorrente - sostituendo,  nel  comma  2  del
citato art. 21-bis, il riferimento  alla  Conferenza  Stato-citta'  e
autonomie locali con quello alla Conferenza unificata  Stato-regioni,
citta' e autonomie locali (art. 8 del decreto legislativo  28  agosto
1997, n. 281, recante «Definizione ed ampliamento delle  attribuzioni
della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e  Bolzano  ed  unificazione,  per  le
materie ed  i  compiti  di  interesse  comune  delle  regioni,  delle
province e dei comuni, con la Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie
locali»), che, vedendo  la  partecipazione  delle  Regioni,  soddisfa
l'esigenza  di  coinvolgimento  delle  stesse,  in   conformita'   al
principio di leale collaborazione.
    7.1.-  Va  pertanto  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 21-bis, comma 2, del d.l. n. 113 del 2018, convertito,  con
modificazioni, nella legge n.  132  del  2018,  nella  parte  in  cui
prevede «sentita  la  Conferenza  Stato-citta'  e  autonomie  locali»
anziche' «sentita la Conferenza  unificata  Stato-Regioni,  citta'  e
autonomie locali».
    8.-  Vanno,  infine,  esaminate  le  questioni  di   legittimita'
costituzionale aventi ad oggetto l'art. 28, comma 1, del d.l. n.  113
del 2018, promosse dalla sola Regione Umbria.
    Tale disposizione ha inserito  -  nell'art.  143  del  t.u.  enti
locali,  che  regola  lo  scioglimento  dei   consigli   comunali   e
provinciali  conseguente   a   fenomeni   di   infiltrazione   e   di
condizionamento di tipo mafioso - un  nuovo  comma  (7-bis),  oggetto
delle plurime censure della ricorrente; comma la cui formulazione  e'
la seguente: «Nell'ipotesi di cui al comma 7, qualora dalla relazione
del prefetto emergano, riguardo ad uno o piu' settori amministrativi,
situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e reiterate,  tali
da determinare un'alterazione delle procedure e da  compromettere  il
buon andamento e l'imparzialita'  delle  amministrazioni  comunali  o
provinciali, nonche' il regolare funzionamento dei  servizi  ad  esse
affidati, il prefetto, sulla base delle risultanze  dell'accesso,  al
fine di far cessare le situazioni riscontrate e  di  ricondurre  alla
normalita' l'attivita'  amministrativa  dell'ente,  individua,  fatti
salvi i profili di  rilevanza  penale,  i  prioritari  interventi  di
risanamento indicando gli atti da assumere, con la fissazione  di  un
termine per l'adozione degli stessi, e fornisce ogni  utile  supporto
tecnico-amministrativo a mezzo dei propri uffici. Decorso inutilmente
il  termine  fissato,  il  prefetto  assegna  all'ente  un  ulteriore
termine, non superiore a 20 giorni, per la loro adozione, scaduto  il
quale    si    sostituisce,    mediante    commissario    ad    acta,
all'amministrazione inadempiente. Ai relativi oneri gli  enti  locali
provvedono con le risorse  disponibili  a  legislazione  vigente  sui
propri bilanci».
    9.- Giova premettere il contesto normativo di riferimento.
    Nell'ambito dei controlli sugli organi disciplinati dal  Capo  II
del Titolo VI del citato decreto legislativo,  dove  e'  regolata  la
fattispecie generale dello scioglimento e  sospensione  dei  consigli
comunali e provinciali (art. 141), oltre  quella  della  rimozione  o
sospensione dei loro amministratori (art. 142),  il  successivo  art.
143, in cui e' inserita la disposizione censurata, prevede un'ipotesi
piu'  specifica,  centrata  sui  fenomeni  di  infiltrazione   e   di
condizionamento  di   tipo   mafioso   nella   vita   e   nell'azione
amministrativa di Comuni e Province, e ne regola il procedimento.  Si
tratta  di  una  «misura  governativa  straordinaria   di   carattere
sanzionatorio» che e' «funzionale  all'esigenza  di  contrasto  della
criminalita' organizzata mafiosa o similare»  (sentenza  n.  182  del
2014).
