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domenica 12 marzo 2023

Corte d'Appello 2023-... Assumeva che la fattispecie del "mobbing orizzontale", era comunque già compresa nell'oggetto ... dall'oggetto dell'assicurazione, come ad esempio il mobbing orizzontale, poiché il fatto doloso del dipendente ...

 

Corte d'Appello Venezia Sez. lavoro, Sent., 16-02-2023

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D'APPELLO DI VENEZIA- sezione Lavoro

Composta dai Magistrati

Dr. Luigi Perina - Presidente

Dr. Annalisa Multari - Consigliere rel.

Dr. Silvia Burelli - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa promossa in appello con ricorso depositato in data 19 dicembre 2019

Da

OMISSIS (p.i. (...)),in persona del Presidente, legale rappresentante pro tempore, sig. D.B.M., con sede legale in C. V., Via A. M. n. 125, rappresentato e difeso, giusta procura allegata al presente atto, dagli avv. ti x

appellante

Contro

x

appellati

Contro

x

terzo chiamato

Oggetto: appello avverso la sentenza di Tribunale Verona n.352/19 e n. 351/19 del 25.06.19 nonnotificate

In punto: garanzia e manleva proposte verso assicuratore e eredi dell'ex direttore I.P.


Svolgimento del processo


1.Con le sentenze impugnate il tribunale di Verona rigettava le domande di garanzia azionate dall'istituto V.S. nei confronti delle assicurazioni -la prima n. (...) il cui rischio era stato assunto dal "sindacato OMISSIS" e l'altra n. A. il cui rischio era stato assunto dal "sindacato Arch."- e nei confronti dell'ex direttore-segretario P.I., per essere tenuto indenne rispetto alle domande azionate dalle ex dipendenti A.C. ( nella causa di primo grado sub. rg. 3267/15 )e S.D. ( nella causa di primo grado sub. rg. 3271/19), le quali avevano promosso domanda giudiziale di nullità, per violazione dell'art. 5 L. n. 368 del 2001, del contratto a termine stipulato in successione con l'ente, senza il rispetto del termine di legge.

In primo grado le domande delle lavoratrici erano state separate da quelle di garanzia azionate dall'istituto convenuto in giudizio ed erano state oggetto di sentenze parziali che, gravate a propria volta in appello, avevano trovato conferma parziale nelle sentenze di questa Corte di Appello n. 130/19 e 131/19.

Il tribunale di Verona, accogliendo le difese dei terzi chiamati, rigettava la domanda di manleva nei confronti degli assuntori del rischio; rigettava inoltre la domanda svolta nei confronti del P. e proseguita, a seguito del decesso del convenuto, nei confronti dei suoi eredi, ritenendo che la stipulazione di due contratti, anche alla luce delle difese assunte dall'Istituto che aveva impugnato le due sentenze parziali, non integrasse gli estremi del dolo o colpa grave in capo all'ex dipendente, trattandosi di questioni controvertibili e rispetto alle quali la difficoltà interpretativa era oggettiva.

Rigettava pertanto le domande, compensando le spese di lite.

2. Avverso le due sentenze proponeva appelli separati l'Istituto V.S., insistendo per la riforma totale o parziale delle decisioni del tribunale.

Si costituivano gli eredi del P. che insistevano per il rigetto delle domande proposte nei propri confronti.

Si costituiva l'associazione OMISSIS. che aveva assunto il rischio della polizza n. A. ( sindacato Arch.), che insisteva per la reiezione dell'appello nei propri confronti e in subordine, riproponeva le eccezioni e domande che il giudice di primo grado aveva dichiarato assorbite.

3. La Corte di Appello di Venezia, dopo una serie di rinvii della controversia dovuti alla riorganizzazione del ruolo e alla necessità di trattare la controversia insieme ad altre analoghi pendenti in appello, disposta la riunione degli appelli su consenso delle parti, ex art. 274 c.p.c. e 151 disp. Att. c.p.c., all'esito della discussione, all'udienza del 26 gennaio 2023 , ha deciso la causa come da separato dispositivo in atti.


