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domenica 12 marzo 2023

Corte d'Appello 2023- Responsabilità professionale

 

Corte d'Appello Milano Sez. II, Sent., 21-02-2023

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D'APPELLO DI MILANO

Sezione seconda

nelle persone dei seguenti magistrati:

dr. Carlo Maddaloni - Presidente

dr. Maria Elena Catalano - Consigliere rel.

dr. Elena Mara Grazioli - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. r.g. 1907/2022 promossa in grado d'appello

DA

x

APPELLANTE

CONTRO

x x

APPELLATI

avente ad oggetto: Responsabilità professionale


Svolgimento del processo


OMISSIS citava in giudizio avanti al Tribunale l'Avv. OMISSIS al fine di accertare l'inadempimento o l'inesatto adempimento colpevole negligente e/o doloso dell'Avv. OMISSIS nei confronti dell'attrice/cliente e per l'effetto dichiarare definitivamente risolto il contratto di mandato professionale o comunque dichiarare non dovuto ex art. 1460 c.c. il compenso richiesto e/o richiedibile e, per l'effetto, condannare l'Avv. OMISSIS al risarcimento di tutti i danni subiti dalla sig.ra OMISSIS, patrimoniali e non patrimoniali, presenti e futuri, conseguenti al dedotto inadempimento.

In particolare, la signora D. chiedeva al Tribunale: dichiarato che l'attrice percepiva una retribuzione globale di fatto lorda pari a Euro 2.634,00 (euro duemilaseicentotrentaquattro virgola zero zero) lordi mentre era alle dipendenze della M.I.; dichiarato che l'attrice è stata in mobilità per mesi 24 percependo un'indennità pari a circa Euro 1.000,00 lordi, quantificare il risarcimento del danno: A) per mancata reintegrazione in almeno 24 mensilità dell'ultima retribuzione globale lorda di fatto; B) per i mesi di mobilità in almeno 24 mensilità date dalle differenza tra la retribuzione globale di fatto lorda e l'indennità di mobilità; C) per il mancato rispetto della procedura di licenziamento in almeno 6 mensilità dell'ultima mensilità globale lorda di fatto; inoltre, chiedeva D) una cifra che dovrà essere liquidata in via equitativa per il mancato risarcimento del danno da mobbing  tenendo presente la quantificazione delle richieste effettuate dal Tribunale del Lavoro di Milano; E) una cifra che dovrà essere liquidata in via equitativa dal Tribunale per il danno patrimoniale derivante dalla violazione del diritto assoluto di difesa; F) una cifra che dovrà essere liquidata in via equitativa dal Tribunale per il danno non patrimoniale sempre derivante dalla violazione del diritto assoluto di difesa. In via subordinata, nella denegata ipotesi che non fossero accolte le voci "ut supra", chiedeva risarcire il danno da perdita di chance secondo il prudente apprezzamento del giudice adito. Con vittoria di spese di giudizio, rimborso forfettario, IVA e CPA, distratti.

Si costituiva ritualmente l'Avv. M. che chiedeva autorizzare la chiamata di terzo, ai sensi dell'art. 269 c.p.c., della Q.I. LTD, rappresentanza generale per l'Italia, assicuratore dello Studio Legale OMISSIS, e quindi dell'avvocato collaboratore OMISSIS, in forza di polizza n, (...), in via pregiudiziale e/o preliminare: -Dichiarare l'inammissibilità e/o l'inesistenza e/o la nullità della notifica via pec dell'atto di citazione del 17.12.2018 per i motivi di cui in narrativa con conseguente dichiarazione di inesistenza e/o di estinzione del presente giudizio; - Dichiarare l'inesistenza, la nullità e l'invalidità dell'atto di citazione avversario datato 17.12.2018 per i motivi di cui in narrativa con conseguente dichiarazione di inesistenza e/o di estinzione del presente giudizio; - Dichiarare l'inammissibilità e/o la nullità della costituzione in giudizio di parte attrice, per i motivi di cui in narrativa, con conseguente estinzione di diritto del presente giudizio che si chiede venga dichiarata dal Giudice Istruttore con ordinanza ai sensi dell'art. 307 c.p.c.. In subordine e in ogni caso in via principale: rigettare tutte le domande ex adverso proposte. In ulteriore subordine: dichiarare tenuta a condannare Q.I. LTD, rappresentanza generale per l'Italia con sede in Via M. G. n. 8, 20124 M., c.f./p.iva (...), in persona del rappresentante generale per l'Italia, a tenere indenne e manlevare l'Avv. OMISSIS da quanto sarà condannata a pagare per capitale, accessori, interessi e spese processuali; condannare Q.I. LTD, rappresentanza generale per l'Italia con sede in Via M. G. n. 8, 20124 M., c.f./p.iva (...), in persona del rappresentante generale per l'Italia, a rifondere all'Avv. OMISSIS le spese sostenute per la propria difesa in giudizio;

In via riconvenzionale: condannare l'attrice sig.ra OMISSIS a pagare all'Avv. OMISSIS, a titolo di compensi professionali, la somma complessiva di Euro 4.600,00 oltre 15% rimb. forf. ed accessori come per legge, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo o la diversa maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia all'esito del presente giudizio.Con vittoria di compensi e spese di lite oltre 15% rimborso forfettario ed accessori di legge.