    L'iniziativa parte dal prefetto competente  per  territorio,  che
promuove l'accesso presso l'ente interessato e contestualmente nomina
una  commissione  d'indagine,  disponendo  comunque  ogni   opportuno
accertamento e acquisendo anche informazioni  dal  procuratore  della
Repubblica competente, il quale le comunica in deroga all'obbligo  di
segreto di cui all'art. 329 del codice di  procedura  penale,  sempre
che  a  cio'  non  siano  di  impedimento  particolari  esigenze   di
segretezza del procedimento penale.
    Raccolti e valutati tutti gli elementi  utili,  a  partire  dalle
conclusioni della commissione d'indagine,  il  prefetto,  sentito  il
comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, stila  una
relazione finale inviandola al Ministro dell'interno. Il quale, sulla
base di tale relazione, puo' ritenere che emergano «concreti, univoci
e  rilevanti»  elementi  indicativi  del  collegamento,   diretto   o
indiretto, con la criminalita' organizzata di tipo  mafioso.  In  tal
caso,  puo'  proporre  lo  scioglimento  del  consiglio  comunale   o
provinciale  interessato  all'indagine,  se  i  collegamenti  con  la
criminalita' emergono a carico di un amministratore locale  (art.  77
t.u. enti locali); scioglimento che e' deliberato dal  Consiglio  dei
ministri e disposto con decreto del Presidente della Repubblica (art.
143, comma 4).
    Se, invece, sono coinvolti, non gia' gli  amministratori  locali,
bensi' il segretario (comunale o provinciale), il direttore generale,
i dirigenti o dipendenti a  qualunque  titolo  dell'ente  locale,  il
Ministro  dell'interno,  su  proposta  del  prefetto,   adotta   ogni
provvedimento utile a far cessare il pregiudizio in atto e ricondurre
alla  normalita'  la  vita  amministrativa  dell'ente,  ivi   inclusi
provvedimenti, in senso  lato  cautelari,  riguardanti  i  dipendenti
suddetti (quali la sospensione  dall'impiego  o  la  destinazione  ad
altro ufficio o altra mansione) con obbligo di avvio del procedimento
disciplinare da parte dell'ente (art. 143, comma 5).
    Laddove,  al  contrario,  non  emergano  «concreti,   univoci   e
rilevanti» elementi indicativi del collegamento con  la  criminalita'
organizzata di  tipo  mafioso,  il  Ministro  dell'interno  emana  un
decreto di conclusione del procedimento, in cui da' conto degli esiti
dell'attivita' di accertamento (art. 143, comma 7).
    In tale evenienza - ossia quando dalla relazione del prefetto non
risulta il presupposto per l'attivazione del  potere  governativo  di
scioglimento dei consigli comunali e provinciali, sia perche'  emerge
che non vi  sono  in  realta'  gli  ipotizzati  collegamenti  con  la
criminalita' organizzata, sia  perche',  pur  sussistendone  elementi
indiziari, questi non  raggiungono  quella  soglia  di  affidabilita'
probatoria tale da qualificarli «concreti, univoci e rilevanti» -  il
procedimento si conclude con una sorta di provvedimento di non  luogo
a procedere oltre,  senza  pertanto  attivare  la  fase  deliberativa
finale mirata allo scioglimento del consiglio comunale o provinciale,
interessato dall'iniziativa prefettizia:  e'  adottato  dal  Ministro
dell'interno un decreto motivato di conclusione (e  quindi  chiusura)
del procedimento.
    10.- E' qui che si inserisce la disposizione impugnata.