Motivi della decisione


4. L'Istituto V.S. proponeva appello parziale censurando le sentenze del tribunale di Verona con riferimento alla sola assicurazione certificato n. (...) sindacato Arch.: il giudice per questa polizza aveva escluso l'operatività del contratto che, a proprio avviso, era invocabile soltanto per responsabilità extracontrattuale come desumibile, secondo il tribunale, dalla definizione dell'oggetto della polizza che era individuato nella responsabilità civile patrimoniale ex art. 2043 c.c. e art. 28 Cost. per perdite patrimoniali cagionate a terzi, in conseguenza di un evento dannoso di cui l'ente dovesse rispondere in relazione allo svolgimento di suoi compiti istituzionali e all'erogazione di servizi propri, delegati, trasferiti, complementari e sussidiari.

Pertanto, anche con riferimento a pregiudizi patrimoniali subiti dall'ente in relazione a questioni connesse all'assunzione e gestione del personale, riteneva il giudice che l'operatività della polizza fosse limitata ai soli danni cagionati ai dipendenti per ipotesi di responsabilità ex D.Lgs. n. 81 del 2008 o comunque per illecito extracontrattuale.

Escludeva che la polizza potesse includere i danni cagionati ai dipendenti e derivanti da inadempimenti contrattuali dell'istituto nelle attività di assunzione e gestione del personale.

L'appellante criticava la sentenza con due motivi: il primo inerente la domanda di garanzia azionata dall'ente nei confronti del P. e dei suoi eredi, per avere provocato il vizio genetico del contratto accolto dai giudici e in ragione del quale l'ente era stato condannato al pagamento di somme con sentenze- in grado di appello n. 130 e 131 /19- passate in giudicato ed eseguite integralmente dall'istituto appellante.

Il secondo relativo alla operatività della polizza di assicurazione.

Rispetto al primo motivo, l'appellante censurava la sentenza nel punto in cui il tribunale aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta nei confronti di I.P., poiché trattavasi di negligenza grave tenuto conto del ruolo apicale del P. e del suo curriculum lavorativo da cui emergeva la sua capacità professionale. Trattavasi di direttore dell'istituto, il quale aveva operato per l'ente dal 2005 al 2015.

Nel caso di specie, in particolare, nonostante la determina n. 192/13 avesse previsto che il secondo contratto di lavoro avrebbe assunto natura e funzione di proroga del primo contratto a termine, per contro il P. aveva sottoscritto un nuovo contratto a termine, secondo i giudici, nullo per violazione di legge.

Rilevava l'assoluta indifferenza che altri soggetti dipendenti avessero predisposto il contratto impugnato, a fronte della posizione apicale rivestita dal P. il quale aveva sottoscritto il contratto impegnando l'ente.

A sostegno della domanda invocava il disposto normativo di cui all'art. 36 comma 5 TU n. 165/01 e la giurisprudenza di legittimità formatasi in materia( in particolare Cass.n.14350/10 ).

In ogni caso rilevava che anche a voler ritenere che la condotta del dipendente integrasse un mero inadempimento anche lieve, comunque la violazione della diligenza consentiva l'azione risarcitoria promossa dall'ente per il danno derivante dalla condotta colposa.

Quanto al grado di diligenza invocava la conoscenza delle norme che era esigibile dal direttore trattandosi di obblighi elementari ( cfr. in merito Cass. n. 22965/20).

Instava quindi per il risarcimento del danno considerata la esecuzione integrale delle sentenze passate in giudicato.

Con secondo motivo impugnava la sentenza nel punto in cui il primo giudice aveva rigettato la domanda di garanzia azionata verso l'associazione Sindacato Arch., osservando che la clausola 14 lett.b) della polizza, invocata ed azionata, se interpretata con riferimento alle sole ipotesi di responsabilità extracontrattuale, sarebbe rimasta priva di significato.

Assumeva che la fattispecie del "mobbing  orizzontale", era comunque già compresa nell'oggetto generale della polizza in quanto fatto illecito. Riteneva che le sentenze richiamate dalla assicurazione a sostegno della interpretazione seguita dal tribunale, non fossero pertinenti e che trattavasi di condotta illegittima, derivante dalla violazione della normativa sui contratti a termine con conseguente operatività della polizza che copriva anche i danni derivanti da attività di assunzione e gestione del personale.

Instava quindi per la copertura con riferimento alla statuizione di questa Corte che nel riformare parzialmente le sentenze " parziali " emesse dal tribunale, aveva condannato l'ente al pagamento di un numero di mensilità inferiori rispetto a quanto statuito dal primo giudice, oltre alla rifusione delle spese di lite.