Si costituiva quindi la Compagnia assicurativa che contestava l'operatività della polizza domandando: IN PRINCIPALITA’ assolvere OMISSIS OMISSIS da ogni domanda da chiunque formulata nei suoi confronti nel presente giudizio, in quanto infondata in fatto e in diritto e comunque sprovvista di prova. IN VIA SUBORDINATA, ove venisse ritenuta anche solo in parte operativa la garanzia prestata dall'assicurazione con la polizza n. (...), limitare la condanna di OMISSIS a manlevare e tenere indenne l'Avv. OMISSIS nella sola misura del danno subito e provato da controparte come conseguenza immediata e diretta delle condotte colpose tenute dalla convenuta chiamante nell'esercizio dell'attività professionale di avvocato per conto dello Studio Legale OMISSIS, in ogni caso nel rispetto di tutti i termini e condizioni contrattuali specificati in atti, ivi compresa la franchigia fissa pari ad Euro 2.000,00 (duemila/00) che dovrà restare a carico dell'assicurato. IN OGNI CASO Con vittoria di spese, diritti, onorari rimborso forfettario, sentenza e successive occorrende, oltre IVA e CPA sulla parte imponibile.

Con sentenza emessa il 13 maggio 2022 depositata in cancelleria in pari data, il Tribunale di Milano così statuiva:

"PQM Il Tribunale, definitivamente pronunciando ex art. 281 sexies c.p.c., così Dispone: 1) Rigetta le domande proposte da OMISSIS nei confronti dell'Avv. OMISSIS 2) In accoglimento della domanda riconvenzionale, condanna l'attrice al pagamento, in favore della convenuta, dei compensi professionali, pari a Euro 2.000,00,oltre interessi legali dalla data della presente pronuncia al saldo effettivo 3) Condanna l'attrice alla rifusione delle spese processuali che si liquidano in complessivi Euro 3.338,00, di cui Euro 600,00 per pese ed Euro 2.738,00 per compenso, oltre a CPA, spese generali ed IVA se dovuta in favore della convenuta e in complessivi Euro 3.238,00 di cui Euro 500,00 per spese ed Euro 2.738,00 per compenso, oltre a CPA, spese generali ed IVA se dovuta in favore della terza chiamata".

Appella OMISSIS argomentando -in estrema sintesi- i seguenti motivi:

A) SULLA COLPA GRAVE/DOLO DELL'AVV. M.: OMESSO ESAME DI FATTI DECISIVI OGGETTO DI DISCUSSIONE TRA LE PARTI

B) SULLA OMESSA AMMISSIONE DELLE PROVE TESTIMONIALI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI (travisamento del materiale probatorio) CON RIFERIMENTO ALLA OMESSA IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

C) SUL VIZIO DI MOTIVAZIONE CON RIFERIMENTO ALLA VALUTAZIONE PROGNOSTICA

D) SULLA OMESSA INTRODUZIONE DELLE PROVE TESTIMONIALI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI CON RIFERIMENTO ALLA EVENTUALE CAUSA DI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

E) SUL DANNO

F) SULLE SPESE PROCESSUALI LIQUIDATE ALLA TERZA CHIAMATA E OMESSA INTRODUZIONE DELLE PROVE TESTIMONIALI

G) SULLA PREGIUDIZIALE DI CUI ALLA COMPARSA DI COSTITUZIONE E RISPOSTA DELL'AVV. M.

H) SULLA DOMANDA RICONVENZIONALE

L) SULLA RICHIESTA DI VERIFICAZIONE

Si costituiva con comparsa di costituzione e risposta in appello l'Avv. OMISSIS, ribadita la palese infondatezza dell'azione avversaria sulla base dell'errata individuazione della normativa sul licenziamento individuale, rispetto al caso di specie in cui era stato operato un licenziamento collettivo, chiedeva: in via pregiudiziale/preliminare in rito, dichiarare inammissibile l'appello; rigettare l'appello avversario e, comunque, rigettare integralmente tutte le domande ed eccezioni formulate ex adverso da tutte le parti avversarie in causa; confermare integralmente la sentenza n. 4196/2022, pubblicata il 13.5.2022, del Tribunale di Milano, Sez. I Civ., Dott. R., nel giudizio di primo grado R.G. n. 1643/2019; in subordine e in ogni caso in via principale: dichiarare l'operatività e retroattività della polizza stipulata dallo Studio Legale OMISSIS con la terza chiamata Q.I.L. ora OMISSIS OMISSIS, Rappresentanza Generale per l'Italia, in forza di polizza n. (...), a favore della convenuta Avv. OMISSIS quale collaboratore dello studio assicurato; condannare la compagnia assicurativa a tenere indenne e manlevare l'Avv. OMISSIS da quanto sarà condannata a pagare per capitale, accessori, interessi e spese processuali; condannare Q.I. LTD ora OMISSIS OMISSIS, Rappresentanza Generale per l'Italia con sede in Via M. G. n. 8, 20124 M., c.f./p.iva (...), in persona del Rappresentante Generale per l'Italia, a rifondere all'Avv. OMISSIS le spese sostenute per la propria difesa in giudizio; in subordine e in via riconvenzionale: condannare l'attrice Sig.ra OMISSIS a pagare all'Avv. OMISSIS, a titolo di compensi professionali, la somma complessiva di Euro 4.600,00 oltre 15% rimb. forf ed accessori come per legge, oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo o la diversa maggiore o minore somma che sarà ritenuta di giustizia all'esito del presente giudizio.

