Tar 2023- Destituzione e dispensa dall'impiego
T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., (ud. 20/07/2023) 30-08-2023, n. 4915
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
(Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2361 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Luca Ruggiero, Fabio Ruggiero, Concetta Borgese, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in -OMISSIS-, via Diaz 11;
per l'annullamento
a) del Decreto prot. n.-OMISSIS- del 29.1.2020, notificato il successivo 16.4.2020 (all.1), col quale è stata disposta la destituzione dal servizio del ricorrente, a far data dal 4.6.2013, nonché la revoca, a far data dalla notifica del provvedimento, del Decreto del Direttore Centrale per le Risorse Umane n-OMISSIS-del 30.3.2016;
b) della Delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina del 6.11.2019, notificata unitamente al provvedimento sub a) (all.2);
c) di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguente, comunque lesivo degli interessi del ricorrente, ivi compresi quelli relativi al procedimento disciplinare, tra cui la contestazione addebiti (all.3), convocazioni e verbali.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 luglio 2023 la dott.ssa Angela Fontana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con i provvedimenti impugnati è stata disposta la destituzione dal servizio del ricorrente - dipendente della Polizia di Stato, nel ruolo di Sovrintendente Capo, in forza presso la Divisione Polizia Amministrativa e Sociale della Questura di -OMISSIS- - nonché la revoca del provvedimento di dispensa dal servizio per fisica inabilità, a far data dal 30.3.2016.
2. Tali atti sono stati adottati all'esito di un procedimento sanzionatorio avviato nei confronti del ricorrente il quale era stato indagato e poi condannato per i delitti di cui agli artt.-OMISSIS- c.p.
In particolare, il ricorrente era stato destinatario del Decreto di sospensione cautelare obbligatoria dal servizio ai sensi dell'art.9, co.1, D.P.R. n. 737 del 1981, perché tratto agli arresti domiciliari; in primo grado, con la sentenza del Tribunale di -OMISSIS- del 16 maggio 2016 era stato condannato alla pena di anni due e mesi 10 di reclusione, con interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena principale; la Corte d'Appello di -OMISSIS- dichiarava di non doversi procedere nei confronti del ricorrente per estinzione del reato contestato, per intervenuta prescrizione; la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n.1232 del 7.5.2019 dichiarava l'inammissibilità del ricorso.
3. I fatti che hanno condotto alla incriminazione del ricorrente erano emersi nell'ambito di una più vasta indagine avente ad oggetto il traffico internazionale di stupefacenti nell'interesse di un noto clan di camorra.
In particolare, nel corso di intercettazioni telefoniche era emerso che il ricorrente, unitamente ad altro appartenente alla Polizia di Stato, "riceveva per sé una somma di denaro dell'importo di euro duemila (2000 euro) da …e … (poi deceduto) tramite... al fine di compiere più atti contrari ai propri doveri d'ufficio, segnatamente consistiti nell' agevolare le pratiche per l'ottenimento del passaporto di …, documento che non poteva essere rilasciato in quanto … era gravato da precedenti penali (condizione ostativa al rilascio), denaro effettivamente ricevuto il 12.11.2009 in -OMISSIS-, quartiere -OMISSIS-, nei pressi del Bar …"
La somma indicata veniva richiesta dai due pubblici ufficiali per il rilascio del titolo, anche se il passaporto non è mai stato rilasciato all'interessato; in particolare dalle indagini emergeva inequivocabilmente, che il ricorrente consultava gli archivi informatici del Ministero dell'Interno sul conto del soggetto interessato al rilascio del passaporto, comunicandogli il contenuto delle informazioni emerse dalla Banca Dati Forze di Polizia.
Alla luce dei fatti suesposti sono stati adottati gli atti impugnati con il ricorso all'odierno esame in cui il ricorrente deduce molteplici profili di illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere.
4. Con il primo motivo di ricorso, è dedotta la violazione dell'art. 19 del D.P.R. n. 737 del 1981 ed il vizio di eccesso di potere per errata ponderazione della fattispecie concreta.
Secondo la prospettiva del ricorrente, il termine di sessanta giorni per la conclusione dell'inchiesta da parte del funzionario istruttore avrebbe natura perentoria e risulterebbe violato nel caso di specie il quanto la contestazione dell'addebito sarebbe stata formulata in data 11.6.2019, e solo in data 31.7.2019 il funzionario istruttore avrebbe trasmesso la relazione al Questore di -OMISSIS-, quale autorità che ha disposto l'inchiesta.
4.1 La censura è infondata.
La censura è basata sull'erroneo convincimento della natura perentoria del termine di 60 giorni (45 più 15) per la conclusione dell'inchiesta da parte del funzionario istruttore ove trattasi di termine che - per consolidata giurisprudenza - ha carattere propulsivo e ordinatorio e non natura perentoria, tant'è che non è normativamente previste alcuna decadenza per la sua inosservanza, né l'inefficacia degli atti compiuti. (ex multis, Cons. St., Sez. I, parere 1239/2011).
5. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 9, co. 6 del D.P.R. n. 737 del 1981.
Secondo la prospettiva del ricorrente sarebbe stato violato il termine di 120 giorni previsto dall'art. 9, comma 6, per l'avvio dell'azione disciplinare che dovrebbe decorrere dalla " data di pubblicazione della Sentenza della Corte di Appello di -OMISSIS- (7.12.2017), con la quale si è dichiarato di non doversi procedere nei confronti del ricorrente, per intervenuta prescrizione", e non dal passaggio in giudicato della sentenza.
5.1 Il motivo è infondato.
La pronuncia giurisdizionale rilevante, ai fini in questione, è solo quella assistita dal predicato indefettibile della definitività (cfr. C.d.S., Sez. VI, n. 3414 del 2011; Consiglio Stato , sez. VI, 13 luglio 2006, n. 4495). Tanto in ragione del fatto che l'attivazione del procedimento disciplinare in pendenza del termine per proporre ulteriori impugnazioni sarebbe del tutto illogica per la carenza di un accertamento penale certo ed incontrovertibile, che, viceversa, deve ritenersi necessario onde evitare possibili contrasti tra procedure.
Nel caso in esame, il procedimento penale si è definito con la sentenza della Corte di Cassazione datata 7 maggio 2019 ed acquisita dalla Questura di -OMISSIS- il 14 maggio 2019, che dichiarava inammissibile il ricorso proposto dal dipendente.
6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell'art. 120 D.P.R. n. 3 del 1957.
Secondo la prospettiva del ricorrente, tra la relazione finale del funzionario istruttore e l'atto successivo sarebbe decorso un termine superiore ai 90 giorni, previsto dall'art.120 del D.P.R. n. 3 del 1957.
6.1 Il motivo non è fondato.
Dall' esame della documentazione in atti emerge che successivamente alla relazione conclusiva del funzionario istruttore datata 31 luglio 2019 e la seconda riunione dell'organo collegiale del 6 novembre 2019, sono stati adottati atti tipici del procedimento disciplinare ed in particolare, in data 10 settembre 2019 è stato adottato l'atto di deferimento al Consiglio provinciale di disciplina ed in data 22 ottobre 2019 si è svolta la prima riunione del Consiglio Provinciale di disciplina.
7. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione dell'art. 16 D.P.R. n. 737 del 1981, dell'art. 9 L. n. 19 del 1990 e dell'art. 118 D.P.R. n. 3 del 1957, dell'art. 27 Cost., dell'art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo e dell'art. 108 Cost.
Secondo la prospettiva del ricorrente l'Amministrazione avrebbe fatto proprie le motivazioni del giudice di prime cure, avallate dalla Corte d'Appello, senza considerare la diversa posizione del funzionario istruttore il quale aveva rilevato la inidoneità delle sole intercettazioni telefoniche a fondare la responsabilità del dipendente il che avrebbe, se non altro, richiesto una adeguata motivazione per la diversa conclusione a cui è pervenuto l'organo collegiale.
In ogni caso, si sarebbe dovuto considerare che il dipendente non aveva alcuna competenza al rilascio del passaporto a favore del soggetto interessato il quale lo avrebbe comunque potuto conseguire a seguito del pagamento delle pene pecuniarie che costituiva ostacolo al rilascio del titolo.
7.1 Il motivo è infondato.
Va in primo luogo ribadita la posizione della consolidata giurisprudenza secondo cui ben possono essere assunti a base dell'imputazione i fatti emersi nell'ambito del procedimento penale, in un'ottica di economia dei mezzi processuali.
Del pari va ribadito l'orientamento secondo cui la sentenza che dichiara la prescrizione del reato non incide sul dato fattuale che ha condotto all'imputazione il quale può essere adoperato nell'ambito del procedimento disciplinare.
Orbene, nel caso in esame, dal giudizio penale sono emersi elementi idonei a comprovare la condotta corruttiva del ricorrente, condotta che il Consiglio di Disciplina ha valutato contrastante con i doveri di correttezza, imparzialità, rispetto della legge a cui sono tenuti tutti i funzionari pubblici.
Gli elementi probatori, analiticamente richiamati negli atti del procedimento disciplinare, richiamano circostanze di tempo e di luogo che si affiancano a quanto emerge dalle intercettazioni sicché del tutto giustificata e motivata appare la determinazione dell'organo collegiale per quanto diversa da quella del funzionario istruttore.
8. Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione degli artt. 4, 9, 13, 14, 20 e 21 D.P.R. n. 737 del 1981, dell'art. 9 L. n. 19 del 1990 e dell'art. 119 D.P.R. n. 3 del 1957.
Secondo la prospettiva del ricorrente, il provvedimento impugnato sarebbe illegittimo atteso che l'intervenuto collocamento a riposo, per inabilità fisica del ricorrente, ha effetti "costitutivi", con irreversibile cristallizzazione della posizione dello stesso e, pertanto, definitiva vanificazione del potere disciplinare dell'amministrazione; d'altra parte, la destituzione risulterebbe sine causa, essendo adottata nei confronti di un soggetto che comunque non può rientrare in servizio.