    All'esito  del  procedimento  previsto  dai  primi  sette   commi
dell'art. 143, di cui si e' detto  sopra,  si  innesta  in  sequenza,
senza soluzione di continuita', la  nuova  misura  introdotta  (comma
7-bis). L'esito negativo di tale procedimento  costituisce  il  primo
presupposto di avvio di un distinto,  ma  collegato,  subprocedimento
mirato all'attivazione di poteri sostitutivi del prefetto sugli  atti
dell'ente locale. L'esordio del  comma  7-bis  rende  manifesto  tale
collegamento sequenziale prevedendo che questo  subprocedimento  puo'
essere  attivato  «[n]ell'ipotesi  di  cui   al   comma   7»,   ossia
nell'ipotesi di insussistenza del presupposto per lo scioglimento del
consiglio comunale o provinciale (comma 1) ovvero per  l'adozione  di
provvedimenti, correttivi dell'azione dell'ente  e  sanzionatori,  in
senso lato,  dei  dipendenti  coinvolti  nell'infiltrazione  di  tipo
mafioso (comma 5).
    La finalita' del legislatore traspare proprio da questa singolare
collocazione  della  disposizione  censurata   come   appendice   del
procedimento regolato dai primi sette commi dell'art. 143  t.u.  enti
locali.
    Puo' accadere, in effetti, che il collegamento di  amministratori
(o dipendenti) di enti locali con la criminalita'  di  tipo  mafioso,
che   altera   l'attivita'   e   la   gestione   dell'ente    locale,
pregiudicandola, si presenti senza raggiungere proprio l'evidenza  di
«concreti,  univoci  e  rilevanti  elementi»,   ma   abbia   comunque
comportato una riscontrata mala gestio dell'ente.
    Puo' ricordarsi che la formulazione originaria della norma che ha
preceduto l'art. 143 - ossia l'art. 15-bis della legge 19 marzo 1990,
n. 55 (Nuove disposizioni per la  prevenzione  della  delinquenza  di
tipo  mafioso  e  di  altre  gravi   forme   di   manifestazione   di
pericolosita' sociale) - prevedeva la possibilita' di scioglimento di
consigli comunali e provinciali, sempre in  ragione  di  collegamenti
diretti  o  indiretti  degli  amministratori  con   la   criminalita'
organizzata, ma sulla base  solo  dell'emersione  di  «elementi»  non
meglio qualificati. Questa  Corte  (sentenza  n.  103  del  1993)  ha
ritenuto non fondate  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
sollevate in riferimento a plurimi parametri, indicando, in sostanza,
un'interpretazione adeguatrice della  norma,  nel  senso  che  questa
«rend[e] possibile lo straordinario potere di  scioglimento  solo  in
presenza di situazioni di fatto  evidenti  e  quindi  necessariamente
suffragate da obiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi
di  collusioni  anche  indirette  degli  organi   elettivi   con   la
criminalita' organizzata».
    Successivamente il legislatore, nel riformulare la  disposizione,
attualmente recata dall'art. 143  t.u.  enti  locali,  tenendo  conto
della pronuncia di questa  Corte,  ha  prescritto  che  gli  elementi
indicativi dei collegamenti con la criminalita' organizzata  di  tipo
mafioso siano «concreti, univoci e rilevanti».
    Tale rigoroso presupposto e' richiesto  proprio  perche'  risulta
essere particolarmente incisivo e  drastico  l'esercizio  del  potere
governativo di scioglimento del  consiglio  comunale  o  provinciale,
espressione  della  volonta'   popolare,   presidiata   da   garanzia
costituzionale.
    Ma, tra  la  misura  estrema  dello  scioglimento  del  consiglio
comunale o provinciale (del comma 1 dell'art. 143) e  la  dismissione
dell'iniziativa di controllo mediante il decreto di  conclusione  del
procedimento (del successivo comma 7), non era previsto, a  valle  di
quest'ultimo, uno sbocco intermedio, meno invasivo, con la previsione
di una  misura  non  incidente  sugli  organi,  ma  riguardante  solo
l'attivita' dell'ente volta  a  promuovere,  intanto,  la  correzione
della eventuale mala gestio di quest'ultimo, in  ipotesi  causata  da
possibili infiltrazioni della criminalita' organizzata.