Con comparsa di costituzione e risposta in data 18.10.2022 la OMISSIS OMISSIS chiedeva in via principale: assolvere OMISSIS OMISSIS da ogni domanda da chiunque formulata nei suoi confronti in quanto infondate in fatto e in diritto e comunque sfornite di prova; in via subordinata: limitare comunque la condanna di OMISSIS OMISSIS in manleva rispetto al danno effettivamente provato come conseguenza immediata e diretta delle condotte colpose dell'Avv. OMISSIS e, in ogni caso nel rispetto di tutti i termini contrattuali e della franchigia fissa di Euro 2.000,00 di cui dalla polizza di R.C. professionale de quo.

All'udienza di trattazione del 15.11.2022 le parti si riportavano alle proprie difese e parte appellante dichiarava di non insistere nell'istanza di sospensione della provvisoria esecutorietà della sentenza. La Corte d'Appello invitava le parti a precisare le conclusioni alla stessa udienza del 15.11.2022 e tratteneva la causa in decisione assegnando i termini di legge di 60 giorni per il deposito delle comparse conclusive ed il successivo termine di 20 giorni per le eventuali repliche.

La causa veniva decisa nella camera di consiglio dell'8.2.2023.


Motivi della decisione


In data 10/03/2014 la sig.ra OMISSIS riceveva dal proprio datore di lavoro M.I. spa, con sede in C. B., Via S. A. 13 (azienda con più di 15 dipendenti) lettera di licenziamento collettiva motivata da riduzione del personale (giustificato motivo oggettivo).

Con atto di citazione in primo grado OMISSIS allegava che: - non sussistevano le ragioni giuridiche e di tipo organizzativo o economico che giustificavano il grave provvedimento espulsivo; - non era stata rispettata da parte del datore di lavoro la procedura prevista dalla norma in vigore L. n. 92 del 2012 rito Fornero; - non era stata enunciata la cd. impossibilità di repechange, nonostante ci fossero più sedi e più mansioni.

Secondo tesi, all'esito di un chiarimento sulla questione, la sig.ra OMISSIS conferiva mandato al legale in relazione all'impugnativa da proporre avverso detto licenziamento; l'attrice spiegava quanto accaduto, produceva i documenti e concordava, su consiglio dell'avvocato, di introdurre:

a) la procedura di impugnativa di licenziamento per carenza dei presupposti oggettivi in fatto e diritto con richiesta di reintegra nella mansione qualifica e sede;

b) contemporaneamente o con giudizio separato, si sarebbe introdotto un procedimento per chiedere il risarcimento del danno per cd.  mobbing .

Pertanto il legale impostava la lettera di impugnativa del licenziamento, datata 8 maggio 2014 (un giorno prima della scadenza dei 60 giorni); contattava nel medesimo giorno la cliente alla quale chiedeva di recarsi immediatamente in posta per spedire la racc. ar perché i termini per l'impugnativa erano in scadenza. L'Avv. M. spiegava (per iscritto) all'attrice che l'impugnativa doveva avvenire entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, cui doveva seguire il ricorso giudiziario nei 180 giorni successivi.

La sig.ra OMISSIS allegava che, spedita la raccomandata, forniva i documenti e i nominativi di eventuali testimoni sui fatti come richiesto dall'avvocato; inoltre, si sottoponeva a diverse visite medico legali con la psicologa C.P. per la determinazione, in base al danno psichico, dell'importo risarcitorio conseguente la supposta condotta integrante il  mobbing . Precisava altresì, di aver scoperto al momento della revoca del mandato, che il professionista non aveva proceduto a impugnare il licenziamento, nonostante fosse stata notiziata per iscritto dal proprio legale di fiducia che:

a) la causa di impugnativa era stata depositata al Tribunale di Monza e doveva essere integrata documentalmente;

b) la causa risarcitoria derivante da  mobbing  era pendente e si dovevano indicare i testi;

c) nel frattempo continuava la trattativa con la M..

Da tale omissione conseguivano gravi danni, patrimoniali e non patrimoniali, in capo all'appellante.

Il Tribunale non accoglieva la domanda risarcitoria della odierna appellante.

La Corte osserva.

PRELIMINARMENTE SULLE ISTANZE ISTRUTTORIE DELLA PARTE APPELLANTE

Le richieste istruttorie, così come svolte dalla difesa della Sig.ra D. in primo grado hanno come riferimento la legge relativa ai licenziamenti individuali e non quella relativa ai licenziamenti collettivi, pacificamente applicabile alla fattispecie. Quindi il Giudice di primae curae ha correttamente ritenuto la causa matura per la decisione in base alle prove documentali offerte, rigettando le istanze istruttorie avanzate, inconferenti rispetto alla normativa specifica da applicarsi alla fattispecie.

Gli ulteriori capitoli non possono essere ammessi perché generici e comunque irrilevanti.

Infine, l'ordine di consegna del fascicolo di studio relativo alla posizione della signora D., non appare necessario alla decisione avendo la parte appellata allegato di non aver predisposto -perché non di interesse per la cliente- alcun ricorso al Tribunale per l'impugnativa del licenziamento.