5. Si costituivano gli eredi di I.P., figli e moglie, già costituiti in prosecuzione nel giudizio di primo grado; i quali contestavano l'appello principale assumendo che l'istituto non avesse provato il dolo del P., né tanto meno la colpa grave.

Osservavano che atteso il contesto normativo dei contratti a termine, le difficoltà interpretative indotte anche dalla successione delle disposizioni, la discussa applicabilità delle stesse agli enti svolgenti funzioni pubbliche come l'istituto che si occupava dell'assistenza a persone anziane, la stipulazione dell'ulteriore contratto in violazione della legge, aveva integrato un fatto commesso per errore scusabile e quindi senza colpa del dipendente.

In tal senso invocavano la giurisprudenza su responsabilità della amministrazione pubblica ( cfr. Consiglio di Stato n. 4375/15).

Rilevavano che il P. fosse presente al lavoro soltanto 3 giorni la settimana e con orario ridotto; che la responsabile amministrativa del procedimento ( Z.), che aveva studiato e verificato la legittimità dei contratti a termine contestati, era stata evocata in giudizio dal P. in manleva, ma il giudice non aveva ammesso la chiamata del terzo.

Instavano, in via subordinata, per la sua chiamata in causa, o comunque per il rigetto della domanda nei propri confronti, poiché il de cuius aveva sottoscritto il contratto confidando nella legittimità dell'atto, in quanto era compito della responsabile verificarne le condizioni di legittimità.

In via ulteriore subordinata, nell'ipotesi in cui il giudice avesse ritenuto la responsabilità del P., instavano per la condanna in manleva della assicurazione.

Assumevano che la clausola contenuta nell'art. 14 lett. b), consentisse di estendere la garanzia anche alle ipotesi di responsabilità patrimoniale conseguente all'assunzione o gestione del personale, compreso l'indennizzo dovuto in ipotesi di illegittimità del contratto come nel caso di specie.

A sostegno della propria interpretazione invocavano anche gli artt. 13 e 14 b.

6. L'associazione che aveva assunto il rischio della polizza ancora in contestazione, nel costituirsi ritualmente in giudizio eccepiva preliminarmente l'inammissibilità dell'appello principale in ragione della circostanza che l'Istituto aveva riproposto le medesime difese del primo grado, senza confrontarsi con la decisione del Tribunale.

Osservava che le decisioni dimesse e ritenute valide dal giudice confermavano l'inoperatività della polizza.

In ogni caso nel merito ribadiva che l'oggetto dell'assicurazione era esclusivamente la responsabilità per fatti e condotte illeciti; trattavasi di responsabilità extracontrattuale.

Eccepiva che la norma di cui all'art. 14 b) consentiva l'estensione ai casi altrimenti esclusi dall'oggetto dell'assicurazione, come ad esempio il  mobbing orizzontale, poiché il fatto doloso del dipendente verso il collega non sarebbe stato coperto dall'assicurazione in ragione della esenzione contenuta nell'16 lett. e) delle condizioni della polizza, che escludeva dal risarcimento " le azioni od omissioni imputabili a dolo".

In ogni caso eccepiva che "assunzione e gestione del personale" di cui all'art. 14 invocato dall'appellante, si riferiva alle sole ipotesi di responsabilità che esulavano dall'attività tipica dell'ente che era quella sanitaria e di assistenza alle persone anziane.

Eccepiva che l'interpretazione suggerita dalla parte appellante avrebbe condotto al paradosso della responsabilità dell'assicurazione anche in ipotesi di mancato pagamento dei dipendenti o licenziamenti illegittimi.

Osservava che nel caso di specie trattavasi di responsabilità contrattuale, come confermato dalla Corte di Cassazione a sezioni unite civili n.5072/16, che nel prendere posizione sull'indennizzo per cui è causa aveva fondato la responsabilità sulla norma di cui all'art. 1223 c.c..

In ogni caso riteneva fondato l'appello dell'ente rispetto alla responsabilità del P.: la violazione di legge commessa era e costituiva una condotta se non dolosa, quanto meno di colpa grave del dirigente, il quale aveva violato una norma elementare, e soprattutto aveva replicato la violazione di legge nei confronti di una pluralità di soggetti ( come desumibile dal numero delle cause pendenti).