    Invero vi era - e vi e' -  in  generale,  l'art.  135  t.u.  enti
locali che, in caso di tentativi di  infiltrazioni  di  tipo  mafioso
nelle  attivita'  dell'ente  locale,  prevede  gia'  un  potere   del
prefetto, che pero' e' solo di iniziativa, perche' puo' richiedere ai
competenti organi statali e regionali gli interventi di  controllo  e
sostitutivi previsti dalla legge; interventi in ipotesi gia' attivati
proprio con il procedimento di cui al suddetto art. 143, ma  sfociati
nel decreto di conclusione del procedimento di cui al comma  7  della
medesima disposizione.
    Il legislatore, allora, si e' fatto carico di questa ritenuta non
piena adeguatezza degli strumenti  di  contrasto  della  criminalita'
organizzata di tipo mafioso e ha introdotto la disposizione censurata
nel tentativo di costruire uno  strumento  correttivo  meno  invasivo
dello scioglimento dei consigli comunali e provinciali, nonche'  piu'
duttile degli ordinari interventi sostitutivi.
    Ma cio' ha fatto disegnando  un  potere  prefettizio  sostitutivo
extra ordinem, ampiamente discrezionale, sulla  base  di  presupposti
generici  e  assai  poco  definiti,  e  per  di   piu'   non   mirati
specificamente al contrasto  della  criminalita'  organizzata;  ossia
complessivamente in  termini  tali  da  non  essere  compatibili  con
l'autonomia   costituzionalmente   garantita   degli   enti    locali
territoriali.
    11.-   Tutto   cio'   premesso,   va   preliminarmente   ritenuta
l'ammissibilita' delle censure che riguardano la  dedotta  violazione
dell'autonomia  costituzionalmente  garantita   degli   enti   locali
territoriali.
    In generale, le Regioni sono legittimate a  denunciare  la  legge
statale anche per la lesione delle attribuzioni  degli  enti  locali,
indipendentemente  dalla  prospettazione   della   violazione   della
competenza legislativa regionale (sentenze n. 220 del  2013,  n.  311
del 2012 e n. 298 del 2009). Questa Corte,  infatti,  ha  piu'  volte
affermato che tale legittimazione sussiste in capo alle  Regioni,  in
quanto «la stretta connessione [...] tra le attribuzioni regionali  e
quelle delle autonomie locali consente di  ritenere  che  la  lesione
delle competenze locali sia potenzialmente idonea a  determinare  una
vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n. 169 e n. 95 del
2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).
    Va  pertanto  ulteriormente  ribadita  la  possibilita',  per  la
Regione, di impugnare la legge  statale  per  dedotta  violazione  di
attribuzioni   costituzionalmente   garantite   degli   enti   locali
territoriali (sentenze n. 261 del 2017 e n. 29 del 2016).
    Parimenti ammissibile -  in  disparte  gli  altri  parametri  non
appartenenti al titolo V della seconda parte della Costituzione  che,
come si dira', risulteranno assorbiti - e' la censura  di  violazione
dell'art.  97,  secondo  comma,  Cost.  sotto  il  profilo  del  buon
andamento  della  pubblica  amministrazione,  che  include  anche  il
principio di legalita' dell'azione amministrativa  (sentenza  n.  115
del    2011),    stante    l'evidente    incidenza     sull'autonomia
costituzionalmente  garantita  degli  enti  locali  territoriali.  La
disposizione censurata infatti, prevedendo che il prefetto indica gli
«atti da assumere»  quali  «prioritari  interventi  di  risanamento»,
afferisce proprio alla  regolamentazione  dell'azione  amministrativa
dell'ente.
    12.- Nel merito, le questioni sono fondate.