Occorre poi premettere alcuni cenni relativi alla responsabilità professionale dell'avvocato. In via generale, si osserva che nelle prestazioni rese nell'esercizio di attività professionali al professionista è richiesta la diligenza corrispondente alla natura dell'attività esercitata (art. 1176 c.c., comma 2) vale a dire è richiesta una diligenza qualificata dalla perizia e dall'impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di prestazione dovuta. La valutazione dell'esattezza delle prestazioni da parte del professionista, naturalmente, varia secondo il tipo di professione. Per gli avvocati, la Corte di Cassazione (Cass. 24544/2009) ha precisato che: "la responsabilità professionale deriva dall'obbligo (art. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 cod. civ.) di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto (anche) ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, ai quali sono tenuti: a rappresentare tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di chiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso; a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole". In particolare, inoltre, la Suprema Corte ha più volte enunciato il principio secondo cui l'avvocato deve considerarsi responsabile nei confronti del cliente in caso di incuria o di ignoranza di disposizioni di legge ed, in genere, nei casi in cui per negligenza o imperizia compromette il buon esito del giudizio. Sul piano dell'onere della prova il cliente che sostiene di aver subito un danno, per l'inesatto adempimento del mandato professionale del suo avvocato, ha l'onere di provare: a) l'avvenuto conferimento del mandato difensivo; b) la difettosa o inadeguata prestazione professionale; c) l'esistenza del danno; d) il nesso di causalità tra la difettosa o inadeguata prestazione professionale e il danno.

Tutto ciò premesso, l'appellante impugna la sentenza lamentando i seguenti errori da parte del primo giudice.

A) SULLA COLPA GRAVE/DOLO DELL'AVV. M.: OMESSO ESAME DI FATTI DECISIVI OGGETTO DI DISCUSSIONE TRA LE PARTI

B) SULLA OMESSA AMMISSIONE DELLE PROVE TESTIMONIALI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI (travisamento del materiale probatorio) CON RIFERIMENTO ALLA OMESSA IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

I PRIMI DUE MOTIVI DI APPELLO CONCERNONO LA QUESTIONE DEL CONFERIMENTO DEL MANDATO AL PROFESSIONISTA per proporre il ricorso ex art. 414 c.p.c. avanti al giudice del lavoro al fine di impugnare il licenziamento collettivo.

Secondo l'appellante, in estrema sintesi, il Tribunale non avrebbe tenuto conto di una serie di mail prodotte e delle prove testimoniali argomentate, al fine di ritenere effettivamente conferito al professionista il mandato per proporre ricorso per l'impugnazione del licenziamento.

La Corte osserva che, proprio dalla documentazione prodotta dall'appellante, è ragionevole ritenere che nessun mandato per proporre l'impugnazione del licenziamento davanti al Tribunale fu espressamente conferito.

Nel mese di gennaio 2014 la società M.I. S.p.A. avviava procedura di licenziamento collettivo tramite Confindustria Monza Brianza con preventiva comunicazione sindacale ai sensi dell'art. 4, 1 e 2 comma della L. n. 223 del 1991 (cfr. docc. 7 e 8 fasc. I grado convenuta). Successivamente, con lettera del 7.3.2014, la M.I. S.p.A. comunicava il licenziamento alla Sig.ra D. nell'ambito della procedura di licenziamento collettivo promossa (cfr. doc. 9 fasc. I grado convenuta).

L’ Avv. M. rispondeva all'appellante appena vista la lettera con e.mail del 11/3/2014 - "visto, impugneremo il licenziamento e poi si vedrà … Oggi sono un po' di corsa, ci si sente domani? Ciao M. (ndr. Avv. M.)"; successivamente con e.mail del 02/04/2014 - "Ciao S.. Pensavo di inviare la lettera di impugnazione del licenziamento poco dopo la metà di aprile (abbiamo 60 giorni dalla data di licenziamento), in modo da avere fino a poco dopo la metà di ottobre per depositare un eventuale ricorso (abbiamo 180 giorni dall'impugnazione del licenziamento). Direi che ci sentiamo o subito prima o subito dopo Pasqua. M." (ndr. Avv. M.); infine, con e.mail del 08/05/2014 -" C.M., il tempo passa velocissimo, i 60 giorni per l'impugnazione del licenziamento sono quasi giunti al termine. Se non sbaglio, mi dicevi che hai ricevuto la raccomandata in data 14 (metti tu la data corretta dove ci sono i puntini), quindi qualche giorno c'è ancora, però, per tranquillità, stampa ed invia la lettera di impugnazione appena puoi, così ci togliamo il pensiero. Poi rifletteremo sul da farsi. Ciao a presto. M. "(ndr Avv. M.).

Da tali mail risulta documentalmente provato che le parti disquisirono sulle iniziative da percorrere per il licenziamento, ma non è revocabile in dubbio che ancora in data 8.5.2014 le parti dovevano concordare una precisa linea difensiva o, recte, dovevano decidere ancora se impugnare o meno davanti al Tribunale il licenziamento (i termini usati sono: "riflettere sul da farsi").

Risulta altresì provato che con la mail 2.4.2014, il professionista avesse comunicato con chiarezza alla cliente che la stessa avrebbe avuto "sino a poco dopo la metà di ottobre per depositare un eventuale ricorso", cioè 180 giorni dal licenziamento.

Dopo il licenziamento del 7 marzo 2014 dell'attrice, l'Avv. M. provvedeva alla redazione della lettera d'impugnazione che faceva inviare direttamente dalla Sig.ra D. al datore di lavoro, con raccomandata a.r. in data 8 maggio 2014, ricevuta in data 9 maggio 2014 (cfr. docc. 10, 11, 12 e 13 fasc. I grado).