8.1 Il motivo non è fondato.
Osserva il Collegio che la tesi per cui l'attualità del rapporto di servizio è presupposto della permanenza del potere disciplinare, per come, ancorché in materia di impiego non contrattualizzato previsto dall'art. 55 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001, novellato dall'art. 13, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 754, non leva che la stessa norma ora richiamata prevede che "La cessazione del rapporto di lavoro estingue il procedimento disciplinare salvo che per l'infrazione commessa sia prevista la sanzione del licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio. In tal caso le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici ed economici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro". Nella specie, infatti, per gli illeciti commessi era teoricamente comminabile la sanzione del-OMISSIS- per come in effetti avvenuto e comunque era stata medio tempore disposta la sospensione cautelare dal servizio, di qui la permanenza in capo all'amministrazione del potere di definire in sede disciplinare la condotta del dipendente, anche al fine di dare stabile assetto agli effetti interinalmente prodotti proprio dalla sospensione cautelare, indipendentemente dalla circostanza in fatto per cui il rapporto era estinto per precedente accertamento della non idoneità in attitudine del ricorrente (cfr. Cons. Stato, III Sezione, 25 gennaio 2018 n. 494).
9. Con il sesto motivo di ricorso è dedotto il vizio di incompetenza e di eccesso di potere per insussistenza dei presupposti.
Il ricorrente deduce la sproporzione della sanzione rispetto ai fatti ascritti, comminata a distanza dai fatti e, soprattutto in considerazione che "ormai da anni l'interessato non è più nella possibilità di nuocere - in qualche modo - all' Amministrazione, in quanto collocato a riposo per inidoneità fisica assenza".
Rileva, poi, profili "di incompetenza dell'Organo (Direttore Generale) che ha adottato il provvedimento, con riguardo alla disposta revoca di un provvedimento adottato da altro Organo dell'Amministrazione degli Interni (Direttore Centrale per le Risorse Umane)".
9.1 Il motivo è infondato.
Sul punto, il Collegio intende rammentare, in linea generale, che in ambito disciplinare l'Amministrazione ha ampia discrezionalità in merito all'individuazione della sanzione da applicare con la conseguenza che la sua decisione è sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo nei casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà ed evidente travisamento del fatto cui la stessa è correlata (ex multis, di recente, Consiglio di Stato., sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1887). Per giurisprudenza costante, infatti, l'Amministrazione dispone di un ampio potere discrezionale nell'apprezzare in via autonoma la rilevanza disciplinare dei fatti, tanto che "l'accertamento della proporzionalità della sanzione all'illecito disciplinare contestato e la graduazione della sanzione stessa, risolvendosi in giudizi di merito da parte dell'Amministrazione, sfuggono al sindacato del giudice amministrativo, salvo che non si riveli una loro manifesta illogicità o la contraddittorietà"(tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 16/04/2015, n. 1968).
I fatti che hanno dato luogo ad un procedimento penale possono, quindi, formare oggetto di autonoma considerazione in sede disciplinare e la relativa sanzione deve essere irrogata sulla base di un separato giudizio di responsabilità (disciplinare) senza che i rilievi di tipo penale possano assurgere a presupposto unico per l'applicazione della sanzione disciplinare (Consiglio di Stato, sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2851). In particolare, poi, qualora il procedimento penale si sia concluso con una sentenza di proscioglimento per prescrizione, i fatti oggetto dell'imputazione possono essere legittimamente assunti a presupposto di un'azione disciplinare, salva la possibilità del dipendente di addurre elementi e argomenti che, qualora dotati di oggettivo spessore e valenza, devono essere adeguatamente ponderati (Consiglio di Stato sez. IV, 2 novembre 2017, n. 5053).
Applicando i suesposti principi al caso in esame, va, quindi, osservato che non emergono particolari profili di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà ed evidente travisamento del fatto, imputabili all'Amministrazione, essendo stata appurata con estrema chiarezza e precisione la gravità dei fatti e dei comportamenti ascritti al dipendente.
In ordine alla censura basata sull'incompetenza da parte del Capo della Polizia di revocare il provvedimento di cessazione per fisica inabilità adottato dall'allora Direttore Centrale per le Risorse Umane, si evidenzia come trattasi della cd. revoca gerarchica, disposta dall'autorità gerarchicamente superiore a quella che ha adottato l'atto da revocare, in base ad una nuova valutazione delle ragioni di convenienza ed opportunità per le quali esso fu emanato.
10. Per tutto quanto sin qui esposto, il ricorso è infondato e va respinto.1.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al rimborso delle spese di lite sostenute dall'Amministrazione resistente, che si liquidano in € 1.500 per onorario, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in -OMISSIS- nella camera di consiglio del giorno 20 luglio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Paolo Passoni, Presidente
Gianluca Di Vita, Consigliere
Angela Fontana, Consigliere, Estensore
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