    13.- Va considerato innanzi tutto che la  disposizione  censurata
affianca,  al  presupposto  negativo  della  mancanza  di  «concreti,
univoci e rilevanti» elementi su collegamenti diretti o indiretti con
la criminalita' organizzata di tipo mafioso, un presupposto positivo:
il riscontro di «situazioni sintomatiche di condotte illecite gravi e
reiterate, tali da determinare un'alterazione delle  procedure  e  da
compromettere   il   buon   andamento   e    l'imparzialita'    delle
amministrazioni  comunali  o   provinciali,   nonche'   il   regolare
funzionamento dei servizi ad esse affidati».
    Entrambi questi presupposti devono sussistere, senza pero' che il
dato  testuale  della  disposizione  evidenzi,  in  realta',   alcuna
connessione logica o causale tra loro,  che  non  sia  la  loro  mera
sequenzialita' temporale.
    Situazioni analoghe, se emerse in un contesto diverso,  quale  in
ipotesi quello del controllo sugli atti dell'ente locale, secondo  le
disposizioni previste dal Capo I del Titolo VI del t.u. enti  locali,
sarebbero fuori dall'ambito applicativo della disposizione  censurata
e non consentirebbero l'esercizio del potere sostitutivo  prefettizio
in esame. Cio' appare inspiegabile, tanto piu' che  e'  prevista,  in
termini generali, la fattispecie di «gravi e  persistenti  violazioni
di legge», anche al di fuori  dell'ipotesi  di  collegamenti  con  la
criminalita' organizzata di tipo mafioso, che gia'  rende  attivabile
una  misura  di  contrasto,   quale   l'ordinario   procedimento   di
scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali di cui
all'art. 141 t.u. enti locali, con specifiche garanzie.
    A cio' si aggiunge l'assoluta genericita'  della  definizione  di
tale presupposto positivo del  potere  sostitutivo  introdotto  dalla
disposizione censurata.
    Essendo gia' previsto dal t.u. enti  locali  -  oltre  al  potere
sostitutivo del Governo in determinate circostanze (art. 137) - anche
un generale potere di annullamento straordinario con cui  il  Governo
si sostituisce agli organi degli enti locali in caso di  «atti  [...]
viziati di illegittimita'» (art. 138), le «condotte illecite gravi  e
reiterate», di cui  al  censurato  comma  7-bis  dell'art.  143,  non
possono consistere soltanto in meri atti illegittimi, per i quali  e'
gia' previsto un rimedio in chiave  di  potere  sostitutivo.  Occorre
qualcosa di piu', che pero' la disposizione censurata  non  solo  non
specifica, ma neppure espressamente richiede.
    Il riferimento a «condotte illecite gravi e reiterate», se inteso
come  riguardante  fatti  penalmente  rilevanti   di   amministratori
dell'ente locale o  di  dipendenti  dello  stesso,  sarebbe  comunque
ampiamente generico se comparato a quello del primo  comma  dell'art.
143, il quale evoca chiaramente una fattispecie penale ben specifica:
il reato di associazione a delinquere di tipo mafioso di cui all'art.
416-bis cod. pen.
    Ne' tale presupposto  di  fatto  risulta  meglio  definito  dalle
conseguenze che da tali «condotte illecite gravi e reiterate»  devono
derivare. E' richiesto infatti che  esse  siano  tali  da  comportare
«un'alterazione delle procedure e da compromettere il buon  andamento
e  l'imparzialita'  delle  amministrazioni  comunali  o  provinciali,
nonche' il regolare funzionamento dei servizi»;  formulazione  questa
pur sempre generica e che non aggiunge  nulla  alla  definizione  del
presupposto, se sol si consideri che ogni condotta illecita, grave  e
reiterata, non  puo'  che  incidere  negativamente  ex  se  sul  buon
andamento dell'attivita' dell'ente.