Come correttamente evidenziato dal giudice di prime cure nessun sollecito o richiesta intervenne da parte della appellante per procedere giudizialmente entro i sei mesi dal licenziamento, come scritto alla cliente. Si evidenzia, altresì, che nessuna procura alle liti scritta fu rilasciata dall'appellante per agire in giudizio avanti al Tribunale. Procura la cui necessità era certamente ben nota all'odierna appellante, stanti le vicende giudiziarie che avevano coinvolto il proprio coniuge.

L'unica traccia genericamente riconducibile ad una qualche iniziativa giudiziaria, non meglio identificata, è quella del 24 ottobre 2014 (doc. 8 att.), ove il legale riferiva alla cliente "…sì, ho ricevuto il tuo sms conosco il Giudice. Per ora non serve alcun bonifico. Ti faccio avere un preventivo entro la prossima settimana.…"

Il contenuto di tale mail non può essere univocamente riferito all'impugnazione del licenziamento avanti al Tribunale, non solo sotto il profilo testuale ma anche per le considerazioni che seguono.

Dalla tipologia deformalizzata di rapporto professionale instaurato tra le parti (come si evince dal tenore delle mail e dei messaggi inviati), nonché tenuto conto di quanto accadde per il ricorso risarcitorio per  mobbing , non è ragionevole ritenere: a) che OMISSIS non abbia sollecitato il professionista (entro i termini da quest'ultimo indicati) affinchè procedesse (dopo l'invio della lettera) a inviarle una bozza del "ricorso" e neppure formalizzato una procura a agire (sempre prima che scadessero i termini per il deposito del "ricorso"); b) che il professionista non avesse inviato alcuna bozza alla cliente come -invece- fatto (più volte) in occasione della predisposizione della causa risarcitoria da  mobbing ; c) che il preventivo, che avrebbe inviato la professionista nel novembre 2014 (a termini ormai scaduti), fosse riferibile alla causa per impugnazione giudiziale del licenziamento (e non alla causa per  mobbing ).

Successivamente, dal 19 giugno 2015 in poi (ma già dal 8 giugno 2015, doc. 9 att.), la corrispondenza tra le parti si concentra esclusivamente sulla preparazione del ricorso per  mobbing , come da ultimo confermato dalla email del 9 giugno 2016 inviata da OMISSIS alla psicologa dott.ssa C.P., incaricata dell'espletamento di una perizia di parte sui danni subiti dall'attrice per la condotta discriminatoria (doc. 24 conv.); -in questa mail, si legge: "…abbiamo quasi concluso la causa civile/penale, mentre è da aprire a breve quella lavorativa per  mobbing , non so se ricordi…".

Pare evidente a questa Corte che la signora OMISSIS il 9.6.2016 fosse bene consapevole che non pendesse alcun ricorso di impugnazione del suo licenziamento avanti al Tribunale.

La signora D. ha sostenuto che venne a conoscere dell'omissione colpevole dell'Avv. M. solo in occasione della revoca del mandato, essendo convinta che il professionista avesse proceduto a depositare il ricorso avanti al Tribunale del lavoro, come la stessa Avv. M. le aveva fatto credere.

La Corte osserva che tale affermazione risulta contraria a quanto emerge dalla documentazione prodotta.

Infatti, nel corso del rapporto emerge che, nell'aprile 2016, l'Avv. M. redigeva lettera per riprendere un dialogo con la società M.I. al fine di trovare una soluzione conciliativa. Tale lettera veniva modificata numerose volte a seguito di nuove osservazioni della Sig.ra D. (cfr. doc. 22 fasc. I grado). Una volta avuta l'approvazione finale dalla Sig.ra D., l'Avv. M. provvedeva all'invio della lettera definitiva (datata 18.4.2016) a M.I. (cfr. doc. 23 fasc. I grado). Il contenuto della lettera concerneva solo e soltanto il comportamento del datore di lavoro in corso di rapporto, allegato come discriminatorio, nei confronti dell'appellante: nella lettera non vi era alcun riferimento all’ "illegittimità" del licenziamento. Si sottolinea che nella frase finale della missiva era scritto: "Ad ogni buon conto, prima di percorrere la strada giudiziaria, la mia assistita mi ha chiesto di provare…….", a riprova che l'Avv. M. non aveva depositato alcun ricorso e che la Sig.ra D. ne era ben consapevole, avendo letto e corretto la lettera più volte.

Nel gennaio del 2017 l'Avv. M. svolgeva l'ulteriore stesura del ricorso per l'azione risarcitoria da  mobbing , cui seguivano le numerose correzioni della Sig.ra D. (cfr. docc. 25, 26, 27 e 28 fasc. I grado).

Tutti questi documenti, consentono alla Corte ragionevolmente, di ritenere che la sign. D. ben sapesse che (diversamente dalla causa civile/penale che aveva coinvolto il marito) nessun ricorso era stato proposto per impugnare il licenziamento, avanti al Tribunale del lavoro.

Per completezza di esame, si osserva che la prova testimoniale articolata sul punto, non appare concludente. Il capitolato risulta infatti generico sul tempo in cui fu conferito il mandato, sulla sua specificità e persino sul luogo in cui fu conferito. Tenuto conto, altresì, della mancanza di una procura alle liti che necessariamente doveva essere rilasciata prima della scadenza dei (brevi) termini per l'impugnazione del licenziamento avanti al Tribunale.