Pertanto riteneva che l'azione risarcitoria dell'ente fosse fondata.

Eccepiva che la colpa grave, in ogni caso, consentiva di escludere l'operatività di polizza qualora ritenuta efficace, in ragione della previsione di cui all’ art. 16 lett. e) ed h), e della natura sanzionatoria del danno cui era stato condannato l'appellante. Trattavasi di danno sanzione avente efficacia riparativa ma anche dissuasiva e quindi, a proprio avviso, la relativa responsabilità sarebbe stata esclusa dall'ambito di operatività della polizza.

Invocava la giurisprudenza della Corte dei Conti sulla responsabilità contabile.

In ogni caso- in subordine- qualora ritenuta operativa la polizza, riteneva di poter agire nei confronti degli eredi P. ex art. 1916 c.c., surrogandosi nei diritti dell'assicurato, con il limite del massimale di Euro 500.000,00 e la franchigia di Euro 5000,00.

7. Il proposto appello appare parzialmente fondato per le ragioni che seguono.

In via preliminare di rito va rigettata l'eccezione di inammissibilità dell'appello sollevata dall'assicurazione, ritenuto che parte appellante aveva indicato specificatamente i capi di sentenza impugnati e le ragioni del dissenso. Infatti entrambe le parti appellate si sono difese, con memorie di costituzione complete, nelle quali dimostravano di aver compreso perfettamente l'oggetto della impugnazione azionata.

Ai fini della ritualità dell'appello l'istante non è tenuto al rispetto di formule sacramentali rientrando nei compiti del Collegio operare una valutazione sostanziale delle ragioni di censura allegate.

In tal senso va richiamato il recente arresto della giurisprudenza che , confermando l'orientamento già espresso nel 2017 ( cfr. Cass.sez.U, civili n. 27199/17), ancora a sezioni unite civili, ha ribadito che :"… Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione dacontrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di "revisio prioris instantiae" del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata." ( cfr. Cass. sez.U. civili 36481/22).

7.1. Superate le questioni preliminari l'appello va esaminato nel merito.

Con il primo motivo, cui si sono associati per fondatezza gli assuntori del rischio relativo alla polizza per la quale vi è ancora controversia- essendo passato in giudicato il rigetto del tribunale rispetto ad altra polizza azionata in primo grado- parte appellante ha contestato la decisione assunta dal tribunale con riferimento al P..

Ritenuta infatti la responsabilità patrimoniale dell'ente appellante rispetto alle azioni di nullità dei contratti a termine- definitivamente sancite dalle sentenze di questa Corte dimesse in atti, n. 130/19 e 131/19 che, per quanto confermato anche dalle parti in sede di discussione, sono passate in giudicato e eseguite in tutti i capi di condanna- , ad avviso dell'appellante, alla luce della previsione normativa di cui all'art. 36 comma 5 TU 165/01, l'istituto aveva diritto di essere sollevato da questa responsabilità dal soggetto responsabile del vizio contrattuale.

8. Il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda per assenza di prova del dolo e colpa grave.

In primo grado sul punto l'appellante si era limitato ad allegare quanto segue:"… :".."Per valutare la sussistenza di tale responsabilità dovrà quindi considerarsi la preparazione e le qualità professionali del soggetto nonché la sua qualifica e funzione all'interno dell'Ente; ovviamente più elevato sarà il livello più sarà considerato inescusabile l'errore commesso dal dirigente. Inoltre, il dipendente potrà essere chiamato a rispondere del danno cagionato quando con il suo comportamento avrà violato chiari disposti normativi o univoche interpretazioni giurisprudenziali.".