    Alla genericita' del presupposto  per  l'attivazione  del  potere
sostitutivo  del  prefetto  si  aggiunge  la  vaghezza  del   livello
indiziario degli elementi emersi nell'attivita'  di  accertamento  di
cui al comma 3 dell'art. 143. Mentre per l'attivazione del potere  di
scioglimento del consiglio comunale o provinciale  occorre  che  tali
elementi, su collegamenti diretti o  indiretti  con  la  criminalita'
organizzata di tipo mafioso, raggiungano un  livello  di  coerenza  e
significativita' tali da poterli qualificare come «concreti,  univoci
e rilevanti» (art. 143, comma 1, t.u. enti  locali),  invece,  quanto
alle «condotte illecite gravi e reiterate», di  cui  al  comma  7-bis
impugnato,   e'   sufficiente   che   risultino   mere    «situazioni
sintomatiche».
    Nel  complesso,  quindi,  il  presupposto  positivo  del   potere
sostitutivo prefettizio e' disegnato dalla disposizione censurata  in
termini vaghi,  ampiamente  discrezionali  e  certamente  assai  meno
definiti  di  quelli  del  potere  governativo  di  scioglimento  dei
consigli comunali e provinciali, pur essendo il  primo  agganciato  a
quest'ultimo come occasionale appendice procedimentale.
    14.- Inoltre,  la  disposizione  censurata  assegna  allo  stesso
prefetto, che  ritenga  sussistere  una  situazione  di  mala  gestio
dell'ente,  non   gia'   un   potere   d'impulso   e   sollecitatorio
dell'adempimento  di  obblighi  di  legge  (come,  ad  esempio,   nel
procedimento che puo' condurre  alla  deliberazione  dello  stato  di
dissesto dell'ente: art. 243-quater,  comma  7,  t.u.  enti  locali),
bensi'  quello  ben  piu'  incisivo  della  diretta   individuazione,
ampiamente discrezionale, di «prioritari interventi  di  risanamento»
da cui sorge, per  l'ente  locale,  l'obbligo  di  conformazione.  E'
quest'obbligo - non preesistente nella legge, ma  sorto  ad  hoc  per
determinazione del prefetto - che poi, ove non  adempiuto  dall'ente,
facoltizza l'esercizio del potere sostitutivo mediante commissario ad
acta.
    L'insufficiente  determinazione  del   presupposto   del   potere
sostitutivo  risulta  cosi'  aggravata  dalla  latitudine   del   suo
contenuto atipico e indifferenziato, mentre  -  ha  affermato  questa
Corte (sentenza n. 115 del 2011) - ogni  potere  amministrativo  deve
essere «determinato nel contenuto  e  nelle  modalita',  in  modo  da
mantenere costantemente  una,  pur  elastica,  copertura  legislativa
dell'azione amministrativa».
    Tutto cio' inficia irrimediabilmente la  compatibilita'  di  tale
potere sostitutivo extra ordinem, in primo luogo, con il principio di
legalita' dell'azione amministrativa (art.  97  Cost.),  nonche'  con
l'autonomia costituzionalmente garantita che la Repubblica promuove e
riconosce agli enti locali territoriali  (art.  5  Cost.);  autonomia
anche recentemente richiamata da questa Corte (sentenze n. 33 e n. 29
del 2019).
    L'enunciazione dell'art. 114, secondo comma, Cost.,  secondo  cui
Comuni, Province  e  Citta'  metropolitane  sono  enti  autonomi  con
«propri statuti, poteri e funzioni», si salda con  il  riconoscimento
della titolarita' di «funzioni  amministrative  proprie»  (art.  118,
secondo comma, Cost.) e della potesta' regolamentare in  ordine  alla
disciplina dell'organizzazione e  dello  svolgimento  delle  funzioni
loro  attribuite  (art.  117,  sesto  comma,  Cost.),   nonche'   con
l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa (art. 119, primo comma,
Cost.). Tale complessiva garanzia costituzionale di autonomia risulta
accentuata dopo la riforma costituzionale del 2001 -  ispirata  a  un
«largo decentramento di funzioni» (sentenza n.  44  del  2014)  -  la
quale, tra l'altro, piu'  non  prevede  il  controllo  preventivo  di
legittimita', e talora di  merito,  sugli  atti  degli  enti  locali,
essendo stato abrogato l'art. 130 Cost. dall'art. 9, comma  2,  della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3  (Modifiche  al  titolo  V
della parte seconda della Costituzione).