In conclusione, la documentazione prodotta risulta concludente per ritenere: 1) che il professionista diede alla cliente precise indicazioni sui termini per proporre ricorso avanti al Tribunale del lavoro per impugnare giudizialmente il licenziamento 2) la consapevolezza dell'appellante di non aver proceduto -nei termini indicati- alla proposizione del ricorso; 3) la mancanza di una procura alle liti, necessaria per depositare il ricorso.

SECONDA QUESTIONE: LA VALUTAZIONE PROGNOSTICA

NESSO DI CAUSALITÀ’ E DANNO

Tale questione risulta assorbita dal rigetto dei primi due motivi di appello.

Per completezza di esame, questa Corte procede alla valutazione anche di tale questione, risultando anch'essa infondata.

La materia della prova del nesso di causalità e del danno in ipotesi di responsabilità professionale del prestatore d'opera intellettuale è stata ampiamente affrontata in sede di legittimità.

Giusto principio di diritto consolidato, "la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell'attività del difensore, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita (Cass. 9 giugno 2004 n. 10966; conf. Cass. 19 novembre 2004 n. 21894; cfr. anche, per la valutazione del nesso di causalità giuridica tra omissione ed evento. Cass. 18 aprile 2005 n. 7997)" (Cass. 9917/2010; conforme Cass. 13873/2020).

Sempre a conferma di tale orientamento si è poi espressa con riferimento alla fattispecie dell'omessa proposizione dell'impugnazione la Cass. 2638/2013. In tale occasione la S.C. ha statuito che "la responsabilità ... non può affermarsi per il solo fatto del suo non corretto adempimento dell'attività professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto ilcomportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone" (Cass. 2638/2013).

Più recentemente, la Corte di Cassazione è nuovamente ritornata sul tema ribadendo che "in tema di responsabilità professionale dell'avvocato per omesso svolgimento di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell'evidenza o del "più probabile che non", si applica non solo all'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, ma anche all'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa" (Cass. 25112/2017). Nello stesso senso anche Cass. 8516/2020.

La nozione di "causa", che si ricava dall'esame della giurisprudenza di legittimità citata, consente di qualificare in tal senso quell'antecedente senza il quale l'evento dannoso non si sarebbe verificato; per contro, non sarebbe "causa" di un evento quel comportamento umano in mancanza del quale il pregiudizio si sarebbe egualmente verificato.

Da tale definizione deriva lo stesso significato del giudizio probabilistico o controfattuale, ovvero di quella particolare operazione intellettuale mediante la quale, ipotizzando assente una determinata condizione (l'inadempimento del professionista), la Corte è tenuta a chiedersi se la medesima conseguenza (il pregiudizio sofferto dal danneggiato) si sarebbe comunque verificata. In caso di esito positivo, la condotta del professionista non potrebbe considerarsi quale causa dell'evento e venendo a mancare il nesso di causalità la richiesta risarcitoria non potrà che esser rigettata in punto an. In caso di esito negativo, per contro, si avrà la presenza di tutti i requisiti necessari per il sorgere del diritto al risarcimento del pregiudizio patito.

Alla luce della giurisprudenza sopra menzionata il Giudice di primo grado ha correttamente ritenuto indimostrato il nesso eziologico tra la condotta professionale (per mera ipotesi) negligente dell'Avv. OMISSIS, così come lamentata da OMISSIS, e la mancata reintegrazione di quest'ultima nelle sue mansioni nonché il danno patito, sulla base di un giudizio probabilistico controfattuale.

In particolare, nell'atto di citazione proposto in primo grado, la Sig.ra D. si era limitata a dedurre l'omissione del deposito del ricorso di impugnazione del licenziamento "individuale" da parte dell'Avv. M. chiedendo il risarcimento del danno conseguenti alla mancata reintegrazione nel posto di lavoro e/o in subordine per perdita di "chance", genericamente affermando la responsabilità professionale dell'Avv. M. senza un’ articolata formulazione degli elementi di fatto e di diritto a sostegno di una prognosi positiva dell'esito della causa di impugnazioni di licenziamento e con mera allegazione della colpa omissiva dell'Avv. OMISSIS. Solo con la memoria n.1 ex art.183, sesto comma, c.p.c., depositata a seguito della nuova concessione dei termini istruttori, la difesa dell'attrice ha allegato: a) che la società datoriale non aveva instaurato la procedura di conciliazione obbligatoria avanti la Commissione provinciale presso la Direzione territoriale del lavoro b) che altri due dipendenti licenziati (N.R. e L.C.) avevano impugnato il loro licenziamento, raggiungendo nelle more un accordo con la società datoriale: possibilità che era stata radicalmente preclusa a causa della lamentata inerzia processuale del proprio difensore c) trattandosi di un licenziamento collettivo (in ordine al quale grava, comunque, sul datore di lavoro, la prova della scelta sulla persona da licenziare) avrebbe potuto dimostrare in sede giudiziale, mediante la richiesta di ordine di esibizione che i due menzionati lavoratori avrebbero dovuto essere licenziati in sua vece d) che per la società datoriale vi era possibilità di effettuare un repechage della lavoratrice nel G.Z., al quale appartiene la M.I. s.p.a.