Il tribunale aveva quindi ritenuto infondata la pretesa con la seguente argomentazione:"… La parte convenuta ha chiesto che l'ex direttore segretario fosse condannato a versare le somme sborsate a titolo di risarcimento ex art. 36 D.Lgs. n. 165 del 2001 in quanto gli atti di gestione del rapporto di lavorosarebbero stati compiuti con dolo o almeno colpa grave. La parte convenuta non ha dimostrato il dolo del direttore e cioè la sua coscienza e volontà di commettere una violazione della normativa vigente e di cagionare un danno ingiusto all'ente pubblico. Neppure la colpa grave, intesa come negligenza inescusabile ed ingiustificata, è stata dimostrata. Infatti l'Istituto convenuto ha resistito in giudizio e sostiene nelle proprie difese, congruenti sul punto con quelle degli eredi P., che nel caso in esame non è stata commessa nessuna infrazione delle norme che limitano le assunzioni a termine, in quanto non si tratterebbe di nuove assunzioni bensì di proroghe o rinnovi e quindi non dovrebbe applicarsi la norma che prevede un intervallo minimo tra due assunzioni a termine consecutive. Pertanto dalla stessa impostazione difensiva della parte convenute risulta che il Direttore ha firmato gli atti in buona fede, o comunque senza incorrere in una inescusabile negligenza, ritenendo che vi fossero i presupposti per una legittima proroga del contratto. Tale impostazione difensiva è stata confermata dal fatto che l'Istituto non ha prestato acquiescenza alla sentenza parziale sull'an delle domande della lavoratrice (come risulta dalla copia della sentenza 130/19 della Corte di Appello di Venezia depositata all'udienza del 6.6.2019, evidentemente ritenendo che vi fossero serie probabilità di una riforma integrale della pronuncia di primo grado. ".

9. L'appellante ha censurato la decisione assumendo che atteso il ruolo apicale del P., la circostanza che avesse concluso il contratto di lavoro in piena violazione di legge nonostante la preventiva Det. n. 192 del 2013 prevedesse la possibilità di prorogare il contratto in essere con le lavoratrici, costituiva un errore inescusabile e integrante la colpa grave del segretario, in ragione della posizione rivestita e della professionalità del soggetto, come emergente dal curriculum vitae in atti.

10. Questo Collegio non condivide la critica dell'appellante.

Ferma restando la posizione di responsabilità del P. il quale ricopriva un ruolo apicale, sia per Statuto che Regolamento dell'ente sì da avere il compito di controllo e di direzione del personale ( cfr. art. 15 e 23 regolamento in atti), trattasi comunque di soggetto il quale, come si evince dal curriculum dimesso dall'appellante, pur avendo una esperienza professionale pregressa in posizioni apicali di enti sia pubblici che non pubblici, territoriali( cfr. doc. 19 parte appellante), non era un soggetto dotato di competenze specialistiche o giuridiche ( il titolo di studio consisteva nel diploma di liceo classico).

In ogni caso che il vizio del contratto lamentato dalle lavoratrici non fosse così palese ed evidente da integrare la negligenza grave ritenuta dall'appellante, è dimostrata dalla strenua difesa della legittimità del contratto assunta in giudizio dall'istituto e anche dalla necessità di un intervento giudiziale per dirimere l'incertezza giuridica della fattispecie negoziale.

Se effettivamente- come sostiene l'appellante- la nullità era evidente, trattandosi di norme la cui conoscenza era esigibile da parte del dipendente- appare poco verosimile che, nonostante le richieste stragiudiziali delle lavoratrici, anche al fine di evitare aggravi economici, l'istituto non abbia provveduto a risolvere bonariamente le controversie senza necessità di attendere l'avvio dei processi.

D'altra parte l'articolata e complessa motivazione utilizzata da questa Corte per rigettare le difese dell'ente appellante e confermare la nullità del contratto dichiarata dal tribunale ( cfr. sentenze 130 e 131/19 dimesse dalla parte appellante), consente di rilevare che trattavasi di vizio non macroscopico, nè di errore grossolano, né, come eccepito dalla assicurazione di " grossolana superficialità nell'applicazione delle norme di diritto" integrante la colpa grave.

Questa Corte- come si evince dalle proprie pronunce passate in giudicato- per respingere il motivo di appello dell'ente, aveva dovuto realizzare uno sforzo interpretativo.

In particolare il Collegio aveva dovuto esaminare e interpretare il contratto non soltanto alla luce del dato letterale, ma anche in ragione dei criteri interpretativi previsti dal legislatore e il cui utilizzo richiedeva la cognizione di istituti giuridici non comuni ( cfr. artt. 1362 c.c. e ss) e che difficilmente il P. poteva conoscere essendo soggetto non dotato di preparazione giuridica specifica.

11. A ciò va aggiunto che, come osservato anche dagli eredi P. nel proprio atto di costituzione, la materia dei contratti a termine, delle norme sulla proroga, sulle causali e sulla applicabilità agli enti pubblici, era stata oggetto di numerosi interventi legislativi, tali da consentire di escludere che l'errore fosse stato commesso dal P. consapevolmente o per negligenza inescusabile, trattandosi di un quadro normativo incerto e in cui anche i contrasti giurisprudenziali erano e sono frequenti.