    15.- Da ultimo, ma non con minor rilievo, c'e' da considerare che
il potere  sostitutivo  introdotto  dalla  disposizione  censurata  -
essendo previsto con  un'incidenza  nell'attivita'  dell'ente  locale
tendenzialmente molto ampia, stante che l'individuazione da parte del
prefetto di «prioritari interventi di risanamento» non e' limitata ad
attivita' vincolata per legge e non discrezionale  -  avrebbe  dovuto
essere rispettoso del canone dell'art.  120,  secondo  comma,  Cost.,
secondo cui i poteri sostitutivi devono essere esercitati secondo  il
principio di sussidiarieta' e di leale collaborazione. Questa  Corte,
con riferimento a tale parametro, ha affermato che  «[l]a  previsione
del potere sostitutivo fa [...] sistema con le  norme  costituzionali
di allocazione delle competenze» (sentenza n. 236 del 2004) e  quindi
occorre che tale potere sia rispettoso delle autonomie locali. E'  lo
stesso art.  120,  secondo  comma,  Cost.  a  prevedere  l'intervento
sostitutivo del Governo, implicante l'assunzione  di  responsabilita'
politica  del  potere  esecutivo,  quando  vi  e',  in   particolare,
un'esigenza di «tutela dell'unita' giuridica o dell'unita' economica»
dell'ordinamento. Ha affermato questa Corte (sentenza n. 43 del 2004)
che «[l]a Costituzione ha voluto [...] che, a prescindere dal riparto
delle competenze amministrative, come attuato dalle leggi  statali  e
regionali nelle diverse materie, fosse sempre possibile un intervento
sostitutivo del Governo per garantire tali interessi essenziali».  Si
e' ritenuto, ad esempio, che la protratta inerzia degli  enti  locali
«giustifica la previsione di un potere sostitutivo, che  consenta  un
intervento di organi centrali a salvaguardia di interessi generali ed
unitari» (sentenza n. 44 del 2014), mentre e' il prefetto che  rileva
la mancata attuazione da parte dell'ente locale di quanto  prescritto
dalla legge; potere «attribuito al Prefetto  che  lo  esercita  senza
margini di discrezionalita'» (ancora, la sentenza n. 44 del 2014).
    Lo stesso t.u. enti locali, del  resto,  assegna  al  Governo  il
potere sostitutivo  in  plurime  fattispecie  di  maggiore  incidenza
nell'autonomia dell'ente locale,  quali  quelle  di  sua  inattivita'
qualificata (art. 138), di atti viziati da illegittimita' (art. 139),
di malfunzionamento di organi e servizi  o  di  gravi  e  persistenti
violazioni di legge (art. 141), e finanche per gravi motivi di ordine
pubblico  (art.  142).  Mentre  il  prefetto  puo'   sostituirsi   in
fattispecie  piu'  limitate  e  circoscritte,   come   in   caso   di
inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio (art. 39) o
di inerzia del sindaco nell'esercizio di funzioni statali  (art.  54)
ovvero, in via solo  provvisoria,  per  motivi  di  grave  e  urgente
necessita' nei procedimenti di cui agli artt. 141, 142 e 143.
    Insomma,   quanto   piu'   il   potere   sostitutivo,   incidente
nell'autonomia   dell'ente   locale   territoriale,   presenta    una
connotazione di discrezionalita' nei  presupposti  e  nel  contenuto,
tanto piu' il livello di assunzione di responsabilita'  si  eleva  da
quello amministrativo (provvedimento del prefetto) a quello  politico
(deliberazione del Governo).