Avanti a questa Corte l'appellante svolge deduzioni a sostegno dell'illegittimità del licenziamento della Sig.ra D. nell'ambito del "licenziamento collettivo" operato dalla M.I. S.p.A. non presenti nell'atto di citazione di primo grado e tardivamente introdotti, per la prima volta, nella seconda memoria ex art. 183, VI comma, c.p.c. di parte attrice.

In primo luogo, va confermata la sentenza del Tribunale laddove ha ritenuto erroneo il richiamo alla L. n. 604 del 15 luglio 1966, contenuto in atto di citazione, concernente la disciplina del licenziamento individuale, mentre la disciplina pertinente alla presente fattispecie è quella della L. n. 223 del 1991, trattandosi di licenziamento collettivo.

Con riferimento al mancato rispetto della procedura di licenziamento da parte della società datrice di lavoro, dalla documentazione prodotta (doc. 50 att.), non si evince alcun elemento incompatibile con l'inosservanza, da parte della società datoriale, delle modalità procedurali per il licenziamento collettivo, avendo la stessa regolarmente provveduto all'instaurazione della fase sindacale all'esito della quale le parti non avevano raggiunto un accordo (cfr. verbale di mancato accordo del 18 febbraio 2014 e lettera Z. del 13 marzo 2014).

Infine, nel merito, la difesa attorea non ha poi specificatamente allegato - e provato - quali criteri, tra quelli concernenti l'individuazione dei lavoratori da licenziare, non sarebbero stati correttamente applicati dalla società datrice di lavoro.

Ai fini della valutazione prognostica dell'esito positivo della causa di lavoro, la ponderata e puntuale valutazione delle illegittime modalità di applicazione dei criteri inerenti ai carichi di famiglia, all'anzianità aziendale, nonché alle esigenze tecnico-produttive ed organizzative aziendali passa attraverso una valutazione comparata della posizione dell'attrice e di quella degli altri dipendenti, valutazione che -nella specie-l'attrice in primo grado non ha allegato. Non appare condivisibile per la Corte la tesi dell'appellante che, rilevando la sussistenza di un onere a carico del datore di lavoro (in un ipotetico contenzioso con il lavoratore) di fornire la prova della legittimità del licenziamento, ritiene esaurito -in questa sede- il proprio onere di prova e di allegazione. Infatti, questa Corte -nel presente giudizio prognostico- deve poter valutare se la lavoratrice (come sostenuto) è stata oggetto di un licenziamento non legittimo.

Non vi è dubbio che -secondo criterio del "più probabile che non"- sussistessero effettivi motivi oggettivi per procedere al licenziamento collettivo. Infatti, nel mese di gennaio 2014 la società M.I. S.p.A. avviava procedura di licenziamento collettivo tramite Confindustria Monza Brianza con preventiva comunicazione sindacale ai sensi dell'art. 4, 1 e 2 comma della L. n. 223 del 1991 (cfr. docc. 7 e 8 fasc. I grado). Dalla documentazione prodotta (doc. 8 e 9 fasc. di primo grado) emerge che il datore seguì la corretta procedura prevista dalla L. n. 223 del 1991 e perciò deve ritenersi ragionevole che vi fossero tutte le condizioni oggettive -vagliate in concreto dai sindacati- per procedere ai licenziamenti collettivi.

Sotto il profilo del mancato risarcimento del danno da  mobbing , si evidenzia che la signora D. aveva dieci anni (termine di prescrizione) per poter ottenere il risarcimento danni per  mobbing  da parte del datore di lavoro. Nessuna preclusione, quindi, per la mancanza di proposizione del ricorso da parte dell'Avv. Martinetti.

In conclusione, qualora il professionista avesse depositato il ricorso non avrebbe potuto invocare la tutela reale del licenziamento per mancanza di giustificato motivo oggettivo che consentiva il licenziamento collettivo, perché verosimilmente sarebbe stata rigettata mentre -in ogni caso- avrebbe potuto instaurare la causa per  mobbing .

Con riferimento alle ulteriori criticità del licenziamento sollevate solo nella prima memoria istruttoria, si deve concludere per l'assenza di allegazione e/o di prova da parte dell'attrice in primo grado che consenta una valutazione prognostica positiva sull'esito di un eventuale ricorso ove fosse stata allegata l'erronea scelta della sua persona - anziché di altri lavoratori- per il licenziamento. In altri termini, la carenza attorea in ordine agli oneri di allegazione e prova sopra illustrati impedisce di configurare soprattutto il nesso di causalità tra la condotta omissiva contestata all'Avv. OMISSIS (mancata impugnazione del licenziamento) e il danno lamentato dalla cliente.

QUESTIONE TRE: SULLA OMESSA INTRODUZIONE DELLE PROVETESTIMONIALI E VALUTAZIONE DELLE PROVE DOCUMENTALI CONRIFERIMENTO ALLA EVENTUALE CAUSA DI IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO

Tale motivo di appello è assorbito da quanto già sopra statuito. In ogni caso, per completezza di esame, si osserva come le richieste istruttorie che l'appellante lamenta non ammesse, riguardino fatti storici non tempestivamente allegati in citazione.

Inoltre, con riferimento alle circostanze concernenti altri due lavoratori che avevano impugnato il licenziamento ed ebbero la possibilità di giungere ad un positivo riconoscimento dei loro diritti in sede transattiva (di cui ai cap. da 56 a 61 della memoria ex art. 183 nr. 2 c.p.c. dell'appellante), la stesse appaiono inconcludenti.