Quanto esposto consente di rigettare l'azione di responsabilità esercitata dall'ente, sia ai sensi dell'art. 36 cit. che ai sensi della norma di cui all'art. 2104 c.c. trattandosi di colpa non grave e di negligenza del tutto scusabile nel caso di specie.

Analogamente va rigettata l'azione proposta dagli assuntori del rischio assicurativo ex art. 1916 c.c.; azione surrogatoria fondata sulla responsabilità del P. e degli eredi nei confronti dell'ente appellante.

L'esclusione dell'obbligo, impedisce all'ente terzo l'azione di surroga invocata in giudizio.

12. Per contro merita accoglimento il secondo motivo proposto dall'istituto nei confronti del L., quali assuntori del rischio di cui alla polizza n. (...).

Parte appellante in primo grado aveva chiesto - con chiamata in giudizio- l'attivazione della garanzia delle assicurazioni con le quali aveva contratto polizze per la copertura di perdite patrimoniali da responsabilità civile.

Perdite che, con riferimento al sindacato Arch., assuntore del rischio della polizza sopra citata, inerivano "alle perdite patrimoniali per attività connesse all'assunzione e gestione del personale.".

In merito occorre precisare che se, nelle condizioni generali di assicurazione la responsabilità civile patrimoniale verso terzi oggetto di copertura era quella derivante dall'esercizio da parte dell'assicurato delle funzioni ed attività ai sensi dell'art. 2043 e ss del c.c. e dell'art.28Cost., il successivo art. 14, intitolato " estensioni di copertura", inserito nel paragrafo relativo alle " norme che regolano l'assicurazione patrimoniale della Pubblica Amministrazione", estendeva la copertura alle perdite patrimoniali per attività connesse all'assunzione e gestione del personale prevedendo espressamente alla lettera b) che :"..l'assicurazione comprende le perdite patrimoniali per l'attività connessa all'assunzione e gestione del personale".

L'interpretazione letterale impone di accogliere l'appello: la specifica estensione contenuta nell'art. 14, lett. b), non può essere riferita alle sole ipotesi di responsabilità extracontrattuale, altrimenti la clausola risulterebbe priva di utilità in quanto meramente ripetitiva di quanto previsto dalle norme generali.

Ciò in contrasto con la sua finalità di " estensione della copertura" a fattispecie, all'evidenza, che non siano già coperte dal contratto.

Un tanto anche in considerazione della regola prevista dall'art. 1367 c.c. che stabilisce che in casi di dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, piuttosto che in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno.

Detta estensione, dunque, per avere senso, deve riguardare eventi non ricompresi nelle generali condizioni del contratto di assicurazione, così ricomprendendo anche la responsabilità di cui alla fattispecie di causa.

Le perdite patrimoniali considerate nella clausola di estensione non possono che riferirsi a qualcosa d'altro rispetto alla responsabilità ex art. 2043 c.c., dovendosi prediligere una interpretazione strettamente letterale della disposizione, che non porta ad escludere dalla garanzia assicurativa la responsabilità coinvolta nella presente fattispecie.

Né appare condivisibile l'assunto dell'assicurazione secondo cui l'estensione interpretativa suggerita dall'appellante condurrebbe alla estensibilità della copertura anche alle ipotesi di inadempimenti retributivi, o da esercizio illegittimo del potere di recesso, trattandosi di fattispecie attinenti a inadempimenti contrattuali che esulano dalla previsione letterale richiamata.

Nel caso di specie infatti trattasi di illegittimità derivante dalla violazione di norme di legge inderogabili che differiscono dall'inadempimento contrattuale del contratto di lavoro; violazioni incidenti sulla validità stessa del negozio giuridico.

Né rilevano le sentenze di merito dimesse dal terzo chiamato in primo grado e richiamate anche dal primo giudice, in quanto inerenti ad ipotesi di assicurazioni nelle quali , per quanto si evince dalla motivazione dei giudici, non era invocata l'estensione di copertura per cui è causa.