    La  garanzia  costituzionale  di  autonomia  degli  enti   locali
territoriali (Comuni, Province e Citta' metropolitane)  richiede  non
solo  che  i  presupposti  di  tali  poteri  sostitutivi,   incidenti
nell'attivita' dell'ente, siano  sufficientemente  determinati  dalla
legge, ma anche  che  l'eventuale  sostituzione  a  organi  dell'ente
rispetti il canone dell'art. 120,  secondo  comma,  Cost.,  integrato
dalla norma di attuazione di cui all'art.  8  della  legge  5  giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento  della
Repubblica  alla  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.   3),
sull'assunzione  a  livello  governativo  della  responsabilita'  per
l'esercizio di tali poteri.
    Invece, la disposizione censurata lascia l'esercizio di un potere
sostitutivo, che si e'  visto  essere  ampiamente  discrezionale,  al
livello meramente amministrativo dei poteri del prefetto, senza alcun
coinvolgimento del Governo (come nell'ipotesi del comma  1  dell'art.
143) e neppure del Ministro dell'interno (come nell'ipotesi del comma
5 della stessa disposizione).
    Risulta, quindi, violato anche tale parametro, parimenti  evocato
dalla Regione ricorrente.
    16.- Le considerazioni finora esposte convergono nel far ritenere
la norma censurata essere viziata  di  illegittimita'  costituzionale
per violazione degli artt. 5, 97, secondo comma,  114,  118,  secondo
comma, e 120, secondo comma, Cost.
    Rimane  ovviamente   nella   discrezionalita'   del   legislatore
riformulare la norma in  termini  compatibili  con  il  principio  di
legalita' dell'azione amministrativa e con la garanzia  di  autonomia
costituzionalmente  garantita  di  cui   godono   gli   enti   locali
territoriali.
    In conclusione - assorbiti gli  altri  parametri  indicati  dalla
Regione ricorrente - va  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 28, comma 1, del d.l. n.  113  del  2018,  convertito,  con
modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132.
     

                          per questi motivi
                       LA CORTE COSTITUZIONALE

    riservata a  separata  pronuncia  la  decisione  delle  ulteriori
questioni di  legittimita'  costituzionale  promosse  con  i  ricorsi
indicati in epigrafe;
    riuniti i giudizi,
    1) dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  21-bis,
comma 2, del decreto-legge  4  ottobre  2018,  n.  113  (Disposizioni
urgenti in  materia  di  protezione  internazionale  e  immigrazione,
sicurezza pubblica, nonche' misure per la funzionalita' del Ministero
dell'interno  e  l'organizzazione  e  il  funzionamento  dell'Agenzia
nazionale  per  l'amministrazione  e   la   destinazione   dei   beni
sequestrati e confiscati alla criminalita' organizzata),  convertito,
con modificazioni, nella legge 1° dicembre 2018, n. 132, nella  parte
in cui prevede  «sentita  la  Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie
locali», anziche' «sentita  la  Conferenza  unificata  Stato-regioni,
citta' e autonomie locali»;
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  28,  comma
1, del d.l. n. 113 del 2018,  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge n. 132 del 2018;
    3) dichiara non fondate, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  21,  comma  1,
lettera a), del d.l. n. 113 del 2018, convertito, con  modificazioni,
nella legge n. 132 del 2018, promosse,  con  i  ricorsi  indicati  in
epigrafe, rispettivamente dalla Regione Emilia-Romagna in riferimento
agli artt. 3 e  32  della  Costituzione,  dalla  Regione  Toscana  in
riferimento agli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., e dalla  Regione
Calabria in riferimento agli artt. 32  e  117,  terzo  comma,  Cost.,
nonche' al principio di leale collaborazione.
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2019.

                                F.to:
                    Giorgio LATTANZI, Presidente
                     Giovanni AMOROSO, Redattore
                    Filomena PERRONE, Cancelliere

    Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2019.

                           Il Cancelliere
                       F.to: Filomena PERRONE

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