Infatti, nulla è dato conoscere né sui motivi dell'impugnazione dei sign. L.C. e M.N.R., né sulle loro posizioni individuali.

In altri termini, la circostanza per cui altri lavoratori abbiano raggiunto accordi con il datore di lavoro non assume alcuna rilevanza, senza conoscere la posizione degli stessi (ad esempio non è noto se fossero assunti part-time come l'appellante), né di cosa si dolessero nel loro ricorso.

Anche con riferimento alla doglianza di non aver potuto dimostrare che il G.Z. era titolare di altri 8 siti produttivi e che vi era personale che ebbe un trattamento più favorevole rispetto alla attrice (capitoli di prova da 64 a 72) non pare motivo meritevole di accoglimento. Infatti, in materia di licenziamento collettivo non vi è alcun obbligo di repechage da parte del datore di lavoro. La legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo presuppone, da un lato, l'esigenza di soppressione di un posto di lavoro, dall'altro, la impossibilità di diversa collocazione del lavoratore licenziato (repechage), consideratane la professionalità raggiunta, in altra posizione lavorativa analoga a quella soppressa (Cass. 1508/2021; Cass. 181/2019). Conseguentemente, anche la prova della sussistenza di altri siti e/o di possibilità lavorative di altri dipendenti non appaiono -di per sé- concludenti.

QUESTIONE QUATTRO: SUL DANNO

L'appellante lamenta da una parte di non aver potuto procedere all'azione risarcitoria per  mobbing . Sulla questione si è detto sopra.

Dall'altra parte D. lamenta che le rassicurazioni del professionista appellato abbiano provocato all'appellante un grave danno non patrimoniale avendo scoperto che nessuna impugnativa era stata proposta, con conseguente mobilità per due anni (prima di trovare altro impiego), anziché la reintegrazione nel proprio posto di lavoro.

Come detto, in assenza di un conferimento di procura ad agire, nella consapevolezza del "breve" termine per impugnare avanti al Tribunale il licenziamento (comunicato dall'avvocato), non può trovare tutela il lamentato grave danno dell’ appellante per aver (asseritamente) scoperto nel 2016-2017 che nessun ricorso era stato depositato per impugnare il licenziamento.

QUESTIONE CINQUE: SULLE SPESE PROCESSUALI LIQUIDATE ALLA TERZA CHIAMATA

Le spese del giudizio sostenute dal terzo chiamato in garanzia devono essere poste a carico di chi, rimasto soccombente, ne ha provocato e giustificato l'intervento in causa. In forza del principio di causazione - che, unitamente a quello di soccombenza, regola il riparto delle spese di lite - il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia dal convenuto deve essere posto a carico dell'attore qualora la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall'attore stesso e queste siano risultate infondate, a nulla rilevando che l'attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda; il rimborso rimane, invece, a carico della parte che ha chiamato o fatto chiamare in causa il terzo qualora l'iniziativa del chiamante, rivelatasi manifestamente infondata o palesemente arbitraria, concreti un esercizio abusivo del diritto di difesa (Cass. ordinanza n. 23123/2019; Cass. 31889/2019; Cass. 18710/2021).

La chiamata in causa dell'Assicurazione da parte del professionista non risulta essere palesemente arbitraria, né manifestamente infondata, tenuto conto della polizza prodotta.

QUESTIONE SEI: SULLA DOMANDA RICONVENZIONALE

L'odierna appellata ha ottenuto dal Tribunale la condanna della Sig.ra D. al pagamento dei compensi per il lavoro svolto a seguito del mandato ricevuto, nella misura di Euro 2.000,00, in accoglimento della domanda riconvenzionale svolta nel giudizio di primo grado.

La domanda riconvenzionale del professionista è stata correttamente ritenuta dal Tribunale fondata. Infatti, l'Avv. OMISSIS aveva predisposto e inviato (entro il termine di prescrizione) alla cliente una bozza del ricorso per il risarcimento danno da  mobbing , aveva individuato i testimoni da indicare in detto atto, aveva incaricato un perito per l'elaborazione della consulenza di parte per l'accertamento del danno psicologico subito da OMISSIS (doc. 16 ss. conv. Primo grado). Si tratta perciò di un'attività interrotta, dopo diversi scambi tra le parti di scritti sulle varie "bozze" di ricorso per  mobbing, solo a seguito della revoca del mandato all'Avv. OMISSIS in data 13 novembre 2017; attività di cui il Tribunale ha correttamente riconosciuto l'obbligo di remunerazione da parte della appellante in favore del professionista.

LE SPESE

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate ex D.M. n. 147 del 2022, tenuto conto del valore indeterminato di bassa complessità della lite, nei valori medi (esclusa la fase istruttoria).

Sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell'appellante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).


P.Q.M.


La Corte d'Appello di Milano, definitivamente pronunciando, così dispone:

1. rigetta l'appello proposto da OMISSIS avverso la sentenza n. 4196/2022 emessa dal Tribunale di Milano il 13 maggio 2022, che per l'effetto conferma;

2. Condanna OMISSIS al pagamento in favore di parte appellata delle spese del presente grado liquidate in Euro 6946,00, oltre IVA, CPA e 15% spese generali.

Sussistono i presupposti per l'applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte dell'appellante soccombente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione da lui proposta.

Così deciso in Milano, il 8 febbraio 2023.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2023.


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