13. La difesa sollevata dalla parte appellata secondo cui anche a voler aderire alla interpretazione dell'appellante, in ogni caso la garanzia invocata non potrebbe operare a fronte delle esenzioni di cui all'art. 16 ove le parti avevano stabilito che"…l'assicurazione non vale per le perdite patrimoniali e i danni conseguenti a …omissis…lett.h. multe, ammende, sanzioni inflitte direttamente contro l'assicurato", è del pari infondata.

La fattispecie sopra riportata non può essere estesa al caso dell'indennizzo ex art. 32 L. n. 183 del 2010 cui l'ente appellante, in ragione della impossibilità di conversione del contratto, in ragione della natura pubblica dell'istituto, era stato condannato.

Infatti l'indennizzo utilizzato dalla giurisprudenza di legittimità- a partire dalla sentenza delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione n. 5072/16- non è equiparabile alle " sanzioni penali ed amministrative " cui si riferisce il dato contrattuale.

La giurisprudenza di legittimità infatti, preso atto della impossibilità di conversione stabilita dall'art. 36 comma 5 cit., ha fatto ricorso alla misura di cui all'art. 32 cit., quale parametro per risarcire il danno conseguente alla violazione delle norme di legge sui contratti a termine. Danno presunto; né la valenza sanzionatoria derivante dalla cd. natura comunitaria, ai fini della dissuasione dall'abuso dei contratti a termine, fa venir meno la natura risarcitoria dell'indennizzo.

Trattasi infatti di una agevolazione probatoria in favore del contraente debole che, a causa della natura pubblica, non può ottenere la conversione del rapporto al pari degli altri lavoratori e che peraltro non impedisce al danneggiato di provare l'effettività del maggior pregiudizio subito ai sensi dell'art. 1223 c.c., trattandosi di danno " presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore, del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo , l'indennità forfettizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito" ( cfr. in tal senso da ultimo Cass. sez.L. n. 36659 del 1922).

Pertanto rigettate le eccezioni della assicurazione, va dichiarata l'operatività della polizza con riferimento a quanto corrisposto dall'ente appellante in ragione della nullità dei contratti a termine con C.A. e S.D., nei limiti del massimale e della franchigia stabilita dal contratto, eccepiti dall'ente e non contestati dall'appellante.

Per contro va confermato il rigetto delle domande di responsabilità azionate dall'ente nei confronti degli eredi del P. e nel contempo dell'azione di surrogazione riproposta in questo grado dagli assicuratori.

In merito alle spese di lite, tenuto conto del valore della causa dichiarato dall'appellante ( fascia 20000,00), quanto alla posizione degli eredi P. rispetto ai quali la pronuncia di primo grado è stata confermata, sono poste a carico dell'appellante e della assicurazione in solido quelle del secondo grado secondo i valori medi di cui al D.M. n. 55 del 2014 e successive modificazioni.

Per contro nei rapporti tra istituto e ente appellato, le spese di entrambi i gradi sono poste carico della assicurazione soccombente.


P.Q.M.


Ogni contraria istanza eccezione domanda disattesa od assorbita, definitivamente pronunciando:

- In parziale accoglimento del proposto appello, in riforma parziale delle sentenze impugnate, accerta che gli assicuratori dei L. che hanno assunto il rischio di cui alla polizza n. (...), sono tenuti a rimborsare all'appellante quanto corrisposto a C.A. e S.D. in ragione delle sentenze n. 130/19 e 131/19 C.V. pronunciate in loro favore, nei limiti del massimale di polizza e previa detrazione della somma prevista contrattualmente quale franchigia contrattuale;

- Condanna l'assicurazione a rifondere all'appellante le spese del primo grado liquidate in Euro 4216,00 e le spese del presente grado che liquida in complessivi Euro 3966,00 oltre a spese generali al 15, IVA e CPA, come per legge e rimborso del contributo unificato;

- Rigetta l'appello proposto dall'Istituto nei confronti degli eredi P., confermando nei loro confronti la sentenza di primo grado anche nel capo delle spese;

- Condanna l'istituto appellante e gli assicuratori dei L. assuntori del rischio di cui alla polizza n. (...) in solido a rimborsare agli appellati eredi di P.I. le spese del grado che liquida in complessivi Euro 3966,00 per compenso oltre a spese generali al 15%, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Venezia, il 26 gennaio 2023.

Depositata in Cancelleria il 16 febbraio 2023.


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